TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

testo della sentenza

Le Autorità di Sistema Portuale (AdSP), a seguito della prima riforma dell’ordinamento portuale, introdotta con il d.lgs. n. 169/2016, sono state formalmente ricomprese nel novero degli enti pubblici non economici e, in quanto tali, hanno attratto a sé molte disposizioni del Testo Unico sul pubblico impiego, anche oltre l’espressa previsione normativa
Tuttavia, la specialità di queste Autorità e, in particolare, della disciplina dei rapporti di lavoro, demandati alla sfera privatistica, ha messo più volte in discussione la riconducibilità di queste Autorità nell’alveo delle pubbliche amministrazioni in senso stretto, lasciando così affiorare anche la tesi del tertium genus.
In questo senso la recente sentenza della Corte Cost. n. 133/2023 (https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2023&numero=133), in materia di c.d. avanzamento automatico, ha invertito la rotta di quella tendenza pubblicistica, recuperando ed enfatizzando, con spinta innovatrice, la peculiarità di queste Autorità e degli interessi da questa perseguite, confermandone il ricorso a modelli privatistici legittimati a derogare le disciplina del concorso pubblico.

Abstract: Labor relations within the Port System Authorities between public and private law: the recovered speciality after the judgment of the Constitutional Court. n. 133/2023
The Port System Authorities (AdSPs), following the first reform of the port system, introduced by Legislative Decree No. 169/2016, were formally included among non-economic public entities and, as such, have attracted to themselves many provisions of the “Testo Unico sul Pubblico Impiego”, even beyond the express regulatory provision.
However, the specialty of these Authorities and, in particular, of the regulation of labour relations, which are devolved to the private sphere, has repeatedly called into question the inclusion of these Authorities among public administrations in the strict sense, thus also allowing the tertium genus thesis to surface.
In this sense, the recent sentence of the Constitutional Court No. 133/2023, about so-called automatic advancement, reversed the course of that publicist tendency, recovering and emphasizing, with innovative thrust, the peculiarity of these Authorities and the interests pursued by them, confirming the recourse to private models entitled to derogate from the rules of public competitions.

SOMMARIO: 1. L’ordinamento portuale italiano – 2. Il contratto collettivo dei lavoratori portuali applicato alle AdSP – 3. La disorganica applicazione della disciplina sul contingentamento della spesa pubblica al personale dipendente dell’Autorità portuale: la genesi della “tendenza pubblicistica” nei rapporti di lavoro – 4. Gli ambiti di applicazione del d.lgs. n. 165/2001 nelle AdSP e la sua tendenza espansiva – 4.1. Le procedure di selezione del personale e il conferimento di incarichi dirigenziali – 4.2 Le altre discipline pubblicistiche applicabili alle AdSP – 5. Il caso: l’obbligo di assicurazione da disoccupazione involontaria nell’Autorità portuale di Venezia: tra la prospettiva privata e quella pubblica – 6. La controversa applicazione dell’art. 2103 c.c.: verso la ritrovata specialità delle AdSP

1. L’ordinamento portuale italiano
La disciplina di riordino della legislazione in materia portuale, contenuta nella legge 28 gennaio 1994, n. 84, che giunge solo dopo l’intervento della Corte di Giustizia Europea , ha dotato l’ordinamento italiano di una normativa moderna e adeguata ai principi (allora) comunitari sul piano della libera concorrenza e della liberalizzazione nei porti, favorendo la competitività tra gli scali e superando il previgente sistema portuale, anche con l’applicazione del principio cardine della separazione dell’attività amministrativa da quella commerciale .
Attraverso questa legge è stato introdotto un modello di governance pubblica dei porti affidata a 24 Autorità portuali che, succedendo a titolo non universale ai precedenti enti portuali, sono divenute sia il soggetto regolatore delle attività imprenditoriali svolte nel porto che l’ente gestore del demanio, secondo il tipico modello del Landlord Port .
