testo integrale con note e bibliografia

1. L’“incompatibilità” e le attività extraistituzionali nel pubblico impiego
La disciplina delle incompatibilità costituisce ancora oggi un elemento caratterizzante del rapporto di pubblico impiego, preservatosi anche dopo la stagione della “privatizzazione” dei rapporti giuslavoristici alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche avviata alla fine del secolo scorso .
Il regime delle incompatibilità è infatti espressione riflessa del fondamentale principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione veicolato dall’art. 97 della Carta costituzionale, mirando nella sua radice profonda a preservare la dedizione dei dipendenti al servizio della Repubblica. Non a caso il legislatore costituzionale, all’art. 98, afferma che «i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione», connotando così il rapporto che lega i dipendenti pubblici alla Nazione mediante il significativo riferimento all’esclusività.
Proprio per dare sostanza e fondamento a tale prescrizione costituzionale sul rapporto tra dipendente e Amministrazione , la legislazione statale disciplina direttamente in via generale il regime delle “incompatibilità”. In tale ambito, l’addentellato normativo fondamentale si rinviene nell’art. 53 del Testo Unico del Pubblico Impiego (D. Lgs. 30 marzo 2001, n. 165) . Tale norma mira ad assicurare che le energie fisiche e intellettuali del pubblico dipendente siano sostanzialmente dedicate all’Amministrazione senza inflessioni negative discendenti da impegni extraofficio , con lo scopo di assicurare la massima serenità di giudizio e imparzialità.
Il regime delle incompatibilità, che finisce così per assolvere a fondamentali ragioni di interesse pubblico, costituisce, dal punto di vista pratico, uno tra gli aspetti più complessi nella gestione del rapporto di lavoro con la P.A. essendo caratterizzato da una stratificazione di fonti normative, regolamentari e contrattuali tra loro intersecanti e sovrapposte .

2. Le fonti di disciplina in materia di incompatibilità per i dipendenti pubblici e il ruolo dei contratti collettivi
Volendo esaminare la cornice normativa, si impone anzitutto una precisazione preliminare sulle fonti di disciplina in materia di incompatibilità per i dipendenti pubblici in generale, con particolare riguardo al ruolo dei contratti collettivi in merito. A tal proposito, deve osservarsi che la materia delle incompatibilità tra pubblico impiego e altre attività extraofficio è tendenzialmente sottratta alla contrattazione collettiva, come previsto anche dalla legge delega 23 ottobre 1992 n. 421, il cui art. 2, comma 1, lett. c), num. 7 ha sottoposto a riserva di legge proprio la disciplina «delle incompatibilità, tra l'impiego pubblico ed altre attività e i casi di divieto di cumulo di impieghi ed incarichi pubblici». Ciò nell’evidente presupposto che tale disciplina sia intrinsecamente e ontologicamente legata alla prescrizione di cui all’art. 98 della Costituzione, già richiamata, e richieda quindi il diretto ed espresso intervento del legislatore nazionale.
Di conseguenza, in questo specifico frangente, la fonte normativa da considerare è sempre essenzialmente la legge mentre la contrattazione collettiva svolge al più un ruolo ancillare e chiarificatore, di norma concentrato nel delineare e lumeggiare le ipotesi specifiche di incompatibilità, riproducendo poi nel resto la disciplina normativa. A tal proposito, basti rinviare esemplificativamente alla contrattazione collettiva di settore per il Comparto Scuola, su cui si tornerà diffusamente di seguito.

