testo integrale con note e bibliografia

1. L’eterogeneità del lavoro autonomo
Nei Trattati europei (in specie nel TFUE), il lavoro autonomo è posto al centro delle norme sulla libertà di stabilimento e sulla libera prestazione di servizi. Esse garantiscono infatti ai lavoratori autonomi la libera circolazione in quanto professionisti o prestatori di servizi, il che permette loro di trasferirsi in uno Stato membro diverso da quello di origine al fine di esercitare la propria attività professionale in modo stabile e continuativo (art. 49 TFUE) o anche occasionale o temporaneo (art. 55 TFUE) . Tali disposizioni, pur saldamente ancorate ai fondamenti delle libertà fondamentali dell’UE, non recano alcuna definizione di lavoro autonomo e costringono dunque ad interrogarsi continuamente circa i contorni effettivi della categoria.
È rappresentazione condivisa e ampiamente argomentata quella del variegato mondo del lavoro autonomo in termini di eterogeneità . Questo vale anzitutto dal punto di vista quantitativo: il senso comune spiega meglio delle statistiche la differenza fra essere lavoratore autonomo personale (c.d. solo self-employed) e lavoratore autonomo con collaboratori (piccolo imprenditore al ricorrere dell’elemento dell’organizzazione ). Ma anche solo considerando il lavoro autonomo personale, occuparsi di quanti traggono la (quasi) totalità del proprio reddito da lavoro da un solo cliente o committente risulta radicalmente diverso dal considerare il lavoratore autonomo quale soggetto libero di determinare le condizioni economiche di prestazione del servizio che, di conseguenza, sono da lui imposte e non subite.
L’eterogeneità del lavoro autonomo si apprezza altresì sul piano qualitativo. Nell’ampia cerchia dei lavoratori autonomi si tende ad includere professionalità talmente diverse da suggerire cautela nel trarre conseguenze o nessi causali in termini di protezione e tecniche di tutela. Un esempio che si può trarre dal diritto europeo è quello dei musicisti turnisti ingaggiati dalla Vereniging van Stichtingen Remplaçanten Nederlandse Orkesten, ritenuti dalla Corte di giustizia ‘falsi’ autonomi, non potendo lo status di lavoratore essere «pregiudicato dal fatto che una persona è stata assunta come prestatore autonomo di servizi ai sensi del diritto nazionale per ragioni fiscali, amministrative o burocratiche» .
Le ricerche Eurofound rimarcano come l’eterogeneità del lavoro autonomo sia apprezzabile anche nel confronto comparato . In termini statistici i lavoratori autonomi coprono circa il 14% della forza lavoro europea e possono distinguersi secondo almeno cinque gruppi: a) piccoli imprenditori (statisticamente inquadrati come ‘datori di lavoro’); b) lavoratori autonomi personali; c) piccoli commercianti o coltivatori; d) autonomi vulnerabili; e) autonomi ‘nascosti’ (‘concealed’), sovrapponibili per lo più ai lavoratori subordinati in quanto remunerati regolarmente su base settimanale o mensile e secondo un’organizzazione del lavoro similare a quella del lavoro subordinato .
Essendo quella del lavoro autonomo una ‘categoria’ per lo più definita in negativo, ossia a partire dall’ambito di applicazione della disciplina giuslavoristica nei vari Stati membri , si assiste alla difficoltà di porre a confronto, per citare i casi più evidenti, il lavoro autonomo prevalentemente personale non etero-organizzato in Italia , il freie Dienstnehmer in Austria , il lavoro (quasi subordinato) prestato in base a contratti di diritto privato in Polonia , il lavoro economicamente dipendente in Portogallo. La qualificazione giuridica è da sempre una questione mista di fatto e di diritto , poiché il tipo contrattuale è sovrapposto dalla legge alla volontà individuale come conseguenza del primato dei fatti (principio di realtà).
Tali difficoltà di demarcazione costringono a ricercare elementi di qualificazione tratti dagli sparsi frammenti provenienti dal diritto europeo, in specie dalla giurisprudenza della Corte di giustizia in tema di orario di lavoro e non-discriminazione. L’esercizio non risulta fine a sé stesso, giustificandosi invece per la crescente attenzione che la dottrina e lo stesso legislatore hanno rivolto alle esigenze di protezione dei lavoratori autonomi in Europa, se è vero che «perpetuare la contrapposizione “lavorare per gli altri/lavorare per conto proprio” equivale a non capire che nel sistema di produzione capitalistico il lavoro produttivo è sempre un’attività svolta a favore di altri, è sempre finalizzato a un obiettivo economico e da esso dipendente» . Attenzione che si concentra altresì agli snodi più critici della rappresentanza e azione sindacale , e della contrattazione collettiva .

