testo integrale con note e bibliografia

Proprio un anno fa la presente rubrica aveva dedicato attenzione all’entrata in vigore nel nostro ordinamento della l. 15 gennaio 2021, n. 4 con cui l’Italia ha dato ratifica ed esecuzione alla Convenzione dell'Organizzazione internazionale del lavoro n. 190/2019 sull'eliminazione della violenza e delle molestie sul luogo di lavoro .
Allora si era sottolineata la natura dirompente della Convenzione soprattutto con riguardo al suo ambito di applicazione.
In particolare, si era messa in luce l’ampiezza dell’atto sotto il profilo oggettivo, posto che la Convenzione anziché limitarsi - come fa l’ordinamento euro-unitario - a contrastare le molestie legate ad uno dei fattori tassativamente protetti dalla normativa antidiscriminatoria , ha optato per offrire ai lavoratori una copertura per così dire “a tutto tondo”. Essa, infatti, si preoccupa di combattere tutte quelle pratiche e comportamenti inaccettabili (anche solo sotto forma di minaccia) perpetrati (perfino una tantum) in occasione del lavoro, o in connessione con il lavoro o scaturenti comunque dal lavoro , che si prefiggano, causino o possano comportare un danno fisico, psicologico, sessuale o economico .
In particolare, nel breve commento a firma mia e di Vallauri, si era messo in luce come la l. n. 4 del 2021, pur preoccupandosi di specificare che alla Convezione in parola dovesse essere data attuazione nell'ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente , nondimeno obbligasse l’Italia a rispettare, promuovere e attuare il diritto di tutti ad un mondo del lavoro libero dalla violenza e dalle molestie attraverso l'ampliamento o l'adattamento delle misure esistenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro e/o l’adozione di leggi e regolamenti, contratti collettivi o altre misure conformi alle procedure nazionali volti alla definizione e proibizione di tali fenomeni .
A fronte del silenzio che è seguito all’entrata in vigore della l. 4/2021, sembra a chi scrive degna di nota la recentissima sentenza della Corte di Cassazione in epigrafe chiamata a giudicare sulla legittimità di una pronuncia della Corte di Appello di Milano che, conformemente al giudice di primo grado, aveva rigettato l’impugnazione del licenziamento per giusta causa comminato ad un lavoratore, “team leader” in un istituto di credito, colpevole di avere posto in essere numerose condotte moleste (dalla diffusione di notizie false, ad atti di attenzione non richiesta, fino ad episodi di violenza fisica) nei confronti di due colleghe che, esauste, avevano richiesto entrambe il trasferimento ad altra sede di lavoro.
La pronuncia appare degna di nota in particolare laddove smentisce il terzo motivo di ricorso del lavoratore relativo alla violazione e falsa applicazione dell’art. 2105 c.c., vista l’irrilevanza disciplinare dei comportamenti del ricorrente nei confronti delle colleghe, essendo le condotte avvenute per lo più al di fuori del contesto lavorativo.
La pronuncia, infatti, nel valorizzare la valenza irrimediabilmente lesiva del vincolo fiduciario del contegno del dipendente oltremodo petulante e violento nella gestione dei rapporti extraprofessionali con le colleghe, fa leva non solo sul principio - a dire il vero già espresso in passato dalla stessa Corte - secondo cui l'art. 2105 c.c. deve essere integrato dai principi di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. (cosicché la giusta causa di licenziamento si configura non solo in presenza di comportamenti espressamente vietati, ma anche in caso di condotte extralavorative che, per la natura e per le possibili conseguenze, risultino in contrasto con gli obblighi del lavoraotre connessi al suo inserimento nella struttura e nell'organizzazione dell'impresa), ma anche sulla Convenzione OIL n. 190/2019.
Il suddetto riferimento giurisprudenziale a tale atto (il primo, almeno a quanto consta) non può non essere salutato positivamente. Non vi è dubbio infatti che la Cassazione, richiamando la suddetta Convenzione, in particolare, laddove, come visto supra, condanna tutte quelle pratiche e comportamenti inaccettabili occorsi non solo in occasione del lavoro, ma anche in connessione con il lavoro o scaturenti, comunque, dal lavoro, dimostri di voler rendere effettivo il diritto ad un luogo di lavoro libero dalla violenza e dalle molestie.

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