testo integrale con note e bibliografia

gender equality index 2024 eige

rapporto cnel istat 2024 il lavoro delle donne

rendiconto di genere 2024 inps-civ

1. Introduzione
Inizio anno è il tempo di bilanci sul trascorso esercizio, anche per le politiche di genere: il 24.2.2025 è stato pubblicato il “Rendiconto di genere 2024” INPS, e poco dopo, il 6.3.2025, il Rapporto su “Il lavoro delle donne tra ostacoli e opportunità” di CNEL e ISTAT.
I due documenti offrono un quadro del gap di genere tuttora esistente nella società italiana e provano quanto sia ancora lontano l’ambizioso obiettivo posto dal PNRR e delineato nella Strategia Nazionale per il raggiungimento della parità di genere 2021-2026 di “guadagnare 5 punti nella classifica del Gender Equality Index […] per raggiungere un posizionamento migliore rispetto alla media europea entro il 2026” e arrivare a “Rendere l’Italia un Paese dove persone di ogni genere, età ed estrazione abbiano le medesime opportunità̀ di sviluppo e di crescita, personali e professionali, di accesso al mondo dell’istruzione e del lavoro, senza disparità di trattamento economico o dignità, e possano realizzare il proprio potenziale con consapevolezza di una uguaglianza garantita e senza compromessi in un paese moderno e preparato per affrontare la sfida dei tempi futuri”.
Non c’è dubbio che il nostro Paese negli ultimi anni abbia realizzato sensibili progressi contro le discriminazioni di genere; tuttavia, il “Report equality index 2024” pubblicato il 10.12.2024 dall’Istituto Europeo per l’Uguaglianza di Genere (Eige) evidenzia che l’Italia rimane con un punteggio complessivo inferiore alla media (69,2 su 100), posizionandosi al 14° posto, ancora lontana dai primi in classifica (Svezia con 82 punti e Danimarca e Paesi Bassi a 78,8 punti).
È interessante notare che il Gender Equality Index utilizzi per elaborare la classifica dei Paesi membri dell’Unione sei dimensioni fondamentali della vita: lavoro, denaro, conoscenza, tempo, potere e salute.
L’Italia risulta aver fatto importanti passi in avanti in relazione: alla sfera “conoscenza”, grazie all’incremento positivo del numero di donne laureate; alla sfera “potere”, per l’incremento del numero di donne nei processi decisionali sia a livello politico che aziendale; alla sfera “salute”, per l’accesso ai servizi sanitari, pur sottolineandosi la necessità di politiche sanitarie ancora più inclusive.
Il nostro Paese risulta invece ancora indietro rispetto a: la sfera “lavoro”, con un tasso di occupazione femminile tra i più bassi d’Europa; la sfera “tempo”, con un grande impiego di ore e risorse spese dalle donne nei compiti di responsabilità e cura familiare; la sfera “denaro”, con significative disuguaglianze economiche tra donne e uomini, e la presenza di una importante percentuale di donne del tutto prive di autonomia finanziaria.
Tale situazione si evidenzia anche nei report nazionali in oggetto, di cui segue una breve analisi con integrazione dei dati principali e complementari rispettivamente presentati.

2. Istruzione
La popolazione delle scuole superiori si differenzia notevolmente in base alle tipologie d’indirizzo: nei licei la maggioranza degli studenti è di genere femminile (61% del totale) mentre negli istituti tecnici e professionali maschile (rispettivamente 68% e 56% degli studenti)
Il quadro è pressoché uguale a livello universitario: le donne sono la maggioranza nelle facoltà umanistiche e la minoranza in quelle STEM.
Nei percorsi post-laurea il genere femminile primeggia nei diplomi dei master di 1° e 2° livello, raggiungendo il 66,8% e il 60% sul totale dei diplomati.
È degno di nota che in tutti gli ordini di studio le donne prevalgono nel raggiungimento del titolo: nell’anno scolastico 2023/2024 in tutte le differenti scuole secondarie in maggioranza sono state le donne a conseguire il diploma così come nelle università a conseguire la laurea.
Si può quindi parlare di una maggiore percentuale di donne sovra istruite rispetto agli uomini, sebbene in Italia risultino laureate solo il 37,7% delle 25-34enni contro il 48,8% delle coetanee europee.
3. Lavoro
Le donne sono più istruite degli uomini ma meno occupate. Infatti, il tasso di occupazione rivela un sensibile gender gap: solo il 52,5% delle donne risulta occupato, contro il 70,4% degli uomini.
Nonostante in Italia la popolazione femminile (italiana e straniera) sia più elevata della popolazione maschile, le assunzioni riguardano in netta prevalenza gli uomini, indipendentemente da settore e tipologia di contratto (a tempo indeterminato o a termine), con la sola eccezione del pubblico impiego, dove il numero di donne impiegate è più̀ alto rispetto agli uomini, e del lavoro domestico, inteso come prettamente femminile.
Il differenziale diventa sempre più rilevante nella progressione di carriera: la categoria di Quadro è rappresentata per il 32,4% dal genere femminile e per il 67,6% da quello maschile; Dirigente lo è solo il 21,1 % delle donne.
Tra le professioni in cui vi è una più alta rappresentanza femminile troviamo le addette agli affari generali e le segretarie, commesse, badanti e colf, infermiere, operatrici sociosanitarie, addette ai servizi di pulizia, maestre di scuola primaria; perciò, lavori a più basso reddito.
Il tasso di occupazione femminile risulta inferiore di 12,6 punti alla media UE, rimanendo il valore più basso tra i ventisette Paesi dell’Unione Europea, ed è proprio questo il dato che ci penalizza nella classifica del Gender Equality Index.

