testo integrale con note e bibliogafia

1. Una vicenda epocale: la richiesta dell'OIL alla CIG di un parere consultivo sulla Conv. n. 87/1948

È atteso tra pochi mesi il parere consutlivo richiesto (con una risoluzione del 10 novembre 2023) dall’Organizzazione internazionale del lavoro (di seguito "OIL") alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia (d’ora in avanti “CIG”) avente ad oggetto l’interpretazione della Conv. OIL n. 87/1948 sulla libertà sindacale.
Perchè l’OIL – l'unica agenzia specializzata tripartita delle Nazioni Unite volta a promuovere la giustizia sociale a livello universale attraverso il miglioramento delle condizioni di lavoro – abbia richiesto ad un attore esterno, id est al principale organo giudiziario delle Nazioni Unite , di interpretare il testo di una sua Convenzione (attivando così un meccanismo che, seppur previsto dall’art. 37 della stessa Costituzione dell’OIL, è stato utilizzato in passato solo nel lontano 1932 ) è presto detto. L’OIL è stata mossa dalla volontà di porre fine ad una diatrba – che la attanaglia da decenni – riguardante l'interpretazione della Conv. n. 87/1948. In particolare, la questione sottoposta dall’OIL alla CIG è se il diritto di sciopero sia o meno da ritenere espressione della libertà sindacale e, dunque, in quanto tale, protetto dalla Conv. n. 87/1948, benché la stessa Convenzione non lo menzioni espressamente.
Sul punto, infatti, come apertamente dichiarato dalla stessa risoluzione con cui è stato richiesto il parere alla CIG, esiste un disaccordo talmente serio e persistente all'interno dell'OIL da rischiare di ripercuotersi anche sul suo funzionamento, oltre che sulla credibilità del suo sistema di norme . Non rimane dunque che darne brevemente conto.

2. Origini (non recenti) ed evoluzione della questione
Come detto, la Conv. OIL n. 87/1948, pur riconoscendo espressamente alcuni diritti a tutela della libertà sindacale , non menziona il diritto di sciopero.
Non solo, da un attento esame della documentazione che è stata depositata dall’OIL alla CIG appare evidente come nemmeno i lavori preparatori che hanno portato alla adozione della Convenzione contengano disposizioni che permettano di
cogliere, almeno implicitamente, una volontà degli Stati membri di riconoscere tale diritto, anzi: lo stesso Ufficio Internazionale del Lavoro, nel presentare nel 1947 la proposta di Convenzione, parve, al contrario, chiarire esplicitamente come il diritto di sciopero fosse del tutto estraneo all’atto da approvare .
Cionondimeno, a partire dagli anni '50 del secolo scorso, gli organi di controllo interni dell'OIL , e in particolare il Comitato di Esperti sull'Applicazione delle Convenzioni e delle Raccomandazioni (d'ora in poi CEACR) , ha iniziato, con sempre maggior forza, a considerare il diritto di sciopero come un corollario del diritto fondamentale della libertà di associazione, tutelata, come detto, dalla Convenzione n. 87/1948. In particolare, la CEACR ha cominciato a intravedere un riconoscimento implicito del diritto di sciopero tra le righe di due articoli: l’art. 3 (laddove si afferma che “le organizzazioni dei lavoratori [...] hanno il diritto [...] di organizzare la propria [...] attività, e di formulare il proprio programma di azione”) e l’art. 10 (laddove si specifica come “nella presente convenzione, il termine “organizzazione” signific[hi] ogni organizzazione di lavoratori [...] che abbia lo scopo di promuovere e di difendere gli interessi dei lavoratori”).
È importante notare, tuttavia, come la CEACR – organo tecnico, indipendente e imparziale non esplicitamente menzionato nella Costituzione dell'OIL, ma istituito nel 1926 attraverso una risoluzione della Conferenza Internazionale del Lavoro – non sia dotato di alcun potere interpretativo vincolante.
Da qui la resistenza verso questa interpretazione pro labor mostrata sia da molti rappresentanti dei datori di lavoro, sia da alcuni rappresentanti dei Governi, soprattutto a partire dalla fine degli anni '80 del secolo scorso (e, cioè, dal crollo dell'ex blocco socialista).
Cionondimeno, questo contrasto ha portato nel 2012 ad una vera e propria crisi istituzionale all'interno dell'OIL. Crisi conclusasi, nel 2014, con una prima richiesta da parte dei rappresentanti dei lavoratori e di vari Governi (tra cui America Latina, Caraibi e Unione Europea), di un immediato “deferimento” della questione alla CIG al fine di ricevere un parere sul punto. Allora, tuttavia, vinse la linea portata avanti dai datori di lavoro col sostegno dei Governi dell’Asia e del Pacifico, di risolvere la controversia attraverso un dialogo interno all'OIL .
Questa formale ricomposizione della frattura, tuttavia, non ha sopito la questione che, anzi, è riemersa nuovamente, e con forza, negli anni successivi; da ultimo, nel 2023, quando i rappresentanti dei lavoratori, appoggiati da 36 Governi (cioè da tutti gli Stati membri dell'Unione Europea, oltre che da: Islanda, Norvegia, Angola, Argentina, Barbados, Brasile, Colombia, Ecuador e Sudafrica), hanno chiesto nuovamente di rimettere la questione nelle mani della CIG al fine di ricevere un parere sul punto.
Questa volta, tuttavia, contrariamente a quanto avvenuto nel 2014, nonostante la forte opposizione del gruppo dei datori di lavoro e di alcuni Governi (determinati a continuare la via di una composizione della controversia in seno all'OIL, in particolare attraverso la stesura di un protocollo ad hoc alla Conv. n. 87/1948), ha vinto la strada del “deferimento” della questione alla Corte, seppur con una maggioranza risicata: appena 33 voti favorevoli su 56 .
Una volta dato brevemente conto della vicenda, che non sembra esagerato definire di portata epocale, nelle more del parere della CIG – atteso a breve –, pare opportuno interrogarsi su quali potrebbero essere gli scenari che ci attendono.