Le Autorità portuali sono quindi enti pubblici istituiti per garantire la realizzazione e la regolazione di un libero mercato all’interno del porto, dove gli operatori possano concorrere fra di loro, secondo procedure neutrali e trasparenti, favorendo al tempo stesso la competitività dello scalo di riferimento, senza limitazioni di accesso che non siano giustificate dalla scarsità delle aree disponibili.
Nel 2016 il d.lgs. n. 169/2016 ha introdotto una nuova disciplina del sistema portuale preordinata non solo allo snellimento e alla razionalizzazione delle Amministrazioni portuali bensì anche alla logica della centralizzazione e del coordinamento, nella prospettiva del superamento del c.d. municipalismo portuale.
Sono quindi state istituite n. 16 Autorità di Sistema Portuale (da ora in poi anche AdSP), in luogo delle precedenti n. 24 AP, classificate come enti pubblici non economici di rilevanza nazionale a ordinamento speciale, dotati di autonomia amministrativa, organizzativa, regolamentare di bilancio e, in ragione di ciò, collocate nel novero delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001.
Tale disposizione è apparsa ai più come risolutiva di quella diatriba sulla natura giuridica di questi Enti, determinando così il superamento di quella tesi minoritaria sulla sua valenza “economica” delle Autorità.
La riforma non considera più il porto come mera infrastruttura territoriale, introducendone una concezione più funzionale e comprensiva anche delle aree retrostanti connesse con il flusso e con la trasformazione di merci, associandola così a un sistema di reti, di flussi e di relazioni fisiche e immateriali capaci di produrre un valore aggiunto per il territorio locale e nazionale
Il successivo d.lgs. 232/2017, c.d. “correttivo”, tra le varie novità, ha ampliato i poteri di iniziativa programmatica del Presidente, assegnandogli la responsabilità di garantire una manodopera portuale adeguata qualitativamente e numericamente alle dinamiche e alle caratteristiche dei nuovi trasporti marittimi, potendo intervenire, attraverso lo strumento del piano organico del porto e dei lavoratori, con meccanismi di riqualificazione e di riconversione del personale (art. 8, comma 3 lett. s-bis e comma 3 bis).
2. Il contratto collettivo dei lavoratori portuali applicato alle AdSP
I rapporti di lavoro dei dipendenti di queste Autorità sono regolati dalla disciplina privatistica del codice civile e delle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’ impresa oltre che dal contratto collettivo nazionale dei porti.
Il contratto collettivo nazionale dei porti, introdotto a decorrere dal 1.01.2000 , ha risposto, da un lato, all’esigenza di dotare il nuovo sistema portuale (comprensivo delle imprese, delle Autorità portuali e dei lavoratori portuali) di una disciplina dei rapporti di lavoro uniforme e caratterizzata da equità di trattamento economico e normativo, con l’obiettivo di evitare che, all’interno di un porto e tra i singoli porti, si determinassero forme di concorrenza incentrate sulla riduzione dei diritti e dei trattamenti minimi dei lavoratori; dall’altro, di introdurre un contratto unico quale riferimento per la individuazione del c.d. minimo inderogabile normativo ed economico, già previsto dal legislatore in un comma del previgente art.17 della. l. n. 84/1994, soprattutto per i lavoratori appartenenti alle imprese di cui agli artt. 16, 17e 18 .
La ricomprensione delle AdSP tra i soggetti privati destinatari di questo contratto presenta quindi anche ragioni storiche connesse con la genesi di questi Enti e, più precisamente, con la fase transitoria di trasformazione dalle organizzazioni portuali (enti che gestivano il porto prima della riforma del 1994 e che sono elencati dall’art. 2 della L. n. 84/1994 s.m.) alle Autorità Portuali.
Il trasferimento dei lavoratori appartenenti ai precedenti enti portuali alle dipendenze delle Autorità portuali (oggi Autorità di Sistema Portuale) è avvenuto in continuità di rapporto di lavoro e conservando il trattamento previdenziale e pensionistico in essere alla data del trasferimento nonché, ad personam, il trattamento retributivo, mantenendo l'eventuale importo differenziale fino a riassorbimento , mentre i lavoratori portuali e gli addetti in servizio presso le compagnie e gruppi portuali sono passati, sempre in continuità di rapporto di lavoro, nelle società private di cui al libro V, titolo V e VI del codice civile.
