Testo integrale con note e bibliografia

 

L’articolo 2113 cod. civ. prevede esplicitamente che le transazioni e le rinunce che hanno per oggetto diritti inderogabili del lavoratore non sono valide (primo comma) e che possono essere impugnate nei sei mesi successivi (secondo comma). Il 4° comma conclude statuendo che l’impugnazione non è ammissibile per le conciliazioni che siano intervenute “ai sensi dell’art. 185, 410 e 411, 412 ter e 412 quater del codice di procedura civile, comma così modificato dalla legge 183/2010 (collegato lavoro)”.
Dalla disamina delle sedi pacificamente preposte alla sottoscrizione dei verbali di conciliazione, possiamo trarre le seguenti conclusioni.
a. Il legislatore, con l’intervento riformatore della legge 183/2010, non ha voluto affatto sopprimere la garanzia storica dell’art. 2113 ultimo comma, affievolendo le tutele del soggetto debole del contratto di lavoro con la previsione di una generalizzata liberalizzazione delle transazioni e conciliazioni in materia di lavoro, rimessa interamente alla volontà delle parti, ma ha semplicemente introdotto delle ulteriori sedi conciliative, per agevolare la definizione delle controversie di lavoro mantenendo, però, intatto il quadro normativo e la generale filosofia a tutela del soggetto debole del contratto di lavoro come delineato dall’art. 2113 ultimo comma cod. civ. , con il termine decadenziale di sei mesi.
b. Gli organismi preposti a raccogliere la volontà abdicativa del lavoratore sui suoi diritti inderogabili sono quasi sempre organi collegiali.
L’unico organo monocratico è rappresentato dal giudice del tribunale della sezione lavoro quando agisce in tale composizione.
c. Gli organismi collegiali diversi da quelli giudiziari, preposti a raccogliere la conciliazione non più impugnabile, vedono nella posizione apicale la presenza necessaria di soggetti particolarmente qualificati (direttori del lavoro, magistrati in pensione, avvocati cassazionisti, professori universitari in materie giuridiche).
Solo per la conciliazione ex art. 412 ter c.p.c. delle Organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative non sono richiesti titoli accademici o professionali. È richiesta solo la nomina delle Organizzazioni sindacali legittimate.
Evidentemente per il legislatore la composizione collegiale dell’organismo e i soggetti legittimati a nominare i componenti sono garanzie idonee per le tutele del soggetto debole del rapporto di lavoro.
d. Il verbale di conciliazione non più impugnabile tra il lavoratore e il datore di lavoro rappresenta normalmente l’atto conclusivo di una complessa e articolata procedura. Senza quella procedura e il suo rispetto, il verbale di conciliazione giuridicamente non è valido.
L’art. 411 c.p.c. terzo comma esonera dall’osservanza delle particolari e rigorose forme solo i casi in cui le conciliazioni siano sottoscritte “in sede sindacale”.
Per questa sede le forme non sono rigorose come per le altre.
È evidente che questo richiamo della norma è rivolto in modo esplicito e diretto, oseremmo dire ogni oltre ragionevole dubbio, alle conciliazioni sindacali di cui all’art. 412 ter cpc e cioè alle conciliazioni sindacali sottoscritte presso le sedi collettive e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative.
Il richiamo non può che essere rivolto a questa procedura dell’art. 412 ter c.p.c., perché è l’unica a essere disciplinata dalle norme del nostro codice di procedura con un apposito titolo e una specifica disciplina.
e. Nelle procedure di conciliazione, dall'indagine sistematica delle norme del codice di procedura civile che disciplinano la materia, si evince che il singolo Sindacato dei lavoratori è legittimato a svolgere una funzione di assistenza del lavoratore: l’art. 410 c.p.c. primo comma, prevede che il lavoratore può promuovere il tentativo di conciliazione avanti la commissione di conciliazione anche “tramite l’associazione sindacale alla quale aderisce o conferisce mandato”. Uguale facoltà di assistenza e partecipazione, però, non è concessa nell’arbitrato di cui all’art. 412 quater c.p.c., né nelle conciliazioni giudiziali di cui all’art. 185 c.p.c. davanti ai giudici.