3. Il regime delle incompatibilità per il personale docente della scuola
Venendo ora al merito della disciplina nel particolare settore della scuola, va premesso che per il personale docente la disciplina specifica delle incompatibilità è veicolata dall’art. 508 del Decreto Legislativo 16 aprile 1994, n. 297 recante “Testo Unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado” (d’ora in avanti anche Testo Unico Istruzione).
La prima parte di tale ultima norma riguarda la possibilità (o meno) per i docenti di impartire lezioni private . Per l’indagine che qui si conduce, invece, rilevano i commi successivi e in particolare il decimo sulle incompatibilità tra insegnamento e attività extraistituzionali. Ai sensi di tale norma il personale docente «non può esercitare attività commerciale, industriale e professionale, né può assumere o mantenere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società od enti per i quali la nomina è riservata allo Stato e sia intervenuta l'autorizzazione del Ministero della pubblica istruzione». Si tratta delle ipotesi di c.d. “incompatibilità assoluta” di attività esterne con l’insegnamento, che l’ordinamento ritiene inconciliabili con l’impegno di servizio del docente.
Il successivo comma quindicesimo prevede invece una eccezione: al personale docente, previa autorizzazione del direttore didattico o del preside (oggi Dirigente Scolastico), è consentito lo svolgimento di “libere professioni” purché non siano di pregiudizio all’assolvimento dei compiti connessi all’insegnamento o incompatibili con gli orari di servizio . Dunque, per il docente che voglia svolgere l’attività di “libero professionista” è sufficiente richiedere e ottenere una specifica autorizzazione da parte del Dirigente scolastico o direttore didattico, mentre non è mai possibile svolgere attività imprenditoriale, commerciale o industriale.
Si deve anche osservare che, in generale, ai fini della incompatibilità non rileva il carico di lavoro o la reddittività di una eventuale attività imprenditoriale, commerciale o industriale, atteso che la ratio del divieto non risiede soltanto nella necessità di preservare quantitativamente l’impegno del docente, bensì anche nel tentativo di evitare improprie commistioni di interessi. Non ha dunque alcun rilievo l’eventuale fatturato dell’attività, come chiarito dalla più recente giurisprudenza in materia, che, pronunciandosi sugli elementi qualificanti le ipotesi di incompatibilità, ha affermato: «non è la remunerazione che il dipendente ottenga da un'attività esterna ma la sussistenza di un centro di interessi alternativo all'ufficio pubblico rivestito implicante un'attività che, in quanto caratterizzata da intensità, continuità e professionalità, pregiudicando il rispetto del dovere di esclusività, potrebbe turbare la regolarità del servizio o attenuare l'indipendenza del lavoratore pubblico e conseguentemente il prestigio della p.a.» .
Nei predetti termini è dunque il regime delle incompatibilità in generale per il personale docente, senza che siano previste specifiche differenze per il caso di assunzione a tempo determinato, salva in ogni caso la disciplina specifica sulle supplenze e in particolare sulle supplenze brevi.

4. Il particolare caso del docente imprenditore agricolo
Riflessioni particolari merita invece la compatibilità tra l’attività agricola e l’insegnamento.
A tal proposito, va premesso che l’attività agricola che non configura una “libera professione”, bensì come vera e propria attività d’impresa, sicché non rientra nell’eccezione prevista dal comma 15 dell’art. 508 del Decreto Legislativo 16 aprile 1994, n. 297 costituendo invece una attività “imprenditoriale” sempre preclusa ai sensi del comma 10.
In un primo momento, la circolare 6/97 della Presidenza del Consiglio dei Ministri , Dipartimento della Funzione Pubblica, aveva offerto una ricostruzione particolare di questa ipotesi nei termini che seguono: «è stato prospettato il caso della partecipazione in società agricole a conduzione familiare, situazione diffusa in molte realtà territoriali. A giudizio di questo Dipartimento, l'attività rientra tra quelle compatibili solo se l'impegno richiesto è modesto e non abituale o continuato durante l'anno. Spetta all'amministrazione valutare che le modalità di svolgimento sono tali da non interferire sull'attività ordinaria».
Richiamando proprio tale circolare, il giudice amministrativo aveva al tempo affermato che l’apertura della partita IVA per attività agricola di per sé non costituisse elemento sufficiente a determinare una automatica causa di incompatibilità con l’insegnamento, purché l’interessato potesse dimostrare che l’attività svolta in agricoltura comportasse un impegno soltanto modesto e non abituale o continuato durante l’anno .
L’evoluzione sociale ha richiesto però una parziale rimeditazione delle coordinate di riferimento del problema, alla luce della nuova configurazione delle attività agricole a livello organizzativo. In effetti, in una prima fase storica l’attività agricola costituiva di prassi un impegno ancillare in significativa parte delle famiglie, soprattutto in certune realtà territoriali, e dunque una circostanza socialmente tipica, ontologicamente diversa dall’attività imprenditoriale. Oggi invece, l’evoluzione tecnologica anche in ambito agroalimentare, la specializzazione del settore, l’ampliamento dei servizi nel terziario hanno trasformato l’ontologia dell’attività agricola che assume invece tipicamente una vera e propria dimensione imprenditoriale .
Questa evoluzione ha necessarie implicazioni anche dal punto di vista giuridico. Per l’ordinamento domestico, oggi l’impresa agricola resta comunque e prima di tutto un’attività imprenditoriale. La qualificazione in termini di “agricola” rileva a valle, ai fini dell’applicazione di regimi normativi differenziati e agevolazioni, ma non incide sull’ontologia imprenditoriale dell’attività.
Dunque l’attività di imprenditore agricolo risulta allo stato sempre preclusa al docente, ai sensi del citato comma decimo dell’art. 508 Testo Unico Istruzione.