2. L’esclusione del lavoro autonomo dall’ambito di applicazione della Direttiva sull’orario di lavoro
Un recente contributo si propone di ricercare le caratteristiche dell’autonomia nella giurisprudenza relativa allo stesso lavoro subordinato, ad esempio riferendosi alle deroghe contemplate dalla Direttiva 2003/88 in tema di orario di lavoro rispetto agli articoli 3, 4, 5, 6, 8 e 16. Dispone l’art. 17(1) che, pur «nel rispetto dei principi generali della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori», gli Stati membri possono derogare alla disciplina generale ogniqualvolta «la durata dell'orario di lavoro, a causa delle caratteristiche dell'attività esercitata, non è misurata e/o predeterminata o può essere determinata dai lavoratori stessi». La norma propone anche semplificazioni di lavoratori liberi di decidere autonomamente la durata della prestazione, includendovi: a) dirigenti o altre persone aventi potere di decisione autonomo; b) manodopera familiare; o c) lavoratori nel settore liturgico delle chiese e delle comunità religiose».
La norma è stata interpretata dalla Commissione europea nel senso di poter includere fra le deroghe anche i casi di esperti o accademici che abbiano sostanziale autonomia nel determinare il proprio orario di lavoro , o anche lavoratori particolarmente qualificati o ben retribuiti .
La Corte di giustizia, di contro, ha proposto un’interpretazione assai più restrittiva delle deroghe di cui all’art. 17(1), seguendo i canoni generali di interpretazione delle discipline eccettuative. Nel caso Commissione c. Regno Unito, la Corte ha rilevato che «dalla formulazione stessa di tale disposizione risulta che, come la Commissione ha giustamente fatto valere, essa si applica solo ai lavoratori il cui orario di lavoro nella sua interezza non è misurato o predeterminato o può essere determinato dai lavoratori stessi, a causa della natura dell’attività esercitata» . Più di recente, nel caso Academia de Studii Economice din Bucureşti, la Corte ha valorizzato il fatto che nel contratto di lavoro dei docenti e ricercatori universitari vi fosse un’indicazione dell’orario di lavoro, deducendone l’assenza di autonomia nel determinare i tempi della prestazione di lavoro .
Più in generale, dal caso Hälvä concernente case di accoglienza per bambini che prevedevano prestazioni flessibili da parte di genitori “sostituti”, può desumersi un approccio decisamente contrario ad ampliare la portata dell’art. 17(1) anche qualora l’autonomia effettiva della prestazione corrisponda alla ‘normalità’ delle giornate lavorative .
Ricercare i tratti dell’autonomia nella subordinazione consente invero di isolare taluni elementi caratteristici di specifiche figure di lavoratore subordinato per testarne la valenza qualificatoria in termini di lavoro autonomo .

3. L’inclusione del lavoro autonomo nella disciplina antidiscriminatoria: la sentenza JK
Uno sviluppo importante sul piano giurisprudenziale si è avuto con la sentenza JK in tema di non discriminazione in base all’orientamento sessuale di un lavoratore autonomo . Più che l’argomento principale della sentenza , interessa qui soffermarsi sulla questione dell’ambito soggettivo di applicazione della Direttiva 2000/78, che ha stimolato un interessante dialogo fra la Corte di giustizia e il suo Avvocato Generale Ćapeta.
La controversia, come noto, verteva sulla possibilità per un lavoratore autonomo genuino di invocare l’art. 3 della Direttiva sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, in occasione del mancato rinnovo del suo (sino a quel momento) continuativo rapporto contrattuale, giustificato dal manifesto orientamento sessuale del lavoratore autonomo ricorrente.
Nelle sue argomentate Conclusioni, l’AG Ćapeta osserva come il secolo corrente esiga «una concezione più ampia di persona che lavora», atteso che «al giorno d’oggi, una persona che lavora è una persona che investe tempo, conoscenze, competenze, energie e, spesso, entusiasmo per fornire un servizio o per creare un prodotto per un’altra persona, e non per se stessa, ragion per cui le è (in linea di principio) promessa una remunerazione» (par. 60) . Non è dunque in discussione il fatto che la direttiva comprenda chiunque svolga lavoro autonomo personale «consistente nella fornitura di beni o servizi organizzata in qualsivoglia forma giuridica disponibile» (par 61). È dunque, secondo l’AG, al lavoro personale che occorre riferirsi, ivi compreso il lavoro del piccolo imprenditore «nel caso in cui l’imprenditore fornisca il suo lavoro personale» (par. 69) , ciò essendo giustificato da una considerazione degli obiettivi specifici del diritto antidiscriminatorio, che non possono essere elusi dalla scelta (lasciata all’autonomia privata) del tipo negoziale entro cui sussumere la prestazione del lavoro (appunto personale) (par. 65). Da tale assunto deriva che «qualora il potenziale beneficiario dei servizi di un lavoratore autonomo condizioni l’accesso a un lavoro al fatto che il prestatore non sia omosessuale, è evidente che una persona con detto orientamento sessuale non potrà ottenere tale specifico lavoro» (par. 93), da considerarsi nella nozione di condizioni di accesso al lavoro autonomo ai sensi dell’art. 3, par. 1, lett. a) della Direttiva.