Il nostro codice non ha attribuito al Sindacato la funzione corporativa di soggetto che presiede alla sottoscrizione dei verbali di conciliazione delle controversie sorte tra il datore di lavoro e il lavoratore, che abbiano gli effetti impeditivi di cui all’art. 2113 ultimo comma del cod. civ.
Nessuna norma vieta al Sindacato dei lavoratori di rendersi paciere delle liti collettive e delle liti plurime o individuali: questa funzione ben può essere svolta ma senza gli effetti della non impugnabilità di questi atti negoziali ai sensi dell’ultimo comma dell’art 2113 cod. civ. Il legislatore, alla singola Organizzazione sindacale del lavoratore, attribuisce solo una funzione di assistenza in specifiche fattispecie.
Alla previsione dell’art. 410 c.p.c. si aggiunge quella dell’art. 11 del d.lgs n. 124 del 2004 che legittima il Sindacato ad assistere il lavoratore avanti l’Ispettorato del Lavoro per avviare il tentativo di conciliazione sulle questioni segnalate.
f. Il sistema delle conciliazioni non impugnabili in materia di lavoro è un sistema rigidamente chiuso.
I verbali di conciliazione abdicativi in materia di diritti inderogabili, per acquisire la natura di atto non più impugnabile, devono necessariamente essere sottoscritti in una delle sedi imperativamente previste dalle disposizioni di legge.
Queste sedi sono tassativamente quelle che abbiamo esaminato.
A conferma si consideri che, in materia di diritti inderogabili derivanti dai contratti di lavoro e dalle leggi, non è prevista nemmeno la negoziazione assistita, che, per la presenza degli avvocati e degli ordini professionali per le funzioni di controllo, avrebbe potuto fungere da ottima garanzia per il soggetto debole del contratto di lavoro.
Il nostro quadro normativo è oltremodo chiaro.
Ma questa chiarezza non ha impedito che, nella pratica, e negli ultimi anni progressivamente sempre più, si siano imposte prepotentemente le cosiddette conciliazioni mono sindacali, che sono quelle conciliazioni che si sottoscrivono davanti a una singola Organizzazione sindacale dei lavoratori, senza formalità e con speditezza, di solito su iniziativa del datore di lavoro che annuncia la controversia e nel contempo la chiude con la firma dell’accordo.
Ovviamente, queste conciliazioni hanno un costo molto contenuto per le aziende, sia perché il lavoratore normalmente riscuote un quid irrisorio sia perché il costo dell’assistenza sindacale si riduce a un centinaio di euro.
In verità, non tutte le Organizzazioni sindacali, almeno quelle maggiormente rappresentative, accettano questo tipo di procedura perché si tratta di verbali che favoriscono essenzialmente l’azienda più che il lavoratore.
Si rileva, però, che il rifiuto delle Organizzazioni sindacali più rappresentative e sensibili provoca l’effetto perverso o distorto di rafforzare quelle “pseudo” Organizzazioni sindacali prive di rappresentanza collettiva perché, accettando di assumere il ruolo rifiutato dalle altre, esse accrescono la loro zona di influenza con significativo miglioramento della loro situazione patrimoniale.
Nell’occasione della firma di questi verbali di conciliazione tutti si preoccupano di ripetere ossessivamente al lavoratore che non potrà più impugnare quell’atto.
Per esprimere il concetto si dice che la conciliazione è “tombale”.
È noto a tutti che le tombe, una volta chiuse, non si possono più aprire.
Questo convincimento fa parte essenziale del sistema perché in questo modo si ingenera nel lavoratore la convinzione che contro quel suo atto di rinuncia e di transazione non si possa fare più nulla.