5. Le incompatibilità per i dipendenti pubblici con rapporto di lavoro a tempo parziale
Riflessioni specifiche devono essere riservate alla disciplina delle incompatibilità per i docenti con regime di impegno a tempo parziale, sia a tempo determinato che indeterminato.
Per questa specifica ipotesi, occorre preliminarmente richiamare la norma generale di rango primario per tutti i dipendenti pubblici, ossia l’art. 53, comma 6 del Testo Unico del Pubblico Impiego (D. Lgs. 30 marzo 2001, n. 165), ove è previsto che il regime delle incompatibilità si applichi «con esclusione dei dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa non superiore al cinquanta per cento». Dunque i dipendenti in regime di part time sono essenzialmente sottratti alla rigorosa disciplina delle incompatibilità, con ogni probabilità sull’assunto che – nel bilanciamento degli opposti interessi - non possa essere loro richiesta una dedizione esclusiva all’impiego pubblico in ragione del ridotto quantitativo temporale previsto dal rapporto di lavoro.
Proprio per consentire lo svolgimento o la prosecuzione di attività extaofficio esterne, la Legge 23 dicembre 1996, n. 662 “Misure di razionalizzazione della finanza pubblica”, all’art. 1, comma 58 prevede specificamente la possibilità per il dipendente pubblico a certe condizioni di trasformare il rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, sottraendosi così al regime delle incompatibilità. La dottrina ha rilevato come tale riforma abbia inaugurato, almeno in apparenza, un quadro giuridico molto più vicino al settore privato .

6. Le incompatibilità per i docenti con rapporto di lavoro a tempo parziale nel settore della scuola
Tale disciplina generale è stata recepita e attuata nel settore della scuola dalla contrattazione collettiva. In particolare, già l’art. 58 comma 9 del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro relativo al personale del Comparto Scuola per il quadriennio normativo 2006-2009 e biennio economico 2006-2007, sottoscritto il 29 novembre 2007, specificava che al personale della scuola con regime di impegno a tempo parziale «è consentito, previa autorizzazione del dirigente scolastico, l'esercizio di altre prestazioni di lavoro che non arrechino pregiudizio alle esigenze di servizio e non siano incompatibili con le attività d'istituto della stessa Amministrazione» con l’obbligo di comunicare al Dirigente scolastico entro 15 giorni ogni assunzione o variazione delle attività lavorative esterne .
Il principio è stato ribadito dall’art. 56, comma 6 del CCNL del Comparto Scuola sottoscritto in data 19 aprile 2018 ove testualmente si legge che «i dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale possono svolgere un’altra attività lavorativa e professionale, subordinata o autonoma, nel rispetto delle vigenti norme in materia di incompatibilità e di conflitto di interessi» anche qui con analogo obbligo di comunicazione al Dirigente Scolastico entro 15 giorni. Il medesimo art. 56 prevede la possibilità di trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, con ciò consentendo di sottrarsi al regime delle incompatibilità.
Dunque, nel caso del docente con impegno a tempo pieno, è possibile ottenere la trasformazione a tempo parziale, alle condizioni previste dalle norme legislative e contrattuali di riferimento, per decomprimere alcuni limiti in termini di incompatibilità.

