TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

Sulla digitalizzazione della giustizia
Nel mio percorso professionale ho avuto l’opportunità di partecipare attivamente allo studio, alla progettazione e all’implementazione del processo civile telematico . Questo mi ha permesso di essere un osservatore privilegiato del processo di cambiamento e di prima trasformazione digitale dell’organizzazione giudiziaria. Agli inizi degli anni 2000 l’obiettivo era un forte recupero di efficienza ed efficacia del sistema, da ottenere tramite la riallocazione delle risorse di personale e la semplificazione dei servizi legati al processo. Nelle intenzioni ministeriali, questo sarebbe stato possibile grazie all’adozione delle (allora nuove) tecnologie dell’informazione e della comunicazione, poste alla base della eliminazione di attività ripetitive e a scarso valore aggiunto, del ripensamento delle regole processuali e dell’organizzazione del lavoro giudiziario. Oggi, a distanza di 25 anni dai primi passi di quel percorso, possiamo dire che il risultato è stato almeno in parte conseguito nel settore civile, anche se la strada è stata lunga, accidentata e non priva di sorprese che hanno ostacolato il pieno realizzarsi degli intenti iniziali. Basti pensare al ventennale blocco delle assunzioni che, nei fatti, ha portato alla riallocazione del personale per lo più verso il settore penale e alla adozione di logiche efficientiste, tutto a discapito della visione iniziale. Per un supporto diretto alla giurisdizione, inoltre, abbiamo aspettato la lunga gestazione dell’ufficio per il processo, il cui futuro operativo al momento è legato a personale a tempo determinato.
L’applicazione delle tecnologie al processo e alla sua organizzazione è ormai un dato di fatto, al punto che sono in corso iniziative per realizzare il processo penale telematico, con il pieno coinvolgimento sia degli uffici requirenti che degli uffici giudicanti, oltre che dell’avvocatura e delle forze di polizia giudiziaria. A prescindere dal necessario tuning delle tecnologie , dal punto di vista culturale pare giunto il tempo per realizzare anche questo passo verso l’ammodernamento del sistema: non è più in discussione il “se”, ma il “come” realizzarlo.
Ora la Giustizia è chiamata a valutare anche nuove opportunità derivanti dall’ulteriore sviluppo delle tecnologie digitali e a fare i conti con l’impatto che queste possano avere sull’intero sistema. Se col processo telematico sinora si è intervenuti prevalentemente sulla dimensione operativa del processo (redazione e deposito di atti e provvedimenti, invio notifiche, celebrazione delle udienze, elaborazione statistiche, ecc.), oggi è possibile incidere anche sul processo decisionale. Soluzioni di machine learning , e più in generale di intelligenza artificiale, infatti, possono automatizzare passaggi e intere fasi di lavoro, possono accelerare e supportare le decisioni dei professionisti del diritto, attraverso il progressivo consolidamento di specifici modelli di dati volti all’analisi delle informazioni e all’elaborazione di conseguenti operazioni, limitando e/o circoscrivendo l’intervento umano. Il tutto facilitato anche dalla mole di dati e documenti digitali creata in questi ultimi dieci anni.
A fronte di numerose domande su dove indirizzare i prossimi sviluppi e come applicare queste tecnologie in ambito giudiziario, mantenendo ferma la questione etica già ben affrontata dall’Unione Europea con l’adozione del cosiddetto AI Act , qui proverò a formulare alcune riflessioni di carattere organizzativo sull’adozione dell’intelligenza artificiale nell’organizzazione del tribunale.
Sulla dimensione organizzativa
Nel suo testo fondamentale, Structure in Fives. Designing Effective Organizations , Henry Mintzberg indica la burocrazia professionale come quella struttura organizzativa il cui coordinamento “si fonda sulla standardizzazione delle capacità e sui connessi parametri di progettazione organizzativa: la formazione e l'indottrinamento. Il nucleo operativo della burocrazia professionale, infatti, è costituito da specialisti adeguatamente formati e indottrinati - professionisti - ai quali viene attribuito un considerevole controllo sul proprio lavoro”. Il nucleo operativo della burocrazia professionale, inoltre, è coadiuvato da uno staff di supporto particolarmente sviluppato, proprio come avviene negli uffici giudiziari, oltre che ad esempio negli istituti scolastici e nelle aziende ospedaliere.