4. Reddito
In tutti i settori economici esaminati gli uomini percepiscono redditi medi giornalieri superiori alle donne.
Nello specifico in dieci settori su diciotto esaminati le donne percepiscono oltre il 20% in meno; nelle attività̀ finanziarie e assicurative le donne percepiscono mediamente il 32,1% in meno, nelle attività professionali scientifiche e tecniche il 35,1% in meno e in quelle immobiliari il 39,9% in meno (qui la differenza arriva finanche al 66,5%).
Le retribuzioni medie giornaliere nel settore pubblico soffrono meno il divario di genere, anche se nel servizio sanitario, nelle università ed enti di ricerca gli uomini percepiscono oltre il 20% in più rispetto alle donne.
Questo trend consolidato porta a considerare il reddito derivante dall’attività lavorativa della donna accessorio rispetto a quello principale dell’uomo, perciò meno importante e più facilmente sacrificabile. Ragion per cui ancora molte sono le donne che vivono in una situazione di dipendenza economica, che in certi contesti può sfociare in violenza economica.

5. Famiglia
Il carico familiare influenza pesantemente il percorso lavorativo femminile, basti considerare che ha un impiego il 69,3% delle donne che vivono da sole contro il 57,2% tra le madri in coppia. Invece, tra gli uomini hanno un impiego il 77% dei single e l’86,3% dei padri in coppia (quasi + 30% rispetto alle madri in coppia).
Inoltre, quasi un terzo delle donne occupare lavorano a tempo parziale (il lavoro a tempo parziale impegna circa 3 milioni di lavoratrici e circa 1milione di lavoratori).
Che i compiti di cura siano affidati alle donne in maniera quasi esclusiva lo si evince chiaramente dalla enorme differenza delle giornate di congedo parentale usufruite sul lavoro: nel 2023 sono state 263.958 donne a beneficiare del congedo parentale a fronte di 96.413 uomini. Ciò inevitabilmente comporta ripercussioni negative in sede di selezione e assunzione di personale, dove gli uomini sono preferiti alle donne in età fertile anche proprio in ragione della prevedibile prolungata assenza dal servizio a seguito della maternità.
Ragion per cui, a parere di chi scrive, il percorso della parità di genere non potrà essere completato senza essere accompagnato da una riforma volta alla genitorialità condivisa, che porti ad una parificazione dei periodi di astensione obbligatoria di maternità e paternità. Oggi in Italia il congedo obbligatorio è di 5 mesi per la madre e appena 10 giorni per il padre; per certi versi una conquista se si pensa che il congedo di paternità obbligatorio è stato introdotto solo nel 2013 con appena un giorno, poi passati a tre e da ultimo a dieci. Troppo tempo è occorso per una misura elementare; speriamo ora si velocizzi il processo di equiparazione genitoriale, anche alla luce del prezioso suggerimento della Prof.ssa Claudia Goldin, premio Nobel 2023 per l’Economia, secondo cui “Non avremo mai l’uguaglianza di genere finché non avremo anche l’equità di coppia”.
6. Pensione
Le contribuzioni femminili sono penalizzate dal divario retributivo, dal lavoro a tempo parziale e dalle interruzioni di carriera per motivi familiari (maternità, cura dei figli e degli anziani).
In Italia il numero delle pensionate è più̀ alto del numero dei pensionati per tutte le categorie; tuttavia, nelle pensioni – sensibilmente più basse per le donne – si riflette il divario retributivo e contributivo accumulato nel corso della vita lavorativa.
Le donne risultano maggiormente rappresentate tra i percettori di pensioni derivanti da condizioni di vedovanza, invalidità e vecchiaia. Sulle anzianità̀/anticipate e invalidità̀ le donne percepiscono oltre il 30% in meno degli uomini, divario che raggiunge circa il 79% nel caso delle pensioni di vecchiaia dei lavoratori dipendenti.
Situazione che determina rischi di povertà in età anziana e rischia di pregiudicare la sostenibilità del sistema previdenziale italiano e l’adeguatezza delle pensioni future (v.infra).