Se comunque il ricorso al trattamento privatistico nella disciplina del lavoro presso la pubblica amministrazione è ormai consolidato nella fattispecie dell’impiego pubblico contrattualizzato, rimane sicuramente singolare la previsione della L. n. 84/1994 che affida la sottoscrizione del contratto collettivo nazionale, da lato datoriale, all’Associazione rappresentativa delle Autorità Portuali (Assoporti) , e non all’Agenzia Nazionale per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni, come stabilito dall’art. 46, comma 1, del d.lgs. n. 165/2001.
Ad oggi, tuttavia, le ragioni che hanno determinato la condivisione del medesimo contratto collettivo nazionale per i dipendenti delle Autorità Portuali (oggi AdSP) possono considerarsi come superate e, al contrario, ci si potrebbe domandare se tale strumento contrattuale sia ancora idoneo a tutelare in modo adeguato le posizioni e le istanze di dipendenti di una pubblica amministrazione al pari dei lavoratori che operano presso i terminal.
3. La disorganica applicazione della disciplina sul contingentamento della spesa pubblica al personale dipendente dell’Autorità portuale: la genesi della “tendenza pubblicistica” nei rapporti di lavoro
Con l’introduzione delle disposizioni aventi ad oggetto il blocco degli aumenti retributivi e i vincoli del contingentamento economico del costo del personale disposti dall’art. 9, comma 1 e 2 del d.l. n. 78/2010, convertito con legge 30 luglio 2010, n. 122, ci si è trovati davanti alle prime difficoltà interpretative relative alla qualificazione giuridica di tali enti e quindi anche all’individuazione della disciplina da applicare al personale dipendente, optando per scelte interpretative non sempre univoche
Se da un lato era stata confermata l’estraneità delle Autorità portuali rispetto alle disposizioni relative al blocco delle assunzioni, di cui alla l. n. 311/2004 (legge finanziaria 2005), sia in considerazione della natura privatistica del rapporto di lavoro del personale di tali enti che della loro autonomia finanziaria , dall’altro, in relazione ai blocchi retributivi disposti dal d.l. 78/2010, la questione è risultata più controversa.
Queste ultime disposizioni, infatti, sono rivolte ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuato dall’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) previsto dalla Legge 196/2009, tra le quali sono state comprese anche le Autorità portuali .
In un primo momento era stato affermato che le norme relative al personale di enti pubblici non dovevano essere applicate direttamente alle Autorità portuali ma solo tenute in considerazione “esclusivamente con valore di indirizzo nell’ambito di un generico contenimento della spesa pubblica” poiché “la specificità del rapporto di lavoro (privatistico) prevale sulla natura (pubblica) dell’ente e che non è sufficiente l’appartenenza dell’ente ad una categoria di soggetti destinatari di norme per determinare la diretta applicabilità quando esse attengono al rapporto di lavoro”.
Tuttavia, per il giudice amministrativo che ha dato rilievo solo all’ambito di applicazione della Legge n. 78/2010 e quindi all’inserimento delle AP nell’elenco ISTAT, ha confermato per il triennio 2011-2013, la validità del divieto di incremento del trattamento economico complessivo anche per i dipendenti delle Autorità portuali per l’anno 2010.
L’art. 6, comma 12, dello stesso decreto, relativo alla soppressione delle diarie per missione all’estero, di cui all’art. 28 del d.l. 4 luglio 2006 n. 223, sembra invece coinvolgere solo il personale delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2 del d.lgs. n. 165/2001, escludendo quindi quello delle AP, rispetto al quale la materia dei trattamenti da corrispondere per missioni e trasferimenti all’interno e all’esterno del territorio nazionale resta disciplinata dai contratti collettivi nazionali dei lavoratori dei porti in relazione ai quali deve essere valutata la coerenza della previsione regolamentare introdotta dall’AP”.