Questa chiave di lettura dell’organizzazione dei tribunali come burocrazia professionale descrive un contesto caratterizzato dalla centralità delle competenze e della capacità di gestire la variabilità e l’incertezza “ambientale”, derivante dalla pluralità ed eterogeneità della domanda di giustizia. Competenze e capacità che si acquisiscono in anni di studio e apprendistato, basate su codici e prassi tendenzialmente stabili. Secondo Mintzberg in questo tipo di organizzazione la leva del vero cambiamento è di carattere culturale, a partire dalle conoscenze e dalle capacità richieste in ingresso alla stessa professione, alla base della successiva disponibilità e volontà di modificare il comportamento operativo e organizzativo . Dello stesso avviso anche Stefano Zan, che nel trattare la questione professionale del sistema giudiziario in Fascicoli e tribunali. Il processo civile in una prospettiva organizzativa, sottolinea la sua “profonda convinzione che se non si modifica, almeno in parte, la cultura professionale di cui sono comuni portatori professori di diritto, avvocati, giudici, cancellieri, ministeriali (e relativi parlamentari) tutti gli altri interventi, di qualsiasi natura, sono destinati a sicuro fallimento.”
Seguendo queste chiavi interpretative possiamo individuare l’unità organizzativa di base del sistema giudiziario nel giudice, il professionista per l’appunto, che in modo autonomo e con terzietà applica la Legge nella gestione del processo e nella decisione. Le caratteristiche di cui è portatore sono di sicuro impatto sul modello organizzativo dei tribunali, al punto che in Le organizzazioni complesse. Logiche d’azione dei sistemi a legame debole, Stefano Zan definisce il sistema giudiziario come sistema a legame tendenzialmente debole, in quanto caratterizzato “da una pluralità di unità organizzative, tendenzialmente autonome, a bassa interdipendenza tecnologica e/o gerarchica” . I meccanismi di funzionamento di queste organizzazioni e i margini di discrezionalità del corpo giudicante portano all’inevitabile difficoltà ad ottenere omogeneità delle dinamiche, dei comportamenti, delle azioni e dei risultati organizzativi. È normale dunque registrare un discreto tasso di variabilità delle performance, sia di carattere quantitativo che qualitativo, tra i tribunali, sull’intero territorio nazionale, ma anche all’interno degli stessi uffici giudiziari, tra le sezioni e nelle sezioni.
Tra le altre variabili, sulla dimensione quantitativa delle performance incidono in modo particolare le risorse disponibili e l’organizzazione, così osserviamo la periodica revisione delle cosiddette tabelle organizzative, l’aggiornamento dei piani di gestione degli uffici, ma anche l’introduzione di nuove soluzioni tecniche, quali ad esempio la revisione del codice di procedura e l’implementazione del processo telematico. Sulla dimensione qualitativa, invece, intervengono con forza variabili come le informazioni e le competenze disponibili, fattori che incidono sulla capacità decisionale e sulla capacità di gestire le procedure. Da qui, ad esempio, la strutturazione di registri informatizzati e la creazione di specifiche banche dati, anche documentali, con la massimazione delle sentenze e la classificazione delle procedure e dei provvedimenti. Quantità e Qualità: due dimensioni fortemente connesse e intrecciate con le caratteristiche strutturali dell’organizzazione e con le tutele e le garanzie che offre il sistema giudiziario. In organizzazioni di questo tipo l’innovazione spesso parte dal basso e il cambiamento, quanto meno, deve essere accompagnato da interventi strutturali e sistemici che ridisegnino i giochi e le logiche di azione, che accompagnino le comunità di pratica e più in generale l’intera comunità professionale nella ridefinizione della dimensione culturale. Per cultura organizzativa, riprendendo la lezione di Edgar Henry Schein in Verso una nuova consapevolezza della cultura organizzativa, qui mi riferisco alla comune percezione su “come” si debbano svolgere le quotidiane attività, ovvero quali siano per i componenti dell’organizzazione le modalità di affrontare e risolvere le problematiche di integrazione interna o di adattamento esterno: “il modo corretto di percepire, pensare e sentire in relazione a tali problemi” .