7. Docenti con rapporto di lavoro a tempo parziale e attività imprenditoriale
Come detto, nel caso di impiego part time con impegno non superiore al 50% rispetto al corrispondente personale a tempo pieno, il docente può svolgere «un’altra attività lavorativa e professionale, subordinata o autonoma» (così art. 56, comma 6 del CCNL del Comparto Scuola sottoscritto in data 19 aprile 2018).
La norma non specifica però alcunché in ordine alla possibilità per l’insegnante di svolgere attività imprenditoriale vera e propria, non potendosi automaticamente ricondurre l’esercizio di impresa nell’ambito della sfera semantica dell’attività «lavorativa e professionale, subordinata e autonoma».
L’attività lavorativa subordinata è infatti l’impiego alle dipendenze di un terzo, ad esempio l’assunzione presso un’azienda, dunque certamente non vi rientra la conduzione di un’impresa. L’attività lavorativa e/o professionale autonoma – cui fa riferimento l’art. 56 citato - ricomprende l’esercizio di una libera professione, ad esempio di avvocato o di commercialista, ma non anche l’attività d’impresa, di talché resterebbe precluso anche per il docente part time di essere un vero e proprio imprenditore, titolare di un’azienda.
In effetti anche la giurisprudenza più recente pronunciatasi in materia di incompatibilità nel Comparto Scuola sottolinea la differenza ontologica tra l’attività di lavoro autonomo e l’attività di impresa , essendo nella prima dominante la natura intellettuale della prestazione e la centralità dell’apporto del professionista, con conseguente marginalizzazione dell’apparato organizzativo. Da questa complessa premessa, la giurisprudenza conclude, che «l'esercizio di un'attività commerciale non può essere considerata "in modo assoluto" compatibile con quella "istituzionale" del docente, anche (ove aspirante alla costituzione di un rapporto) in regime di part time, in quanto attività, comunque, non contemplata dalla L. n. 662 del 1996 tra quelle legittimanti la trasformazione del rapporto» . Queste conclusioni sembrano essere state recepite dalla prassi amministrativa degli uffici scolastici .
Dunque l’attività d’impresa in senso stretto sembrerebbe preclusa in assoluto a tutto il personale docente, anche se con rapporto di lavoro a tempo parziale.

8. L’aspirante docente convocato per la presa di servizio e la sottoscrizione del contratto a tempo parziale nel caso di incompatibilità già in essere
Occorre ora considerare la diversa ipotesi del docente convocato per la presa di servizio e la sottoscrizione del contratto, sia esso a tempo determinato o indeterminato, che abbia già in essere una attività lavorativa, professionale o imprenditoriale e versi quindi in situazione di incompatibilità.
In effetti, in tale fase, è richiesto all’aspirante di sottoscrivere la dichiarazione di assenza di cause di incompatibilità ai sensi dell’art. 53 del Testo Unico del Pubblico Impiego e dell’art. 508 del Decreto Legislativo 16 aprile 1994, n. 297, come presupposto indefettibile per procedere alla sottoscrizione del contratto. Tale dichiarazione, per chi versi in condizioni di incompatibilità, non può evidentemente essere resa, il che comporta il rifiuto da parte del Dirigente Scolastico di procedere alla sottoscrizione del contratto e dunque l’impossibilità giuridica di instaurazione del rapporto di lavoro.
Laddove per qualsiasi ragione il contratto sia invece sottoscritto, la sussistenza di una ragione di incompatibilità in questa fase si traduce in un improprio cumulo di attività che determina, nella sostanza, l’impossibilità giuridica per il rapporto di lavoro di sorgere fisiologicamente e si rifonde in un vizio genetico del contratto, tale da implicarne l’improduttività di effetti.
Se l’assunzione è invece in regime di part time , alla luce delle predette considerazioni in merito, il docente che stia già svolgendo una attività lavorativa autonoma o dipendente al momento della firma non sembra versare in condizione di incompatibilità. In effetti, dato che in quel caso specifico neppure è richiesta una autorizzazione preventiva per svolgere l’attività esterna all’insegnamento ma soltanto una comunicazione entro 15 giorni, si può ritenere che l’aspirante docente possa procedere con la presa di servizio e la sottoscrizione del contratto, dando contestuale comunicazione della parallela attività lavorativa al Dirigente ai fini dell’espletamento delle attività di vigilanza.
Il rapporto lavorativo con l’amministrazione scolastica può quindi giuridicamente sorgere, non rilevandosi elementi ostativi alla sua istaurazione .
Dunque il docente convocato per l’assunzione a tempo pieno che abbia in essere una attività lavorativa o professionale autonoma o subordinata (ma non imprenditoriale) e intenda continuare a svolgerla potrebbe optare per la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo parziale ai sensi dell’art. 1 comma 58 della Legge 23 dicembre 1996, n. 662 e norme collegate e art. 56, comma 6 del CCNL del Comparto Scuola sottoscritto in data 19 aprile 2018. La ratio di tale particolare regime è di tutta evidenza: il docente convocato che sia già lavoratore autonomo o subordinato può ricorrere alla formula del tempo parziale onde evitare la stringente disciplina delle incompatibilità.

