testo integrale con note e bibliografia

1. Introduzione al tema: azione europea, finanza sostenibile e misure di sostegno occupazionale.

Il saggio si propone di approfondire le intersezioni, ancora poco analizzate in dottrina, della finanza sostenibile con i temi dell’integrazione lavorativa e del sostegno al reddito . L’esigenza di assumere questa ottica di analisi, che mette in relazione dimensioni apparentemente ortogonali , va ricercata nelle più recenti strategie dell’Unione europea volte a perseguire l’obiettivo generale di uno sviluppo sostenibile negli Stati membri (art. 3, c. 3, TUE). Al fine di colmare il divario di investimenti in infrastrutture sociali e raggiungere gli impegni di sostenibilità concordati nell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile e nell’Accordo di Parigi sul clima , infatti, le istituzioni europee hanno orientato le proprie azioni in una direzione precisa.
Tale direzione muove verso la promozione e regolazione di quello specifico settore della finanza che accoglie il concetto di sviluppo sostenibile, integrando nei processi decisionali di investimento considerazioni riguardanti i c.d. fattori ESG, ossia i fattori di tipo ambientale (Environmental), sociale (Social) e di governo societario (Governance) .
Questo settore, denominato finanza sostenibile, è considerato un tassello fondamentale per accompagnare i processi di transizione, nella misura in cui indirizza (o reindirizza) i capitali finanziari verso attività e progetti che non mirano a creare soltanto un plusvalore economico, ma anche un valore sociale e ambientale nel medio-lungo termine . L’idea delle istituzioni europee è che, sostenendo lo sviluppo e la diffusione negli Stati membri di questo specifico modo di fare finanza, sia possibile aumentare le risorse disponibili per affrontare i bisogni sociali e ambientali, promuovendo una crescita inclusiva dell’economia reale .
Un’attuazione concreta di questo modello nel campo delle politiche del lavoro è stato l’intervento Temporary Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency (SURE), approvato dall’Unione europea con Reg. (UE) 2020/672 del 19 maggio 2020. La misura è stata destinata a sostenere interventi di sostegno ai lavoratori subordinati e autonomi in caso di riduzione dell’orario lavorativo, nonché interventi di carattere sanitario nei luoghi di lavoro nel periodo Covid. La dimensione finanziaria dello strumento si è basata sull’emissione di SURE social bonds e tra le ragioni che hanno portato ad optare per questo schema obbligazionario vi è stata l’intenzione di supportare lo sviluppo del mercato della finanza sostenibile .
La svolta ESG impressa dall’Unione non ha, a ben vedere, creato una intersezione tra finanza e lavoro prima inesistente. L’azione europea ha piuttosto accolto un processo da tempo in atto nelle sperimentazioni dei mercati finanziari, processo che si sta sviluppando proprio negli ambiti considerati dall’Unione, ossia in campo ambientale e sociale. Tali sperimentazioni indirizzano capitali finanziari privati verso progettualità diverse, dalla riconversione all’housing, dall’abbattimento delle emissioni alla integrazione lavorativa .
Tuttavia, mentre il processo di finanziarizzazione e le azioni europee in materia di sostenibilità finanziaria ambientale sono accompagnati da un acceso dibattito dottrinale , minore attenzione è stata dedicata, fino a questo momento, all’ambito sociale e, in particolare, alle questioni legate al mercato del lavoro. In questo contesto, il saggio intende contribuire all’avvio di una discussione su tali profili, attraverso un’analisi così sviluppata: dopo aver delineato le coordinate definitorie del concetto di finanza sostenibile (§ 2), sarà individuato il perimetro di intersezione con i temi dell’integrazione lavorativa e del sostegno al reddito (§ 3). A partire dalle esperienze pratiche analizzate verranno discussi i possibili spazi di sperimentazione nell’ottica del raccordo tra misure di politica attiva e passiva del lavoro (§ 4), ma anche le diverse criticità dell’attuale processo di finanziarizzazione (§ 5). Si trarranno, in conclusione, le fila del discorso, indicando le questioni aperte e le prospettive.
2. Problemi e coordinate definitorie del concetto di finanza sostenibile.

