Testo integrale con note e bibliografia

1. Austerità, retribuzione e destrutturazione della contrat-tazione collettiva

La spirale inflattiva che ha fatto seguito all’emergenza pandemi-ca e si è inasprita con l’invasione russa dell’Ucraina, unitamente alla proposta di direttiva sui salari minimi adeguati nell’Unione eu-ropea , ha risvegliato il dibattito sull’emergenza retributiva in Ita-lia .
Le statistiche non lasciano dubbi. A fronte di un’inflazione or-mai superiore al 6% annuo , negli ultimi 30 anni i salari italiani so-no diminuiti , mentre negli altri Paesi europei raddoppiavano quando non triplicavano .
Questo stallo delle retribuzioni è conseguenza di un vero e pro-prio stallo della produttività generale dal sistema economico e or-mai, secondo i più, impone un ripensamento del sistema retributi-vo nazionale a cominciare dalla contrattazione collettiva che ne rappresenta il fulcro . Non solo e non tanto perché dall’accordo del 2009 la contrattazione collettiva nazionale adegua le retribu-zioni ad un indice, l’IPCA depurato dalla dinamica dei prezzi dei beni energetici importati, evidentemente inadeguato per questi tempi di alta inflazione soprattutto energetica, ma anche perché, stante la perdurante inattuazione dell’art. 39 Cost., la contrattazio-ne collettiva deve ancora oggi svolgersi al di fuori di un quadro ordinamentale rigorosamente presidiato da una legge sindacale che sia in grado di preservarla dalle forti oscillazioni del ciclo econo-mico .
Come dimostrano da un lato i sette anni di blocco delle retribu-zioni nel lavoro pubblico e dall’altro il crescente dumping salariale causato dalla moltiplicazione e concorrenza di contratti collettivi nel settore privato , è questa la ragione per la quale negli anni dell’austerità salariale la necessità economica ha avuto gioco facile nello scardinare le poche regole, di matrice giurisprudenziale o in-tersindacale, che disciplinavano gli assetti e lo sviluppo della con-trattazione collettiva, anzitutto in materia salariale.
Nelle pagine che seguono si svolgeranno alcune considerazioni sulle più recenti proposte legislative e sindacali di riforma della materia salariale nella consapevolezza che, a prescindere dalla so-luzione che si intende adottare, la soluzione dell’emergenza retri-butiva dipende anzitutto dalla ricchezza prodotta dal sistema pro-duttivo, perché non si possono redistribuire risorse che non ci so-no .

2. Problemi di perimetrazione legislativa e sindacale

La prima considerazione da fare è che, pur con tutti i suoi limi-ti, il sistema contrattuale italiano riesce comunque ad assicurare una giusta retribuzione all’85% circa dei lavoratori subordinati, tanto da essere considerato un punto di riferimento anche dalla recente direttiva comunitaria. Si tratta del più elevato grado di co-pertura contrattuale dei Paesi europei, seppure non riesce ad assi-curare un’adeguata remunerazione al rimanente 15% di lavoratori che operano in alcuni specifici settori economici e, più in generale, ai lavoratori precari, a quelli intermittenti e a quelli in nero .
Per tentare di dare una soluzione a questi problemi sarebbe ne-cessario secondo molti, a cominciare dalla Confindustria e da Cgil, Cisl e Uil, estendere l’efficacia dei contratti collettivi nazionali comparativamente più rappresentativi. Il che richiederebbe, però, di affrontare la delicata ed irrisolta questione di come dare attua-zione alla seconda parte dell’art. 39 Cost.. Se non che dopo la boc-ciatura costituzionale, sul finire degli anni ‘50, della legge Vigorelli , il legislatore ha rinunciato ad affrontare direttamente la questione emanando una vera e propria legge sindacale, per limitarsi a tenta-re di estendere l’efficacia del contratto collettivo solo a determinati fini o all’interno di specifici settori con modalità che, come si ve-drà, sono state riprese da alcune recenti proposte in materia ma che a ben vedere non sono esaustive.
Così l’art. 2, comma 25, della Legge n. 549 del 1995, che assu-me a base di calcolo della contribuzione previdenziale i trattamenti economici individuati dai contratti collettivi sottoscritti dai sinda-cati comparativamente più rappresentativi ; le cd. clausole sociali attraverso le quali, secondo il modello oramai consolidato dell’art. 36 dello Statuto dei lavoratori e riproposto con il nuovo Codice dei contratti pubblici, il legislatore promuove indirettamente l’applicazione dei minimi retributivi dei contratti collettivi ritenuti effettivamente rappresentativi nell’ambito o settore, subordinando al loro rispetto la concessione di determinati benefici statali ; o ancora quelle disposizioni che rinviano ai trattamenti economici disciplinati dai contratti collettivi sottoscritti dai sindacati compa-rativamente più rappresentativi per la determinazione delle inden-nità di disponibilità nel lavoro somministrato , nel lavoro inter-mittente e del trattamento economico di quello agile .

