testo integrale con note e bibliografia
La partecipazione dei lavoratori è un tema che riemerge carsicamente nel dibattito giuslavoristico del nostro Paese, specialmente nei tornanti cruciali della sua storia. Così è stato nell’immediato secondo dopoguerra, con la vivace discussione sviluppatasi intorno all’esperienza dei Consigli di gestione, sfociata nella redazione dell’art. 46 della Costituzione.
Così è accaduto, nuovamente, negli anni ’70, quando, in concomitanza con i progetti europei di Statuto di Società europea e di V direttiva, fortemente improntati a logiche cogestionali di stampo tedesco, nel nostro Paese si è ricominciato a dibattere di democrazia industriale e di partecipazione, seppur all’interno di una peculiare “via italiana”, caratterizzata dalla centralità della contrattazione e del conflitto collettivo.
Il discorso è stato ripreso nuovamente negli anni ’90, sebbene con minore intensità, quando si è provato a tirare le somme dei Protocolli di relazioni industriali e ad approfondire le caratteristiche “partecipative” di quelli di maggior successo. Non si è mancato di discutere di partecipazione dei lavoratori nemmeno nel nuovo millennio: nella legge “Fornero” (l. n. 92/2012) è perfino comparsa una delega (art. 4, co. 62), rimasta però inattuata.
Ora, tuttavia, a seguito della legge di iniziativa popolare della CISL, presentata nel 2023 e rapidamente approvata dal Parlamento (legge 15 maggio 2025, n. 76), la discussione è nuovamente riesplosa. Per questa ragione Lavoro Diritti Europa ha deciso di promuovere una sezione dedicata all’approfondimento della tematica, con l’obiettivo di scandagliare gli aspetti più significativi della partecipazione dei lavoratori alla luce delle più recenti evoluzioni.
Il Forum si apre con la cornice europea, approfondita nel contributo di ANNA ALAIMO, La nuova legge italiana sulla partecipazione dei lavoratori e l’employee’s involvement di matrice europea: (poche) aperture e (molte) chiusure. L’autrice rileva come a livello normativo la partecipazione (rectius: coinvolgimento) dei lavoratori abbia fatto registrare significativi avanzamenti nel diritto dell’UE, pur se in ambiti settoriali (due diligence sociale e ambientale, intelligenza artificiale, lavoro delle piattaforme), e ulteriori evoluzioni si stiano prospettando con la revisione pianificata della direttiva sui comitati aziendali europei. La giurisprudenza più recente della Corte di giustizia, invece, mostra un atteggiamento più conservatore e meno propenso a valorizzare i diritti di coinvolgimento e partecipazione. Ad ogni modo, secondo l’autrice, stupisce che la dimensione europea e il vivace dibattito che la contraddistingue trovi solo un pallido riflesso nella legge n. 76/2025.
L’art. 46 della Costituzione si colloca al centro del fuoco di attenzione del saggio di ANDREA MICHIELI, L’effettiva partecipazione dei lavoratori nell’art. 46 della Costituzione. L’autore ricostruisce con cura il dibattito in seno alla Costituente e i nessi sistematici della previsione costituzionale: la riserva di legge, relativa e non assoluta, richiederebbe, ai fini dell’effettiva attuazione del diritto costituzionalmente garantito, almeno l’imposizione di una scelta tra modelli partecipativi. Per questa ragione, la legge n. 76, con il suo impianto totalmente volontaristico, potrebbe essere letta soltanto come un principio di attuazione del diritto sancito nell’art. 46, Cost.
Con il contributo di EDOARDO ALES, Tutte le strade portano alla partecipazione? Un’analisi della l. n. 76 del 2025 nel prisma dei suoi attori, ci si cala già nell’esegesi del nuovo testo normativo. Accanto a taluni punti di forza della legge n. 76, come l’aver dischiuso concretamente la prospettiva della cogestione, rafforzato il versante procedurale della partecipazione consultiva e puntato sulla bilateralità, l’autore pone in evidenza anche le non secondarie criticità: in primis, l’incertezza degli attori ex latere laboris e la centralità dell’impresa, senza l’accordo della quale nessuna forma di partecipazione può essere attivata.