Ad oggi, nonostante le modifiche introdotte dal d.lgs. n. 169/2016, l’indennità di trasferta, soppressa con carattere di generalità per tutte le amministrazioni pubbliche dall’art. 1, c. 214 della legge n. 266 del 2005, continua invece ad operare per le AdSP, dando ancora un a volta evidenza della peculiarità di questo ordinamento.
Anche le successive disposizioni contenute nel d.l. 6 luglio 2012, n. 95, noto anche come “Spending Review”, hanno visto le Autorità portuali in modo non sempre univoco.
Da un lato, infatti, in considerazione della “specialità” della disciplina portuale , si è affermata l’esclusione dell’applicazione delle misure relative alla riduzione delle dotazioni organiche nella pubblica amministrazione (art.2), dall’altro, invece l’adeguamento del valore dei buoni pasto è stato invece ritenuto riconducibile anche al personale delle AP, in ragione dell’inserimento di tali Enti nel già richiamato elenco ISTAT, non rilevando, questa volta, le considerazioni circa la prevalenza della disciplina privatistica affidata ai CCNL .
4. Gli ambiti di applicazione del d.lgs. n. 165/2001 nelle AdSP e la sua tendenza espansiva
4.1 Le procedure di selezione del personale e il conferimento di incarichi dirigenziali
Il Legislatore della novella del 2016, oltre a definire le Autorità di Sistema portuali come enti pubblici non economici, ha introdotto il richiamo ai principi di cui al Titolo I del d.lgs. n. 165/2001 e all’art. 35, comma 3 del medesimo decreto .
In realtà la riconducibilità delle AdSP nel novero delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001 in considerazione della riforma del 2016 non si presenterebbe come una novità, quanto invece come una disposizione con evidente significato interpretativo .
Infatti, l’assunto in base al quale il momento genetico del rapporto lavorativo nelle AdSP, diversamente dalla sua fase gestionale, sia assoggettato alle regole attraverso le quali il legislatore ordinario ha attuato l’art. 97 Cost. e, pertanto, ai criteri e alle modalità stabilite per l’accesso alle amministrazioni pubbliche, risulta condiviso e attuato prima ancora dell’entrata in vigore della riforma portuale del 2016 .
L’assunzione del modello pubblicistico del concorso pubblico per l’ingresso nelle AdSP si estende anche alla procedura per l’attribuzione di incarichi dirigenziali, presso le medesime amministrazioni, determinando anche l’applicazione di quelle disposizioni del d.lgs. n. 165/2001 che, in realtà, si trovano fuori dal perimetro delle norme espressamente richiamate nel nuovo testo riformato della L. n. 84/1994 e quindi applicabili ai dipendenti delle AdSP.
Fra queste rilevano sicuramente i principi generali sulla dirigenza, disciplinati dal capo II del d.lgs. n. 165/2001, fra i quali vi è anche quello che prescrive il possesso del diploma di laurea quale requisito per l’accesso ad incarichi dirigenziali.
Sul punto si è infatti evidenziato che l’art. 19, comma 6, del sopracitato decreto, “nel prevedere tra i requisiti di ammissione al concorso per dirigenti il possesso della laurea, fissa, infatti, un principio generale valido per l’accesso alla dirigenza di tutte le pubbliche amministrazioni” e quindi cogente anche per le AdSP .
La disciplina del concorso pubblico per l’affidamento di un incarico dirigenziale nell’AdSP non rileva solo nell’ipotesi di ingresso dall’esterno, ma anche nel caso di progressioni verticali dall’inquadramento di un funzionario. In tale circostanza, infatti, si realizza una novazione oggettiva del rapporto di impiego del tutto equiparata al reclutamento dall'esterno e quindi, in quanto tale, soggetta anch’essa alla disciplina del concorso pubblico, nel rispetto dei principi contenuti all’art. 97 della Costituzione .