9. Il caso particolare dell’assunzione a tempo determinato “su spezzone” e del successivo completamento
Occorre infine considerare il caso particolare del docente assunto a tempo determinato per un numero di ore inferiore all’impegno pieno (ossia la c.d. supplenza su “spezzone”).
Va ricordato a tal proposito che l’art. 53, comma 6 del Testo Unico del Pubblico Impiego esclude testualmente dall’ambito di applicazione del regime delle incompatibilità i «dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa non superiore al cinquanta per cento». Valorizzando proprio la soglia del 50% (calcolata rispetto all’impegno lavorativo del dipendente a tempo pieno) quale elemento discretivo nel campo di applicazione della norma si possono trarre le seguenti conclusioni.
Ove il numero di ore dello spezzone sia pari o inferiore al 50% rispetto al corrispondente impegno dell’impiego full time si applicherà la disciplina di favore prevista per i dipendenti a tempo parziale (art. 56, comma 6 del CCNL del Comparto Scuola sottoscritto in data 19 aprile 2018).
In questa specifica ipotesi può verificarsi un ulteriore elemento di complicazione quando il docente convocato su spezzone riceva poi il c.d. completamento. Ad esempio, l’articolo 12, comma 12, dell’Ordinanza Ministeriale n. 112/2022 prevede che «l’aspirante cui è conferita una supplenza a orario non intero in caso di assenza di posti interi conserva titolo, in relazione alle utili posizioni occupate nelle diverse graduatorie di supplenza, a conseguire il completamento d’orario», dunque il docente potrebbe poi conseguire un numero di ore superiore alla predetto soglia del 50%.
All’atto del superamento della soglia del 50% di impegno orario, si applicherebbero a quel punto al docente le regole generali sull’incompatibilità previste dall’art. 508 del Testo Unico Istruzione, in particolare il relativo comma decimo, con la sola eccezione prevista dal comma quindicesimo per le libere professioni.
Dunque, il docente, all’atto del superamento della soglia di impegno, non potrebbe più svolgere attività di lavoro subordinato o imprenditoriale, commerciale, industriale. Potrebbe eventualmente mantenere l’esercizio di una libera professione, ma soltanto previa autorizzazione del Dirigente Scolastico, non essendo più sufficiente la mera comunicazione ai fini della vigilanza. L’eventualità di un superamento della soglia “in corso” di rapporto rappresenta quindi sicuramente un caso di assoluta complessità, in cui il docente si trova in una condizione postuma di incompatibilità ormai insanabile e si vede costretto ad adottare emergenziali scelte di redistribuzione dell’impegno lavorativo. Ciò a maggior ragione considerando che l’opportunità o meno di un completamento non è predeterminabile.
Considerata la complessità del dato normativo e giurisprudenziale, per questa specifica ipotesi, la giurisprudenza contabile ha affermato che - non essendo di fatto prevedibile ex ante l’eventuale superamento dell’impegno orario proprio del part time (nella misura massima pari al 50% del tempo pieno) - nel caso di supplenza “su spezzone” non incorre in colpa grave il docente che abbia mancato di chiedere l'autorizzazione per svolgere il suo secondo lavoro .