A RAFFAELLO SANTAGATA DE CASTRO, La partecipazione dei lavoratori nel sistema delle relazioni industriali italiane: una riflessione su alcuni esperimenti innovativi alla luce della nuova normativa di legge, è toccato l’arduo compito di ricostruire le coordinate essenziali della peculiare “via italiana alla partecipazione”, come si è venuta snodando specialmente a partire dagli anni ’80, con i cd. protocolli di relazioni industriali. L’autore, dopo aver dato conto dei casi più “classici” (i protocolli IRI e TIM, l’esperienza Zanussi), si sofferma nel dettaglio sull’esperienza di Lamborghini, che ha direttamente ispirato alcuni passaggi della legge n. 76/2025. Vengono opportunamente messi in evidenza alcuni elementi di contesto della partecipazione (formazione dei lavoratori e degli esponenti della direzione coinvolti nei sistemi partecipativi, disponibilità di esperti e consulenti), abitualmente trascurati dalla letteratura, ma fondamentali per la buona riuscita della partecipazione in action.
Nel mio saggio Il modello partecipativo italiano nel confronto comparato, dopo aver tratteggiato le caratteristiche essenziali della legge n. 76 rispetto al progetto originario della CISL, provo a collocare l’esperienza italiana, comprensiva della sua più recente evoluzione, fra gli archetipi europei. La “via italiana” è totalmente estranea ai modelli cogestionali mitteleuropei, fortemente legificati, ma non è accostabile nemmeno a quelli scandinavi, in cui il sindacato e la contrattazione collettiva giocano un ruolo fondamentale nell’attivazione e nella conformazione dei meccanismi partecipativi. Infatti, nell’esperienza svedese presa ad esempio, la tecnica della legislazione promozionale e di sostegno è applicata con maggiore coerenza ed efficacia rispetto al debole approccio della legge n. 76.
Il compito di indagare come il legislatore italiano ha utilizzato la leva fiscale per favorire la diffusione di pratiche di partecipazione non solo finanziaria, ma anche organizzativa, è stato affidato a NICOLÒ ROSSI, La via tributaria alla partecipazione dei lavoratori: i principali incentivi previsti dal legislatore. L’autore svolge un esame accurato dell’art. 1, co. 182-190 della legge di stabilità per il 2016, alla luce della decretazione ministeriale attuativa e delle circolari dell’Agenzia delle entrate, per poi affrontare gli articoli della legge n. 76 dedicati alla partecipazione economica e finanziaria. Vi sarebbe continuità con strumenti consolidati che hanno dato buona prova di sé: tuttavia, la collocazione in una cornice più ambiziosa fa da pendant allo stanziamento di risorse piuttosto modeste.
MARCO SPERANZIN, La partecipazione dei lavoratori: una prospettiva giuscommercialistica, offre al Forum il punto di vista dei cultori del diritto commerciale: non a caso, il profilo più innovativo della nuova legge viene ravvisato nella partecipazione decisionale, su cui si appuntano le più interessanti (soprattutto per il giuslavorista) riflessioni di carattere esegetico (impatto delle nuove disposizioni sulla nozione di interesse sociale; possibilità di nominare un lavoratore come componente del consiglio di sorveglianza, ma non del consiglio di amministrazione, e così via).
La sfida della lettura di tutti i contributi e di una loro considerazione unitaria è stata lanciata a TIZIANO TREU, Ancora sulla partecipazione, che l’ha brillantemente vinta. La legge non è promozionale nel senso usuale del termine: siamo vicini al soft law ben noto ai cultori del diritto europeo, cosicché una valutazione dei suoi effetti può essere data solo a posteriori. Qui, per un verso, l’apertura alla pluralità dei modelli partecipativi potrebbe favorire la loro concreta sperimentazione e diffusione; per altro verso, però, la frattura tra i principali sindacati e l’interesse tiepido del versante imprenditoriale potrebbero frenare l’impatto della legge, quanto meno nell’immediato futuro. E sarebbe un peccato, perché, come scrive Treu, «le impostazioni partecipative delle relazioni industriali sono più utili di quelle conflittuali per affrontare le sfide delle transizioni in atto e per favorire uno sviluppo socialmente e ambientalmente sostenibile».