testo integrale con note e bibliografia

1. I diversi risvolti della partecipazione: questioni terminologiche.
Il 26 maggio 2025 è stata pubblicata in Gazzetta ufficiale la L. 15 maggio 2025, n. 76, recante «disposizioni per la partecipazione dei lavoratori alla gestione, al capitale e agli utili delle imprese». Diversamente da quanto avvenuto in passato per altri precedenti progetti dedicati all’argomento , è così giunto a termine il percorso parlamentare di definizione del testo legislativo, elaborato a partire dalla proposta di legge presentata dalla Cisl nel 2023 nella prospettiva di dare attuazione all’art. 46 Cost. il quale sancisce il diritto dei lavoratori di «collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende» .
È risaputo che il concreto atteggiarsi di tale collaborazione può assumere forme molto diverse, essendo la partecipazione un concetto generale che, sul piano giuridico, può tradursi in varie modalità di coinvolgimento dei prestatori di lavoro nelle decisioni dell’impresa .
A riguardo, il testo legislativo approvato in Parlamento, al pari della originaria proposta, adotta un’impostazione ampia la quale, dal punto di vista terminologico, comprende, oltre ai casi più impegnativi che contemplano la presenza di rappresentanti dei lavoratori negli organi societari, anche modelli differenti, come quelli che operano principalmente a livello economico e pure alcune procedure di consultazione del personale. Più precisamente, infatti, si fa riferimento a «la partecipazione gestionale, economica e finanziaria, organizzativa e consultiva dei lavoratori alla gestione, all’organizzazione, ai profitti e ai risultati nonché alla proprietà delle aziende» e, per ciascuna delle ipotesi menzionate, si dà poi un’apposita definizione , «con coraggio tassonomico» ma non senza cadere nell’uso di espressioni tautologiche .
In questa sede, interessa concentrare l’attenzione, in particolare, sui principali incentivi di natura tributaria previsti dall’ordinamento per favorire la diffusione di sistemi partecipativi, tra cui specialmente anche la c.d. «partecipazione economica e finanziaria» (ora definita dal legislatore come «partecipazione dei lavoratori ai profitti e ai risultati dell’impresa, anche tramite forme di partecipazione al capitale, tra cui l’azionariato» ). Pur evitando di indulgere nell’esegesi del recente testo legislativo, si cercherà pertanto di fornire una sintetica esposizione della tematica, alla luce dell’evoluzione registratasi negli ultimi anni all’interno del quadro normativo nazionale, anche al fine di contestualizzare le disposizioni che hanno da poco superato l’esame parlamentare.

2. Gli incentivi fiscali come strumento per favorire la diffusione di schemi partecipativi: l’evoluzione del quadro normativo a partire dalla legge di stabilità 2016.
La previsione di benefici di carattere tributario per promuovere lo sviluppo di pratiche ritenute meritevoli di sostegno rappresenta una soluzione non certo nuova per il legislatore, anche nell’ambito della regolamentazione dei rapporti di lavoro.
Diversi meccanismi normativi che intendono agire in questo senso, del resto, non hanno mancato di ricevere apprezzamenti nei contesti produttivi a cui si rivolgono, tanto che, con specifico riferimento all’argomento che qui rileva, da tempo si è potuto constatare che «le imprese sono sempre più sensibili alle misure fiscali come tecnica incentivante di determinati comportamenti virtuosi» .
Se si prende in considerazione la progressiva formazione dell’attuale assetto normativo, un importante punto di partenza della tendenza in discorso può certamente essere ravvisato nella legge di stabilità 2016 (L. 28 dicembre 2015, n. 208).
Con l’art. 1, commi 182-190, essa ha previsto un regime agevolato, basato sull’applicazione di un’imposta sostitutiva dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (irpef) e delle relative addizionali, in origine pari al 10 per cento e poi ridotta al 5 per cento , a cui sono soggetti, entro certi limiti:
- i premi di risultato di ammontare variabile, correlati a «incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione»;
- nonché «le somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili dell’impresa».
L’operatività di tali disposizioni, inizialmente, era contenuta nel limite di importo complessivo di 2.000 euro lordi, elevato fino a 2.500 euro lordi «per le aziende che coinvolgono pariteticamente i lavoratori nell’organizzazione del lavoro» . Inoltre, l’agevolazione era destinata a operare soltanto a beneficio dei lavoratori che, nell’anno precedente a quello di percezione, fossero titolari di redditi da lavoro dipendente per un importo non superiore a 50.000 euro.