10. Conseguenze della violazione del regime delle incompatibilità da parte del docente
Occorre infine esaminare le conseguenze di una eventuale violazione del regime delle incompatibilità perpetrata dal docente.
In generale, si è storicamente osservato come la violazione delle norme sulle incompatibilità attribuisca (o quantomeno attribuirebbe) al datore di lavoro il diritto di risolvere il rapporto . Nel settore della scuola, ove l’attività incompatibile sia stata iniziata dal docente in pendenza del rapporto di lavoro con l’amministrazione, trovano applicazione i commi 12 e seguenti dell’art. 508 del Testo Unico Istruzione, ai sensi dei quali il Dirigente Scolastico (o altro superiore gerarchico indicato) deve anzitutto diffidare il dipendente a cessare la situazione di incompatibilità. Decorsi quindici giorni senza che l’incompatibilità sia cessata, è dichiarata la decadenza dall’impiego pubblico (comma 14). In tutti i casi, è sempre fatta salva l’azione disciplinare, fermo che in quella sede saranno valutate tutte le circostanze .
Ulteriore ipotesi particolare riguarda il docente convocato per la presa di servizio e sottoscrizione del contratto di lavoro che abbia in quel momento una attività già in essere determinante causa di incompatibilità.
A tal proposito, valga ricordare che al convocato richiesto all’aspirante di sottoscrivere la dichiarazione di assenza di cause di incompatibilità ai sensi dell’art. 53 del Testo Unico del Pubblico Impiego e dell’art. 508 del Decreto Legislativo 16 aprile 1994, n. 297, come presupposto indefettibile per procedere alla sottoscrizione del contratto
Nel caso in cui l’interessato dichiari sotto la propria responsabilità di trovarsi in una delle situazioni di incompatibilità, il Dirigente Scolastico dovrà legittimamente rifiutare di procedere alla sottoscrizione del contratto di lavoro.
Nell’ipotesi in cui il Dirigente Scolastico, non prendendo atto della dichiarazione negativa o non ritenendola ostativa, proceda alla sottoscrizione del contratto, il rapporto di lavoro conseguentemente instaurato sarà viziato ab origine. La situazione di incompatibilità rende infatti giuridicamente impossibile l’istaurazione del rapporto, a prescindere dall’omesso rilievo da parte del Dirigente (e persino da una sua espressa autorizzazione) in relazione alla circostanza ostativa, con decisive conseguenze dal punto di vista giuslavoristico (decadenza o licenziamento) ed economico (reversione dei compensi extraistituzionali, non spettanza della retribuzione fermo il principio del funzionario di fatto) che si esamineranno a breve.
Ove invece il docente convocato dichiari falsamente di non trovarsi in condizione di incompatibilità commette un reato ai sensi degli artt. 46 e 76 del d.P.R. n. 445 del 2000, con riferimento all’art. 483 cod. pen., sicché sarà potenzialmente esposto all’azione penale. In ogni caso, ove venga rilevata, in pendenza del rapporto di lavoro, l’esistenza di una pregressa causa di incompatibilità risalente fino al momento dell’instaurazione del rapporto di lavoro, si pongono le medesime conseguenze.
Sotto il profilo del rapporto giuslavoristico, dunque, la sussistenza di una condizione di incompatibilità al momento della presa di servizio e sottoscrizione del contratto rende giuridicamente impossibile la regolare fisiologica instaurazione del rapporto di lavoro. Il contratto eventualmente stipulato in tali circostanze è, secondo la giurisprudenza, inefficace per nullità ab origine . Ciò a maggior ragione se il dipendente ha dichiarato sotto la propria responsabilità di non trovarsi in una condizione di incompatibilità, essendo in quell’ipotesi l’assunzione in servizio e l’instaurazione del rapporto di lavoro essenzialmente un beneficio improprio frutto della falsa dichiarazione .
Dal punto di vista pratico, nel caso in cui l’impiego incompatibile sia ancora in corso, l’amministrazione non potrà che dichiarare la decadenza del dipendente per nullità ab origine del contratto di lavoro, ferme eventuali ulteriori conseguenze disciplinari comunque. Ciò a maggior ragione ove in sede di stipulazione del contratto di lavoro il dipendente abbia rilasciato una dichiarazione non veritiera sull’(in)esistenza di situazioni di incompatibilità .
Nel caso in cui invece l’altro impiego incompatibile sia cessato, ferma la viziata instaurazione del rapporto di lavoro, l’amministrazione può comunque attivare ogni rimedio disciplinare ivi compreso il licenziamento come sanzione espulsiva.

