testo integrale con note e bibliografia

1- Le ragioni di un Focus sul pubblico impiego contrattualizzato.
La finalità di questo Focus, dedicato alla disciplina del pubblico impiego contrattualizzato nella interpretazione della giurisprudenza di legittimità, è quella d’individuare, nelle varie fasi della complessiva vicenda dell’impiego pubblico privatizzato, le disposizioni che, in funzione della natura pubblica del datore di lavoro, demarcano in maniera sostanziale il pubblico impiego contraddistinguendolo dall’impiego privato nel quale la norma inderogabile è prevalentemente funzionale alla tutela del lavoratore e non anche, come in quello pubblico, alla garanzia di più generali interessi collettivi.
Il necessitato prevalere di questi ultimi interessi, per la natura pubblica del datore di lavoro, sottrae in buona parte l’impiego pubblico dal regime giuridico dell’impiego privato contraddistinguendo il primo per una sua marca specificità rispetto alle regole che governano il secondo sì che non è del tutto fuori luogo parlare di un diritto speciale del lavoro.
Nella elaborazione di questo diritto speciale la giurisprudenza della Cassazione, specie dopo la organizzazione della sezione lavoro in tre aree delle quali una è riservata alla trattazione delle controversie in materia di pubblico impiego privatizzato, ha assunto un ruolo fondamentale proprio per la tendenziale uniformità delle pronunce e per la valenza sistematica delle stesse in un’ottica di ineliminabile specialità del rapporto di lavoro pubblico.
Tanto spiega l’esigenza di un’analisi ragionata degli orientamenti di legittimità che si sono andati formando nell’applicazione della disciplina che regolamenta questo speciale diritto del lavoro.
Lo scopo di questo Focus è, quindi, quello di fornire una sistemazione articolata della interpretazione elaborata dai giudici di legittimità della complessa normativa legale e negoziale della materia individuando le linee interpretative portanti e i principi fondanti.

2- La funzione della norma imperativa.
La disciplina del pubblico impiego contrattualizzato, pur nella delegificazione che la caratterizza, è connotata, per il prevalere dei principi, di rilievo costituzionale, del buon andamento, imparzialità e legalità dell'azione amministrativa consacrati nell’art. 97 Cost. e, dopo la riforma costituzionale del 2012, anche della sostenibilità del debito pubblico, da norme imperative che, proprio perché poste a tutela di questi principi, non consentono deroga alcuna dalle parti collettive e da quelle del rapporto di lavoro.
Il tema della norma imperativa, intendendo questa, ai fini che in questa sede interessano, quale norma inderogabile funzionale alla affermazione e tutela di un interesse pubblico o di un principio fondamentale dell’ordinamento, è trasversale a tutta la regolamentazione dell’impiego pubblico.
In tale prospettiva assumono valore tutte quelle pronunce che appunto, muovendo dal presupposto dell’inderogabilità di molteplici norme poste a tutela dei richiamati principi costituzionali, che potremo definire d’interesse collettivo generale, portano a sistema regole fondanti del rapporto di lavoro pubblico non suscettibili di diversa pattuizione anche dalle parti collettive.
La contrattualizzazione del pubblico impiego non ha portato una attrazione completa della relativa regolamentazione in quella del diritto del lavoro alle dipendenze dei datori di lavoro privati, ma di questa ha conservato solo quella non incidente sui valori costituzionali cui si è fatto cenno. È questa la chiave di lettura delle sentenze della cassazione ed è questo che dà conto della diversità di disciplina di istituti che interessano tutto il rapporto di lavoro dal reclutamento al licenziamento.