Tutti questi limiti, peraltro, sono stati successivamente modificati in aumento, già a partire dalla legge di bilancio 2017 (L. 11 dicembre 2016, n. 232) la quale ha innalzato: (I) a 3.000 euro l’importo assoggettabile a imposta sostitutiva; (II) a 4.000 euro quello riferito alle imprese che prevedono sistemi di coinvolgimento paritetico dei lavoratori; e (III) a 80.000 euro la soglia di reddito da lavoro dipendente fissata per poter godere del beneficio . Ulteriori modifiche sul punto sono state poi introdotte dal D.l. 24 aprile 2017, n. 50 .

3. Segue. La condizione rappresentata dall’esecuzione di clausole della contrattazione collettiva.
Ai sensi dell’art. 1, comma 187, L. 208/2015, un presupposto necessario affinché possano applicarsi le previsioni fiscali di favore è che le somme a tal fine considerate dalla legge (e, cioè, i premi di risultato e gli utili distribuiti ai lavoratori) siano erogate «in esecuzione dei contratti aziendali o territoriali di cui all’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81».
Tale ultima disposizione normativa, com’è noto, indica «i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria». Rispetto a questa previsione, la disciplina degli incentivi tributari sopra citata realizza una selezione, in quanto, come rilevato anche dall’Agenzia delle entrate, l’espressa menzione dei contratti aziendali o territoriali esclude dall’agevolazione gli elementi retributivi erogati in attuazione di contratti collettivi nazionali di lavoro oppure di accordi individuali tra datore e prestatore di lavoro .
In tal modo, le regole in esame si inseriscono nel quadro di un intervento con il quale il legislatore ha inteso sostenere la contrattazione decentrata, indirizzando selettivamente il proprio supporto a prestazioni economiche qualificabili come esito di trattative sindacali di secondo livello, in base a una linea che, da un lato, evita di disciplinare direttamente la specifica configurazione degli istituti considerati e, dall’altro, privilegia l’ipotesi in cui essi siano previsti per via negoziale, anziché per decisione unilaterale dell’imprenditore .
Com’è stato notato, «questa offerta del legislatore di terreni negoziali convenienti ha ottenuto risposte positive dalle parti, contribuendo alla diffusione di accordi decentrati» che, sebbene abbia interessato soprattutto le imprese medio-grandi, ha prodotto i suoi effetti anche nei confronti di quelle di minori dimensioni, poiché «le parti hanno colto l’occasione della normativa citata per favorire l’accesso agli sgravi anche delle piccole imprese prive di rappresentanza sindacale, predisponendo schemi generali da riprodursi in sede territoriale cui le piccole imprese possono aderire nel rispetto delle condizioni previste dalla legge per godere dei benefici fiscali» .
Com’è noto, l’art. 14 D.lgs. 14 settembre 2015, n. 151, stabilisce al riguardo che «i benefici contributivi o fiscali e le altre agevolazioni connesse con la stipula di contratti collettivi aziendali o territoriali sono riconosciuti a condizione che tali contratti siano depositati in via telematica» presso l’Ispettorato territoriale del lavoro competente.
Sotto tale profilo, il Decreto interministeriale del 25 marzo 2016 prevede che, ai fini dell’applicabilità dell’imposta sostitutiva contemplata dall’art. 1, commi 182 e seguenti, L. 208/2015, il deposito telematico dei contratti collettivi di secondo livello (insieme alla dichiarazione di conformità degli stessi alle disposizioni del medesimo Decreto) debba essere effettuato entro trenta giorni dalla loro sottoscrizione . Più in dettaglio, l’Agenzia delle entrate ha inoltre precisato che «con particolar riferimento ai contratti collettivi territoriali, il termine di 30 giorni previsto dal Decreto è da riferirsi al deposito dei soli contratti, mentre la dichiarazione di conformità potrà essere compilata e trasmessa dal datore del lavoro anche successivamente a tale termine, purché tale adempimento avvenga anteriormente al momento della attribuzione dei premi di risultato ovvero della erogazione delle somme a titolo di partecipazione agli utili di impresa» .

4. Gli incentivi alla partecipazione «nell’organizzazione del lavoro».
Come si è già più sopra rilevato, la L. 208/2015 ha introdotto un’agevolazione aggiuntiva «per le aziende che coinvolgono pariteticamente i lavoratori nell’organizzazione del lavoro» .