Sebbene l’espressione “finanza sostenibile” sia diventata ormai parola d’ordine nell’ambito delle politiche europee non è in realtà agevole spiegarne significato e perimetro applicativo . Su cosa si intenda precisamente con tale formula esiste una certa confusione terminologica e concettuale determinata dal concorrere di numerosi fattori.
Per un verso manca, ad oggi, una definizione normativa europea di carattere generale , lacuna che non può dirsi colmata dall’esistenza di una nozione univoca e costante a livello di prassi dei mercati finanziari . Per altro verso, il settore rappresenta un universo articolato e complesso, di recente sviluppo e ancora in fase di costruzione, nel quale confluiscono strumenti finanziari e pratiche di investimento molto diversi tra loro . La formula viene impiegata per descrivere un ampio ventaglio di schemi finanziari che divergono per modalità di funzionamento, grado di impegno a produrre risultati sostenibili e metodo di misurazione .
Ad ogni modo, guardandosi alle definizioni più diffuse nella prassi finanziaria, rimane possibile individuare alcune coordinate terminologiche. Va osservato, infatti, che, soprattutto in tempi recenti, l’espressione è stata impiegata per designare genericamente «quell’insieme di strategie di investimento che considerano i fattori ESG (acronimo per Environmental, Social e Governance) nella composizione e gestione del portafoglio» . A quest’ultima definizione si richiama anche la Commissione europea che impiega l’espressione “finanza sostenibile” per identificare quel «processo che tiene in debita considerazione, nell’adozione delle decisioni di investimento, i fattori ambientali e sociali, per ottenere maggiori investimenti in attività sostenibili e a lungo termine» .
Ne risulta che la finanza sostenibile, diversamente da quella tradizionale, non si limita a «trasferire risorse da settori in surplus finanziario (i risparmiatori) a settori in deficit finanziario» . Essa trasferisce risorse a settori in carenza finanziaria in modo selezionato: il trasferimento è, precisamente, condizionato all’osservanza di determinati parametri di sostenibilità sociale, ambientale e societaria (i fattori ESG) . Saranno ammesse al finanziamento, dunque, iniziative di ricollocazione nel mercato del lavoro di disoccupati di lungo periodo – sul presupposto che tali azioni possono dirsi sociali (fattore “S”) e ad impatto potenzialmente positivo sulla società –. Saranno escluse, invece, le imprese del settore fossile – sul presupposto che esse impattano negativamente sull’ambiente – .
Al tempo stesso, finanza sostenibile non è sinonimo di filantropia. L’investitore mira comunque a ricevere un rendimento economico dall’operazione. Pertanto, possono ricondursi a tale schema finanziario soltanto quelle strategie di investimento che in maniera diretta o indiretta intendono realizzare un rendimento sociale e ambientale assieme a un ritorno economico . Il settore si pone al crocevia della finanza tradizionale e della filantropia, coniugando gli obiettivi economici individuali con quelli valoriali di interesse generale.
L’attenzione degli investitori verso le tematiche del rapporto e del mercato del lavoro è intercettata, in particolare, dal fattore “S” dell’acronimo ESG, ossia dal criterio di sostenibilità sociale. Questa categoria ha radici storiche lontane, potendo essere collocata nella scia del più avanzato e risalante dibattito in materia di responsabilità sociale di impresa . Pur nelle incertezze definitorie che circondano il settore della finanza sostenibile e che si ripercuotono inevitabilmente sul microsettore della sostenibilità sociale , pertanto, l’individuazione del significato e del contenuto del fattore “S” può giovarsi degli approdi a cui si è giunti in quella materia.
Più precisamente, tale criterio può dirsi essere un ampliamento di prospettiva della responsabilità sociale di impresa, comprendendo un’ampia gamma di forme finanziarie accumunate da un filo conduttore di ordine tematico: gli strumenti rientrano sotto questo cappello nella misura in cui si interessano di questioni relative alla qualità delle «relazioni di lavoro, all’inclusione, al benessere della collettività nonché al rispetto dei diritti umani» . Sul piano lavoristico, l’aspetto sociale considera materie come la (ri)collocazione nel mercato del lavoro, gli investimenti in formazione, nonché le tematiche relative alla protezione dei diritti dei lavoratori nei luoghi di lavoro, tra cui la tutela della salute e della sicurezza e il salario dignitoso.

