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Corte di Cassazione Sezioni Unite – 20 novembre 2017, n. 27436 – Relatore Dott.ssa Perrino
Angelina Maria
 FATTI DI CAUSA
Emerge dalla sentenza impugnata della Corte d'appello di Torino che S.V., socio lavoratore della
cooperativa di lavoro Rear, fu nel contempo escluso dalla cooperativa e da essa licenziato per
giusta causa, in ragione della contestata aggressione ad un superiore gerarchico; ma non impugnò
la deliberazione di esclusione, limitandosi ad impugnare il licenziamento.
In primo grado il Tribunale di Torino, respinta, oltre all'eccezione d'incompetenza, quella di
decadenza per l'omessa impugnazione della deliberazione di esclusione, aveva ritenuto illegittimo
il licenziamento, aveva accordato al socio lavoratore la tutela obbligatoria prevista dall'art. 8 l. n.
604/66 ed aveva altresì affermato l'applicabilità al rapporto, ai fini del trattamento retributivo, del
c.c.n.l. Multiservizi.
La Corte d'appello, nel rigettare l'appello principale della cooperativa e nell'accogliere quello
incidentale della controparte, ha sostenuto che, al cospetto dei due contestuali atti estintivi, di
esclusione dalla cooperativa e di licenziamento, potesse essere impugnato anche soltanto il
secondo, senza necessità d'impugnare il primo; nel merito, ha escluso la sussistenza della giusta
causa di recesso ed ha riconosciuto al lavoratore l'importo massimo di dieci mensilità.
La cooperativa Rear ricorre per ottenere la cassazione di questa sentenza ed articola in sei motivi
il ricorso, che illustra con memoria e che non ha sortito replica.
La sezione lavoro di questa Corte, ravvisata la sussistenza di contrasti esistenti in materia anche
nella giurisprudenza di legittimità ed evidenziata l'importanza della questione, che coinvolge la
ricostruzione dei meccanismi estintivi del rapporto e delle tutele applicabili ai numerosissimi soci
lavoratori di cooperative, ha sottoposto la questione al Primo Presidente ai fini dell'assegnazione
alle sezioni unite.
La controversia è stata quindi assegnata a queste sezioni unite; in prossimità della pubblica udienza
la cooperativa ha depositato ulteriore memoria.
 Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Col primo motivo del ricorso, la cooperativa denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la
violazione o falsa applicazione degli artt. 1322 e 2533 c.c., nonchè della L. 3 aprile 2001, n. 142,
artt. 1,2 e 5. Sostiene che, nel caso di esclusione dalla società cooperativa e di contestuale
licenziamento del socio lavoratore, l'omessa impugnazione della delibera di esclusione precluda
quella del licenziamento.
La questione scaturisce dal fatto che in capo al socio lavoratore coesistono più rapporti contrattuali
e che, quindi, il lavoro cooperativo è luogo di convergenza di più cause contrattuali.
È sul piano degli effetti scaturenti dalla relazione tra i due rapporti, soprattutto nella loro fase
estintiva, osservatorio privilegiato delle dinamiche negoziali, che si sono venute a determinare le
incertezze, radicate nella giurisprudenza di merito, ma affioranti anche in quella di legittimità,
delle quali il tema posto dal ricorso è manifestazione.
Derivano, queste oscillazioni di giurisprudenza, dal differente peso che si assegna alla specialità
che il rapporto cooperativo esprime rispetto allo schema della subordinazione o agli altri modelli
di facere lavorativo che possono affiancare il rapporto sociale.
Sicchè, a seconda del peso, maggiore o minore, che si riconosca a ciascuno dei due rapporti, di
lavoro e associativo, si giunge a conclusioni diverse in relazione alla giustiziabilità del
licenziamento del socio lavoratore che si accompagni alla delibera della cooperativa che lo
escluda, qualora questa non sia impugnata.