3. Sul perchè c’è in gioco, oltre al riconoscimento del diritto di sciopero a livello internazionale universale, la stessa tenuta dell’OIL

A ben vedere, la questione in discussione non riguarda l’esistenza di un diritto di sciopero a livello nazionale. Tale diritto, infatti, è riconosciuto come tale non solo da un numero significativo di Stati ma, anche, dall’art. 8 del Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali firmato nel 1966 dalle Nazioni Unite laddove afferma che “Gli Stati si impegnano a garantire il diritto di sciopero purchè venga esercitato in conformità alle leggi di ciascun Paese”.
Il dubbio è, piuttosto, se esista un diritto di sciopero a livello internazionale per così dire universale in quanto sancito, seppur implicitamente, dalla Conv. n. 87/1948 (che oltre ad essere una delle convenzioni OIL più ratificate è tra le poche c.d. "convenzioni fondamentali" e, cioè, vincolante per tutti gli Stati membri dell'OIL indipendentemente da un loro atto di ratifica ).
Detto questo, occorre dare conto del fatto che, qualora la CIG si esprimesse nel senso di ritenere che il diritto di sciopero è un corollario della libertà sindacale e, dunque, in quanto tale, da ricomprendere nel dettato della Conv. n. 87/1948, il gruppo dei rappresentanti dei datori di lavoro – che, come detto, fin dall'inizio si è opposto alla proposizione della questione alla CIG –, ha annunciato che non riconoscerà il parere consultivo come vincolante, forte del fatto che, sebbene vi siano documenti dell'OIL che sembrano sostenere la natura obbligatoria dei pareri consultivi della CIG, vi è anche un numero considerevole di documenti della stessa OIL di avviso contrario .
Ovviamente, non vi è chi non veda il vulnus che un tale scenario causerebbe al sistema tripartito dell’OIL e, quindi, conseguentemente alla integrità della Organizzazione.
La situazione, tuttavia, non sembrerebbe meno complessa qualora si avverasse l'ipotesi opposta e, cioè, qualora la CIG emettesse un parere negativo.
Nonostante l'impegno dei rappresentanti dei lavoratori ad accettare il parere come vincolante, anche se sfavorevole, esiste infatti la possibilità concreta che numerosi Paesi, che finora hanno riconosciuto il diritto di sciopero a livello nazionale, riconsiderino la loro posizione sul punto.
È dunque evidente come anche questa seconda soluzione, nel creare un vulnus al principale strumento di lotta nelle mani dei lavoratori, finirebbe per determinare un indebolimento dell'OIL stessa, dal momento che lo sciopero non è solo uno degli strumenti a disposizione dei lavoratori per far valere i propri interessi economici e sociali, quanto, piuttosto, l’ultimo strumento a loro disposizione per essere visti e ascoltati. Come dire, in gioco pare esserci la stessa missione dell’OIL e, cioè, la possibilità di garantire “a tutte le parti [...] di rivendicare un’equa ridistribuzione della ricchezza che esse hanno contribuito a produrre” .
Dall’analisi della situazione emerge dunque chiaramente la portata "esplosiva" della vicenda in esame.
Se a questa considerazione aggiungiamo che l’OIL è stata fondata in un trattato di pace (il Trattato di Versailles del 1919) al fine di creare – come si legge nello stesso Trattato – un “miglioramento [... delle] condizioni di lavoro che implicano, per un gran numero di persone, ingiustizia, miseria e privazioni che danno luogo a un malcontento tale da mettere in pericolo l’armonia universale e la pace” e teniamo conto del complesso scenario geopolitico in cui ci troviamo a vivere (in cui il diritto internazionale e la pace mondiale sembrano retrocedere di giorno in giorno), credo che sia responsabilità di tutti noi giuslavoristi non sottovalutare la portata di questa vicenda.

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