Per chiudere questo tratteggio del disegno organizzativo dei tribunali, come sottolineato poc’anzi nell’introdurre il modello di burocrazia professionale di Mintzberg, va anche considerato che sono organizzazioni strutturate per fornire supporto sia alla giurisdizione che al pubblico. I tribunali si configurano come vere e proprie organizzazioni di servizio, orientate a soddisfare le esigenze operative di specifici utenti, interni ed esterni. Il tipico modello organizzativo di tribunale presenta il personale amministrativo frapposto fra la giurisdizione e l’ambiente di riferimento, proteggendo da interruzioni il processo decisionale in capo ai magistrati e sostenendo il progredire delle procedure. Così facendo, il personale amministrativo affianca la giurisdizione nella gestione della documentazione e nella formalizzazione di alcuni passaggi processuali e, allo stesso tempo, cura le relazioni con tutti quei soggetti che dall’esterno collaborano con la giurisdizione o si rapportano a vario titolo col tribunale.
Nella complessità del modello organizzativo descritto dove può essere utile e possibile applicare soluzioni di intelligenza artificiale? Proviamo a sviluppare alcune riflessioni approfondendo brevemente tre dimensioni: il sistema di erogazione dei servizi, il supporto alla giurisdizione, il processo decisionale.
Sul sistema di erogazione dei servizi
In tutte le organizzazioni di servizio la soddisfazione dell’utente, la percezione di qualità rispetto all’azione organizzativa, diventa rilevante nella valutazione delle performance. Qui non mi riferisco all’esito della procedura giudiziaria, bensì alla relazione di servizio che si instaura ogni qual volta l’utente entra in contatto con l’organizzazione, vuoi per il deposito di una istanza o di una memoria, per la partecipazione a una udienza, per il rilascio di una copia o il reperimento di una informazione. Le situazioni possono essere numerose e per ciascuna di esse, riprendendo la chiave interpretativa descritta da Richard Normann in La gestione strategica dei servizi , ai fini del successo e della soddisfazione dell’utente le organizzazioni dovrebbero curare il sistema di erogazione in coerenza con la propria idea di servizio e con le caratteristiche dell’utenza cui si rivolgono, dei prodotti e dei servizi che offrono, dell’immagine che trasmettono. Le organizzazioni di servizio, come i tribunali appunto, per aspirare alla Qualità della propria azione dovrebbero strutturare in modo coerente il proprio modello organizzativo, i processi operativi e l’impiego delle risorse umane, degli spazi e degli strumenti, lavorando positivamente sulle aspettative dei propri utenti, interni ed esterni.
In questa ricerca di coerenza le tecnologie digitali possono essere di grande aiuto e una leva per ripensare e migliorare l’organizzazione. Nei primi anni 2000, ad esempio, con l’avanguardia del gruppo bolognese , fu messo a punto e introdotto al Tribunale di Bologna il primo embrione del Polisweb per la diffusione di informazioni qualificate sullo stato dei fascicoli civili, riqualificando così gli accessi degli avvocati in cancelleria. Ciò fu possibile grazie alla propedeutica informatizzazione dei registri, che progressivamente sostituirono i ruoli cartacei, e alla volontà di rendere sostenibile e coerente con le risorse disponibili il sistema di erogazione dei servizi. La stessa volontà di chi, più di recente, ha introdotto sistemi di prenotazione e regolazione degli accessi in cancelleria per portare ordine e certezza nel proprio sistema di erogazione, sfruttando le opportunità di internet e dell’iper-connettività che caratterizza la nostra società. Al contrario, diversamente da chi, ad esempio, non si prodiga in una gestione tempestiva dei depositi telematici degli avvocati, lasciandoli in giacenza per giorni in attesa di accettazione. In questi casi, non solo vengono disattese le aspettative dell’utenza, comunemente abituata a ottenere risposte pressoché immediate a seguito di operazioni web, ma si vanno anche a creare sfiducia e incertezza sulla validità del proprio operato a prescindere dalla consapevolezza di essere nei termini, al punto da generare nuovi contatti e accessi per verificare che tutto sia a posto: veri e propri circoli viziosi.