1.1.- Quando ha affrontato il tema ex professo, questa Corte ha stabilito che, al cospetto di
esclusione e licenziamento, il socio deve necessariamente opporsi alla delibera di esclusione; in
mancanza, è inammissibile per difetto d'interesse l'azione proposta per contestare la legittimità del
solo licenziamento (Cass. 26 febbraio 2016, n. 3836).
1.2.- In altre occasioni (Cass. 1 aprile 2016, n. 6373; conf., 5 dicembre 2016, n. 24795) si è
convenuto, sia pure in obiter, che la mancata tempestiva impugnazione in giudizio della delibera
di esclusione preclude qualsiasi statuizione che riguardi il licenziamento; ma si è riconosciuta,
pure a fronte dell'omessa impugnazione della prima, la tutela normale che discende dal giudizio
sul secondo, in considerazione dell'inefficacia della delibera di esclusione, che in quel caso non
era stata comunicata.
Emergono, inoltre, dalle sentenze richiamate nell'ordinanza di rimessione ulteriori impostazioni
di fondo destinate a condurre a soluzioni ancora diverse.
La divergenza di principi è quindi certamente sintomo del fatto che ci si trova in presenza di una
questione di massima e particolare importanza, appunto perchè chiama in causa profili di
principio.
È dunque dalla ricostruzione dei principi che occorre partire.
2.- Il cospicuo contenzioso alimentato dalla progressiva sottoprotezione cui si sono trovati esposti
i soci lavoratori, e l'espansione del fenomeno della cooperativa spuria o fraudolenta hanno
evidenziato l'insufficienza dell'impostazione tradizionale (che si trova espressa in Cass., sez. un.,
28 dicembre 1989, n. 5813), secondo la quale in relazione alle prestazioni di un socio di società
cooperativa di produzione e lavoro, in conformità delle previsioni del patto sociale ed in
correlazione con le finalità istituzionali della società, non è configurabile non solo un rapporto di
lavoro subordinato o di lavoro autonomo, ma nemmeno un rapporto di collaborazione.
Le prestazioni del socio lavoratore, si riteneva, integrano adempimento del contratto di società,
per l'esercizio in comune dell'impresa societaria, di modo che non sono riconducibili a due distinti
centri di interessi; lo scopo dei soci, i quali partecipano direttamente al rischio d'impresa, si
specificava, è comune e trascende la mera collaborazione, proprio perchè è connotato
dall'associazione.
2.1.- La tesi era avallata anche dalla Corte costituzionale, la quale -nel dichiarare infondata la
questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 29 maggio 1982, n. 297, nella parte in
cui non prevede(va) la tutela del fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto anche in
favore dei soci delle cooperative di produzione e lavoro, ai quali il diritto a tale trattamento sia
attribuito dall'atto costitutivo della società o da una delibera successiva di modificazione del
medesimo - aveva osservato che "a differenza del prestatore di lavoro definito dall'art. 2094 c.c.,
il socio lavoratore di una cooperativa di lavoro è vincolato da un contratto che, se da un lato lo
obbliga a una prestazione continuativa di lavoro in stato di subordinazione rispetto alla società,
dall'altro lo rende partecipe dello scopo dell'impresa collettiva e corrispondentemente gli
attribuisce poteri e diritti di concorrere alla formazione della volontà della società, di controllo
sulla gestione sociale e infine il diritto a una quota degli utili" (Corte cost. 12 febbraio 1996, n. 30;
la sentenza è stata poi richiamata a sostegno della successiva ordinanza d'inammissibilità 28
dicembre 2006, n. 460, a sua volta ripresa dall'ordinanza 15 aprile 2014, n. 95).
3.- Ne era, tuttavia, evidente l'inadeguatezza, in quanto l'egemonia della qualità sociale sacrificava
la rilevanza della prestazione di lavoro, che, nella sostanza economica, è coessenziale al contratto
sociale ed allo sviluppo del rapporto che ne deriva.