3. L’evoluzione della intersezione tra finanza sostenibile e misure di sostegno all’occupazione.

Da quanto detto nel paragrafo precedente, il perimetro applicativo del fattore “S” risulta astrattamente molto ampio. Tutte le tematiche legate al rapporto di lavoro o al mercato del lavoro possono divenire obiettivo sociale di uno strumento finanziario sostenibile. Ad oggi, peraltro, le sperimentazioni più significative hanno riguardato principalmente due aree di intervento: il tema della (ri)collocazione dei lavoratori nel mercato del lavoro e quello del mantenimento dell’occupazione attraverso misure di sostegno al reddito. Sullo sviluppo delle intersezioni tra questi ambiti hanno agito da vero e proprio spartiacque la crisi socioeconomica scaturita dal diffondersi della pandemia di Covid-19 e la successiva fase di ripresa.

3.1. Le prime sperimentazioni a promozione dell’integrazione lavorativa.

Nel periodo precedente alla crisi pandemica, il processo di finanziarizzazione aveva interessato per lo più interventi di inserimento e reinserimento nel mercato del lavoro di soggetti fragili. A livello europeo ed internazionale, lo strumento finanziario maggiormente impiegato a tale fine è stato il social impact bond (d’ora in poi SIB) : un contratto di finanziamento che fa leva su complessi partenariati pubblico-privato e sul meccanismo pay-by-results per realizzare progetti di pubblica utilità .
Sono tre, in particolare, gli ambiti di sviluppo del trait d’union tra SIB e interventi di inserimento lavorativo: 1) l’inclusione nel mercato del lavoro di giovani Neet, acronimo che indica giovani non impegnati in attività di studio, lavoro o formazione professionale; 2) il finanziamento di percorsi di ricollocazione dei disoccupati di lungo periodo; 3) il sostegno a progetti di partecipazione al mercato del lavoro dei migranti . In tutti i casi, l’obiettivo prefissato – id est l’impatto sociale perseguito – è stato duplice: la riduzione dei tassi di disoccupazione (o la promozione dell’occupazione) e la contemporanea diminuzione della spesa pubblica collegata all’erogazione dei sussidi di disoccupazione o di altre forme di sostegno.
A supportare le sperimentazioni in questi ambiti sono intervenute anche le istituzioni europee, attraverso il Fondo Europeo per gli Investimenti. Nell’ambito dell’Investment Plan for Europe, ad esempio, quest’istituzione finanziaria ha co-finanziato l’Integration SIB project emesso dal Ministero dell’Economia finlandese a sostegno di progetti di reinserimento nel mercato del lavoro dei migranti . Occorre rilevare, peraltro, che tale azione non ha avuto significativi risvolti nel nostro Paese, che continua a ricoprire un ruolo del tutto marginale in tale settore .
Maggiore interesse e rilievo pratico ha assunto, in Italia, un diverso strumento di finanza sostenibile, denominato social bond. Quest’ultimo è un titolo obbligazionario, i cui proventi vengono impiegati per finanziare o rifinanziare in tutto o in parte, nuovi e/o preesistenti progetti sociali . Esso coinvolge tre categorie di soggetti: l’emittente del social bond; gli investitori che sottoscrivono l’obbligazione; uno o più enti beneficiari del capitale raccolto. Al termine del collocamento, in particolare, l’ente emittente devolve una quota predefinita del capitale al beneficiario sotto forma di donazione – se si tratta di un social bond grant based – oppure sotto forma di prestito – se quello emesso è un social bond loan based – .
Prima della pandemia, nel mercato italiano, lo strumento è stato impiegato nell’ambito del social housing, o comunque delle infrastrutture , e dell’inserimento lavorativo nel mercato del lavoro. Può menzionarsi, a quest’ultimo riguardo, il Social Bond UBI Comunità destinato a finanziare il Progetto “Y.E.P. – Youth, Education & Placement”. L’istituto bancario, in particolare, ha devoluto una percentuale del valore nominale delle obbligazioni a finanziamento del progetto di inclusione lavorativa dell’ente Cometa formazione, destinato ai minori stranieri soli non accompagnati. Il progetto ha attivato corsi di lingua italiana, interventi formativi per l’apprendimento di un mestiere e tirocini presso aziende convenzionate.

