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Il diritto del lavoro è una materia ad alta transattività e gli avvocati giuslavoristi per formazione sono portati alla ricerca, anzitutto, di un equo accordo tra le parti. Da sempre, infatti, il tentativo di conciliazione rappresenta un fulcro centrale ed ineliminabile della vertenza di lavoro, sia in fase extragiudiziale – sia pure con alterne vicende nel tempo – sia in fase giudiziale, tanto che la prima udienza del rito lavoro è riservata al tentativo obbligatorio di conciliazione da parte del Giudice.
La materia è regolata dal principio del “favor lavoratoris”, posto che il lavoratore è inteso come parte “debole”, condizionabile e da tutelare; motivo per cui accordi transattivi privati, che potrebbero essere coartati da parte datoriale, non sono validi e sono impugnabili entro il termine di sei mesi dalla stipula ovvero dalla cessazione rapporto se successiva (art. 2113 Cod. Civ.).
Perché l’accordo transattivo tra le parti sia invece immediatamente efficace e non impugnabile – “tombale” come si usa dire in modo eloquente – occorre sottoscriverlo in una sede c.d. “protetta”, idonea a garantire presuntivamente la genuinità e spontaneità del consenso del lavoratore. Sono tali:
 la sede giudiziale ex art. 420 c.p.c.;
 le Commissioni di Conciliazioni presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro (già Direzione Provinciale del Lavoro) ex art. 410 c.p.c.;
 i Collegi di Conciliazione e Arbitrato ex art. 412 ter e quater c.p.c.
 le sedi sindacali ex art. 411 c.p.c.
La sede giudiziale presuppone la previa instaurazione di una causa, in difetto della quale le parti possono liberamente scegliere di stipulare la conciliazione in via amministrativa, arbitrale o sindacale.
Va per la maggiore sicuramente la sede sindacale, e, da molti anni ormai, mono-sindacale, ossia alla presenza di un sindacalista appartenente ad una sola sigla, a prescindere dalla iscrizione del lavoratore: è certamente la soluzione più semplice, immediata ed economica. Gli arbitrati sono poco amati per i requisiti richiesti ai membri del Collegio e le formalità proprie del procedimento arbitrale, che lo appesantiscono e complicano non di poco. Quanto alle Commissioni di Conciliazione presso le ITL, soprattutto in territori ad alta densità come Milano-Lodi, hanno tempistiche di convocazione eccessivamente lunghe e incerte. Da qui l’uso e l’abuso della sede sindacale.
Il sistema con l’andar del tempo e l’elevata conflittualità del settore ha creato storture sotto gli occhi di tutti, rivelando che tra quelle previste la sede realmente protetta, alla presenza di un terzo imparziale con sufficiente cognizione della lite e del senso logico e legale della conciliazione, è attualmente la giudiziale.
Gli altri Uffici, infatti, il più delle volte ignorano i fatti pregressi e la portata della conciliazione, che, in progressione seriale e in pochi minuti, trovano già bella e confezionata avanti a sé, pronta da firmare.
Ciò avviene sovente, in modo paradossale, anche in sede sindacale, troppe volte priva di reale rappresentatività: vi si ricorre, infatti, a prescindere dall’adesione del lavoratore al sindacato e su impulso datoriale. In sostanza, il datore di lavoro per beneficiare di un accordo “tombale” organizza a propria cura ed onere la firma del verbale di conciliazione alla presenza di un sindacalista qualsiasi, che con l’ammonimento circa gli effetti definitivi e irrevocabili della conciliazione e la sua firma sul verbale esaurisce il suo compito, tante volte neppure curando il deposito dell’atto in ITL.
Pressoché tutti i sindacati offrono un siffatto servizio: esistono uffici all’uopo specificamente organizzati, con salette di attesa stracolme, file e via vai simili a un pronto soccorso. Redigono addirittura listini, la cui maggiore o minore onerosità può determinare la scelta di una sigla piuttosto che un’altra. Un vero e proprio business, divenuto di dimensioni tali ormai da non poter passare inosservato.
Da qui interventi giudiziari molto recenti, rivolti a sancire l’impugnabilità di verbali di conciliazione mono-sindacali al di fuori delle ipotesi previste dal CCNL e comunque in difetto di effettiva rappresentatività del sindacato coinvolto , e il rifiuto di apporre la formula esecutiva su siffatti verbali da parte dei Tribunali (perciò in ITL a Milano giacciono chiusi in armadi molti verbali, bloccati alla richiesta di esecutorietà).
Nei casi citati la presunzione di sede protetta si rivela fallace: dov’è la protezione, la rappresentatività, la scienza e coscienza di natura e oggetto dell’intesa? Non c’è. O meglio, non ci sarebbe, se non fosse per l’avvocato, figura essenziale ma ingiustamente trascurata.
Dietro la conciliazione c’è, infatti, quasi sempre l’avvocato, cui la parte si affida, incaricandolo di assisterla. È l’avvocato ad essere scelto e deputato, in primis dal lavoratore, a difenderlo e rappresentarlo; tra l’avvocato e il suo assistito si crea un vero rapporto fiduciario, durevole e comunque liberamente revocabile. Se la giurisprudenza per la validità dell’accordo sottolinea la necessità di effettiva assistenza e rappresentatività del lavoratore, piena informazione della vicenda e delle implicazioni dell’accordo e delle rinunce in esso contenute, chi più dell’avvocato può darne prova? Non è forse l’avvocato che con impegno e professionalità ricerca, discute e compila materialmente l’accordo? Ciononostante, quell’accordo deve essere presentato a un terzo – sindacalista, arbitro, commissario – ignaro dei fatti e delle parti, mai viste, mai sentite, e il cui controllo meramente formale e sommario, della durata di un attimo, nulla di più di solito apporta che un aggravio di spesa.
Allora mi domando e chiedo: perché laddove ci siano due avvocati non costituiscono una sede protetta? Cos’hanno di meno? Perché coloro che sono i fautori dell’accordo, che aiutano a raggiungerlo e di fatto finanche materialmente lo stilano, hanno necessità, di portarlo altrove, pagando, semplicemente per farlo timbrare e firmare, talora senza neppure leggerlo, da altri perfino neppure più titolati? Perché la forma prescinde, in questo caso totalmente, dalla sostanza? Non lo so, e soprattutto non me lo spiego.
Sarebbe ora di cambiare. Sarebbe ora di dare all’avvocato, anche nel diritto del lavoro, maggiore dignità. Forse possiamo arrivarci. Ora che la materia civile prevede la negoziazione assistita tra avvocati, finanche per le separazioni coniugali e il divorzio, la speranza di estenderla al diritto del lavoro è tanta negli addetti al settore. Credo che noi e i nostri clienti lo meritiamo. Il sistema lo merita, per migliorare. Chiediamolo in tanti, ad alta voce.

 

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