Il trattamento di maggior favore, originariamente, consisteva nell’incremento dell’importo assoggettabile all’imposta sostitutiva, rispetto a quello indicato dalla legge per i contesti caratterizzati dall’assenza di dette forme di partecipazione.
Per effetto dell’entrata in vigore del D.l. 24 aprile 2017, n. 50 (convertito con modificazioni dalla L. 21 giugno 2017, n. 96), peraltro, la disciplina in questione è stata modificata, stabilendosi, in luogo del menzionato incremento operante sul piano tributario, una riduzione di venti punti percentuali dell’aliquota contributiva a carico del datore di lavoro per il regime relativo a invalidità, vecchiaia e superstiti, su una quota delle erogazioni considerate non superiore a 800 euro. La legge precisa anche che sulla medesima quota non è dovuta alcuna contribuzione a carico del lavoratore ed è corrispondentemente ridotta l’aliquota contributiva di computo ai fini pensionistici .
Per quanto riguarda le modalità organizzative incentivate dal legislatore, il citato Decreto interministeriale del 25 marzo 2016 chiarisce che esse ricorrono qualora i contratti collettivi aziendali o territoriali «prevedano strumenti e modalità di coinvolgimento paritetico dei lavoratori nell’organizzazione del lavoro da realizzarsi attraverso un piano che stabilisca, a titolo esemplificativo, la costituzione di gruppi di lavoro nei quali operano responsabili aziendali e lavoratori finalizzati al miglioramento o all’innovazione di aree produttive o sistemi di produzione e che prevedono strutture permanenti di consultazione e monitoraggio degli obiettivi da perseguire e delle risorse necessarie nonché la predisposizione di rapporti periodici che illustrino le attività svolte e i risultati raggiunti» . Viceversa, non rilevano ai fini qui considerati «i gruppi di lavoro di semplice consultazione, addestramento o formazione» .
Partendo dal presupposto che le previsioni di legge «siano finalizzate ad incentivare quegli schemi organizzativi della produzione e del lavoro orientati ad accrescere la motivazione del personale e a coinvolgerlo in modo attivo nei processi di innovazione», l’Agenzia delle entrate ha osservato che per beneficiare del regime in discorso occorre «che i lavoratori intervengano, operino ed esprimano opinioni che, in quello specifico contesto, siano considerate di pari livello, importanza e dignità di quelle espresse dai responsabili aziendali che vi partecipano con lo scopo di favorire un impegno “dal basso” che consenta di migliorare le prestazioni produttive e la qualità del prodotto e del lavoro» .
È stato quindi affermato che «il coinvolgimento paritetico dei lavoratori si realizza mediante schemi organizzativi che permettono di coinvolgere in modo diretto e attivo i lavoratori (i) nei processi di innovazione e di miglioramento delle prestazioni aziendali, con incrementi di efficienza e produttività, e (ii) nel miglioramento della qualità della vita e del lavoro» .
In questa prospettiva, l’Agenzia ha richiesto che le forme di coinvolgimento dei lavoratori siano formalizzate a livello aziendale attraverso un apposito “piano di innovazione”, elaborato secondo le previsioni della contrattazione collettiva e comprendente: (i) l’analisi del contesto di partenza; (ii) le azioni partecipative e gli schemi organizzativi da attuare, con i relativi indicatori; (iii) i risultati attesi in termini di miglioramento e innovazione; (iv) il ruolo delle rappresentanze dei lavoratori presenti in azienda, se costituite .
A titolo esemplificativo, sono state poi inclusi tra le azioni che il piano potrebbe prevedere:
- gli schemi organizzativi di innovazione partecipata (“SOP”), intesi come «forme di coinvolgimento diretto dei lavoratori» che necessitano di «una comunicazione strutturata tra lavoratori e datore di lavoro», i quali concretamente possono tradursi, per esempio, in: a) «gruppi di progetto», diretti a migliorare determinate aree produttive, fasi del flusso, prodotti, servizi o sistemi organizzativi; b) «formazione specialistica e mirata all’innovazione»; c) «sistemi di gestione dei suggerimenti dei lavoratori»; d) «campagne di comunicazione sugli scopi» e «sviluppo di progetti/programmi di innovazione»;
- i programmi di gestione partecipata (“PGP”), attinenti a «forme di partecipazione diretta dei lavoratori per la gestione delle attività e delle conoscenze produttive nonché del tempo e del luogo di lavoro che consentono di combinare flessibilità, risultati aziendali e qualità della vita e del lavoro», tra cui per esempio sono stati indicati: a) «il lavoro in team pianificato, strutturato e formalizzato con assegnazione di obiettivi produttivi e delega parziale al team per la gestione della polivalenza e della rotazione delle mansioni»; b) «i programmi di gestione della flessibilità spazio-temporale del lavoro in modo condiviso tra azienda e lavoratori»; c) «le comunità di pratiche volte a sviluppare conoscenze operative su base volontaria con strumentazione tecnologica e social network» .