3.2. L’espansione sul terreno degli interventi di sostegno al reddito.

Con l’aggravarsi della congiuntura socioeconomica, invece, il fuoco è stato spostato dagli interventi di (ri)collocazione nel mercato del lavoro alle misure di sostegno al reddito per il mantenimento dell’occupazione. L’esempio più significativo è, senza dubbio, l’intervento SURE dell’Unione europea, citato in apertura (retro, § 1), finanziato mediante l’emissione di SURE social bonds. Le risorse raccolte sono state destinate agli Stati membri che ne hanno fatto richiesta e sono state impiegate per finanziare interventi di estensione della platea dei beneficiari delle indennità spettanti in caso di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa, nonché per finanziare misure di estensione della durata massima della copertura .
Accanto all’esperienza europea, peraltro, si sono sviluppate anche altre sperimentazioni. Può ricordarsi quella di Unédic (acronimo di Union Nationale interprofessionnelle pour l’Emploi dans l’Industrie et le Commerce), l’organismo paritetico per gli ammortizzatori sociali amministrato dalle organizzazioni sindacali e datoriali francesi. Per far fronte all’improvviso aumento della spesa causato dalla crisi, Unédic ha emesso specifici social bonds, con cui sono stati finanziati gli interventi a sostegno del reddito dei lavoratori in caso di licenziamento o di riduzione dell’orario lavorativo e le misure di Pôle Emploi, l’ente che governa i servizi all’impiego .
Nel periodo post-pandemico le emissioni di prodotti finanziari socialmente sostenibili, riconducibili cioè al fattore “S” dell’acronimo ESG, sono calate, sia per il progressivo esaurirsi dell’emergenza socioeconomica, sia per il ritorno dell’attenzione delle istituzioni e dell’opinione pubblica verso le questioni ambientali. Cionondimeno, i livelli di emissioni sociali sono rimasti più alti di quelli pre-pandemia, consolidando così il raccordo di carattere trasversale tra interventi di attivazione, misure di sostegno al reddito e finanza sostenibile . Del progressivo consolidamento è indice, nel nostro Paese, l’entrata nel mercato delle obbligazioni sociali di nuovi attori pubblici come Cassa Depositi e Prestiti e di nuovi istituti bancari privati . Ne sono indice anche gli sforzi profusi affinché i fondi pensione negoziali e aperti adottino, nella loro qualità di grandi investitori istituzionali, strategie di investimento sostenibile , nonché l’espandersi di sperimentazioni ad impatto sociale per il finanziamento di iniziative formative e di inserimento lavorativo .

4. Uno sguardo prospettico: possibili nuovi spazi di sperimentazione nell’ottica del raccordo tra misure di politica attiva e passiva del lavoro.