La cooperazione è contrassegnata dall'utilità della prestazione lavorativa; e l'esigenza di protezione
del socio lavoratore, contraente debole, ha innestato la tendenza espansiva del diritto del lavoro,
che ha permeato il lavoro cooperativo di istituti e discipline propri di quello subordinato: e ciò
perchè anche colui che lavora per un profitto comune, come ogni prestatore di lavoro, è impegnato
con la sua stessa persona nell'esecuzione dell'attività.
La dimensione del lavoro ha dunque acquisito risalto e visibilità, di modo che, si è stabilito (Cass.,
sez. un., 30 ottobre 1998, n. 10906), il rapporto tra socio lavoratore e cooperativa va sì qualificato
come associativo, ma appartiene ad una "categoria contigua e interdipendente a quella del lavoro
subordinato o parasubordinato"; sicchè esso è equiparabile ai vari rapporti previsti dall'art. 409
c.p.c..
3.1.- Coerentemente il legislatore, nel costruire la riforma della cooperazione di lavoro, ha
disegnato il lavoro cooperativo come combinazione del rapporto associativo con "un ulteriore e
distinto rapporto di lavoro, in forma subordinata o autonoma o in qualsiasi altra forma, ivi
compresi rapporti di collaborazione coordinata non occasionale" (L. n. 142 del 2001, art. 1).
4.- Il raggiungimento dello scopo sociale della cooperativa di lavoro si realizza, quindi, con una
attività di impresa nel cui ambito si inscrivono, appunto, i rapporti di lavoro.
4.1.- La combinazione dei due rapporti, associativo e di lavoro, assume la veste di collegamento
necessario, perchè è animata dallo scopo pratico unitario dell'operazione complessiva, al
perseguimento del quale entrambi sono indirizzati: il legame dei due rapporti innerva per volontà
del legislatore la funzione del lavoro cooperativo.
4.1.1.- La categoria del collegamento negoziale si rivela più adeguata dello schema del contratto
normativo, preferito da una parte della dottrina.
Ciò in quanto la causa della cooperativa di lavoro tende alla realizzazione dello scopo mutualistico
e non già alla stipulazione di contratti particolari, come avviene nel caso del contratto collettivo di
lavoro (giusta gli artt. 2071 e 2077 c.c.) o anche in quello del contratto collettivo di consorzio
(secondo gli artt. 2602 e 2603 c.c.).
Opportunamente si è sottolineato che, tra gli altri, lo statuto della cooperativa rappresenta un
contratto normativo apparente, perchè esso, pur ponendo una serie di norme, è destinato a
disciplinare non già futuri rapporti, sibbene rapporti che sono in atto.
5.- L'equilibrio del peso dei due rapporti in seno alla combinazione è stato, tuttavia, intaccato dalla
novella della L. n. 142 del 2001, dovuta alla L. 14 febbraio 2003, n. 30.
La L. n. 30 del 2003, ha disposto l'eliminazione dalla L. n. 142 del 2001, art. 1, comma 3,
dell'aggettivo "distinto", lasciando, in riferimento al rapporto di lavoro, soltanto la qualificazione
di "ulteriore"; ha aggiunto inoltre l'art. 5, comma 2, il quale prescrive che:
"2. Il rapporto di lavoro si estingue con il recesso o l'esclusione del socio deliberati nel rispetto
delle previsioni statutarie e in conformità con gli artt. 2526 e 2527 c.c. (oggi, con l'art. 2533 c.c.).
Le controversie tra socio e cooperativa relative alla prestazione mutualistica sono di competenza
del tribunale ordinario".
5.1.- Il collegamento, quindi, nella fase estintiva dei rapporti, ha assunto caratteristica
unidirezionale.
La cessazione del rapporto di lavoro, non soltanto per recesso datoriale, ma anche per dimissioni
del socio lavoratore, non implica necessariamente il venir meno di quello associativo.
Ciò perchè il rapporto associativo può essere alimentato dal socio mediante la partecipazione alla
vita ed alle scelte dell'impresa, al rischio ed ai risultati economici della quale comunque egli
partecipa, a norma della L. n. 142 del 2001, art. 1,comma 2.
