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La Sicilia e – seppur con un intervento sostitutivo del Governo – la Puglia sono le Regioni che, rimaste indietro, durante l’estate appena trascorsa hanno fatto progressi contro la discriminazione di genere, adottando misure per garantire una più equilibrata rappresentatività tra uomini e donne nelle cariche elettive.
Interventi oggi più che mai auspicati soprattutto in Regioni come quelle appena citate, dove la quasi totale mancanza di componente femminile nelle istituzioni ha reso opportuna l’adozione di misure per incoraggiare l’accesso alle cariche politiche.
Temi come la rappresentanza femminile nelle assemblee elettive e, più in generale, gli istituti volti al riequilibrio della rappresentanza di genere, sono d’altronde abbondantemente dibattuti anche a livello di Unione Europea, il cui diritto afferma sin dalle sue origini il primario principio della parità di genere. In effetti, è proprio grazie al susseguirsi di interventi normativi a livello internazionale che è stata registrata una significativa evoluzione verso l’uguaglianza dei sessi nella partecipazione politica, pur la stessa realizzandosi in percentuali diverse tra i vari Stati membri.
Doveroso un breve cenno all’Italia che pur collocandosi oggi sopra la media europea (35,8%) quanto a percentuale di donne elette in Parlamento, può ritenersi solo parzialmente soddisfatta poiché di fatto la parità di genere in politica è ancora molto lontana dall’essere raggiunta. Basta un rapido sguardo alle amministrazioni locali per rendersi conto che attualmente risultano elette solo due donne Presidenti di Regione su venti.
Eppure, le norme non mancano, a partire dalle disposizioni costituzionali che ineriscono, direttamente o indirettamente, alla materia delle pari opportunità tra i sessi in generale e con specifico riferimento alle cariche elettive. Le elenchiamo di seguito senza pretesa di completezza:
-l’articolo 2 Cost. sancisce che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità; norma che potrebbe essere letta, per quanto qui di nostro interesse, in combinato disposto con l’articolo 49, secondo cui tutti i cittadini possono liberamente associarsi in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale;
-l’articolo 3 Cost. stabilisce al primo comma che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche e di condizioni personali o sociali (cosiddetto principio di eguaglianza formale); al secondo comma attribuisce alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese;
-l’articolo 51 Cost. prevede che tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge; attribuisce inoltre alla Repubblica, al fine del perseguimento di detta eguaglianza nell’accesso ad uffici pubblici e cariche elettive, il compito di promuovere con appositi provvedimenti le pari opportunità fra i due sessi;
- l’art. 55 Cost. introduce il seguente principio: “Le leggi che stabiliscono le modalità di elezione delle Camere promuovono l’equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza”, e l’art. 122 Cost. prevede che la legislazione statale definisce i principi fondamentali per promuovere a livello regionale l’equilibrio di rappresentanza di genere, e che il sistema di elezione regionale è disciplinato dalla legge regionale, nel rispetto dei principi fondamentali fissati dalla legge nazionale;
- l’articolo 117, co. VII, dispone che “le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica, e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive”, al fine di conseguire l’equilibrio della rappresentanza dei sessi nelle consultazioni elettorali.
Tornando alla Sicilia, il 10 giugno scorso l’Assemblea regionale siciliana ha approvato con voto unanime il disegno di legge sulle “Norme relative al funzionamento del governo regionale” che prevede il vincolo di una presenza di genere minima di un terzo, scongiurando così la possibilità di una giunta composta tutta al maschile. “Un segno di modernità che fa della Sicilia una delle regioni più avanti d’Italia” ha dichiarato il Presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana.
In verità si tratta di una misura che nei fatti allinea la Regione alla situazione già in essere a livello nazionale: si pensi prime fra tutte alla Toscana, la cui giunta è composta da quattro donne e quattro uomini, e all’Emilia Romagna che conta quattro donne su dodici assessori. Invece, attualmente nella Giunta siciliana, in palese contrasto con le disposizioni costituzionali sopra richiamate, su dodici assessori vi è una sola donna.
Invero la Sicilia, lungi dall’essere su questo tema una delle Regioni più avanti d’Italia, aveva davvero bisogno di prevedere espressamente un vincolo di presenza di genere ed è un segnale positivo potentissimo che tale novità sia stata approvata dall’Assemblea Regionale con voto unanime.