4.2. Le altre discipline pubblicistiche applicabili alle AdSP
Fra gli articoli del Titolo I del d.lgs. n. 165/2001, direttamente applicabili alla disciplina delle AdSP vi è sicuramente anche l’art. 6, così come modificato dal d.lgs. 25.05.2017, n. 75, che introduce il Piano Triennale dei Fabbisogni del Personale (PTF), ovvero un atto programmatico con prospettiva triennale, sebbene sia adottato annualmente, che, in coerenza con la pianificazione pluriennale delle attività, con il piano delle performance, di cui al d.lgs. n. 150/2009 e con le linee d’indirizzo di cui all’art. 6 ter del d.lgs. n. 165/2001 , persegue l’obiettivo di coniugare l’ottimale impiego delle risorse pubbliche con performance organizzativa, efficienza, efficacia, economicità e qualità dei servizi ai cittadini, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica. Il legislatore del 2017 ha quindi messo a disposizione della Pubblica Amministrazione uno strumento dotato di un approccio più ragionato e consapevole della gestione delle risorse umane nella pubblica amministrazione, indirizzato anche verso il riconoscimento e lo sviluppo di professionalità pubbliche, disponendo anche come sanzione conseguente alla sua mancata adozione l’impossibilità a procedere a nuove assunzioni .
Del resto, che le AdSP debbano tener in necessaria considerazione l’effettivo fabbisogno del personale, è stato ribadito in più occasioni e da ultimo anche dai giudici cassazionisti secondo i quali tali amministrazioni, nell’instaurazione di stabili rapporti di lavoro, devono tenere conto “dell’effettivo fabbisogno di personale, delle esigenze finanziarie dell’ente pubblico non economico, della necessaria pubblicità delle forme di reclutamento, cioè degli interessi pubblici e dei principi consacrati dall’art. 97 Cost.”. In tale circostanza si è affermato anche per le AdSP il divieto di conversione dei contratti, di cui all’art. 36 del d. lgs. 165/2001 .
Le AdSP risultano destinatarie anche della disciplina sull’anticorruzione e sulla trasparenza, anche in virtù delle modifiche apportate dal d.lgs. 25.05.2016, n. 97, e, a seguito della legge 06.11.2012, n. 190 (art. 1, co. 2-bis), ricomprese tra i soggetti tenuti all’adozione del Piano Triennale per la Prevenzione della Corruzione.
Parimenti, anche in virtù dell’art. 1, comma 2, lett. b) del d.lgs. 8.04.20213, n. 39, le AdSP sono, a tutti gli effetti, destinatarie delle disposizioni in materia di incompatibilità e inconferibilità degli incarichi , oltre a tutte quelle misure di prevenzione della corruzione e della trasparenza come quelle contenute all’art. 53 del d.lgs. n. 165/2001, concernente l’incompatibilità e il cumulo di impieghi e incarichi, e all’art. 54 del medesimo decreto che disciplina invece il codice di comportamento.
Dall’applicazione della l. n. 190/2012 alle AdSP è disceso come naturale corollario anche il riconoscimento del sistema di valutazione delle performance nelle pubbliche amministrazioni, di cui al d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, in particolare gli articoli 2 e 14 concernenti la costituzione dell’Organismo Interno di Valutazione.
Anche l’applicazione di questo istituto è stato il risultato dell’espansione della disciplina pubblicistica che, a seguito della riforma del 2016 ha portato le AP, alla sostituzione dei precedenti servizi di controllo interno che valutavano e verificavano la correttezza dei processi di misurazione, valutazione e premialità dei pubblici dipendenti
Il Ministero vigilante, infatti con l’emanazione della Direttiva n. 245 del 31.05.2017, recante la «Individuazione degli obiettivi finalizzati alla determinazione della parte variabile dell’emolumento dei Presidenti delle Autorità di Sistema Portuale per l’anno 2017», ha indicato espressamente fra gli obiettivi operativi assegnati ai Presidenti, la costituzione di idonei Organismi interni di valutazione (OIV), secondo il modello indicato dal d.lgs. n. 150/2009.
Parimenti, in attuazione dell’art. 263 del d.l. n. 34/2020, convertito con modificazioni dalla legge n. 77/2020 e rivolto a tutte le amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1 del d.lgs. n. 165/2001, le AdSP hanno adottato il Piano Organizzativo del Lavoro Agile (POLA) finalizzato a promuovere l’attuazione del lavoro agile.
