testo integrale con note e bibliografia

1. La qualificazione giuridica e la esatta collocazione dei c.d. indici della subordinazione pone questioni complesse e di lunga indagine (anche tenendo conto della non lineare evoluzione legislativa degli ultimi anni). In aderenza però ai fini di questo dibattito, e nei limiti delle mie competenze specifiche, mi limiterò ad un cenno introduttivo a carattere generale.
Come è noto, degli indici della subordinazione la giurisprudenza fa largo uso a causa, da un lato, del ricorso su larga scala a tipi contrattuali intesi ad eludere la subordinazione ed al ricorrente tentativo, dall’altro, di recuperare a posteriori benefici economici e previdenziali connessi alla dipendenza da parte di soggetti di rapporti di collaborazione lavorativa qualificata in termini di indipendenza. Il quadro è strettamente condizionato dalla forza del principio di effettività, cioè dalla non vincolatività del nomen iuris eventualmente assegnato dalle parti al contratto che appare superabile in presenza di effettive, univoche, diverse modalità di adempimento della prestazione.
Fenomeno abbastanza liquido, dunque, che mal si presta ad un inquadramento netto, anche perché coopera a tali limiti (oltre alla mai troppo deprecata inaffidabilità delle massime rispetto alla specificità della controversia) il linguaggio vario e non sempre controllato delle sentenze. La cosa sembra però difficilmente eliminabile perché, a sua volta, tale linguaggio riflette la incontrollata varietà espressiva degli atti forensi alle prese con una varietà di casistica frutto non solo della italica “fantasia elusiva” ma anche (e soprattutto) del farsi e disfarsi dei modelli organizzativi del lavoro propri del mondo della produzione, del commercio e dei servizi.
2. Muovo dalla constatazione che la fattispecie dell’art. 2094 c. c. presenta struttura definitoria: “è prestatore di lavoro dipendente chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”. Fattispecie completata dall’art. 2104 c. 2 c.c. che grava il dipendente dell’obbligo di “osservare le disposizioni per l’esecuzione e la disciplina del lavoro impartite dall'imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende”. La fattispecie normativa è pertanto integrata dai requisiti di una attività di collaborazione retribuita consistente in una prestazione personale diretta dall’imprenditore, caratterizzata dal dovere di osservare le disposizioni impartite secondo un rapporto gerarchico e, quindi, (non in)dipendente. Il che dovrebbe voler dire che chi invoca la subordinazione dovrebbe provare l’esistenza di prestazioni personali che, rese in ragione del diritto ad una retribuzione, consistono nell’esecuzione di disposizioni vincolanti idonee a giustificare la conclusione (in jure) della soggezione.
Ampia e lunga casistica giudiziaria mostra però subito che i caratteri normativi del lavoro dipendente sono stati specificati nel tempo in sede applicativa fino a formare degli standards che, a loro volta, hanno reagito in sede interpretativa. In giudizio, la prova della sussistenza del potere organizzativo e gerarchico si risolve nella prova dalla sussistenza di un’attività datoriale concretantesi in specifici ordini (e non in semplici direttive, compatibili, queste, anche con il lavoro autonomo), oltre che dall’esercizio di un’assidua attività di vigilanza e controllo sull’esecuzione dell’attività lavorativa e dallo stabile inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale del datore di lavoro. L’appuntarsi dell’attività istruttoria su tali temi di prova – che appare chiaramente orientata ad escludere tanto l’autonomia di scelta che l’esecuzione delle prestazioni lavorative – ha così finito per fornire i connotati della fattispecie normativa.
3. Questo è vero in generale, ma è anche vero che l’esperienza offre spesso delle realtà di frontiera: casistiche (voglio dire attività tipiche, non casi isolati) che presentano manifestazioni di autonomia lavorativa non necessariamente incompatibili con il rapporto di dipendenza.
Basti per esempio pensare all’ampio e consolidato filone di giurisprudenza che dà rilievo prominente alla natura della prestazione resa dal lavoratore: mansioni di carattere intellettuale, mansioni di carattere professionale, ovvero mansioni strettamente materiali. Si tratta di casi in cui l’elemento dell’assoggettamento del lavoratore alle direttive altrui si presenta, come suol dirsi, “in forma attenuata”, in quanto non immediatamente percepibile stante l’atteggiarsi del rapporto. Una volta però che si riconosca che un professionista potrebbe svolgere la sua professione anche alle altrui dipendenze, occorre anche prendere atto della peculiarità dell’esercizio direttivo del datore, che non viene escluso in linea di principio ma deve coordinarsi con ineliminabili elementi di autonomia dell’attività professionale. Elementi di autonomia che comportano attenuazione dei caratteri tipici della subordinazione, senza peraltro necessariamente escluderla.
Sono stati così enucleati criteri complementari e sussidiari, quali la stabilità della linea collaborativa, la continuità delle prestazioni, l’osservanza di orari di massima, la costanza della retribuzione, la regolarità dei termini di pagamento, il coordinamento dell’attività lavorativa all’assetto organizzativo dato dal datore di lavoro, l’assenza in capo al lavoratore di organizzazione imprenditoriale et sim.