5. Gli incentivi alla partecipazione economica e finanziaria.
Un’importante regola introdotta dalla L. 208/2015 consiste nella già accennata applicabilità dell’imposta sostitutiva da essa disciplinata anche alle «somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili dell’impresa» .
A questo proposito, il Decreto interministeriale del 25 marzo 2016 ha sottolineato che, ai fini ora menzionati, «per somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili dell’impresa si intendono gli utili distribuiti ai sensi dell’articolo 2102 del codice civile» il quale, com’è noto, fa seguito alla disposizione che ammette, in generale, la possibilità di retribuire i lavoratori con partecipazione agli utili (art. 2099, comma 3, c.c.) e precisa che, in tal caso, «la partecipazione agli utili spettante al prestatore di lavoro è determinata in base agli utili netti dell’impresa, e, per le imprese soggette alla pubblicazione del bilancio, in base agli utili netti risultanti dal bilancio regolarmente approvato e pubblicato» .
L’operatività delle agevolazioni tributarie presuppone che anche la distribuzione degli utili ai dipendenti avvenga in esecuzione di previsioni della contrattazione decentrata, mentre si è chiarito come, nell’ipotesi ora considerata, non sia necessaria la presenza degli incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza e innovazione, che sono invece richiesti per l’ammissione al regime fiscale di favore dei premi di risultato .
Anche con riferimento a questi ultimi, la L. 208/2015 ha altresì introdotto ulteriori benefici, legati alla possibilità di sostituire i premi e gli utili assoggettati a imposta agevolata con diverse prestazioni e con misure di welfare aziendale. È stata così riconosciuta la facoltà del lavoratore di scegliere, là dove consentito dalla contrattazione di secondo livello, di fruire delle prestazioni di cui all’art. 51, commi 2 e 3, del Testo unico in materia di imposte sui redditi (TUIR) in sostituzione dei premi di risultato, stabilendosi che anche in tal caso, entro certi limiti, esse non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente . In seguito, la L. 232/2016 ha esteso ulteriormente il beneficio, completando il quadro delineato nel 2015 anche con riguardo alle prestazioni erogate ai sensi dell’art. 51, comma 4, TUIR .
Ora va notato che, tra gli elementi che non concorrono a formare il reddito imponibile, ai sensi dell’art. 51, comma 2, TUIR, vi è anche il valore delle azioni offerte alla generalità dei lavoratori, per un importo non superiore a un determinato limite e a condizione che esse «non siano riacquistate dalla società emittente o dal datore di lavoro o comunque cedute prima che siano trascorsi almeno tre anni dalla percezione» . Viceversa, qualora le azioni siano cedute prima di detto termine, la somma che non ha concorso a formare il reddito al momento dell’acquisto è sottoposta a tassazione nel periodo d’imposta in cui avviene la cessione, quale compenso in natura di lavoro dipendente . E un analogo sistema di recupero è contemplato anche nel caso di riacquisto delle azioni da parte del datore di lavoro e della società emittente, indipendentemente dal periodo di possesso .
Sul punto, si deve peraltro ricordare che, in virtù delle modifiche introdotte nel 2016, gli incentivi fiscali sono stati di nuovo potenziati, in quanto l’esclusione dell’imponibilità è stata prevista anche per l’ipotesi in cui non siano rispettate le condizioni appena indicate. Più specificamente, ciò è oggi consentito per le azioni ricevute, per scelta del lavoratore (e sempre che la contrattazione decentrata lo preveda), in luogo delle somme ammesse all’imposta sostitutiva agevolata introdotta dalla L. 208/2015 .
Dalla lettura del dato legislativo, si può constatare come in tali circostanze il beneficio appaia particolarmente significativo rispetto al regime generale di cui all’art. 51, comma 2, lett. g) TUIR, dal momento che, nella fattispecie in esame, finiscono per risultare non applicabili tutte le limitazioni fissate da detta disposizione normativa e cioè: (1) la soglia massima di valore delle azioni escluse dal reddito imponibile; (2) la necessità che le azioni siano attribuite alla generalità dei dipendenti; (3) la condizione che impone al lavoratore di non cedere le azioni prima di un triennio dall’assegnazione e di non ritrasferirle in favore del datore di lavoro.
