Testo integrale con note e bibliografia

Anche quest’anno il mese di marzo genera riflessioni sullo stato del lavoro femminile.Molti passi avanti sono stati certamente fatti: le donne sono oggi presenti in alte percentuali in tutti i settori lavorativi.
Il tasso di occupazione femminile nel 2019 ( dati OCSE) è all’ incirca del 50% della popolazione e crescono le professionalità qualificate: gli ultimi dati forniti dagli ordini professionali fanno registrare un rilevante incremento delle iscritte.
Per quello che riguarda in particolare il settore legale nel 2019 la Cassa forense ha stimato su un totale di 245.000 iscritti 117.500 donne , quasi il 50% degli esercenti la professione forense. Tra i notai le donne rappresentano circa il 28% della categoria secondo i rilievi del Consiglio nazionale del Notariato sull’ anno 2019 .Quanto alle Avvocature pubbliche nei ruoli dell’ Avvocatura dello Stato al 2021 il 42% del personale togato è di sesso femminile.
Anche i dati statistici del CSM confermano l’ altissima percentuale di donne magistrato: nel 2018 era pari al 53,2%.
Sembrano lontani i tempi di Lidia Poet, la prima donna iscritta all’ albo degli avvocati ,che nel 1883 si vide annullare l’iscrizione su ricorso proposto dal procuratore generale del re sull’ assunto che, quella forense, fosse una pubblica funzione e che quindi le donne non vi avessero accesso.
Ma se l’ ingresso nel mondo delle professioni legali sembra diventato più facile (senza dimenticare che comunque circa la metà continua a non avere un impiego stabile) l’ avanzamento nelle relative carriere è molto lento e la presenza femminile ai vertici professionali del settore è ancora scarsa: un’ Avvocata generale dello Stato si è insediata solo nel 2014;solo in pochi Coa , prevalentemente concentrati al Nord Italia ( Torino, Venezia, Bologna, Trieste) ci sono Presidenti donne. Va meglio per la magistratura ordinaria dove meccanismi automatici di avanzamento di carriera unitamente alla presenza massiccia nell’ organico hanno consentito a molte di presiedere tribunali, corti d’appello, sezioni della Cassazione; anche se solo di recente nel consiglio direttivo dell’ associazione di categoria le donne sono presenti in misura paritaria ai colleghi di sesso maschile ( nell’ attuale CDC dell’ Anm dei 36 neoletti 18 sono donne). Per quel che riguarda l’ Associazione magistrati del Consiglio di Stato la prima donna presidente è stata eletta solo nel 2020. E poche sono ancora le avvocate che riescono a diventare socie negli studi professionali in cui lavorano.
Perché allora l’elemento femminile pur visibilmente presente nell’ area giuridica è ancora minoritario nelle posizioni di vertice?
Certamente una maggiore partecipazione nelle strutture associative rappresentative delle categorie aiuterebbe la causa : la presenza attiva negli ordini e nelle associazioni professionali , non solo nei direttivi consiliari ma anche nell’ organizzazione dei servizi associativi e nelle attività di rappresentanza,renderebbe più visibile l’ impegno femminile nella professione , spesso condizione per l’ accesso ai vertici.
E consentirebbe nei relativi settori di approntare misure associative più idonee a supportare le carriere femminili.
Ma ancora oggi è la naturale predisposizione all’ accudimento familiare il maggiore ostacolo per le donne all’ avanzamento professionale : è uno stereotipo antico ma ancora moderno come la prof.ssa Eva Cantarella, nel suo libro “ Gli inganni di Pandora “ ,spiega con sapienza ma anche con disincanto.
Gli impegni familiari-ancora di più nelle professioni legali dove i tempi ,le modalità di lavoro e, per il libero foro, anche i guadagni sono estremamente variabili- producono, nel migliore dei casi, scarsa partecipazione all’impegno associativo ma ben più spesso ricerca solo di forme di lavoro dipendente o flessibile ( collaborazioni occasionali o part- time ); rinuncia a posizioni di responsabilità e fuga da settori legali che richiedono un’elevata specializzazione ed un aggiornamento professionale costante;molte volte abbandono della professione. Oppure , al contrario, rinuncia ad ogni legittima aspirazione familiare in nome dell’ affermazione lavorativa.