Nè la figura del socio inerte, che emerge anche per mano del legislatore, con riguardo alla
cooperativa a mutualità non prevalente, entra in frizione con le regole costituzionali, in quanto
l'art. 45 Cost., riconosce funzione sociale alla cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di
speculazione privata, alla quale il socio inerte non è estraneo.
5.2.- La cessazione del rapporto associativo, tuttavia, trascina con sè ineluttabilmente quella del
rapporto di lavoro. Sicchè il socio, se può non essere lavoratore, qualora perda la qualità di socio
non può più essere lavoratore.
Lo si legge nella L. n. 142 del 2001, art. 5, comma 2, il quale esclude che il rapporto di lavoro
possa sopravvivere alla cessazione di quello associativo.
Regola, questa, espressione di quella generale fissata in tema di esclusione del socio di cooperativa
dall'art. 2533 c.c., in virtù della quale "qualora l'atto costitutivo non preveda diversamente, lo
scioglimento del rapporto sociale determina anche la risoluzione dei rapporti mutualistici
pendenti" (discorre di dipendenza dell'estinzione del rapporto di lavoro da quella del rapporto
sociale, tra le ultime, Cass., ord. 18 maggio 2016, n. 10306).
6.- Non può, quindi, essere condiviso l'orientamento (espresso da Cass. 23 gennaio 2015, n. 1259;
11 agosto 2014, n. 17868; 6 agosto 2012, n. 14143) secondo il quale qualora l'esclusione di un
socio lavoratore di cooperativa si fondi esclusivamente sul suo licenziamento, non si configura
l'ipotesi propria della L. n. 142 del 2001, art. 5, comma 20, che prevede, si è visto, l'automatica
caducazione del rapporto di lavoro alla cessazione del rapporto associativo.
In base a questa tesi quel che rileverebbe sarebbe la natura delle ragioni addotte a fondamento
dell'espulsione del lavoratore.
Sicchè, in caso di declaratoria di illegittimità del licenziamento che ha costituito motivo
determinante l'esclusione, anche quest'ultima risulterebbe illegittima.
Verrebbe in tal caso a trovare attuazione l'art. 18 dello statuto dei lavoratori, perchè, nel caso di
delibera di esclusione fondata sul licenziamento, non ricorrerebbero i presupposti di applicazione
della L. n. 142 del 2001, art. 2, il quale prevede l'"esclusione dell'articolo 18 ogni volta che venga
a cessare, col rapporto di lavoro, anche quello associativo".
6.1.- Quest'impostazione determina il capovolgimento della relazione di dipendenza prefigurata
dal legislatore tra l'estinzione del rapporto associativo e quella del rapporto di lavoro, che deriva
dal collegamento tra essi.
È la caratteristica morfologica dell'unidirezionalità del collegamento fra i rapporti, difatti, a
determinare la dipendenza delle loro vicende estintive, non già l'indagine, necessariamente
casistica, sulle ragioni che sono poste a fondamento dell'espulsione del socio lavoratore.
7.- Il nesso di collegamento tra rapporto associativo e rapporto di lavoro, tuttavia, per quanto
unidirezionale, non riesce ad oscurare la rilevanza di quello di lavoro, anche nella fase estintiva.
Basta l'aggettivo "ulteriore", tuttora contenuto nel testo novellato della L. n. 142 del 2001, art.
1, ad evidenziarla ed a sottolinearne l'autonomia.
7.1.- Non mostra di tener conto di tale autonoma rilevanza l'orientamento, di segno opposto al
precedente, in base al quale, al cospetto di condotte che ledano nel contempo il rapporto
associativo e quello di lavoro, sarebbe unico il procedimento volto all'estinzione di entrambi; di
modo che, adottata la delibera di esclusione, risulterebbe ultroneo un distinto atto di recesso
datoriale dal rapporto di lavoro (Cass. 13 maggio 2016, n. 9916; 12 febbraio 2015, n. 2802; 5
luglio 2011, n. 14741).
