testo integrale con note e bibliografia

Negli ultimi anni, in Europa e non solo, si è riscontrato un crescente sentimento di populismo penale che ha portato a un inasprimento delle sanzioni (per tipologie e per durata) e, di conseguenza, a un aumento delle diseguaglianze, che si riverberano nella fase dell’esecuzione penale.
Il massiccio ricorso alla strumentazione penale – per cui si è spesso usata l’espressione panpenalismo – risulta essere frutto dell’atteggiamento di una parte della politica volto ad anticipare, e “cavalcare”, le «inquietudini securitarie dei cittadini» .
Ciò si pone in contraddizione con le dichiarazioni di rilancio di interventi volti al reinserimento dei detenuti, tra cui si annovera il lavoro. È evidente, infatti, che a poco vale l’appello alla società civile di accogliere lavoratori-detenuti – anche in una prospettiva di responsabilità sociale d’impresa – se mancano, al contempo, azioni di sistema, che tocchino i temi dell’edilizia penitenziaria, dell’affettività , dello stanziamento delle risorse destinate agli istituti (personale dell’area educativa e sanitaria, polizia penitenziaria) e, non da ultimo, della valorizzazione del ricorso a misure alternative alla detenzione.
Laddove difetti una lettura del fenomeno ad ampio spettro, difficilmente si potrà modificare la condizione in cui versano le nostre carceri e da cui si misura lo stato di civiltà del Paese.
Il lavoro può essere fondamentale veicolo di reinserimento e lotta alla recidiva se integrato in un costrutto progettuale di presidio della dignità della persona . Il lavoro assume valore salvifico e di viatico per il rientro nella comunità solo se si aggettiva: il lavoro carcerario deve essere dignitoso, corredato di tutele, per circoscrivere il rischio di episodi di sfruttamento segnalati dai Rapporti delle Nazioni Unite in diverse parti del mondo .
Il Focus “La giustizia sociale attraverso il lavoro carcerario: un ponte tra pena e reinserimento” accoglie un approccio multidisciplinare che muove dal complesso scenario di riferimento, flagellato dal perdurante sovraffollamento dei nostri istituti penitenziari (G. Caputo), per comprendere come la finalità rieducativa (L. Ravagnani) possa inverarsi nel composito quadro giuridico multilivello (A. Sitzia; A. Lorenzetti).
Il punto di partenza resta la convinzione di una piena equiparabilità tra lavoro carcerario e lavoro reso nel mercato libero (F. Malzani), sostenuta dallo sforzo delle Direzioni penitenziarie e dalle istituzioni preposte (V. Lamonaca) e tutelata tramite l’impegno delle associazioni e del sindacato nel contenzioso strategico (G. Caputo), al fine di generare modelli virtuosi (anche predittivi) di contenimento della recidiva (L. Maldonato).

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