Per completare l’esame di ciò che è accaduto negli scorsi mesi, proseguiamo il ragionamento sul principio nazionale della parità di genere nell’accesso alla cariche elettive ricordando cosa è successo in Puglia, dove il Consiglio Regionale non è riuscito a votare la legge che prevede il voto di genere con doppia preferenza così come avrebbe dovuto fare da tempo in osservanza della Legge 15 febbraio 2016 n. 20, che ha individuato i criteri cui deve attenersi il sistema elettorale regionale per assicurare le pari opportunità.
L’inerzia del Consiglio ha spinto il Governo a sostituirsi alla Regione nell’esercizio del potere legislativo emanando in data 31 luglio 2020 il D.Lgs. n. 86 sull’equilibrio di genere nelle ele-zioni regionali, appunto in applicazione della citata legge nazionale e in vista delle elezioni di settembre 2020.
E’ evidente che il mancato adeguamento della Regione alla legge nazionale, apparentemente voluto dai consiglieri di tutte le forze politiche, sia mancato per ragioni di opportunismo che non interessano questa riflessione. Quello che dispiace è che la Regione Puglia abbia sottova-lutato l’importanza di questa materia, sacrificandola a vantaggio di altri interessi.
Bisogna riconoscere d’altra parte che le disposizioni legislative in questione introducono un vincolo legale nelle scelte di chi forma e presenta le liste, ed anche degli elettori, che è sovente oggetto di critiche; tuttavia probabilmente ancora oggi rappresenta nel nostro Paese uno strumento necessario per raggiungere l’obiettivo della “parità effettiva” fra uomini e donne nella rappresentanza politica attiva. L’unico modo efficace per riequilibrare candidature e voti sembra essere, infatti, quello di “quote di riserva” e indirizzamento in favore delle candidate. E’ un’amara constatazione, poiché è il sintomo della persistenza di ancora tanti impedimenti di ordine economico e sociale che ostacolano il raggiungimento da parte delle donne di posi-zioni di vertice in politica così come in ambito lavorativo e professionale, nel pubblico così come nel privato, e non certo per questioni di puro merito.
Apprezziamo perciò lo spirito delle due recenti disposizioni adottate in materia in Sicilia e in Puglia (o meglio, dal Governo per la Regione Puglia), il cui primario obiettivo è quello di ampliare il libero accesso alla vita pubblica attiva ed alla più ampia rappresentatività a vantaggio di tutte e di tutti, nel rispetto dei principi fondamentali della nostra Carta Costituzionale e dei diritti universali della persona. Queste considerazioni, in un Paese in cui ancora oggi in media solo il 25% delle cariche elettive è ricoperto da donne, consente di superare le critiche di chi mal sopporta l’imposizione della partecipazione femminile, ancora da rafforzare; senza contare che la tutela è in primis verso l’equilibrio di genere in ogni sua espressione ed ambito.
Potremo, speriamo, un giorno superare la necessità di legislazioni speciali in materia, ma non è ancora il tempo: l’Italia secondo recenti studi è al 76° posto su 153 Paesi nel mondo per la capacità di colmare le differenze di genere.
Uno dei motivi della ridotta partecipazione delle donne alla vita politica e amministrativa va ricercato in quel retaggio culturale -tipicamente italiano- secondo cui la politica e in generale la res publica è “cosa da uomini”, mentre le donne sono destinate alla cura del privato e all’accudimento dei congiunti, con una netta separazione di ruoli che relega la donna ad essere, pima di tutto, moglie, madre, figlia.
Accade ancora, purtroppo e tristemente, che fa notizia una donna che assurge ad una carica di prestigio, e che si insinui il sospetto dell’esistenza di un “protettore” , rigorosamente maschile, che per qualche motivo più o meno onorevole l’abbia agevolata nella nomina, In sostanza, che sia stata “messa lì” per meriti non suoi, o comunque per altri meriti.
Per far sì che questo modo di pensare ci divenga estraneo ben vengano misure come quelle qui citate, anche a costo di forzare il sistema; perché si proceda avanti sulla strada iniziata quando, appena 75 anni fa, le donne italiane ottennero il diritto di voto, definendolo le cronache del tempo come “qualcosa di ormai «inevitabile», visti i tempi”.

 

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