La necessità di utilizzare criteri siffatti ha quindi dettato i temi di prova dando a sua volta luogo a nuovi ed autonomi standards che, nei casi di subordinazione c.d. attenuata, hanno preso il posto degli standards originari.
4. Alla luce di questo si può allora valutare il rilievo critico da più parti levatosi contro la tendenza della giurisprudenza a sostituire con indici sintomatici la prova dei fattori di diretta integrazione della fattispecie della subordinazione. Critica fondata, sul piano generale, poiché il riscontro degli indici sussidiari e complementari va ad abusivamente occupare il posto riservato agli elementi propri della fattispecie, che non vengono accertati bensì semplicisticamente implicati (implicazione fallace considerata l’insufficienza di fattori quali quelli enunciati a integrare i fatti caratterizzanti la fattispecie della subordinazione disegnata dagli artt. 2094 e 2104 c. 2 c.c.).
Il vigore del rilievo critico si attenua però in contesti di subordinazione c.d. attenuata: qui il ricorso agli indici sintomatici dipende dalla necessità di impedire l’inevitabile esito di rigetto che seguirebbe all’esperimento di temi di prova incentrati sui fatti costitutivi della fattispecie della subordinazione emergente dalla normativa del codice civile; temi di prova che coinciderebbero con la evidenza e costanza di penetranti poteri direttivi e con l’inserimento rigido nella struttura aziendale. Infatti, se ed in quanto si ammetta che tali elementi possono essere esclusi dal carattere speciale del rapporto senza però comprometterne la natura subordinata, occorre anche che il lavoratore possa dimostrare la presenza dello status subjectionis prescindendo dalla esistenza di elementi che, nel caso di specie, non connotano più la fattispecie invocata e, quindi, dalla loro prova: per fare un esempio, la sfera di libertà del medico nella sua attività terapeutica è probabilmente incompatibile con l’esistenza di disposizioni vincolanti e con penetranti poteri di controllo del datore, ma ciò non esclude a priori la possibilità che il suo rapporto con la struttura sanitaria possa assumere i caratteri del rapporto di lavoro dipendente.
5. Date queste premesse, la sostituzione degli standards probatori, cioè dei temi di prova prestabiliti, corrisponde allora alla modifica dei connotati stessi della fattispecie invocata: accanto alla fattispecie primaria disegnata sui connotati della fattispecie codicistica, si riconosce che il medesimo effetto consegue (può conseguire) anche al ricorrere di una fattispecie secondaria in cui la sostanza del rapporto non è esclusa dall’indebolimento degli elementi raffigurati nella fattispecie primaria. Tale indebolimento permette l’emersione di un insieme di altri elementi che, secondo un criterio di ragionevolezza pratica, cospirano al medesimo risultato. Ne deriva che quelli che, rispetto alla fattispecie primaria, erano solo indici complementari non autosufficienti, acquistano autonomia e centralità se raffrontati alla fattispecie secondaria. Rispetto a tale fattispecie secondaria, il risultato attinto vale da prova dei facta probanda.
La giusta cautela, espressa dalla giurisprudenza, della prudente e complessiva valutazione degli indici astrattamente rilevanti (nessuno di essi potrebbe condurre a riconoscere la subordinazione ove singolarmente considerato), induce verosimilmente ad avvicinarla al meccanismo della prӕsumptio hominis con richiamo alle regole procedimentali imposte dall’art. 2729 c.c. (indizi da considerare secondo criteri gravità, precisione, concorde univocità). Tale modello procedurale pone però l’insormontabile problema della difficoltà di determinarne il punto d’arrivo: resta infatti sempre latitante un ulteriore factum probandum; resta cioè sconosciuto il “fatto ignoto” (c.d. fatto principale) la cui rappresentazione dovrebbe presiedere – tramite la guida di una massima di esperienza – alla prova dei fatti c.d. secondari o complementari. Fatto ignoto tanto più inattingibile in quanto la lunga marcia verso gli attuali standards è nata proprio quale risposta ad una asserita difficoltà di provare gli elementi costitutivi della fattispecie codicistica, difficoltà da compensarsi con il bonus della facilitazione della prova attraverso il meccanismo della prӕsumptio hominis. Partiti con la facilitazione della prova del factum probandum, si è pervenuti alla sua scomparsa.
Nonostante allora tutte le similitudini, bisogna dire chiaramente che il fenomeno della autonomizzazione degli indici secondari nella soggezione attenuata non è un caso di ragionamento presuntivo in senso proprio. Si tratta invece, come si è visto, della sostituzione di standard probatori ad altri, sostituzione legittimata dall’adeguamento del thema probandi ad una fattispecie di formazione pretoria i cui tratti salienti non coincidono più esattamente con quelli disegnati dagli artt. 2094 e 2104 c. 2 c.c. I caratteri dell’attività probatoria – intesa in senso lato, comprensiva del giudizio di rilevanza e del giudizio di corrispondenza – si commisurano quindi ad una operazione interpretativa della norma che eleva ad elemento costitutivo del concetto giuridico di subordinazione (non un fatto singolo ma) un insieme di fatti tra loro coordinati, complessivamente considerati quali sufficienti a integrare il concetto. La (re)interpretazione di tale concetto giuridico è il presupposto logico di una sussunzione che, una volta compiuta, produce a sua volta un nuovo risultato ermeneutico.

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