Orientamento del quale rappresenta logico corollario quello, già richiamato, secondo il quale
l'omessa impugnazione della delibera di esclusione preclude l'esame dell'impugnazione del
licenziamento.
8.- Alla duplicità di rapporti può corrispondere la duplicità degli atti estintivi, in quanto ciascun
atto colpisce, e quindi lede, un autonomo bene della vita, sia pure per le medesime ragioni: la
delibera di esclusione lo status socii, il licenziamento il rapporto di lavoro. Coerentemente si è
stabilito (Cass., ord. 29 luglio 2016, n. 15798; ordd. 6 ottobre 2015, nn. 19977, 19976, 19975 e
19974; ord. 21 novembre 2014, n. 24917, le quali evocano la pluralità di tutele) che, in tal caso, il
concorso dell'impugnativa della delibera di esclusione e del provvedimento di licenziamento
configura un'ipotesi di connessione di cause.
Il punto concerne, ancora, l'interazione degli effetti rispettivamente scaturenti da ciascun atto, al
fine della ricostruzione dell'apparato rimediale che si delinea al cospetto della soppressione del
bene della vita costituito dal rapporto di lavoro.
8.1.- In seno a questo apparato rimediale, l'effetto estintivo del rapporto di lavoro derivante
dall'esclusione dalla cooperativa a norma della L. n. 142 del 2001, art. 5, comma 2, impedisce
senz'altro, in mancanza d'impugnazione della delibera che l'abbia prodotto, di conseguire il
rimedio della restituzione della qualità di lavoratore.
È la tutela restitutoria ad essere preclusa dall'omessa impugnazione della delibera di esclusione
(sull'applicabilità di tale tutela, in caso di accoglimento dell'impugnazione della delibera,
vedi Cass. n. 9916/16, cit.; n. 2802/15, cit.; n. 11741/11, cit.).
Tutela restitutoria, che consegue all'invalidazione della delibera, dalla quale deriva la
ricostituzione sia del rapporto societario, sia dell'ulteriore rapporto di lavoro e che, quindi, ripete
genesi e fisionomia dalla dinamica del rapporto sociale. Essa risulta quindi del tutto estranea ed
autonoma rispetto alla tutela reale prevista dall'art. 18 dello statuto dei lavoratori, di matrice,
appunto, lavoristica (sulla quale invece punta, una volta "rimosso il provvedimento di
esclusione", Cass. 4 giugno 2015, n. 11548).
L'omessa impugnazione della delibera ne garantisce per conseguenza l'efficacia, anche per il
profilo estintivo del rapporto di lavoro.
8.2.- L'effetto estintivo, tuttavia, di per sè non esclude l'illegittimità del licenziamento, come del
resto non esclude l'illegittimità della stessa delibera di esclusione che sia fondata sui medesimi
fatti; nè elide l'interesse a far valere l'illegittimità del recesso.
8.3.- Qualora s'impugni il solo licenziamento, difatti, non si prescinde dall'effetto estintivo del
rapporto di lavoro prodotto dalla delibera di esclusione.
Anzi: proprio perchè la delibera di esclusione, essendo efficace, produce anche l'effetto estintivo
del rapporto di lavoro, destinato a restar fermo per mancanza d'impugnazione della fonte che l'ha
determinato, viene a determinarsi un danno.
Ed al danno si può porre rimedio con la tutela risarcitoria.
8.4.- Questa ricostruzione si specchia nella previsione già richiamata della L. n. 142 del 2001, art.
2, a proposito dell' “esclusione dell'articolo 18 ogni volta che venga a cessare, col rapporto di
lavoro, anche quello associativo”.
La disposizione conferma che è la - sola - tutela restitutoria ad essere preclusa qualora, insieme
col rapporto di lavoro, venga a cessare anche quello associativo: il proprium dell'art. 18 dello
statuto dei lavoratori del quale è esclusa l'applicazione, almeno all'epoca in cui la norma è stata
confezionata, consisteva giustappunto nella tutela reale.