Le professionalità legali femminili vanno quindi supportate anzitutto con misure che consentano di conciliare gli impegni familiari con i tempi dei processi:è in questa direzione non solo l’ estensione del legittimo impedimento alle avvocate nel periodo di astensione per maternità ( l. 27 12.2017 n 205 co 465 art 1 )- che consente di evitare sostituzioni processuali -ma anche ogni misura che incentivi la digitalizzazione della giustizia: l’ informatizzazione del processo ( ancor di più nel processo penale) riducendo gli accessi fisici ai palazzi di giustizia,agevola indistintamente tutti gli operatori, uomini e donne , e ne riduce le distanze quanto ad opportunità lavorative.
E riduce anche i costi della professione che spesso scoraggiano proprio l’ iniziativa individuale femminile.
Anche la formazione giuridica “ da remoto” è nella giusta direzione: organizzare eventi di divulgazione con modalità telematiche o comunque “ miste” rende più facile l’ aggiornamento per tutti,ancor di più per chi ha incombenze familiari.
Ma la realtà è che solo la rimodulazione degli impegni della gestione domestica senza rinunce radicali può innestare percorsi professionali avanzati nel settore legale : non c’è parità sul lavoro- intesa come parità di opportunità lavorative- senza parità anche nelle dinamiche familiari.
Posti riservati nelle associazioni professionali ( le cd quote rosa , misure efficaci ma già nel nome sminuenti) creano si possibilità di inserimento ma dequotano il merito e accentuano la percezione sociale della donna come soggetto debole.
Sanzioni severe contro le discriminazioni sessuali sono indispensabili per garantire l’ occupazione femminile ma non incentivano le ambizioni lavorative in special modo negli studi professionali. Senza contare che I rimedi apprestati dall’ ordinamento per contrastare discriminazioni “ dirette o indirette “ basate sul sesso sono tarati su rapporti di lavoro di tipo subordinato ordinari e in ogni caso sono poco utilizzati.
La flessibilità nell’ orario di lavoro se riconosciuta esclusivamente alle lavoratrici e individuata come strumento per agevolarne l’ impiego ne rinforza il ruolo domestico e rimarca le differenze con i lavoratori di sesso maschile che quindi anche solo in ragione della loro piena disponibilità di tempo avanzano in carriera.
I bonus sociali ( tra i tanti l’ assegno unico universale e l’estensione della disciplina dei congedi parentali anche ai lavoratori autonomi e ai liberi professionisti) sono certamente utili ma non specificamente mirati all’occupazione femminile ; la creazione di nuovi asili-nido , l’ attivazione del tempo prolungato negli istituti scolastici e le altre misure “ salva tempo” continuano ad essere pensate come strumenti per incentivare il lavoro solo delle donne come se l’educazione dei figli o l’assistenza a genitori anziani fosse sempre e solo una cosa da femmine.
Le professioni femminili si incentivano anche promuovendo l’impegno familiare maschile.
Potenziare il lavoro agile negli uffici legali pubblici e privati prevedendo al contempo obbligatoriamente percentuali bilanciate tra dipendenti di sesso maschile e femminile secondo turnazioni tra quelli che vi aderiscono e quelli che scelgono la presenza in ufficio ( così da consentire non solo alle lavoratrici la giusta compensazione tra permanenza in ufficio e modalità lavorative compatibili con partecipazione alla vita familiare), ampliare gli ingressi ritardati e le uscite anticipate da lavoro per motivi scolastici riservate ai padri lavoratori dipendenti, e aumentare per gli stessi la durata dei congedi parentali retribuiti;stanziare fondi per sostenere la paternità per i liberi professionisti anche con detrazioni e fiscalità agevolata ;introdurre un’ indennità aggiuntiva per il part- time “ assistenziale” di dipendenti di sesso maschile, premiare le aziende, le amministrazioni, le organizzazioni professionali con policy gestionali che promuovano la collaborazione domestica tra partners senza distinzione dei ruoli .