11. Conseguenze patrimoniali nel caso di decadenza dall’impiego per sussistenza di una ragione di incompatibilità
Ulteriori conseguenze si concretizzano inoltre sul piano economico.
Anzitutto, in relazione ai compensi indebitamente percepiti nel rapporto di lavoro extraistituzionale, il docente sarà tenuto ope legis a conferirli al bilancio dello Stato.
Ai sensi del comma 7 dell’art. 53 del Testo Unico sul Pubblico Impiego (D. Lgs. n. 165 del 2001), infatti, in caso di inosservanza dei divieti sulle incompatibilità «salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell'erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell'entrata del bilancio dell'amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti».
Tra l’altro, ai sensi del successivo comma 7-bis , l’omesso spontaneo versamento si trasforma, per specifica previsione legislativa, in danno erariale soggetto alla giurisdizione della Corte dei Conti. Sulla natura di tale responsabilità si è concentrato un dibattito giurisprudenziale e dottrinale .
A tal proposito, la Corte di Cassazione ha chiarito che l’obbligo di versamento del compenso indebitamente percepito nell’ambito dell’attività extra officio «rappresenta una particolare sanzione ex lege al fine di rafforzare la fedeltà del dipendente pubblico e quindi prescinde dai presupposti della responsabilità per danno (evento; nesso di causalità; elemento psicologico)» . Si è poi anche sottolineato il «carattere disincentivante proprio della sanzione, desumibile dalla coincidenza dell’entità del versamento con quella delle somme indebitamente percepite dal pubblico dipendente, affinché questi sappia in partenza di non poter trattenere vantaggio alcuno da prestazioni che si appresti a svolgere in violazione del dovere di fedeltà» .
Dunque, il configurarsi di un’ipotesi di incompatibilità assoluta comporta a carico del dipendente una vera e propria “sanzione”: l’obbligo di versare il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte nel conto delle entrate del bilancio dell’amministrazione di appartenenza per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti. Sanzione la cui omissione si traduce in danno erariale di competenza della Corte dei Conti.

12. Le conseguenze quanto ai compensi percepiti
Ulteriori implicazioni si verificano nell’ipotesi in cui il docente abbia preso servizio e sottoscritto il contratto avendo in quel momento in essere una causa di incompatibilità e questa sia successivamente appurata.
La conseguente dichiarazione di decadenza dall’impiego e nullità ab origine del contratto espone infatti a una richiesta restitutoria dei compensi percepiti dal dipendente pubblico, cui può comunque opporsi il principio della “prestazione di fatto” condiviso dalla giurisprudenza e richiamato in dottrina .
Già la sentenza Consiglio di Stato, sezione quarta, del 3 marzo 2001, n. 4134 rilevava a suo tempo come la nullità originaria dell’atto costitutivo del rapporto di pubblico impiego determina sì l’impossibilità per il contratto di produrre gli effetti tipici, ma non preclude l’instaurazione di un rapporto lavorativo “di fatto” con tutte le conseguenze favorevoli per il lavoratore previste dall’ordinamento e in particolare dall’art. 2126 c.c. Tra queste, sicuramente il diritto alla retribuzione «nella considerazione anche che è intenzione del legislatore tutelare le prestazioni esplicate effettivamente dal lavoratore, a meno che il contratto nullo che ha reso di fatto possibili tali prestazioni».
Anche in seguito la giurisprudenza ha ribadito che «in caso di contratto di pubblico impiego nullo spetta comunque al dipendente la retribuzione per l'attività prestata, atteso che la nullità del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione» (Consiglio di Stato sezione terza, 19 maggio 2015, n. 2532).

13. Conclusioni
Da una disamina complessiva della letteratura scientifica, della giurisprudenza e della prassi, la materia delle incompatibilità nel pubblico impiego appare ancora oggi caratterizzata da notevole complessità, se non altro per la articolata stratificazione delle fonti di riferimento.
Nel particolare settore della scuola, la casistica (anche giurisprudenziale) restituisce un’immagine dai contorni ancora ambigui, su cui si auspicherebbe un intervento chiarificatore per poter definitivamente dare sistemazione agli interessi giuridici dei dipendenti e consentire scelte consapevoli.
La scuola rappresenta, per tale disciplina, un settore assolutamente critico, considerata l’elevatissima mole di contratti a tempo determinato e la possibilità, per molti docenti, di non conseguire l’immissione in ruolo se non dopo una indefinita successione di incarichi temporanei.
In particolare, nel caso dei docenti con contratto a tempo determinato, è ragionevole ipotizzare che questi possano essere tante volte impegnati in attività lavorative collaterali nei periodi di interregno tra un incarico e l’altro, di talché il regime delle incompatibilità rappresenta certamente un fattore di complicazione e dissuasione. Con ogni probabilità, il settore della scuola, almeno quanto ai docenti con incarico a tempo determinato, richiederebbe norme ancor più specifiche che veicolino una maggiore flessibilità di sistema e diano contributo in termini di certezza del diritto, operando un più razionale bilanciamento con le aspettative personali dei dipendenti.

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