L’intelligenza artificiale può rappresentare una nuova opportunità di miglioramento dell’efficienza e della qualità del lavoro amministrativo e dei servizi giudiziari, da un lato fornendo un’ulteriore spinta verso la semplificazione e la velocizzazione delle attività dell’apparato amministrativo, dall’altro favorendo la coerenza tra le componenti del sistema di erogazione dei servizi dei tribunali.
L’intelligenza artificiale può essere applicata per l’automazione e lo snellimento delle attività amministrative legate allo sviluppo del processo. Le attività di registrazione e annotazione sui registri di cancelleria, ad esempio, possono essere facilitate da funzioni di ricerca e riconoscimento del valore semantico dei testi, così come le verifiche fiscali e di conformità dei termini di deposito possono essere realizzate impostando controlli automatici di corrispondenza, con conseguenti avvisi e notifiche. Il sistema informatico può superare il mero controllo di campi valorizzati dall’utente e verificare direttamente i contenuti della documentazione depositata ed eventualmente, se necessario, interrogare banche dati esterne. Allo stesso tempo l’intelligenza artificiale può essere applicata anche alla gestione dell’organizzazione e alla programmazione del lavoro. Attraverso soluzioni evolute di analisi dei dati, ad esempio, è possibile ottimizzare la gestione delle turnazioni del personale, l’assegnazione di compiti e obiettivi specifici, tenendo anche conto delle performance in corso e del variare dei flussi giudiziari, come dei temporanei livelli di accesso al palazzo di giustizia. Questo può essere applicato anche alla gestione delle risorse, come ad esempio per l’ottimizzazione dell’impiego delle aule d’udienza e degli automezzi.
Già da queste prime riflessioni è facile intuire la portata di una attenta e mirata adozione di soluzioni di intelligenza artificiale alla gestione dell’organizzazione e alle attività dell’apparato amministrativo, con riflessi positivi sulla qualità percepita dei servizi giudiziari, se non altro per la maggior corrispondenza alle aspettative in termini di capacità e tempo di risposta organizzativa. Allo stesso modo è possibile immaginare applicazioni dirette sul sistema di gestione dell’esperienza utente, sia professionale che privato. Oggi, ad esempio, sono sempre più diffuse nel mercato soluzioni come chatbot per fornire informazioni qualificate e per semplificare l’accesso degli utenti ai servizi richiesti. Applicazioni che appaiono particolarmente utili per guidare l’utenza privata verso una più semplice fruizione dei servizi e per orientarla tra le pratiche di volontaria giurisdizione.
Nuovi strumenti e soluzioni digitali, utili a rimodulare le modalità di erogazione del servizio al pubblico, che una volta introdotti portano necessariamente a un più profondo ripensamento dell’organizzazione e della cultura del servizio, nonché delle sue regole. Così è stato anche per il processo telematico, che informatizzando le modalità di trasmissione degli atti, di gestione e consultazione dei fascicoli, ha coinvolto ancor di più l’utente nella partecipazione attiva alla produzione e all’erogazione del servizio e ha creato i presupposti per un profondo ripensamento delle regole, eliminando passaggi e ridondanze, attività e tecnicismi legati alla gestione del documento cartaceo, integrando pienamente il digitale nel processo.
Sul supporto alla giurisdizione
Le tipiche dinamiche organizzative osservate nei tribunali nei primi anni 2000 proponevano un giudice che per lo più “lavorava da solo”, a fronte di una forte verticalizzazione funzionale dell’organizzazione e dei compiti assegnati alle diverse categorie professionali. Il personale amministrativo, custode del fascicolo e certificatore dei passaggi formali del processo, risultava lontano dalla giurisdizione, sempre più sola e in difficoltà a far fronte ai crescenti flussi giudiziari. A lungo, dunque, si è dibattuto su quale dovesse essere il modello organizzativo di supporto alla giurisdizione e nel dibattito si sono fatte strada due idee forti: una a favore dell’ufficio del giudice, con uno staff di supporto dedicato al singolo magistrato, e una a favore dell’ufficio per il processo, inteso come una struttura variabile, definita a livello locale, sulla base di specifici obiettivi. Due modelli organizzativi, pur non confliggenti, fondati su logiche d’azione differenti: il primo, esaltando la dimensione individuale, in ottica di case management; il secondo, abbracciando la pluralità della dimensione organizzativa, in ottica di court management.