Giova evidenziare che, anche in questa circostanza, l’applicazione della disciplina pubblicistica alle AdSP è avvenuta, non in ragione di un espresso richiamo del legislatore , ma in virtù della loro riconducibilità nel novero delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2 del d.lgs. n. 165/2001.

5. Il caso: l’obbligo di assicurazione da disoccupazione involontaria nell’Autorità portuale di Venezia: tra la prospettiva privata e quella pubblica
L’estensione alle AdSP dell’obbligo di assicurazione da disoccupazione involontaria rappresenta oggi un tema che si presta a soluzioni non certo univoche, a seconda della possibilità o meno di riconsiderare la vocazione imprenditoriale in questi Enti ai fini dell’interpretazione della disciplina da applicare.
Tale obbligo, dapprima applicato a favore di tutti i dipendenti delle aziende pubbliche, aziende esercenti pubblici servizi ed aziende private, anche se garantite da stabilità di impiego, è stato esteso agli impiegati, anche delle P.A. e per gli enti pubblici non economici, cui non sia garantita la stabilità di impiego.
L’esonero delle AdSP passa quindi da una effettiva valutazione circa la sussistenza in concreto di tale presupposto nella disciplina lavorativa dei dipendenti di questi enti e quindi riporta ancora una volta alla valutazione sulla loro natura giuridica.
Privilegiando la prospettiva privatistica, si è arrivati a dare rilievo dirimente al richiamo operato dall’art. 35 del CCNL alla disciplina dei licenziamenti di cui all’art. 2119 c.c. e della l. n. 604/1966 , escludendo quindi il presupposto della stabilità di impiego nelle AdSP e di conseguenza affermando l’applicazione del sopracitato obbligo .
In posizione opposta invece, il Giudice del Lavoro ha evidenziato non solo che l’AP (oggi AdSP) è un Ente privo di qualsivoglia disponibilità in ordine alla propria pianta organica, la cui sussistenza è stabilita in base al processo decisionale e di controllo rimesso a enti e funzioni esterne (la cui definizione è invece rimessa all’approvazione del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, ai sensi dell’art. 12, comma 2, lett. b, l. n. 84/1994 s.m.i.), ma anche che “la cessazione del rapporto del personale delle Autorità portuali (oggi AdSP) per recesso datoriale è prevista non già per effetto (anche) di un generico giustificato motivo quale clausola generale che lascia al datore di lavoro ampia discrezionalità, bensì unicamente in casi puntuali e ristretti, tutti riconducibili, nella sostanza al di là della formale terminologica utilizzata, alla nozione di giusta causa, tali quindi da porsi come specifiche eccezioni ad una garanzia “a priori” del posto di lavoro” .
Secondo il giudice quindi, il riferimento all’art. 35 del vigente CCNL prevede una serie di ipotesi che si riferiscono a specifiche condotte di infrazione a disciplina e diligenza del lavoratore.
Parimenti, è stato rilevato che anche la valutazione delle funzioni pubblico-indisponibili dell’Ente non consente di ricorrere al licenziamento per ragioni economiche e anche per questo motivo l’AdSP risulta estranea al rischio di esporre il proprio personale alla disoccupazione per scelte legate all’attività produttiva o all’organizzazione del lavoro, privilegiando così il suo profilo pubblicistico.
6. La controversa applicazione dell’art. 2103 c.c.: verso la ritrovata specialità delle AdSP
La riconducibilità delle Autorità di Sistema Portuale nel novero delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001 ha determinato, in molti casi, l’estensione della disciplina pubblicistica oltre l’espressa previsione normativa, portando, di fatto, anche alla disapplicazione di disposizioni ancora operative come l’art. 2103 c.c.: “classificare tale ente tra le amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1 co. 2 d.lvo165/2011 implica che, ai rapporti di lavoro posti in essere dallo stesso, si applica tutto il testo unico ex art. 1 co. 1, con la conseguenza che in effetti, le mansioni sono disciplinate non dall’art. 2103 c.c. (in questo senso Cass. 1346/2008 e da ultimo Cass. 22835/2014) ma dall’art. 52 del citato decreto. Né sul punto, può farsi riferimento alle disposizioni del contratto collettivo, posto che le norme del decreto hanno carattere imperativo e sono derogabili dalle norme contrattuali solo nelle materie espressamente indicate (art. 2 co. 2)” .