7. Governance/potere
Le donne continuano ad essere ampiamente sottorappresentate nelle posizioni di leadership, ad ogni livello.
Aumentano donne tra i componenti dei CdA delle imprese quotate in Borsa, anche grazie alle c.d. “quote di genere” introdotte dalla Legge Golfo Mosca (n. 120/2011 e succ.mod.), ma dei Consiglieri esecutivi aventi un ruolo gestionale attivo solo il 16,4% sono donne. E tra gli Amministratori Delegati le donne sono solo il 2,9%.
Solo il 28,8% delle imprese è a conduzione femminile, e tra queste la maggior parte svolge attività di servizi.

8. Violenza di genere
I dati in materia sono stati ricavati da indicatori statistici presenti nel Report “Il pregiudizio e la violenza contro le donne” del Servizio Analisi Criminale della Polizia di Stato, tra cui figurano i cosiddetti reati spia , che rappresentano segnali di allarme e rischio di escalation di violenza. Tali reati sono aumentati (+10,5%), e in generale l'incidenza delle vittime di sesso femminile rimane elevata per tutte le tipologie di reati, con percentuali che raggiungono anche il 91% per le violenze sessuali.
Da notare altresì il fatto che sono lievemente diminuiti, in generale, gli omicidi volontari, tuttavia rimane elevata la predominanza di vittime femminili in ambito familiare o affettivo o ad opera di partner o ex partner.
Positiva – se così si può dire – la diffusione della conoscenza e fruizione del congedo indennizzato dall’Inps per le donne vittima della violenza di genere .

9. Conclusioni
I dati elencati confermano la persistenza di una situazione di grande vulnerabilità̀ per le donne, che seppure eccellono negli studi, raramente riescono ad ottenere altrettanto successo nella vita professionale e nei conseguenti traguardi economici.
Esiste ancora la c.d. segregazione orizzontale di accesso al lavoro, ma soprattutto verticale (il c.d. “soffitto di cristallo”) di ascesa in posizione apicali che consentano un reale miglioramento, per la persona ma anche per la società. Non va trascurato, infatti, come secondo tutti gli studi in materia la presenza femminile ai vertici rechi vantaggi finanziari e organizzativi, aumenti il benessere e l’adozione di misure di conciliazione vita-lavoro.
La piena valorizzazione del capitale umano femminile, attraverso una maggiore partecipazione al mercato del lavoro e migliori opportunità di carriera, dunque, incrementa la produttività complessiva del sistema economico e si traduce in maggiore crescita e, quindi, in maggiori risorse per il sistema previdenziale. A tale riguardo, poiché le donne sono la maggioranza della popolazione, sia in termini di nascite che di sopravvivenza, il raggiungimento della parità di genere è una primaria condizione di sostenibilità: un maggior numero di donne occupate significa più contributi versati, e d’altra parte poiché in taluni settori (es. le professioni legali) si assiste ad una progressiva femminilizzazione, se le donne continuano a guadagnare meno verrà pregiudicato nel prossimo futuro l’equilibrio tra contributi versati e prestazioni pensionistiche erogate.
La parità di genere ha un impatto positivo anche sul tasso di natalità. Nei Paesi con maggiore parità di genere e migliori politiche di conciliazione vita-lavoro si registrano tassi di fertilità più elevati, e anche questo è cruciale per mantenere un equilibrio demografico tra popolazione attiva e popolazione pensionata. In Italia oggi assistiamo ad un forte invecchiamento della popolazione e un tasso di nascita negativo come mail prima. il superamento del divario reddituale è dunque fondamentale perché il sistema previdenziale possa reggere. E questo è un interesse collettivo.
La violenza di genere rappresenta una grave e persistente problematica sociale, caratterizzata dall’assunzione di atteggiamenti e comportamenti discriminatori, prevaricatori o lesivi nei confronti delle donne in quanto tali, e si realizza attraverso diverse forme – fisica, psicologica, sessuale ed economica – le cui conseguenze non riguardano soltanto le vittime dirette ma generano impatti significativi sull'intero contesto sociale ed economico.
Per superare questa situazione occorre agire in primo luogo sulla mentalità e cultura del Paese, che ancora subisce l’influenza di antichi e resistenti stereotipi e consuetudini, e perciò investire in formazione, e diffondere l’adozione di misure sempre migliori di conciliazione e welfare che giovano a tutti, tra cui, ma non solo, le donne.

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