Questa traiettoria evolutiva apre nuove prospettive istituzionali, incentivando un coinvolgimento sempre maggiore di risorse e soggetti privati, sia nel quadro di partenariati con l’amministrazione pubblica (es. SIB), sia attraverso iniziative interamente private (es. social bonds emessi da istituti bancari). Si tratta di cambiamenti che si stanno verificando in ambiti tradizionalmente caratterizzati da un alto grado di protezione sociale erogata dall’attore pubblico , sollevando molteplici riflessioni.
I risultati ottenuti in termini di salvaguardia dell’occupazione e di risorse finanziarie raccolte durante la pandemia rivelano l’esistenza di spazi, rimasti spesso nell’ombra, in cui la costruzione di iniziative pubblico-private e la valorizzazione di canali di finanziamento privati possono effettivamente contribuire al perseguimento di obiettivi sociali. In quest’ottica, il sostegno alla diffusione di sperimentazioni similari potrebbe rivelarsi utile a rafforzare le politiche pubbliche del lavoro, in particolare le linee di policy più recenti, centrate sul raccordo tra politiche attive e passive del lavoro e sull’ampliamento della platea dei beneficiari dei servizi all’impiego.
La gestione integrata delle misure, sebbene spesso carente di effettività pratica, costituisce uno dei principi ispiratori del d.lgs. 15 settembre 2015, n. 148 ed ha portato, da ultimo, il legislatore ad anticipare quanto più possibile l’accesso ai servizi di politica attiva, compresa la formazione professionale . Il coinvolgimento dei lavoratori in misure di attivazione è previsto in caso di proroga dell’intervento straordinario di integrazione salariale oltre i limiti massimi di durata (art. 22-bis), nonché nelle ipotesi di stipulazione di accordi aziendali di ricollocazione (art. 24-bis). Con la l. 30 dicembre, 2021, n. 234 (legge di Bilancio 2022), poi, l’accesso ai servizi occupazionali è stato esteso (ex art. 25-ter) ai soggetti a rischio di disoccupazione, per tali intendendosi i titolari di CIGS e dei trattamenti straordinari assicurati dai Fondi di solidarietà bilaterali, anche alternativi e territoriali (artt. 26, 27 e 40 del d.lgs. n. 148/2015), oltre che dal Fondo di integrazione salariale (art. 29 del d.lgs. n. 148/2015) . L’obiettivo è quello di “attivare” i lavoratori prima dell’estinzione del rapporto – rendendo il tempo di sospensione dal lavoro tempo utile in termini di qualificazione o riqualificazione – nell’ottica di promuovere la continuità lavorativa, o comunque di ridurre al minimo i periodi di inattività.
Tuttavia, il percorso di ricalibratura del sistema di tutele non può dirsi compiuto, perché le norme e le procedure previste scontano seri problemi di effettiva attuazione, e perché rimangono da sciogliere diversi nodi in materia di investimenti necessari per assicurare qualità ed efficacia dei servizi. Le risorse costituiscono la spina dorsale di buoni servizi di attivazione, orientamento, formazione e riqualificazione professionale. Il legislatore non è però sempre riuscito a mettere in campo mezzi adeguati, introducendo interventi monetari temporanei o prevedendo la ormai ricorrente clausola di invarianza finanziaria . Il problema si inserisce nel più ampio quadro di un mercato del lavoro che mostra da tempo segnali di inefficienza – dal problema del mismatch tra domanda e offerta di lavoro , alle scarse opportunità per alcune categorie di persone – e di una spesa pubblica in politiche attive che – al di là di innesti contingenti come le risorse del PNRR – è strutturalmente inferiore rispetto al resto dei Paesi europei .
In questo contesto, l’apertura verso nuovi canali di finanziamento ad integrazione delle risorse esistenti, la sperimentazione di partenariati pubblico-privato e il coinvolgimento di investitori privati potrebbe contribuire ad ampliare i servizi occupazionali. Tali modelli finanziari non possono indubbiamente costituire uno schema alternativo all’intervento pubblico, giacché, a tacer d’altro, hanno natura temporanea. Essi possono però contribuire, attraverso iniziative aggiuntive o integrative, ad aumentare l’offerta di interventi di qualificazione o riqualificazione a sostegno dell’occupabilità.
Molti degli schemi finanziari in parola, inoltre, si basano sul monitoraggio e sulla verifica dell’impatto sociale effettivamente generato, nonché sull’obbligo in capo all’emittente di redigere periodicamente specifici reports sull’andamento dell’operazione . Il richiamo ai concetti economici di misurabilità dell’impatto e di performance potrebbe contribuire ad un uso più oculato delle scarse risorse pubbliche disponibili e a un miglioramento in termini di risultati raggiunti .

