Testo integrale con note e bibliografia

Con la legge 18 giugno 2009, n.69 di riforma del processo civile fu introdotto nel codice di rito l’art.614 bis in forza del quale divenne possibile per il giudice della condanna ad una prestazione infungibile imporre sull'obbligato la minaccia del pagamento di una somma di denaro per l’ipotesi di persistenza nell'inadempimento o di sua reiterazione.
Il legislatore sancì l'inapplicabilità della norma, oltre che in relazione alle obbligazioni fungibili, quando la relativa applicazione fosse “manifestamente iniqua” e in riferimento “alle controversie di lavoro subordinato pubblico e privato e ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’articolo 409”.
Restarono quindi sfornite di un meccanismo di attuazione indiretta l’“obbligazione di lavorare”, le altre obbligazioni del lavoratore e tutte le obbligazioni del datore di lavoro, ivi segnatamente inclusa quella di reintegra.
L'astreinte era invece pronunciabile per obbligazioni afferenti ai rapporti, pur essi inclusi nell'art. 409 c.p.c., di mezzadria, di colonia parziaria, di compartecipazione agraria, di affitto a coltivatore diretto o ad altri rapporti agrari, nonché in tutte le controversie involgenti il lavoro autonomo quindi anche per forzare l’adempimento dell’obbligo di prestazione d’opera intellettuale.
Salvo, per quest'ultima, il ricorso alla clausola di manifesta iniquità .
La scelta politica a monte dell'esclusione fu dovuta a più ragioni: senz'altro alla particolare attenzione per gli interessi del sistema produttivo ( ) e più precisamente del sistema imprenditoriale industriale e commerciale (non agricolo) anche in relazione alla presenza delle misure di cui al(l'allora vigente testo del) comma 4 dell'art. 18 della l. n. 300 del 1970 ( ); d'altro canto alla specifica considerazione dell'obbligo di lavorare in senso stretto per il quale l'interesse del lavoratore a non subire coartazioni è riconducibile ai diritti inviolabili di libertà e finanche di dignità personale garantiti dall’art.2 della Costituzione e prevalenti, ai sensi del successivo art.41, comma 2, sull’interesse del datore di lavoro ad ottenere l’attività lavorativa .
Siffatta esclusione fu mantenuta ferma anche allorché, con d.l. 27 giugno 2015, n. 83, convertito con modificazioni dalla l. 6 agosto 2015, n.132, l'ambito applicativo dell'art.614 bis c.p.c. fu esteso a tutte le prestazioni fungibili diverse dal pagamento di somme di denaro.
E ciò malgrado che, da un lato, con la riforma del 2010 del processo amministrativo nell'art.114, comma 4, lett. e), l'esclusione non fosse stata ripetuta e quindi l'applicazione delle misura coercitiva prevista da quell'articolo fosse stata resa possibile per i rapporti di lavoro pubblico riservati alla giurisdizione esclusiva, e che, dall'altro lato, la previsione legislativa fosse stata da subito oggetto di forti critiche da parte della dottrina che ne aveva prospettato il contrasto rispetto all’articolo 3 della Costituzione e agli articoli 24 e 111 della Costituzione e .
Segnatamente, per quanto concerne il parametro della uguaglianza, la previsione veniva additata come fonte di irragionevoli disparità di trattamento tra le situazioni giuridiche derivanti dai rapporti di cui ai numeri 1, 3, 4 e 5, dell’art. 409 c.p.c., per le quali l’esecuzione indiretta era negata, e le situazioni afferenti i rapporti di cui al numero 2 dello stesso articolo, non riguardate dal limite legislativo, per le quali l’esecuzione indiretta era, invece, ammessa: disparità irragionevole dato che le situazioni riconducibili al primo insieme di rapporti, per contenuto e concreto atteggiarsi nella realtà sociale — e come del resto dimostrato dalla stessa assimilazione nell’art. 409 c.p.c. —, non meritavano minor tutela delle situazioni riconducibili ai rapporti di mezzadria, di colonia parziaria, di compartecipazione agraria, di affitto a coltivatore diretto o ad altri rapporti agrari.
A questa disparità originaria si era aggiunta quella tra lavoro privato e lavoro pubblico riservato alla giurisdizione amministrativa esclusiva.
Ulteriore disparità -questa volta riferita non a ciò per cui l'esclusione era prevista ma a ciò per cui non lo era- veniva denunciata tra le prestazioni, in particolare quella (incoercibile) di lavorare, a carico del prestatore subordinato o parasubordinato e le prestazioni, in particolare quella di svolgere l'attività promessa, del lavoratore autonomo.