Si tratta di tentativi interessanti che secondo alcuni potrebbero essere presi a riferimento per interventi di più ampia portata ma che, a ben vedere, non riescono a risolvere la complessa questione della definizione del perimetro o se si vuole della “categoria” all’interno del quale operare la selezione necessaria ad individuare il contratto collettivo comparativamente più rappresentativo di cui estendere l’efficacia .
Per questo motivo secondo altri si dovrebbe invece seguire la via tracciata da quelle disposizioni, ritenute legittime dalla Corte costituzionale , con le quali il legislatore, in specifici settori o me-glio con riferimento a specifici soggetti datoriali come le società cooperative , gli enti del terzo settore e le imprese straniere che distaccano i lavoratori sul territorio italiano , ha espressamente imposto l’obbligo del rispetto dei trattamenti economici disciplina-ti dai contratti collettivi sottoscritti dai sindacati comparativamen-te più rappresentativi.
Se non che, a ben vedere, queste disposizioni, proprio nella par-te in cui si limitano a disciplinare i casi in cui i perimetri del setto-re sono oggettivamente individuabili in relazione alle particolari caratteristiche che assume il datore di lavoro, dimostrano invece che, ogni qual volta è necessario operare una selezione tra diversi contratti collettivi, non è possibile fare a meno di individuare la ca-tegoria all’interno della quale operare la selezione.
Per dare risposta a tale importante questione, e scongiurare il rischio di una legge sul salario minimo legale, Confindustria con Cgil, Cisl e Uil hanno sottoscritto il 9 marzo 2018 il Patto per la fabbrica che merita particolare attenzione perché rappresenta il più avanzato tentativo sindacale di definire i perimetri all’interno dei quali selezionare il contratto collettivo di cui estendere l’efficacia.
Com’è noto si tratta di un accordo che tenta di portare a com-pimento il processo di autoriforma del sistema contrattuale con-fluito nel Testo Unico sulla rappresentanza del 2014, riconoscendo la necessità di procedere anche alla misurazione della rappresenta-tività delle associazioni dei datori di lavoro, al fine di «definire» e «circoscrivere» i «perimetri» di efficacia della contrattazione collet-tiva da estendere erga omnes e «garantire una più stretta correlazio-ne tra Ccnl e reale attività di impresa», così implicitamente recupe-rando il modello a suo tempo tracciato dall’art. 2070 c. c. per scongiurare fenomeni di dumping salariale .
Soprattutto, l’accordo prevede all’art. 5, quale fondamentale premessa per l’estensione erga omnes del contratto collettivo sotto-scritto dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative, l’accordo prevede, l’istituzione di un modello di certificazione della rappresentanza, anche datoriale, di grande interesse anche perchè per «effettuare una precisa ricognizione dei perimetri» di applica-zione della contrattazione collettiva» coinvolge il Cnel.
Si tratta di un modello avanzato di collaborazione pubblico - privato che, oltre a rivitalizzare il Cnel, avrebbe potuto, almeno sulla carta, portare all’efficace selezione del contratto collettivo comparativamente più rappresentativo ma che purtroppo, a quat-tro anni dalla sua approvazione, non è stato ancora implementato, al punto che ormai si moltiplicano le proposte di un intervento le-gislativo che risolva altrimenti l’emergenza retributiva.

 