5. I profili di criticità dell’attuale processo di intersezione.

L’introduzione di logiche finanziarie in campo occupazionale non è, tuttavia, priva di problematiche. Le ragioni sono molteplici, ma trovano il minimo comune denominatore nella diversa centralità assunta dal bisogno sociale: mentre gli interventi pubblici sono costruiti attorno agli obiettivi di politica del lavoro, gli strumenti finanziari sono, inevitabilmente, guidati da considerazioni finanziarie. Dovendo essere collocati sul mercato, l’interlocutore principale dell’emittente (sia esso una istituzione pubblica, sia esso un ente privato) è costituito dal potenziale investitore. Gli interessi dei destinatari dei progetti da finanziare sono, quindi, mediati dalla propensione e dalle scelte degli investitori.
Questo squilibrio è alla base dell’acceso confronto dottrinale, polarizzato tra quanti mettono comunque in risalto l’effetto leva degli strumenti, che, reindirizzando capitali privati su scopi sociali , consentono di rispondere ai bisogni lasciati scoperti dal sistema di welfare pubblico, e coloro che vedono nell’emergente settore della finanza sostenibile «un’intensificazione del modello neoliberale e un’opportunità eccezionale per creare nuovi strumenti finanziari» . Non si è mancato, inoltre, di mettere a fuoco il problema dell’abuso di questi strumenti. In una fase di crescente pressione dell’opinione pubblica verso i temi della sostenibilità, infatti, posizionarsi al centro del dibattito diventa un vantaggio reputazionale molto forte per imprese e società finanziarie . Ciò rischia di alimentare pratiche di c.d. social washing, ossia operazioni in cui gli investitori vengono indotti a finanziare progetti che perseguono obiettivi sociali soltanto in apparenza, o a finanziare imprese che mettono in atto finte iniziative di responsabilità sociale al solo scopo di migliorare la propria reputazione .
Peraltro, la costruzione di sinergie effettivamente virtuose tra pubblico e privato nel campo degli interventi sul mercato del lavoro non può sottovalutate anche ulteriori problematiche. L’introduzione di logiche di profitto potrebbe comportare una riduzione delle misure a favore dei soggetti più vulnerabili, perché più complesse ed economicamente meno convenienti (c.d. effetto creaming o cherry-picking). Inoltre, a livello più generale, essa potrebbe creare un disallineamento in termini di policy e di architettura generale del modello. Per il momento, infatti, le sperimentazioni realizzate da soggetti privati, in particolare quelle elaborate da istituti bancari e finanziate con capitali interamente privati, si stanno sviluppando al di fuori del sistema, ossia al di fuori di una integrazione sinergica con le strutture pubbliche. Nella maggioranza dei casi, la diffusione di questi interventi non sta avvenendo, cioè, nel quadro di specifiche intese e collaborazioni con i livelli istituzionali per, ad esempio, individuare le misure più adeguate al reinserimento dei lavoratori nel mercato del lavoro.
Le iniziative sono, pertanto, slegate dall’impegno degli attori del sistema di politiche attive del lavoro di perseguire specifiche strategie per l’occupazione e assicurare determinati servizi (art. 11, c. 2, lett. a; art. 2, c. 1 lett. a). Parimenti, esse sono svincolate dai raccordi creati dal legislatore per assicurare adeguati standard di qualità dei servizi privati, come il sistema di accreditamento degli organismi di formazione previsto dall’art. 12, d.lgs. n. 150/2015 o il sistema di autorizzazione di cui agli artt. 4 e 6, d.lgs. n. 276/2003 .
La costruzione di simili raccordi e sinergie tra attori privati e soggetti istituzionali risulta, però, imprescindibile per potere guardare a questi strumenti in chiave istituzionalizzata, ossia come interventi che contribuiscono ad attuare programmi di formazione ed elevazione professionale (ex artt. 4, 35 c. 2, Cost.) , o misure dirette ad assicurare mezzi adeguati alle esigenze di vita in caso di disoccupazione (ex art. 38, c. 2, Cost.) . L’utilità di questi strumenti deve essere sempre misurata in relazione ai benefici che essi sono in grado di assicurare ai cittadini. L’ingresso dei capitali finanziari privati in ambiti storicamente riservati all’azione pubblica dovrebbe, quindi, seguire una dinamica di sviluppo centrata su una logica di tipo integrativo, andando a supportare anziché sostituire il sistema pubblico.