Ecco tutte queste sono misure che, certamente non riescono a sradicare mènages consolidati né a modificare in modo sostanziale i percorsi lavorativi , ma in aggiunta agli strumenti già operanti per la rimozione delle disparità in ambito professionale, possono colmare il divario dell’occupazione femminile rispetto a quella maschile perché mediante la condivisione degli impegni familiari creano opportunità reali di crescita lavorativa anche alle donne libere professioniste.
Altro elemento che rende difficile la scalata professionale delle donne nelle aree legali è il reddito.Secondo i dati di Cassa forense (Report su i numeri dell’ Avvocatura 2020) e a fronte di una media di circa 40.100 euro l’ anno, gli avvocati di sesso maschile guadagnano 54.496 euro mentre le donne 25.073 euro: il guadagno è pari al 46% di quello degli uomini.
Il fenomeno viene spiegato con il fatto che le avvocate iscritte alla Cassa sono in media più giovani degli uomini : in realtà la minore capacità di guadagno spesso corrisponde ad un minore tempo lavorativo( spesso il part-time negli uffici legali delle aziende private o la semplice collaborazione negli studi professionali) o ad un impegno limitato a settori giuridici di minore redditività ( sono pochi in percentuale i legali di sesso femminili che si occupano di contenzioso bancario o fallimentare per esempio).
Una maggiore disponibilità di tempo lavorativo gioverebbe quindi certamente all’ aumento dei guadagni.
Ma in una società redditocratica in cui il valore umano si misura anche sul reddito percepito e sulla relativa capacità di spesa la parificazione a livello culturale tra uomini e donne passa anche per l’ equiparazione stipendiale che è l’ obiettivo di lungo termine cui deve mirare una seria politica di sostegno all’emancipazione femminile.
L’ esenzione dal pagamento dei contributi durante la maternità fino a tre anni è una misura che certamente aiuta le avvocate ma non ne tutela la capacità di produrre reddito.
E’ notizia recente la decisione della giunta della città di Ginevra- dove la disparità di reddito tra uomini e donne è molto elevata- di concedere a tutte le residenti uno sconto del 20% per l’ accesso a tutte le strutture comunali ( teatri, piscine, cinema etc.) ; ciò al fine di aumentare il potere d’acquisto delle lavoratrici a reddito invariato.
E’ certamente difficile in un mercato del lavoro come quello italiano , dove è complicato già adeguare per tutti i lavoratori gli stipendi al reale costo della vita , l’ introduzione di maggiori agevolazioni fiscali o comunque di misure incisive di sostegno alla professione ( bonus pc, agevolazioni su affitti di locali da adibire a studi, consulenze contabili gratuite) e perché no anche al consumo( agevolazioni per i mezzi pubblici per esempio) per le professioniste autonome che abbiano redditi bassi, anche indipendentemente dal mantenimento di un nucleo familiare.
Ma se non risolve di fatto la diseguaglianza retributiva, incrementare la disponibilità economica delle legali può rinforzarne l’ autonomia finanziaria e aumentarne la competitività.
Tina Anselmi nel suo intervento illustrativo della legge sull’ occupazione femminile ( cd Legge Anselmi), un provvedimento rivoluzionario per l’ epoca con il quale si eliminavano evidenti e gravi discriminazioni tra i sessi nell’ ambito del rapporto di lavoro, alla camera dei deputati nella seduta del 30 giugno 1977 così parlava: …. “ …Certo non è da attendersi che il provvedimento modifichi di punto in bianco situazioni di costume assai radicate , ma gli effetti positivi, non mancheranno, anche se con la inevitabile gradualità “.
Anche interventi di lieve impatto e graduali che servano però a riequilibrare i ruoli familiari ed economici tra i sessi e ad aumentare la consapevolezza sociale delle donne, pur se non mirati esclusivamente al miglioramento dell’ occupazione femminile ,possono contribuire quindi all’ affermazione di una vera cultura paritaria.
E questo ancor di più nelle professioni legali dove la parità è, prima di tutto, un’opinione.

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