Il legislatore del 2012, “al fine di garantire la ragionevole durata del processo, attraverso l'innovazione dei modelli organizzativi ed assicurando un più efficiente impiego delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione” , ha costituito l’ufficio per il processo. Tra gli elementi fondanti, l’idea che non ci sia un’unica configurazione organizzativa da adottare, ma debba essere definita di volta in volta sulla base delle criticità da affrontare e degli obiettivi da conseguire nel singolo tribunale. Inoltre, il legislatore ha indicato le nuove tecnologie come uno dei pilastri del nuovo modello, come una delle leve operative per garantire la ragionevole durata del processo. Il processo telematico, infatti, è stato uno degli elementi chiave già nelle prime sperimentazioni. Al Tribunale di Firenze, ad esempio, buona parte dei tirocinanti già nel 2013 utilizzavano la cosiddetta consolle dell’assistente come strumento di collaborazione con il giudice assegnatario, che assistevano anche nell’uso della consolle del magistrato per la gestione del ruolo e l’emissione dei provvedimenti . Con l’evolversi delle tecnologie oggi è possibile un ulteriore potenziamento della capacità di supporto alla giurisdizione. Ad esempio, tra le soluzioni studiate, e in alcuni casi testate, nel corso del recente “progetto unitario sulla diffusione dell’ufficio del processo e l’implementazione di modelli operativi innovativi negli uffici giudiziari per lo smaltimento dell’arretrato” , registriamo interventi per la costruzione e la consultazione di banche dati giurisprudenziali, la predisposizione di nuove soluzioni per l’elaborazione e la sintesi della documentazione secondo schemi definiti e richiesti dal giudice e la realizzazione di cruscotti di gestione.
Una recente indagine ha evidenziato che il modello organizzativo di ufficio per il processo maggiormente adottato nei tribunali italiani, ai fini del conseguimento degli obiettivi PNRR e sulla base delle risorse umane oggi disponibili, vede l’assegnazione di uno o più funzionari addetti all’ufficio per il processo a uno specifico magistrato, rafforzando la relazione diretta e la dimensione fiduciaria all’interno del gruppo di lavoro. In questi casi, la ricerca ha messo in evidenza come gli addetti all’ufficio per il processo siano impegnati per circa il 18% del proprio tempo lavoro in attività di tipo organizzativo e per l’82% in attività di diretto supporto alla giurisdizione. Le attività di tipo organizzativo, ad esempio, riguardano il raccordo con la cancelleria e la preparazione degli strumenti informatici e dell’ambiente di lavoro dei magistrati, come la personalizzazione dei modelli e dei frasari sulla consolle del magistrato. Le attività di supporto diretto alla giurisdizione, tra le altre, riguardano lo studio del fascicolo e la strutturazione di schede del processo, ricerche giurisprudenziali e dottrinali, l’elaborazione di schemi e bozze di provvedimento, la preparazione e la partecipazione alle udienze, l’assistenza alla verbalizzazione .
Tutte attività funzionali alla migliore gestione delle dinamiche processuali e alla facilitazione del processo decisionale del giudice. Si tratta per lo più di attività dispendiose in termini di tempo che potrebbero essere facilitate da una implementazione mirata dell’intelligenza artificiale, con ricadute positive sui passaggi successivi. Basti pensare, ad esempio, che oggi i più diffusi sistemi di intelligenza artificiale a mercato già permettono l’elaborazione automatica di sintesi di documenti e delle riunioni, così le stesse logiche potrebbero essere applicate agli atti giudiziari e alle udienze. Adeguatamente progettate e configurate, queste soluzioni potrebbero effettuare in automatico anche una prima schematizzazione delle posizioni delle parti per punti chiave, con evidenza dei fatti principali e delle norme citate, favorendo così la comparazione delle posizioni in campo e gli elementi a supporto dell’una e dell’altra parte. Ciò favorirebbe l’analisi delle procedure e lo studio dei casi, eventualmente ricercando in automatico anche approfondimenti giurisprudenziali e dottrinali in relazione a quanto esposto dalle parti. Per una migliore programmazione e organizzazione del lavoro giudiziario, inoltre, queste tecnologie potrebbero facilitare l’analisi del ruolo ed applicare specifici algoritmi di pianificazione del lavoro, oltre che delle udienze, in base ai criteri stabiliti dallo stesso giudice. In questo modo sarebbe possibile ottimizzare la gestione dei tempi e dei carichi di lavoro del giudice e dello stesso ufficio per il processo.