6. La regolazione dei punti di intersezione: un cantiere ancora aperto.

Le riflessioni sviluppate nei precedenti paragrafi consentono di svolgere alcune prime conclusioni sull’intersezione tra finanza sostenibile, integrazione lavorativa e sostegno al reddito. Le tematiche definitorie, così come le incertezze circa gli spazi di impiego di simili strumenti nel governo del mercato del lavoro mettono in luce che, per cogliere pienamente le opportunità connesse alla declinazione dei fattori ESG, è necessaria la costruzione di un quadro istituzionale e normativo in grado di sorreggere le specificità e le complessità dei finanziamenti e degli investimenti a impatto sociale.
Tuttavia, mentre sul piano della sostenibilità ambientale e dei prodotti finanziari green sono stati fatti passi in avanti, la dimensione sociale si presenta, non soltanto in Italia, ancora come un cantiere aperto.
L’Unione europea ha approvato il Reg. (UE) 2019/2088 sulla Sustainable Finance Disclosures Regulation (SFDR) che introduce un insieme di obblighi informativi a carico degli operatori e dei consulenti finanziari ed ha avviato il processo di revisione della Dir. (UE) 2014/95 sulla rendicontazione delle informazioni non finanziarie da parte delle imprese (Non Financial Reporting Directive, NFRD). In relazione al tema ambientale, inoltre, l’Unione ha introdotto il Reg. (UE) 2020/852, che prevede un primo sistema di classificazione o “tassonomia” delle attività ecosostenibili per prevenire le pratiche di greenwashing . Le istituzioni europee, invece, stanno incontrando maggiori ostacoli nell’imporre un linguaggio comune in campo sociale.
Di queste difficoltà è prova il tentativo europeo di introdurre una tassonomia sociale, sulla falsa riga di quella ambientale . La proposta formulata dal gruppo di esperti nominato dalla Commissione ha prodotto, infatti, risultati assai deboli, dimostrandosi ambigua su aspetti centrali della materia. La dimensione lavoristica – che si sviluppa attorno al gruppo target “lavoratori” e lungo la linea dell’obiettivo del “lavoro dignitoso” – , prevede che possano definirsi “sociali” quei progetti che rispettano determinati standard di tutela dei diritti dei lavoratori. Senonché, i riferimenti normativi ruotano attorno alle dichiarazioni internazionali, mentre il piano europeo si esaurisce in un laconico richiamo ai diritti fondamentali riconosciuti nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, nei Trattati europei e nel Pilastro europeo dei diritti sociali, atto, quest’ultimo, oltretutto privo di vincolatività giuridica. La genericità dei riferimenti normativi risulta vieppiù espressiva se messa in relazione con il Reg. (UE) 2020/852 sulla tassonomia ambientale. Il paragrafo 35 del Preambolo delinea un principio di integrazione tra sostenibilità sociale e ambientale, richiamando la necessità di rispettare determinati minimi internazionali ed europei di tutela. Nella parte sostanziale del Regolamento, tuttavia, le disposizioni europee scompaiono e rimangono soltanto i riferimenti internazionali . Di conseguenza, lo standard di tutela del lavoro assicurato è quello internazionale, sebbene la tassonomia sociale e ambientale si rivolga al mercato interno europeo.
La proposta di classificazione sconta, poi, le difficoltà di tradurre in parametri operativi e oggettivi le tematiche sociali, come si evince scorrendo i sub-obiettivi per il raggiungimento dell’obiettivo “lavoro dignitoso”. Questi ultimi, infatti, sono formulati in maniera talmente generale (es. assicurare che i rapporti di lavoro evitino condizioni di lavoro precarie, garantire una eccellente salute e sicurezza dei lavoratori) da divenire vaghi nella loro effettiva portata applicativa.
Tende così a prevalere la lettura finanziaria di un tema che è invece profondamente multisettoriale, intercettando competenze, visioni e questioni molto differenti tra loro. Mentre la struttura finanziaria degli strumenti si basa e potrà – con qualche aggiustamento – continuare a basarsi sui collaudati modelli di finanza quantitativa, l’intersezione creata con i temi sociali e del lavoro introduce una prospettiva nuova, fortemente qualitativa, che per essere concettualizzata in maniera adeguata necessita dell’apporto di studi e approcci interdisciplinari.
La costruzione di intersezioni tra l’ambito finanziario e quello del lavoro richiede, poi, di valorizzare maggiormente e a tutti i livelli la struttura aggregata di attori e interessi sottesa alle dinamiche di protezione sociale nei diversi Stati membri, cominciando da un coinvolgimento più ampio e articolato delle organizzazioni sindacali . Unendo la funzione rappresentativa nei luoghi di lavoro a una crescente azione nel governo del mercato del lavoro, le organizzazioni di rappresentanza possono rivestire un fondamentale ruolo di presidio e di protezione dei diritti dei lavoratori nella definizione dell’approccio europeo alla finanza sostenibile.

Questo sito utilizza cookie necessari al funzionamento e per migliorarne la fruizione.
Proseguendo nella navigazione acconsenti all’uso dei cookie.