Essa, però, lascia impregiudicata l'esperibilità di tutela diversa da questa, ossia di quella
risarcitoria contemplata dalla L. 16 luglio 1966, n. 604, art. 8, sempre dovuta qualora il rapporto
non si ripristini; laddove, rispetto al risarcimento, l'offerta datoriale di riassunzione contemplata
dall'art. 8, corrisponde ad una proposta contrattuale di ricostituzione di un nuovo rapporto (Cass.
24 febbraio 2011, n. 4521; 26 febbraio 2002, n. 2846).
9.- L'accoglimento della domanda risarcitoria non travolge gli effetti della delibera di esclusione;
e non impedisce neppure che essa continui a produrre i propri effetti anche come regola del caso
concreto: ciò perchè la domanda ha per oggetto il diritto ad un ristoro per il fatto che la cessazione
del rapporto di lavoro ha cagionato un danno e l'ha provocato illegittimamente.
L'oggetto del giudizio è definito dalla pretesa fatta valere con la domanda; e qui la pretesa consiste
soltanto nel diritto al risarcimento del danno, che deve avere la qualificazione di "ingiusto", ma
che innanzi tutto deve essere identificabile come tale.
Rispetto a questa pretesa l'illegittimità del recesso e della delibera di esclusione dovuta ai
medesimi fatti identifica l'ingiustizia del danno ed è per conseguenza oggetto di accertamento.
9.1- Pretendere che chi intenda chiedere soltanto la tutela risarcitoria derivante dal licenziamento
illegittimo debba impugnare la delibera di esclusione equivarrebbe ad assoggettare la fruizione
della prima ad un presupposto proprio della tutela restitutoria conseguente all'invalidazione
dell'esclusione.
Laddove, in virtù dell'art. 24 Cost., spetta al titolare della situazione protetta scegliere a quale
tutela far ricorso per poter ottenere ristoro del pregiudizio subito.
9.2.- Gli effetti derivanti dalla delibera di esclusione non s'identificano quindi con quelli scaturenti
dal licenziamento.
Anzi: sono proprio gli effetti della delibera di esclusione a dare consistenza agli effetti risarcitori
derivanti dal licenziamento illegittimo.
Il che sostanzia l'autonomia delle rispettive tutele (secondo un modello già applicato in altri settori
come, in via d'esempio, è accaduto a proposito dell'ammissibilità della tutela risarcitoria degli
interessi legittimi anche se non sia stata in precedenza richiesta e dichiarata in sede di
annullamento l'illegittimità dell'atto: cfr., fra varie, Cass., sez. un., ord. 10 novembre 2010, n.
22809; 3 marzo 2010, n. 5025; 23 dicembre 2008, n. 30254; 15 giugno 2006, n. 13911, nonchè 13
giugno 2006, nn. 13660 e 13659).
9.3.- È, questa, l'opzione più coerente con le esigenze di tutela e garanzia, dinanzi sottolineate, del
socio lavoratore, il quale pur sempre, nonostante partecipi alla realizzazione dello scopo
mutualistico, permane l'anello debole della combinazione sintetizzata nel lavoro cooperativo.
10.- Il primo motivo di ricorso va quindi rigettato, con l'affermazione del seguente principio di
diritto: “In tema di tutela del socio lavoratore di cooperativa, in caso d'impugnazione, da parte del
socio, del recesso della cooperativa, la tutela risarcitoria non è inibita dall'omessa impugnazione
della contestuale delibera di esclusione fondata sulle medesime ragioni, afferenti al rapporto di
lavoro, mentre resta esclusa la tutela restitutoria”.
11.- Gli atti vanno trasmessi alla sezione lavoro di questa Corte per l'esame dei restanti motivi e
la regolazione delle spese.
 PQM
rigetta il primo motivo di ricorso e rimette gli atti alla sezione lavoro per l'esame dei restanti motivi
e la regolazione delle spese.
Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2017

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