Recentemente, però, su questo istituto si è registrata un’inversione di rotta che potrebbe determinare una battuta d’arresto anche per quella tendenza espansiva pubblicistica sulla disciplina dei rapporti di lavoro nelle Autorità di Sistema Portuale.
Secondo l’ultima posizione della Consulta, sentenza n. 133 del 10.05.2023, “per le Autorità Portuali, più che per le altre pubbliche amministrazioni, la via dell’efficienza nella gestione dei rapporti di lavoro ha continuato ad essere ricercata nell’ambito del modello privatistico, cui il legislatore ha fatto richiamo per istituti come quello previsto dall’art. 2103 cod.civ., difficilmente compatibile con la disciplina del pubblico impiego”.
L’applicabilità dell’art. 2103 c.c. nell’ambito delle progressioni di carriera rappresenta quindi una deroga alla regola del concorso pubblico, giustificata dal perseguimento del buon andamento e dell’efficienza dell’amministrazione delle Autorità portuali.
Tale pronuncia, seppure riferita alla questione della legittimità costituzionale di quelle disposizioni della Legge n. 84/1994 s.m.i che definiscono la natura privatistica del rapporto di lavoro nella versione ante riforma del 2016, ha riportato in auge il tema della specialità delle Autorità Portuali e della disciplina a questa applicabile.
Si tratta di una peculiarità che i giudici hanno posto in stretta connessione con la necessità di tutelare le esigenze operative dei porti, anche nella prospettiva di recuperare la corretta esegesi dei rapporti giuslavoristici e quindi di arginare l’estensione del d.lgs. 165/2001 al di fuori delle disposizioni espressamente richiamate dalla legge portuale
La specialità di questi enti infatti, emerge, da un lato, come espressione della legge n. 84/1994 che ha introdotto una disciplina autonoma per il sistema portuale, idonea a derogare la normativa generale, dall’altro, anche in relazione agli interessi e agli obiettivi perseguiti strettamente connessi con gli operatori portuali e con la capacità di comprendere e intercettare in modo rapido e adeguato l’evoluzione e l’andamento dei traffici e, più in generale, del commercio marittimo internazionale.
La L. n. 84/1994 ha infatti evidenziato la rilevanza, oltre che la necessità, di riconoscere e tutelare le specifiche competenze del settore marittimo-portuale, tanto da richiedere per due dei suoi organi istituzionali (Presidente e Comitato di gestione) la comprovata esperienza e qualificazione professionale nei settori dell'economia dei trasporti e portuale e oltre a giustificare la possibilità di procedere con la c.d. chiamata diretta “in caso di particolari esigenze e avuto riguardo alle caratteristiche professionali e specificità delle funzioni da coprire, con criteri aziendalmente stabiliti” .
Parimenti la legge portuale ha declinato un modello gestionale improntato sul dialogo e sulla vicinanza degli stakeholder nella definizione delle strategie del porto .
Del resto, occorre rilevare che anche le istituzioni Europee, in diverse occasioni, hanno enfatizzato la valenza imprenditoriale di queste Autorità (al punto da escludere la qualificazione di pubbliche amministrazioni in senso stretto ) così come la natura economica delle attività istituzionali da queste svolte, come il rilascio di concessioni e autorizzazioni .
Classificare queste Autorità in modo tradizionale determina quindi diverse difficoltà, al punto che appare più congrua la tesi che ne sostiene la natura ibrida e che, rifiutando quella dicotomia tra fra le pubbliche amministrazioni e soggetti privati, enfatizza invece la specialità di questi Enti e la rilevanza degli interessi a cui sono preposte, anche con l’obiettivo di arginare quella graduale tendenza espansiva della disciplina pubblicistica sulla fase gestionale del rapporto dei dipendenti delle AdSP che, diversamente da quella genetica, come ribadito anche dalla Consulta, dovrebbe mantenersi ancorata alla sfera privatistica.

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