Tali implicazioni sono state confermate anche dall’Agenzia delle entrate la quale ha avuto modo di osservare che, di conseguenza, non si genera reddito imponibile «nei confronti del lavoratore che sostituisca, in tutto o in parte, il premio di risultato con azioni della società/datore di lavoro o del gruppo», sia quando «l’offerta sia rivolta, anziché alla generalità, a categorie di lavoratori, purché in conformità alle previsioni contrattuali (aziendali e/o territoriali)», sia quando «il valore delle azioni “convertite” superi il limite» di importo fissato per ogni periodo di imposta, sia ancora quando «le medesime azioni siano riacquistate dalla società emittente o dal datore di lavoro» .

6. Brevi conclusioni con lo sguardo rivolto al recente testo normativo.
Se si considera l’assetto che è stato in sintesi ricostruito, è agevole rilevare come il testo di legge approvato in Parlamento lo scorso maggio si ponga nella scia della evidenziata evoluzione del quadro normativo, riconoscendo dunque l’utilità degli incentivi fiscali sopra esposti che, in alcuni casi vengono intensificati, senza prevedere soluzioni particolarmente innovative dal punto di vista delle tecniche impiegate.
Per ciò che interessa in questa sede, si può osservare che, rispetto alla originaria proposta di legge promossa dalla Cisl, si registra in generale un ridimensionamento delle misure previste, probabilmente dovuto anche a esigenze di bilancio.
L’art. 5 del testo normativo è dedicato alla «distribuzione degli utili» e, oltre a chiarire che «restano ferme le disposizioni dei commi da 183 a 189 dell’articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208», stabilisce che «in deroga a quanto previsto dall’articolo 1, comma 182» di detta legge, «in caso di distribuzione ai lavoratori dipendenti di una quota degli utili di impresa non inferiore al 10 per cento degli utili complessivi, effettuata in esecuzione di contratti collettivi aziendali o territoriali di cui all’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, il limite dell’importo complessivo soggetto all’imposta sostitutiva disciplinata dal citato comma 182 è elevato a 5.000 euro lordi» . Tale disposizione, però, al momento sembra avere una durata limitata, essendo prevista «per l’anno 2025», a differenza da quanto indicato nell’originario progetto di legge che, su questo punto, si spingeva a prefigurare una misura senza apparenti limitazioni temporali e con soglie più elevate .
L’art. 6 del testo di legge si occupa invece dei «piani di partecipazione finanziaria dei lavoratori» e afferma che essi possono essere previsti «in coerenza e nel rispetto della normativa vigente» e possono individuare «oltre agli strumenti di partecipazione dei lavoratori al capitale della società di cui agli articoli 2349, 2357, 2358 e 2441, ottavo comma, del codice civile, […] anche l’attribuzione di azioni in sostituzione di premi di risultato». Anche in questo caso, viene ribadita la vigenza della «disciplina di cui all’articolo 1, commi da 184-bis a 189, della legge 28 dicembre 2015, n. 208» e si aggiunge che «per l’anno 2025 i dividendi corrisposti ai lavoratori e derivanti dalle azioni attribuite in sostituzione di premi di risultato […] per un importo non superiore a 1.500 euro annui, sono esenti dalle imposte sui redditi per il 50 per cento del loro ammontare» .
Si segnala poi che non ha avuto seguito la proposta, contenuta nell’iniziale disegno di legge, di regolamentare una fattispecie di «accordo di affidamento fiduciario per la gestione collettiva dei diritti derivanti dalla partecipazione finanziaria» , di cui non vi è traccia nell’atto approvato in Parlamento, mentre sono presenti due disposizioni riguardanti la c.d. «partecipazione organizzativa» le quali riprendono alcune indicazioni fornite dal progetto della Cisl, ma senza fissare all’interno dello stesso testo normativo il sistema di benefici e sgravi che esso prevedeva .
Per ciò che concerne gli incentivi, quindi, l’impressione nel complesso è che il legislatore abbia ulteriormente valorizzato le tecniche con cui è stato composto il quadro definitosi nell’ultimo decennio, inserendolo all’interno di una cornice giuridica più ambiziosa che, come indicato anche nell’iniziale disegno di legge, intende presentarsi come esplicita attuazione del principio sancito dall’art. 46 Cost.

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