3.- Le conseguenze della violazione della norma imperativa: nullità testuale e nullità virtuale
L'art. 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, dopo aver stabilito, al comma 2, che i rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel decreto, che costituiscono disposizioni a carattere imperativo, sancisce, al comma 3 bis, aggiunto dall'art. 33, comma 1, lett.C) del decreto legislativo 27 ottobre 2009 n.150, che nel caso di nullità delle disposizioni contrattuali per violazione di norme imperative o dei limiti fissati alla contrattazione collettiva, si applicano gli artt. 1339 e 1419, secondo comma, del codice civile.
L’art. 1418 del Codice civile prevede tre categorie di nullità, quella testuale, quella virtuale e quella strutturale. La prima concerne tutte le ipotesi nelle quali è la legge stessa a prevederla. La seconda è riferibile a nullità non espressamente dichiarate tali da una specifica disposizione, ma desumibili dall’interprete dal contrasto tra l’atto di autonomia privata e una norma imperativa posta a tutela di un interesse generale della collettività . La terza attiene ai difetti strutturali del contratto.
A queste tipologie va aggiunta la nullità sopravvenuta che ricorre nella ipotesi in cui una nuova disposizione legislativa interviene a regolare un determinato contratto, concluso precedentemente alla sua entrata in vigore, che non abbia ancora esaurito i propri effetti.
In relazione a tale ultima nullità, ad esempio, la Cassazione e con riferimento alla materia lavoristica, ha ritenuto che a seguito della privatizzazione dei rapporti di lavoro dei dipendenti del servizio postale, si applicano le norme che prevedono il diritto del lavoratore di optare per la permanenza in servizio per un biennio dalla data del compimento del sessantacinquesimo anno di età, sicché è nulla la clausola dell'accordo integrativo del contratto collettivo del 26 novembre 1994, che prevede la risoluzione dei rapporti al conseguimento della massima anzianità contributiva .
A decorre dagli anni Novanta si sono andate diffondendo, poi, nel nostro ordinamento nuove ipotesi di nullità di derivazione comunitaria così dette di protezione che riguardano i casi in cui la nullità è prevista per l’inosservanza di norme poste a tutela del contraente che si trova in posizione di debolezza nei confronti della controparte contrattuale. Queste nullità, che costituiscono mezzo di equilibrio nel rapporto, possono essere fatte valere dal solo contraente protetto. Si tratta all’evidenza delle c.d. nullità relative che trovano applicazione anche con riferimento al diritto del lavoro. Il giudice di legittimità, infatti, ha più volte sancito che in tema di sanzioni disciplinari, la violazione del procedimento di cui all'art. 53 del r.d. n. 148 del 1931, all. A, comporta la nullità del provvedimento disciplinare e, in particolare, un'invalidità c.d. "di protezione", in ragione dell'inderogabilità della citata disposizione e della sua funzione di tutela del lavoratore, al quale spetta la tutela reale e risarcitoria prevista dall'art. 18, commi 1 e 2, della l. n. 300 del 1970 .