Questo convincimento normalmente fa superare le forche caudine dei sei mesi utili per l’impugnazione. Decorsi i sei mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro, quell’atto acquista definitività a condizione che esso possieda, comunque, i requisiti sostanziali della transazione previsti da dottrina e giurisprudenza.
Questo sistema ha mostrato di funzionare efficacemente perché non risulta che negli uffici giudiziari si abbia un significativo contenzioso.
Secondo i sostenitori di quest’originale procedura conciliativa, la sua esistenza o giustificazione giuridica è tratta da un inciso dell’art. 411 c.p.c. terzo comma e, in particolare, dall’inciso secondo cui “se il tentativo di conciliazione si è svolto in sede sindacale ad esso non si applicano le disposizioni di cui all’art. 410 c.p.c.”.
Dalla lettura complessiva delle norme che vanno dall’art. 410 c.p.c. all’art. 412 quater c.p.c., l’inciso del terzo comma dell’art. 411 c.p.c. si riferisce chiaramente alle conciliazioni di cui all’art. 412 ter c.p.c. (conciliazione con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle Organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative).
La lettura delle complessive norme esaminate conduce a quest’ovvia ed elementare conclusione.
La proposizione condizionata (“se il tentativo si è svolto in sede sindacale …”) non può non indicare la sede dell’art. 412 ter c.p.c., specificatamente prevista e disciplinata dal codice. In quel particolare contesto normativo, quell’inciso ha voluto solo affermare che per quelle conciliazioni sindacali bilaterali con le Organizzazioni sindacali rappresentative non si applicano le specifiche e rigorose formalità procedurali dell’art. 410 c.p.c. che, invece, è necessario osservare imperativamente nelle procedure avanti le commissioni della direzione territoriale del lavoro e negli altri luoghi deputati a raccogliere la volontà transattiva delle parti (come gli arbitrati).
Al di là delle previsioni degli stessi contratti collettivi, la sottoscrizione di un verbale di conciliazione in una sede bilaterale delle Organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative può essere introdotta e conclusa liberamente, senza l’osservanza di particolari requisiti formali.
La deroga delle forme vale per le conciliazioni dell’art. 412 ter c.p.c. e non per altre procedure sindacali che, per la legge, semplicemente non esistono, per la semplice ragione che esse non sono state volute dal legislatore.
Il legislatore ha inteso semplicemente ampliare la presenza e il ruolo delle opposte Organizzazioni sindacali che abbiano rappresentanza nel settore merceologico di interesse.
Peraltro, non è superfluo sottolineare che nessun contratto collettivo prevede l’esistenza della conciliazione inoppugnabile sottoscritta dal lavoratore e dal datore di lavoro avanti la sola Organizzazione sindacale di fiducia del lavoratore, perché i contratti collettivi (peraltro non tutti) prevedono e disciplinano solo la conciliazione bilaterale, conclusa con l’assistenza dei rappresentanti delle opposte Organizzazioni sindacali.
I titolari del potere di assistenza nelle conciliazioni sono così le opposte Organizzazioni e non la sola Organizzazione sindacale dei lavoratori.
Comprendiamo, senz’altro, la necessità per le imprese di avere un sistema leggero, sburocratizzato e veloce per formalizzare i verbali di conciliazione con i dipendenti: tuttavia il sistema deve respingere sindacalisti compiacenti e disinvolti perché lo strumento da utilizzare non può essere quello delle conciliazioni mono sindacali, totalmente ignoto alle previsioni del nostro codice.
Per lo più, a queste forme ricorrono le imprese che non sono sindacalizzate e non sono in grado di procedere con la sottoscrizione dei verbali di conciliazione nelle forme previste dall’articolo 412 ter c.p.c.