Le conclusioni dell’AG sono largamente riflesse nella decisione della Corte, là dove si osserva come dall’utilizzo combinato dei termini «occupazione» e «lavoro, sia dipendente che autonomo» derivi senza dubbio la possibilità di includere il ricorrente nell’ambito soggettivo di applicazione della Direttiva. I predetti termini, secondo la Corte, «devono essere intesi in senso ampio, come risulta da un confronto tra le diverse versioni linguistiche della suddetta disposizione e dall’utilizzo, da parte di esse, di formulazioni generali, quali, da un lato, per quanto riguarda la nozione di «lavoro autonomo», «actividad por cuenta propia», «selvstændig erhvervsvirksomhed», «selbständiger Erwerbstätigkeit», «self-employment», «arbeid […] als zelfstandige» e «pracy na własny rachunek» nonché, dall’altro lato, per quanto riguarda la nozione di «lavoro dipendente», «ejercicio profesional», «erhvervsmæssig beskæftigelse», «unselbständiger Erwerbstätigkeit», «occupation», «beroep» e «zatrudnienia», rispettivamente nelle lingue spagnola, danese, tedesca, inglese, neerlandese e polacca» . Per la Corte ne deriva che «la nozione di «condizioni di accesso» alle attività autonome, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), della Direttiva 2000/78, può includere la conclusione di un contratto come quello di cui trattasi nel procedimento principale» (par. 50).
In verità, se negli esiti e nel procedimento argomentativo, la causa JK risulta di sicuro interesse, essa non ha infine fornito elementi univoci per qualificare un rapporto contrattuale avente ad oggetto prestazioni lavorative quale rapporto di lavoro autonomo. Non vi era infatti la necessità di fornire tali elementi, essendo incontroverso che si trattasse di un lavoratore autonomo tout court. Rileva invece la conferma dell’indisponibilità della qualificazione di un rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, principio consolidato a livello nazionale , che vale tanto più nel diritto UE come limite per la legislazione degli Stati membri qualora si rientri nel campo di applicazione di una Direttiva europea .

4. I contorni frastagliati della figura del lavoratore autonomo in Yodel Delivery
In effetti l’unica occasione in cui la giurisprudenza europea ha potuto delineare i contorni del lavoro autonomo è stata l’ordinanza Yodel Delivery Network . Si tratta, come noto, del caso di un corriere locale che consegnava pacchi in base a un contratto di lavoro autonomo stipulato in esclusiva con la società Yodel Delivery. Le condizioni di effettuazione del servizio erano largamente coincidenti con quelle che solitamente caratterizzano il lavoro subordinato, nonostante sia i veicoli utilizzati per le consegne sia i telefoni cellulari fossero di proprietà del corriere. In via ulteriore, ciascun corriere aveva la possibilità di farsi sostituire in tutto o in parte da altro personale, che la società aveva il diritto di rifiutare unicamente per mancanza di competenza o qualificazione (par. 9). L’importanza di Yodel risiede nello sforzo di andare al di là delle situazioni in cui il rapporto di lavoro autonomo è puramente nozionale, dunque fittizio, come era stato nel già citato caso FNV Kunsten .
L’ordinanza Yodel, infatti, esplicita gli elementi specifici che caratterizzano il lavoro autonomo genuino, e sviluppa un vero e proprio test che le corti nazionali e la stessa Corte di giustizia possono utilizzare. Esso si incentra su quattro elementi qualificatori.
Il primo si riferisce alla facoltà di «nominare subappaltatori o sostituti per l’esecuzione dei compiti in questione» (par. 38) . In proposito la Corte osserva come tale facoltà sia «subordinata unicamente alla condizione che il subappaltatore o il sostituto in questione disponga di competenze e qualifiche di base equivalenti a quelle della persona con la quale il presunto datore di lavoro ha concluso un contratto di prestazione di servizi, come quello di cui trattasi nel procedimento principale».
Il secondo elemento si appunta sulla facoltà del prestatore di servizi, in base alle clausole contenute nel contratto, di «non accettare i compiti che gli vengono assegnati» nonché di «fissare un limite vincolante al numero di incarichi che è disposto a svolgere» (par. 40).
Il terzo elemento attiene in sostanza all’obbligo di esclusiva, ossia alla facoltà o capacità della persona di «fornire servizi analoghi a terzi», nel caso di specie risultando che il ricorrente avesse libertà di prestare servizi anche a beneficio di terzi in concorrenza diretta con il suo presunto datore di lavoro (par. 41).