Per ciò che concerne i principi sanciti negli articoli 24 e 111 della Carta, di effettività e di giusto processo, i dubbi di legittimità si addensavano sulla clausola conclusiva del primo comma dell’art. 614 bis c.p.c. in ragione dalle seguenti considerazioni:
la tutela coercitiva è componente costituzionalmente necessaria del diritto di azione per le situazioni infungibili;
essa, dunque, non avrebbe potuto essere negata se non nei casi in cui l’interesse del creditore all’attuazione del comando giudiziale confliggesse con interessi dell’obbligato da ritenersi costituzionalmente prevalenti;
sia riguardo alle obbligazioni del lavoratore diverse da quella di lavorare, quali ad esempio l'obbligazione di fedeltà (art. 2105 c.c.) o l'obbligazione di non concorrenza (art. 2125 c.c.), sia riguardo alle prestazioni del datore di lavoro non sono individuabili valori il cui rilievo costituzionale sopravanzi quelli dell’effettività della tutela esecutiva del creditore e del giusto processo.
Con specifico riferimento all'incoercibilità degli obblighi datoriali di reintegra, la dottrina, quasi univocamente, aveva sottolineato, che un valore di tale rilievo non poteva essere individuato nella libertà di organizzazione dell’impresa, componente della libertà di iniziativa economica, garantita dall’art. 41, comma 1, della Costituzione attesa la subvalenza di tale libertà economica rispetto al diritto al lavoro il cui contenuto travalica gli aspetti patrimoniali per coinvolgere la realizzazione della persona del lavoratore.
Va evidenziato che i tentativi di far pervenire queste denunce alla Consulta sono stati bloccati dalla giurisprudenza di merito ancorché con motivazioni apparenti ( ) e che quando la Consulta ha comunque avuto la possibilità di sollevare essa stessa, davanti a sé, la questione di legittimità dell'art. 614 bis c.p.c. in quanto inapplicabile a garanzia del diritto del lavoratore, non l'ha fatto (il riferimento è alla sentenza 29/2019), limitandosi a ricordare la prospettazione di una delle parti secondo cui «Il rimettente lamenterebbe la mancanza di un rimedio equiparabile all’astreinte del diritto francese e demanderebbe al giudice delle leggi il compito di colmare questa lacuna, compito che, tuttavia, travalicherebbe i limiti del sindacato di costituzionalità” .
In questo contesto, la Commissione per l’elaborazione di proposte di interventi in materia di processo civile e di strumenti allo stesso alternativi, istituita con d.m. della Giustizia 12 marzo 2021, e presieduta dal Professor Francesco Paolo Luiso, nella relazione presentata alla ministra lo scorso 24 maggio, aveva proposto di rendere le misure coercitive di cui all’articolo 614 bis “pronunciabili anche con riferimento alle controversie di cui all’articolo 409 del codice di procedura civile”.
La proposta segnava un ribaltamento di prospettiva radicale, per un aspetto eccessivo: dalla esclusione totale alla possibilità di pronuncia dell'astreinte estesa a tutte le controversie di cui all'art. 409 c.p.c. ivi incluse quelle aventi ad oggetto l'obbligo di lavoro in senso stretto.
La proposta trascurava del tutto la prestazione di lavoro autonomo.
Il Governo non ha dato seguito alla proposta.
Negli emendamenti presentati lo scorso 16 giugno al ddl 1662 (Delega al Governo per l'efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie) in discussione in Senato, segnatamente gli emendamenti all'art.7 (Procedimenti per le controversie in materia di lavoro) del suddetto ddl, non ve ne è traccia.
Si auspica che nel corso dei lavori parlamentari vengano recuperati -non la proposta Luiso- ma precedenti, esaustive ipotesi di riforma del codice di procedura civile: il disegno di legge delega n. C-1111/XVI, predisposto dalla commissione del professor G. Tarzia  che prevedeva (punto 25) l’introduzione di una misura coercitiva, applicabile sia su istanza di parte sia d’ufficio, in riferimento a prestazioni di fare fungibili o infungibili, a prestazioni di non fare, a prestazioni di consegna o rilascio con espressa esclusione dell’esecuzione degli “obblighi facenti capo al lavoratore autonomo o subordinato” o la proposta per la riforma del codice di proceduta civile, curata dal professore A. Proto Pisani ( ), che (all’art. 4.174) prevedeva l'introduzione di una misura coercitiva dal cui generale ambito applicativo erano esclusi gli “obblighi di prestazione di lavoro autonomo o dipendente”.

 

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