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Le piattaforme digitali estremizzano la frammentazione, l’individualizzazione e la precarizzazione del lavoro e delle relazioni lavorative. Ciò è accentuato dallo status giuridico incerto dei lavoratori che non consente loro godere di tutele piene, di aderire alle tradizionali forme di rappresentanza collettiva, di godere di diritti e tutele e anche di accedere ai sistemi di protezione sociale. Le piattaforme instaurarono relazioni di subordinazione volendole configurare come rapporti con liberi professionisti, con la motivazione che sono i lavoratori stessi a richiedere autonomia e libertà nel lavorare come e quando vogliono.
La mancanza di una dimensione spaziale e temporale nelle relazioni lavorative rende difficile la costruzione di un bagaglio esperienziale utile non solo per gli aspetti tecnici legati all’attività lavorativa, e quindi legato alla qualità del lavoro, ma soprattutto a generare consapevolezza di sé come soggetto sociale. Il ridursi degli spazi di interazione tra lavoratori riduce lo spazio di arricchimento e crescita dell’individuo non solo in termini di competenze ma a 360 gradi, rischiando di creare nuove sacche di lavoratori ghettizzati, soprattutto se a tutto ciò si sommano fattori di fragilità (barriera linguistica, difficoltà di integrazione, tendenza a riunirsi in gruppi chiusi su base etnica).
La gestione delle relazioni lavorative, attraverso una app connessa alla persona, abbatte le barriere spaziotemporali esasperando frammentazione e individualizzazione del lavoro e conferendo al datore di lavoro un fortissimo potere di controllo ed eterodirezione. Si pone il problema di chi sia, dal punto di vista dell’interlocuzione, il datore di lavoro. È la piattaforma che coordina, dirige, controlla e sanziona il rider. Siamo davanti a un datore di lavoro “dematerializzato”? L’algoritmo è il datore di lavoro? È vero che fisicamente si dematerializza la figura, in carne e ossa, del direttore del personale ma questo non significa che non ci sia più il datore di lavoro a stabilire le condizioni della prestazione. Tra l’altro l’algoritmo non è un’entità astratta e asettica ma è costruito sulla base di criteri stabiliti dall’azienda. Perciò sarebbe auspicabile contrattare criteri più adeguati su cui basare gli algoritmi. In questo modello di lavoro il lavoratore non ha la vera libertà di decidere se lavorare o meno, come e quando farlo. Può decidere di non connettersi o di non accettare una o più consegne, ma l’algoritmo dopo un certo numero di rifiuti, estromette il lavoratore dal giro e deve passare un certo lasso di tempo prima che possa rientrarvi. Inoltre il lavoratore è sottoposto a un sistema di ranking reputazionale che non favorisce in alcun modo.
In una fase così complessa occorre elaborare modelli e paradigmi diversi tenendo conto delle nuove necessità ma fermo restando il carattere di subordinazione della prestazione lavorativa. E’ stata innovata la contrattazione collettiva con l’inserimento della figura del rider nel CCNL della Logistica perché è sempre il contratto nazionale, anche con soluzioni specifiche per le peculiari modalità organizzative di questo lavoro, il perimetro entro cui regolare diritti e tutele irrinunciabili: diritti su salute e sicurezza sul lavoro, diritto al riposo, diritto alla disconnessione senza meccanismi di sanzionamento, diritti sindacali, rimborsi spese per utilizzo mezzi e/o fornitura dei mezzi, diritti previdenziali ecc.
I rider non sono solo di studenti che svolgono un “lavoretto” per guadagnare qualcosa, ma persone che vivono con il ricavato di questa attività e molte si trovano anche in condizioni di particolare fragilità.
Si rende assolutamente necessaria una cornice nazionale per delineare un quadro di tutele di carattere generale per tutti i lavoratori, ma sono auspicabili anche accordi territoriali che tengano conto delle specificità del territorio.

 

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