4.- Il reclutamento del personale
L’art. 35 del Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165 nel prevedere, pur nelle diverse versioni succedutesi nel tempo, che le assunzioni nelle amministrazioni pubbliche avvengono con contratto individuale di lavoro tramite, salvo limitate eccezioni previste dal decreto, procedure selettive attua i principi costituzionali di cui agli artt. 97, 98, 51 e 54 Cost.
È lo stesso art.35 che stabilisce i principi cui le Pubbliche amministrazione si devono conformare nelle procedure di reclutamento, procedure queste che di recente con le modifiche introdotte dal Decreto-legge 30 aprile 2022, n. 36, recante misure urgenti per l'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), sono disciplinate dagli artt. 35 ter e 35 quater .
Le Sezioni Unite della cassazione hanno da tempo affermato, sia pure ai fini della ripartizione della giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice ordinario, che l'art. 63, comma 4, del d.lgs. n. 165 del 2001 si interpreta, alla stregua dei principi enucleati dalla giurisprudenza costituzionale sull'art. 97 Cost., nel senso che le "procedure concorsuali per l'assunzione", riservate alla giurisdizione del giudice amministrativo, sono quelle preordinate alla costituzione "ex novo" dei rapporti di lavoro, involgente l'esercizio del relativo potere pubblico, dovendo il termine "assunzione" intendersi estensivamente, comprese le procedure riguardanti soggetti già dipendenti di pubbliche amministrazioni ove dirette a realizzare la novazione del rapporto con inquadramento qualitativamente diverso dal precedente e dovendo, di converso, il termine "concorsuale" intendersi restrittivamente con riguardo alle sole procedure caratterizzate dall'emanazione di un bando, dalla valutazione comparativa dei candidati e dalla compilazione finale di una graduatoria di merito .
Il giudice di legittimità ha, altresì, ritenuto che nel pubblico impiego privatizzato, la procedura concorsuale costituisce l'atto presupposto del contratto individuale del quale condiziona la validità, sicché sia l'assenza, sia l'illegittimità delle operazioni concorsuali si risolvono nella violazione della norma inderogabile dettata dall'art. 35 del d.lgs. n. 165 del 2001 e, rientrando nell'ambito di applicazione di portata generale del successivo art. 36, comportano la nullità del contratto individuale .
Il Supremo Collegio, quindi, richiamando l’art. 36, dedicato alle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale, ed in particolare il 5° comma che dispone “In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni” e riconoscendone un ambito di applicazione generale, considera testuale la nullità derivante dal mancato rispetto della procedura concorsuale.
Il giudice della nomofilachia ha, inoltre, riconosciuto che, a fronte di una procedura concorsuale viziata, la P.A. ben può agire in autotutela e quindi recedere dal rapporto affetto da nullità e tanto perché l’azione pubblica deve essere conforme ai principi di legalità.
Si è così affermato che in materia di pubblico impiego contrattualizzato, l'amministrazione ha l'obbligo di concludere il procedimento di verifica dei requisiti di ammissione al concorso del candidato prima dell'immissione in ruolo del medesimo; tuttavia, l'accertamento successivo della mancanza dei predetti requisiti può eventualmente rilevare, se sussistono i presupposti dell'azione di danno, a fini risarcitori, ove il candidato abbia fatto affidamento sul comportamento dell'amministrazione, ma non può impedire a quest'ultima, tenuta al rispetto della legalità, di recedere dal rapporto affetto da nullità - facendo così valere l'assenza di un vincolo contrattuale - per violazione delle disposizioni imperative riguardanti l'assunzione, poste a tutela di interessi pubblici alla cui realizzazione deve essere costantemente orientata l'azione amministrativa .
Sempre in tema di autotutela il giudice di legittimità ha ritenuto che l'annullamento di un concorso pubblico, ai sensi dell'art. 21-novies della legge n. 241 del 1990, per vizi di legittimità riscontrati dalla P.A. rispetto agli atti della selezione, determina la nullità originaria, rilevabile d'ufficio, sebbene accertata successivamente, del contratto di lavoro stipulato in esito alla conclusione del concorso stesso; nel giudizio instaurato dal lavoratore per la tutela del diritto soggettivo alla prosecuzione del rapporto conseguente a tale contratto il giudice ordinario ha il potere di disapplicare il provvedimento di annullamento solo se, ed in quanto, si ravvisino rispetto ad esso i vizi di legittimità propri degli atti amministrativi .
La disciplina dell’assunzione del personale a tempo determinato o con forme di lavoro flessibile è stabilita dall’art. 36 del Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165 il quale, nella formulazione vigente, sancisce che il relativo contratto può essere stipulato soltanto per comprovate esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale e nel rispetto delle condizioni e modalità di reclutamento stabilite dall'articolo 35.
Per quello che interessa in questa sede, due, fondamentalmente, sono i commi che rilevano. Il 2° comma, già richiamato, sul divieto di costituzione del rapporto in caso di violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori, e il comma 5 quater, introdotto dall’art. 4 Decreto-legge 31 agosto 2013 n.101, in base al quale “I contratti di lavoro posti in essere in violazione del presente articolo sono nulli e determinano responsabilità erariale”.
Il 2° comma in parola è, ex art. 2 comma 2° dello stesso decreto, norma speciale derogatoria della disciplina generale prevista per l’impiego privato e, pertanto, non consente di estendere all’impiego pubblico contrattualizzato i principi consolidati nella giurisprudenza di legittimità, sulla conversione in contratto a tempo indeterminato del contratto a tempo determinato non conforme al modello normativo .
Nella giurisprudenza di legittimità è, infatti, costante l’affermazione secondo la quale nel pubblico impiego privatizzato, alla violazione di disposizioni imperative che riguardino l'assunzione, sia a seguito di pubblico concorso sia attingendo alle liste di collocamento, non può mai far seguito la costituzione di un rapporto di pubblico impiego a tempo indeterminato, atteso che la "ratio" dell'art. 36, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, che prevede il divieto di trasformazione del rapporto di lavoro a termine in rapporto a tempo indeterminato, non risiede esclusivamente nel rispetto delle regole del pubblico concorso, ma anche, più in generale, nel rispetto del principio cardine del buon andamento della P.A., che sarebbe pregiudicato qualora si addivenisse all'immissione in ruolo senza alcuna valutazione dei fabbisogni di personale e senza seguire le linee di programmazione nelle assunzioni, che sono indispensabili per garantire l'efficienza dell'amministrazione pubblica ed il rispetto delle esigenze di contenimento, controllo e razionalizzazione della spesa pubblica .
Con riferimento sempre al personale assunto a tempo determinato, si è oramai consolidato nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale l'abusiva reiterazione di contratti a termine con il medesimo lavoratore produce una situazione di incertezza sulla stabilità occupazionale, definito danno cd. da precarizzazione, che lede la dignità della persona, quale diritto inviolabile, di cui è proiezione anche il diritto al lavoro in quanto tale, riconosciuto nel diritto interno dagli artt. 2 e 4 Cost, e nel diritto eurounitario dagli artt. 1 e 15 della cd. Carta di Nizza .
In ogni caso nell’ipotesi di nullità del contratto di assunzione trova applicazione la regola di cui all’art. 2126 del Codice civile con la conseguenza che il lavoratore ha diritto alla retribuzione per le prestazioni rese .
Il regime pubblicistico del reclutamento del personale trova una parziale applicazione anche con riferimento alle società a controllo pubblico.
Infatti, prima con l’art. 18 del decreto-legge 25 giugno 2008 , n. 112, convertito in Legge 6 agosto 2008, n.133, integrato con l’aggiunta del comma 2 bis dal decreto-legge 2009, n.78 convertito in Legge 2009 n.102, e ora con l’art. 19 del decreto legislativo 19 agosto 2016, n.175 pur confermandosi, al comma 1°, la natura privata dei rapporti di lavoro delle società in esame con applicazione delle disposizioni del codice civile e delle leggi sul rapporto di lavoro subordinato, vengono fatte salve le procedure di reclutamento stabilendosi, al comma 2°, l’obbligo in capo alle società di adottare con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale nel rispetto dei principi, anche di derivazione europea, di trasparenza, pubblicità e imparzialità e dei principi di cui all'articolo 35, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.