Infine la Corte si appunta su un ultimo elemento utile ai fini della qualificazione, ossia i limiti alla determinazione dell’orario di lavoro. Osserva la Corte che, «se è vero che una prestazione come quella di cui trattasi nel procedimento principale deve essere fornita entro termini specifici, resta il fatto che tale esigenza è inerente alla natura stessa di tale prestazione, poiché il rispetto di tali termini appare essenziale per garantire la corretta esecuzione di tale prestazione» (par. 42).
L’applicazione di tali indici al caso di specie ha portato la Corte – seppure, occorre ricordarlo, in forma di ordinanza – ad escludere il ricorrente dall’ambito di applicazione della Direttiva sull’orario di lavoro, ricorrendo elementi sufficienti a ritenerlo lavoratore autonomo, e dunque prestatore di servizi ai sensi del diritto europeo. L’ordinanza Yodel è stata criticata per i suoi esiti , in particolare per il rischio che il relativo test venga applicato anche in contesti diversi dal lavoro tramite piattaforme digitali e diventi in effetti il riferimento nella definizione di lavoro autonomo ai sensi del diritto UE. Tale rischio potrà invero essere scongiurato qualora la Corte in future pronunce attribuisca rilievo specifico alle condizioni di contesto entro cui la prestazione viene effettuata, in tal modo valorizzando la reale possibilità, ad esempio, di rifiutare le occasioni di lavoro proposte o di nominare sostituti, ciò che la Corte sembra avere completamente obliterato in Yodel .

5. Conclusioni.
Il diritto positivo dell’Unione, come peraltro molti diritti nazionali, non definisce cosa debba intendersi per lavoratore autonomo e tuttora stenta ad estendere le principali protezioni sociali a tale variegata categoria.
Nella Raccomandazione del Consiglio sull’accesso alla protezione sociale per i lavoratori subordinati e autonomi non viene fornita alcuna definizione specifica di lavoratore autonomo, sebbene l’intero testo sia fondato sul Pilastro europeo dei diritti sociali, che al principio 12 afferma che «indipendentemente dal tipo e dalla durata del rapporto di lavoro, i lavoratori e, a condizioni comparabili, i lavoratori autonomi hanno diritto a un’adeguata protezione sociale». Il preambolo 12 della stessa Raccomandazione descrive il lavoro autonomo come «un gruppo particolarmente eterogeneo» e segnala come «un lavoratore autonomo su cinque diventa tale perché non riesce a trovare un lavoro subordinato».
Nelle Linee guida della Commissione europea sulla contrattazione collettiva dei lavoratori autonomi che prestano lavoro “fianco a fianco” rispetto a più tradizionali lavoratori subordinati , si allude in negativo al concetto di lavoratore autonomo “personale”, identificato come «una persona che non dispone di un contratto di lavoro o non ha in atto un rapporto di lavoro, e che per prestare i servizi in questione ricorre principalmente al proprio lavoro personale» (corsivo mio).
Negli anni recenti, le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza della Corte sulla nozione di lavoratore nel diritto europeo sono state per c.d. codificate dalle più importanti direttive di politica sociale, che recano la formula flessibile secondo cui: «la presente direttiva si applica a tutti i lavoratori che hanno un contratto di lavoro o un rapporto di lavoro quale definito dal diritto, dai contratti collettivi e/o dalle prassi in vigore in ciascuno Stato membro, tenendo in considerazione la giurisprudenza della Corte di giustizia» . Ciò sembra poter contribuire ad un rafforzamento del ruolo ermeneutico della Corte nel ribilanciamento dei valori in gioco in Europa, per anni compromessi dal c.d. quartetto Laval .
I contorni della figura del lavoro autonomo nel diritto europeo sono dunque ancora da definire. “Schiacciata” fra la nozione di impresa rilevante ai fini del diritto della concorrenza (artt. 101 ss. TFUE) e quella di lavoratore valida per l’applicazione della libera circolazione ex art. 45 TFUE e delle direttive di politica sociale, la figura del lavoro autonomo ricopre un carattere residuale.
La scelta della Commissione, nella Proposta di Direttiva sul lavoro tramite piattaforme digitali , di riferire il capitolo terzo sulla gestione algoritmica non già ai lavoratori autonomi, bensì alle persone che svolgono lavoro mediante piattaforme digitali riflette tale residualità . Il fatto che tale scelta sia stata sostanzialmente confermata durante tutto il lungo negoziato che ha portato il Consiglio a licenziare un testo di compromesso da sottomettere alla negoziazione finale in seno al trilogo con il Parlamento , denota un approccio coerente con quanto osservato e sufficientemente aperto ad accogliere la diversità delle soluzioni nazionali e, in fondo, l’estrema eterogeneità del lavoro autonomo.

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