Peraltro, di fronte a tali metodi non si può trascurare il fatto che si introducono degli elementi di concorrenza sleale a svantaggio delle imprese virtuose che, al contrario, operano nel rigoroso rispetto delle leggi e dei contratti collettivi, sopportando maggiori oneri e costi.
Sulle conciliazioni oggetto di discussione non esistono statistiche ufficiali del Ministero del lavoro. Pur cercandole, non ne abbiamo rinvenute.
Probabilmente non sono state pubblicate.
Tuttavia, qualche anno fa, nel corso di un convegno, l’allora direttore della Direzione territoriale del lavoro di Milano, aveva affermato che nella sola città di Milano, l’anno precedente (2013) risultavano depositati circa 30 mila verbali.
Possiamo immaginare, senza timore di essere smentiti, che negli ultimi anni il numero di queste conciliazioni è senz’altro aumentato perché nel frattempo il sistema si è consolidato e sviluppato con successo.
E’ evidente che a questo successo contribuisce in maniera incisiva il contributo economico che l’impresa elargisce al sindacalista o alla sua Organizzazione sindacale assicurando un significativo finanziamento che oggi sembra sfuggire a regole fiscali.
L’art. 411 c.p.c. prevede il deposito del processo verbale di conciliazione presso la D.T.L. a cura di una delle parti o dell’Organizzazione sindacale che ha assistito il lavoratore: i processi verbali depositabili non possono che essere quelli sottoscritti avanti le commissioni di conciliazione della D.T.L. di cui all’art. 410 c.p.c. e quelli sottoscritti nella sede delle Organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative dell’art. 412 ter c..pc.
La singola Organizzazione sindacale, se ha assistito il lavoratore nella procedura conciliativa ex art. 410 c.p.c., può provvedere anch’essa a tale deposito.
Il Direttore del lavoro, verificata l’esistenza dei requisiti di legge, procederà a sua volta a depositare il processo verbale nella cancelleria del tribunale competente.
Queste previsioni, ovviamente, non si applicano alla procedura arbitrale di cui all’art. 412 c.p.c, né all’arbitrato della contrattazione collettiva dell’art. 412 ter c.p.c., perché per loro valgono le disposizioni sull’arbitrato di cui al titolo VIII del codice di procedura civile.
Si può allora concludere nel senso che, per coerenza e per rispetto delle leggi, gli Uffici territoriali del lavoro dovrebbero rifiutare il deposito di processi verbali di conciliazione che non abbiano i requisiti previsti per legge.
Risulta, invece, che negli Uffici del lavoro si depositino migliaia di verbali di conciliazione sottoscritti da una sola sigla sindacale, anche se priva di rappresentanza collettiva.
Si tratta di una pratica ministeriale che, di fatto, avalla soluzioni giuridiche che non hanno riscontro nelle norme del nostro ordinamento giuridico con l’effetto di scardinare il sistema delle garanzie dell’art. 2113 del cod. civ. che rappresenta una pietra miliare nel sistema di protezione del soggetto debole del rapporto di lavoro che deve essere tutelato contro il suo metus.
Le parti del rapporto di lavoro possono scegliere liberamente la sede dove conciliare le loro controversie.
Se la scelta dovesse cadere sulla sola sede dell’Organizzazione sindacale apparentemente del lavoratore, quel verbale potrà acquisire inoppugnabilità solo con il decorso dei sei mesi dalla cessazione definitiva del rapporto di lavoro.
Le Organizzazioni sindacali ben possono continuare a svolgere le funzioni di conciliazione e sono senz’altro legittimate a ricavare da questa attività il loro finanziamento.
Tuttavia, principalmente, esse devono svolgere questo ruolo con la massima lealtà e la più ampia correttezza, omettendo negli atti - ai quali danno assistenza- ogni riferimento alle norme del codice di procedura civile e informando, in maniera adeguata, il lavoratore che contro quell’atto egli può sempre proporre impugnazione entro i sei mesi successivi dalla cessazione del suo rapporto di lavoro.

 

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