Il 4° comma, poi, sancisce che “salvo quanto previsto dall'articolo 2126 del codice civile, ai fini retributivi, i contratti di lavoro stipulati in assenza dei provvedimenti o delle procedure di cui al comma 2, sono nulli.
Conseguenza questa non espressamente prevista dal previgente art. 18, ma che la giurisprudenza dei giudici di legittimità aveva dedotto in via interpretativa trattandosi di procedura prevista da norma imperativa la cui violazione comportava la nullità virtuale del rapporto instaurato senza il necessario rispetto della procedura stessa e, conseguentemente, in ipotesi di abusivo ricorso al contratto a termine, impediva la conversione in rapporto a tempo indeterminato .
La nullità, in questo caso, da virtuale diviene testuale. La Cassazione, difatti, ha escluso la portata innovativa dell’art. 19, comma 4, del decreto legislativo n.175 non avendo la citata disposizione reso esplicita una conseguenza già desumibile dai principi in tema di nullità virtuali .
Da ultimo, e ancora con riferimento al reclutamento del personale, mette conto segnalare il recente intervento delle Sezioni Unite che, con riferimento all’assunzione del personale delle fondazioni lirico-sinfoniche, per le quali sussistono limiti analoghi a quelli imposti alle facoltà assunzionali delle pubbliche amministrazioni e delle società da queste ultime controllate, hanno affermato il principio secondo il quale “Nei casi di rapporto di lavoro a tempo determinato con clausola affetta da nullità, l'instaurazione del rapporto a tempo indeterminato è impedita dalle norme imperative settoriali, vigenti al momento della stipulazione del contratto, che fanno divieto assoluto di assunzione a tempo indeterminato o subordinano l'assunzione stessa a specifiche condizioni oggettive e soggettive, fra le quali rientra il previo esperimento di procedure pubbliche concorsuali o selettive” .