Sul processo decisionale
In questi anni di progressiva informatizzazione e dematerializzazione dei fascicoli, dei registri e degli archivi giurisprudenziali, i giudici hanno strutturato nuove prassi e modalità di lavoro, per lo più fondate sull’uso dell’informatica. Il processo telematico, non senza resistenze, li ha indotti ad adattarsi a nuovi modi di redigere i provvedimenti, di verificare e analizzare l’andamento del processo, di gestire e trattare le procedure. Oggi il fascicolo è informatico e la consolle del magistrato e i software messi a loro disposizione dal Ministero della giustizia offrono una pluralità di funzioni: di tipo gestionale, come ad esempio per l’analisi statistica e la gestione dei singoli fascicoli e dell’intero ruolo, e di office automation, come la trascrizione di appunti e annotazioni, la stesura e il deposito di provvedimenti, la tenuta di udienze online. Nonostante l’obbligatorietà del processo telematico e l’inserimento di nuove generazioni di giovani magistrati, sarebbe tuttavia miope pensare che la totalità, o anche solo la maggior parte dei giudici, gestisca ogni aspetto della propria attività giurisdizionale sfruttando a pieno le potenzialità dei sistemi informatici proposti. Al contrario, ancora oggi è plausibile attendersi un tendenziale sottoutilizzo dei sistemi e un ampio ricorso a logiche veicolari.
Il processo telematico ha certamente abbattuto i tempi di attraversamento e i tempi amministrativi della procedura, ma ha solo in parte toccato i tempi della decisione. Ai fini del processo decisionale la strumentazione oggi disponibile è per lo più focalizzata sulla dimensione informativa, evidenziando specifici dati e informazioni della procedura, come ad esempio l’anagrafica delle parti, gli eventi e gli elementi dello storico del fascicolo, e facilitando l’accesso a banche dati giurisprudenziali (personali, della sezione e di altri uffici giudiziari) utili a formare il giudizio. Oltre a questo, inoltre, oggi l’applicazione delle tecnologie è più orientata alla dimensione produttivistica, per facilitare e accelerare, in concorrenza con la tradizionale gestione del cartaceo, le modalità di elaborazione, stesura ed emanazione delle decisioni, ad esempio prevedendo sistemi di gestione dei modelli di provvedimento, anche in parte auto-compilabili, piuttosto che frasari e timbri virtuali.
Sinora, dunque, le tecnologie hanno solo in minima parte inciso sui processi logici che portano alla maturazione della decisione giudiziale che, riprendendo quanto precisato da Michele Taruffo in La motivazione della sentenza civile: “non è un atto meccanico, ma un processo mentale complesso in cui il giudice valuta i fatti, seleziona le norme pertinenti, costruisce argomentazioni e, infine, le comunica in forma di motivazione razionale” . È facilmente comprensibile come questa attività rappresenti il collo di bottiglia del processo più difficile da abbattere e come, mirando alla qualità del lavoro giudiziario e non alla mera riduzione del numero delle procedure pendenti, sia delicato, e allo stesso tempo strategico, provare a incidere sui passaggi che conducono il giudice alla decisione e alla sua formalizzazione.