3. Considerazioni a margine dei più recenti disegni di legge di riforma del sistema retributivo

Ormai quasi ogni forza politica ha una propria proposta per af-frontare l’emergenza retributiva. Alcuni, soprattutto all’interno del movimento cinque stelle, propongono di seguire la via di una legge sul salario minimo legale per rivoluzionare, sulla scorta di alcune esperienze europee, l’attuale sistema retributivo, recidendo quel legame genetico con la contrattazione collettiva che per ot-tant’anni ha assicurato la giusta remunerazione dei lavoratori ita-liano. Altri, soprattutto nel centrodestra, ritengono invece che non sarebbe necessario un intervento legislativo in materia perché la questione retributiva è anzitutto una questione economica, di ri-duzione del cuneo fiscale. Tra queste due posizioni vi è poi una terza via, prediletta da diversi esponenti del partito democratico che ritiene invece indispensabile estendere l’efficacia della contrat-tazione collettiva comparativamente rappresentativa ai lavoratori che ne sono privi.
Nel solco di questa proposta alcuni ritengono che, sulla scorta del modello sviluppato nel terzo settore, sarebbe sufficiente indi-care al giudice un criterio per selezionare il contratto collettivo da applicare senza ritenere necessaria la preventiva definizione dei pe-rimetri all’interno dei quali selezionare il sindacato maggiormente rappresentativo.
Altri invece ritengono che per individuare il contratto collettivo comparativamente più rappresentativo non si possa prescindere della preventiva definizione di quei perimetri. In questa prospetti-va muove il disegno di legge n. 1132 a prima firma Nannicini, che dispone che il trattamento minimo tabellare individuato dai con-tratti collettivi comparativamente più rappresentativi si applica a tutti i lavoratori del settore sul territorio nazionale, delegando ad un’apposita commissione significativamente radicata presso il CNEL il compito di definire i criteri di selezione del contratto col-lettivo da applicare.
In una linea mediana tra riforma della contrattazione collettiva e salario minimo legale si colloca poi il recente disegno di legge a prima firma dell’On. Catalfo , nella parte in cui mira a valorizzare in materia salariale i contratti collettivi leader, siglati dai soggetti comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale che sia-no «maggiormente connessi e obiettivamente vicini in senso quali-tativo, all’attività effettivamente esercitata dal datore di lavoro», ma che poi dispone, in assenza di quel CCNL, l’introduzione di una soglia minima inderogabile di 9 euro all’ora, in linea con i pa-rametri di adeguatezza indicati dalla Commissione europea (il 60% del salario lordo mediano) .
Anche in questo caso poi, in conformità alle previsioni della proposta di direttiva, si prevede l’istituzione di una Commissione tripartita, composta dalle parti sociali maggiormente rappresenta-tive, con il compito di aggiornare e controllare l’osservanza del trattamento economico proporzionato e sufficiente e si introduce, infine, all’art. 7 un’apposita procedura giudiziale, di matrice collet-tiva, volta a garantire in ogni ipotesi di comportamento diretto a impedire o limitare l’applicazione delle disposizioni contenute nel disegno di legge l’effettività del diritto dei lavoratori a percepire un trattamento economico dignitoso.
Si tratta di proposte interessanti e fantasiose che muovono alla ricerca di un difficile compromesso tra il necessario rispetto della contrattazione collettiva in materia salariale e la sentita necessità di assicurare minimi retributivi inderogabili a tutti i lavoratori at-traverso un salario minimo legale.
Nondimeno, il vero limite di tali proposte risiede nel fatto che eventuali interventi legislativi in materia, se non dovessero essere supportati da una forte condivisione sindacale, rischierebbero di veicolare nel sistema più problemi che soluzioni.
In questo delicato frangente, infatti, le diverse proposte di legge di cui si è dato conto, se dimostrano la progressiva consapevolez-za da parte della classe politica e sindacale dei problemi da affron-tare e degli strumenti che potrebbero essere utilizzati per risolver-li, propongono soluzioni unilaterali della questione salariale che ri-schiano di essere intrinsecamente contraddittorie rispetto ad una situazione di necessità che, in massima parte, è stata determinata dalla progressiva interruzione delle «integrazioni intersistemiche» tra politica e parti sociali .
È per questo auspicabile che nell’autunno caldo che ci attende la questione dell’emergenza retributiva diventi il banco di prova sul quale si possa aprire una discussione tra le diverse forze politi-che che sostengono il Governo alla ricerca di una sintesi politica da suggellare in un grande accordo concertativo, come d’altra par-te accaduto nel 1993 con la sottoscrizione del Protocollo Ciampi-Giugni, che affronti in maniera coerente e completa la grande questione dell’emergenza retributiva in questi tempi di alta infla-zione.
A ben vedere ognuna delle forze politiche che sostengono que-sto particolare Governo ha a cuore una parte della soluzione del problema retributivo: la proposta di salario minimo avanzata dal Movimento 5 stelle mira ad assicurare adeguata protezione agli stipendi più bassi dei lavoratori non coperti dalla contrattazione collettiva che però potrebbero essere tutelati anche attraverso l’estensione erga omnes dei contratti collettivi comparativamente più rappresentativi, come richiesto da Cigl, Cisl e Uil oltre che da mol-ti esponenti del Partito democratico per contrastare il dumping re-tributivo che mina l’autorità salariale del contratto collettivo na-zionale comparativamente più rappresentativo, mentre l’accoglimento della proposta di riduzione del cuneo fiscale, cara anche al centrodestra oltre che alla Confindustria, consentirebbe di alleggerire gli oneri contributivi e fiscali che gravano su lavora-tori e imprese e quindi di aprire la via a quegli aumenti retributivi che tutti attendono da anni.
Si tratta di proposte parziali, che strizzano l’occhio ai rispettivi elettorati di riferimento, ma che a ben vedere potrebbero farsi complementari se il Governo, che dispone di un significativo “te-soretto”, riuscirà a coinvolgere le parti sociali per trovare, proprio con riferimento all’emergenza retributiva, una nuova ed efficace sintesi tra le diverse posizioni delle forze politiche che lo sosten-gono.

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