5. - L’inquadramento del personale
Come è noto, nel pubblico impiego contrattualizzato le progressioni professionali possono attuarsi esclusivamente sulla base di concorso pubblico per quanto riguarda il passaggio da un’area all’altra e sulla base di procedure selettive relativamente all’accesso ad una fascia superiore nell’ambito della stessa area. La rigidità del sistema dello sviluppo di carriera è strettamente connessa alla salvaguardia dei principi di efficienza, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, garantendo le regola del concorso/selezione l’individuazione dei soggetti più capaci.

Tanto è alla base della ratio che esclude, nel rapporto di lavoro in esame, l’operatività della regola di cui all’art. 2103 del Codice civile della c.d. promozione automatica nell’ipotesi di assegnazione a mansioni superiori in via continuativa per un certo periodo.

A norma, infatti, del comma 1° dell’art. 52 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165 “L'esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell'inquadramento del lavoratore o dell'assegnazione di incarichi di direzione”.

Le mansioni superiori, ex comma 2 art. 52 cit, possono essere assegnate al dipendente pubblico, in presenza di obiettive esigenze di servizio solo in caso di vacanza del posto in organico per un periodo di tempo limitato o di sostituzione di altro dipendente assente con diritto alla conservazione del posto con esclusione dell'assenza per ferie, per la durata dell'assenza.
Al di fuori di queste ipotesi, dispone il comma 5 dell’art. 52 in parola, l'assegnazione del lavoratore a mansioni proprie di una qualifica superiore è nulla, ma al lavoratore è corrisposta la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore.

Si tratta di una nullità testuale che, però, non è assoluta nel senso che l’espletamento illegittimo di mansioni superiori non esclude il diritto ad una retribuzione commisurata alle mansioni proprie della qualifica superiore svolte non essendo questo diritto, come precisato da giurisprudenza costante della Cassazione, condizionato alla legittimità, o all'esistenza di un provvedimento del superiore gerarchico, trovando un unico limite nei casi in cui l'espletamento sia avvenuto all'insaputa o contro la volontà dell'ente, oppure quando sia il frutto di una fraudolenta collusione tra dipendente e dirigente, o in ogni ipotesi in cui si riscontri una situazione di illiceità per contrasto con norme fondamentali o generali o con principi basilari pubblicistici dell'ordinamento. Una diversa interpretazione sarebbe contraria all’intento del legislatore di assicurare comunque al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in ossequio al principio di cui all’art. 36 della Costituzione.