Questo processo logico, lasciando in capo al giudice ogni decisione, potrebbe esser facilitato e potenziato con adeguati supporti organizzativi, come appunto l’ufficio per il processo e l’ausilio di professionisti esperti, e dalla messa a punto di specifiche applicazioni di intelligenza artificiale volte a facilitare il lavoro in ogni fase del processo decisionale. Nella ricostruzione dei fatti, la fase del processo decisionale in cui il giudice deve comprendere e ricostruire ciò che è accaduto, il sistema informatico potrebbe analizzare velocemente centinaia di pagine, se non migliaia, ed estrarre in automatico dati e informazioni secondo schemi logici di classificazione e rappresentazione stabiliti dallo stesso giudice, evidenziando le diverse posizioni e i relativi mezzi di prova. Nella lettura giuridico-normativa dei fatti e della posizione delle parti, invece, l’intelligenza artificiale potrebbe elaborare una prima selezione dei riferimenti normativi e giurisprudenziali, non solo evidenziando la posizione della dottrina e di quei casi in cui lo stesso giudice (o la sezione) ha già deciso, ma anche eventuali differenze e incongruenze tra le argomentazioni delle parti. Nella valutazione del caso, infine, l’intelligenza artificiale potrebbe presentare e mettere a confronto eventuali soluzioni alternative, indicando al giudice le fondamenta dell’una o dell’altra ed evidenziandone i principi giuridici. Fatte le proprie valutazioni, il giudice potrebbe trovare ulteriore ausilio nella stesura e nella revisione del provvedimento e delle motivazioni.
L’integrazione dell’intelligenza artificiale nel processo decisionale, dunque, non deve essere vista come sostitutiva del giudice, ma come potenziamento delle sue capacità. L’intelligenza artificiale offre l’opportunità di semplificare i processi cognitivi, migliorando la gestione e l’elaborazione delle informazioni a vantaggio del giudice. Tuttavia, è fondamentale garantirne un utilizzo responsabile e consapevole, permettendo allo stesso giudice di comprenderne i limiti e di incidere sulle impostazioni dei propri strumenti di lavoro. Va dunque preservata la centralità del giudice, delle sue competenze e della sua funzione interpretativa e deliberativa, adottando soluzioni tecniche, organizzative e formative che impediscano un lento e progressivo affidamento acritico alle proposte e alle soluzioni definite dalla macchina.
Sulla digital transformation dell’organizzazione tribunale
Quanto esposto sinora ha messo in evidenza come siano innumerevoli le possibili applicazioni dell’intelligenza artificiale alle varie dimensioni dell’organizzazione dei tribunali. Questa tecnologia, infatti, potrebbe essere utile a supporto del personale amministrativo, nella gestione degli adempimenti del processo e dell’organizzazione del lavoro, ma anche nella strutturazione del sistema di erogazione dei servizi, sia all’utenza professionale che a quella privata. Allo stesso tempo, l’intelligenza artificiale si presenta come una tecnologia della conoscenza, con utili applicazioni nello sviluppo e nel supporto al processo decisionale dei giudici. L’intelligenza artificiale appare dunque come una tecnologia duttile e pervasiva, che può portare il lavoro giudiziario a una vera e propria trasformazione digitale, potenziando le capacità operative e cognitive del personale.
In questa riflessione di carattere organizzativo, tuttavia, non possiamo dimenticare l’esperienza del processo telematico e la lezione che ci ha impartito mettendo tutti noi di fronte a casi di vera e propria schizofrenia organizzativa. Implementate le nuove soluzioni tecnologiche, infatti, sono emersi con forza effetti inattesi e circoli viziosi che ne hanno a lungo ridotto l’impatto. Basti pensare alle copie di cortesia e al rafforzamento, di fatto, della solitudine lavorativa del giudice. Se il primo è stato superato con lo shock della pandemia da Covid-19, con un profondo e diffuso nuovo approccio all’uso delle tecnologie dell’informazione, il secondo è stato per lo più attenuato grazie all’assunzione dei nuovi funzionari addetti all’ufficio per il processo. Da qui, e tenendo conto degli elementi caratteristici dell’organizzazione dei tribunali, scaturiscono alcune ulteriori riflessioni sull’impatto dell’intelligenza artificiale e sulla necessaria gestione del processo di digital transformation.