Si è, invece, affermata la nullità (virtuale e assoluta) di un verbale di conciliazione che preveda l'inserimento di un'unità di personale eccedente rispetto alla pianta organica esistente, nullità che la P.A. è legittimata a far valere astenendosi dal dare attuazione alle obbligazioni ivi assunte in violazione di norme di legge inderogabili. Tanto sul rilievo che in tema di pubblico impiego privatizzato, operando nell'organizzazione dei pubblici uffici la riserva di legge di cui all'art. 97 Cost., l'assunzione e la progressione economica del personale sono vincolate alla struttura organizzativa della P.A. ed alle previsioni organiche che della stessa sono espressione .
Si è ritenuto, poi, che la perdita della qualifica dirigenziale si riflette in termini di nullità virtuale (parziale) sull’incarico dirigenziale che può essere conferito a chi possiede tale qualifica, ferma restando l’applicazione per il pregresso dell’art. 2126 del Codice civile e trattandosi di atto invalido sin dall’origine ben può essere rimosso dalla P.A. .
6. - Il procedimento disciplinare.
Carattere imperativo, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del Codice civile, è riconosciuto in tema di procedimento e sanzioni disciplinari dall’art. 55 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165 a tutte le disposizioni contenute negli artt. da 55 a 55 octies.
Per quello che rileva in questa sede, mette conto sottolineare che la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo, innanzitutto, di precisare, per quanto riguarda la natura dei termini del procedimento, che il carattere della perentorietà non è riscontrabile in tutti i termini che scandiscono il procedimento poiché gli effetti decadenziali possono verificarsi solo in presenza di una loro espressa previsione in tal senso, mentre l'inosservanza di termini che hanno funzione solo sollecitatoria può comportare l'illegittimità della sanzione inflitta solo allorché la trasmissione degli atti venga ritardata in misura tale da rendere eccessivamente difficile l'esercizio del diritto di difesa o tardiva la contestazione dell'illecito .
L'eventuale inosservanza di un termine meramente endoprocedimentale può dare luogo a nullità del procedimento, e della conseguente sanzione, solo ove sia dimostrato, dall'interessato, un pregiudizio al concreto esercizio del diritto di difesa .
Relativamente a tale aspetto è stato escluso che sussista nullità: qualora il lavoratore incolpato, sebbene non convocato dal datore di lavoro al fine di esporre le proprie difese, abbia comunque, in un congruo termine, decorrente dalla conoscenza dell'addebito, esercitato il proprio diritto di difesa mediante l'invio di memoria scritta ; nell’ipotesi di mancata comunicazione del differimento dell'audizione sempre che l'interessato non provi di aver subito un concreto pregiudizio all'esercizio della difesa ; nel caso di mancato differimento a richiesta del dipendente dell’incontro in cui deve essere sentito salvo sia dimostrato dall'interessato un pregiudizio al concreto esercizio del diritto di difesa, sicché è onere del dipendente provare di non avere potuto presenziare all'audizione a causa di una patologia così grave da risultare ostativa in assoluto all'esercizio di quel diritto, dovendosi ritenere che altre malattie non precludano all'incolpato diverse forme partecipative (quali, ad es., l'invio di memorie esplicative o di delega difensiva ad un avvocato) tali da consentire al procedimento di proseguire nel rispetto dei termini perentori finali che lo cadenzano .
Si è affermato, inoltre, che, a seguito delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 75 del 2017 (cd. legge "Madia") all'art. 55 bis del d.lgs. n. 165 del 2001, il termine per la conclusione del procedimento da parte dell'Ufficio per i procedimenti disciplinari non decorre più dalla conoscenza dell'illecito in capo al responsabile della struttura di appartenenza, ma da quando l'Ufficio predetto abbia ricevuto la segnalazione di tale illecito, sicché a tal fine i tempi intercorsi prima di quella trasmissione non hanno rilievo, se non quando ne risulti irrimediabilmente compromesso il diritto di difesa del dipendente
Relativamente alla competenza per i procedimenti disciplinari la Corte ha precisato che per quelli instaurati in relazione ad illeciti commessi dopo l'entrata in vigore del d.lgs. n. 75 del 2017, l'erronea individuazione dell'organo interno alla P.A. titolare del potere disciplinare, nonché il mancato rispetto delle regole di costituzione e funzionamento dello stesso, incidono sulla legittimità della sanzione, espulsiva o conservativa, solo quando emerga che l'ufficio non sia terzo e specializzato, con concreta compromissione delle garanzie difensive dell'incolpato, in quanto l'introduzione dei commi 9 bis e 9 ter nell'art. 55 bis del d.lgs. n. 165 del 2001 ha ristretto l'ambito di applicazione della nullità prevista dal primo comma dell'art. 55 del medesimo decreto, sicché il carattere imperativo della disciplina in esame non è più da sola idonea a determinare, ex art. 1418 c.c., la nullità della sanzione .

 

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