Nelle organizzazioni a legame tendenzialmente debole un approccio al cambiamento di tipo top-down spesso fallisce o, quanto meno, produce effetti inattesi. In organizzazioni come queste è decisamente più efficace un approccio partecipativo e di tipo bottom-up, che favorisca ascolto e confronto sugli obiettivi e le soluzioni, realizzando un processo creativo di prototipazione e sperimentazione locale, evidenziando il valore aggiunto di dette soluzioni. Come ho sostenuto insieme al collega Giulio Michetti in I presidenti di tribunale: manager nell’emergenza sanitaria. L’interpretazione di ruolo tra normativa e tecnologie abilitanti, il centro del sistema in genere preferisce la standardizzazione e l’uniformità alla specificità e alla personalizzazione, quando invece “dovrebbe essere il catalizzatore delle tensioni innovative e delle prassi efficaci, fornendo spazi, competenze e risorse per il cambiamento organizzativo. Il centro dovrebbe farsi attento osservatore e facilitatore dei processi di innovazione, senza sostituirsi al livello locale.” Il centro dovrebbe avere attenzione e apertura all’innovazione promossa dal basso, favorendo modelli originali di adozione e impiego delle soluzioni tecnologiche, favorendo così il superamento di resistenze e di eventuali reazioni di rigetto, alimentate dalla radicata cultura organizzativa e sostenute dagli elevati livelli di autonomia.
Per guidare la trasformazione digitale del modello d’azione dei tribunali, dunque, è necessario gestire anche il processo di cambiamento, che non si conclude con la produzione delle soluzioni e la loro distribuzione. Riprendendo la lezione di Stefano Zan, il centro dovrebbe coinvolgere l’intera comunità professionale e porre le basi per la stratificazione di nuovi valori condivisi. Da qui credo non si possa pensare all’introduzione dell’intelligenza artificiale, vera e propria killer application dal potenziale dirompente , senza il coinvolgimento diretto dell’organo di autogoverno della magistratura e senza fornire specifici supporti, tecnici e formativi, per accompagnare e facilitare la conversione dell’organizzazione. La centralità delle competenze e la forza della cultura professionale ed organizzativa, di fronte a un cambiamento radicale delle modalità di lavoro, mi portano a sostenere la necessità di rafforzare i meccanismi di condivisione e circolazione delle informazioni all’interno della comunità professionale.
Per una consapevole e mirata adozione dell’intelligenza artificiale nel processo decisionale, evitando il rischio che la tecnologia guidi e vincoli in modo acritico le scelte della giurisdizione, è necessario formare i giudici e non lasciarli soli in nome dell’efficientismo tecnologico e informativo. Mai come in questo caso va valorizzato l’elemento organizzativo, creando così le condizioni affinché lo stesso giudice possa avvantaggiarsi criticamente delle opportunità date dall’intelligenza artificiale, mettendo al centro la sua competenza, in quanto libero da carichi eccessivi e sostenuto dall’organizzazione nello sviluppo del processo decisionale. Per ottenere questo risultato, oltre a garantire elevati livelli di personalizzazione degli strumenti, va ripensata la struttura organizzativa a supporto della giurisdizione. Non è pensabile e sostenibile affrontare un cambiamento così radicale dei modelli operativi della giurisdizione facendo affidamento su personale a tempo determinato o dalle competenze variabili: è giunto il tempo di affrontare la questione organizzativa e sostenere la trasformazione digitale con interventi strutturali e sistemici che ridisegnino i ruoli, le funzioni e le logiche di azione nei tribunali e nel supporto diretto alla giurisdizione. Servono maggiori competenze e una migliore qualificazione del ruolo di supporto alla giurisdizione, servono stabilità e integrazione nel sistema di lavoro, sotto la responsabilità dei giudici.
È mia convinzione che la digital transformation di una organizzazione implica un complesso processo di cambiamento delle modalità di lavoro che permea l’intera organizzazione. Non si tratta di un semplice intervento sostitutivo di tecnologie. La digital transformation comporta l’automazione di alcuni processi, l’eliminazione di altri, l’introduzione di nuovi. Cambiano così il modo di lavorare, di conseguire gli obiettivi organizzativi, e le modalità di relazionarsi al suo interno e verso l’esterno. In questo radicale cambiamento vi sono attività non più necessarie e allo stesso tempo vi sono nuovi compiti, risorse e competenze di cui l’organizzazione non può fare a meno. Questo percorso porta l’organizzazione alla imprescindibile ridefinizione dei ruoli e delle funzioni, ristrutturando il proprio assetto per rendere il nuovo modello sempre più performante e competitivo. In tutto questo, progressivamente prende forma una nuova cultura organizzativa, spesso radicalmente differente dalla precedente, evidenziando ulteriormente il passaggio a una nuova fase dell’organizzazione.

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