testo integrale con note e bibliografia
Nel contesto delle trasformazioni del mercato del lavoro e del sistema produttivo italiano, la partecipazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti alla vita dell’impresa si conferma un tema centrale e attuale.
L’argomento, come noto, trae fondamento nella Costituzione che, all’art. 46, riconosce ai lavoratori il diritto di collaborare alla gestione delle imprese “in armonia con le esigenze della produzione”.
Confindustria ha sempre partecipato attivamente, con attenzione e rispetto, al confronto sul tema, valutando con pragmatismo le modalità più efficaci con le quali attuare forme di partecipazione nel contesto industriale italiano.
Le possibili forme di partecipazione dei lavoratori sono infatti molteplici.
Accanto alla partecipazione “informativa” e “consultiva”, che costituisce la base delle relazioni sindacali, si colloca la partecipazione “organizzativa”, che implica il coinvolgimento dei lavoratori nei processi aziendali, anche attraverso sistemi premianti legati agli incrementi di produttività. Si arriva poi alla partecipazione alla gestione dell’impresa, che può includere sia la presenza nella governance aziendale, sia la partecipazione al capitale d’impresa.
Nel nostro ordinamento, da molto tempo, esistono già discipline di legge che regolano tutte e tre queste tipologie di partecipazione1 che, peraltro, hanno trovato, nel tempo, spazio crescente altresì nella contrattazione collettiva e nelle prassi aziendali, anche grazie ad un clima di relazioni industriali che Confindustria ha voluto sempre più orientare verso la collaborazione e la condivisione.
Confindustria, infatti, ha accompagnato questa evoluzione, favorendo esperienze partecipative che fossero armoniche con l’organizzazione aziendale e capaci di generare valore condiviso.
È evidente, dunque, che, da un lato, nel nostro ordinamento non esistono ostacoli giuridici alla partecipazione e che, d’altro lato, da un punto di vista strettamente sindacale, Confindustria non ha alcun pregiudizio verso il tema della partecipazione, purché venga declinato nel pieno rispetto della libertà di iniziativa economica.
Il Sistema Confindustriale è convinto – specie in questo particolare contesto socioeconomico – che l’economia della partecipazione costituisca senz’altro una strategia apprezzabile per dotare le imprese di sistemi che consentano di affrontare le transizioni in modo non traumatico, attraverso un’azione sinergica e collaborativa tra tutte le parti coinvolte, con condivisione di obiettivi e responsabilità.
L’attuale e futura sostenibilità dei modelli partecipativi richiede dunque politiche gestionali flessibili, fondate sul dialogo e sull’adattamento alle caratteristiche specifiche di ciascuna realtà aziendale. Solo in questo modo la partecipazione può contribuire a rafforzare la competitività delle imprese, senza comprometterne l’efficienza decisionale. Ciò, peraltro, in linea con il dettato costituzionale, in base al quale la realizzazione di tale modello deve avvenire “in armonia con le esigenze della produzione”.
È indispensabile, infatti, che tali strumenti partecipativi non si traducano in meccanismi normativamente imposti che rischierebbero di sortire un effetto opposto rispetto a quello prefissato.
In altre parole, la crescita della cultura della partecipazione, che deve sempre rispettare i tempi e la volontà delle parti sociali, non può trovare il suo strumento principe nella precettività della legge ma va costruita, giorno per giorno, nel dialogo, nel confronto e nella condivisione degli obiettivi e delle responsabilità tra impresa e lavoratori.
Confindustria è impegnata da tempo su questo percorso, ossia nella costruzione di un sistema di relazioni industriali che superi definitivamente logiche antagonistiche (che per lunghi tratti della nostra storia sindacale hanno connotato i rapporti all’interno delle imprese), a favore della creazione di rapporti sindacali sempre più maturi, responsabili e collaborativi. A conferma di ciò, nel Patto per la Fabbrica del 2018 è stato ribadito l’impegno comune, con CGIL, CISL e UIL, a promuovere forme di partecipazione come leva di competitività e sviluppo, affidando in questo senso un ruolo fondamentale alla contrattazione
collettiva, sia nazionale che aziendale.
Si tratta di un’impostazione improntata alla logica che noi riteniamo essere quella più consona al nostro sistema produttivo, caratterizzato da una larghissima presenza di medie e piccole imprese: i percorsi più adatti per realizzare forme di partecipazione devono essere individuati in base alle specificità del caso concreto e al grado di avanzamento in cui si trova il livello di collaborazione tra ogni singola impresa e i suoi dipendenti.
D’altronde, è un dato di realtà ineludibile che le forme di partecipazione largamente più diffuse nel nostro sistema di rapporti sindacali (ossia le forme di partecipazione consistenti nell’informazione e nella consultazione ovvero nella partecipazione “organizzativa”) vengono declinate secondo modelli tutt’affatto differenziati, a seconda delle realtà produttive in cui si calano e alla “storia” sindacale di ogni singola impresa.
Qualsiasi intervento volto a rafforzare la partecipazione, quindi, deve tener conto di questo pluralismo, evitando imposizioni che rischierebbero di appesantire i processi decisionali, soprattutto nelle imprese di minori dimensioni e deve essere coerente con il sistema attuale, caratterizzato dalla volontarietà nell’adozione degli strumenti di partecipazione e dall’ampia autonomia lasciata alle imprese in tale ambito. L’adozione generalizzata e standardizzata di modelli partecipativi rischierebbe, infatti, di appesantire i processi decisionali e di alterare il profilo competitivo delle imprese, soprattutto quelle di piccole dimensioni, che rappresentano la maggioranza del tessuto produttivo nazionale.
In questo senso, rafforzare gli strumenti della contrattazione collettiva, incentivare fiscalmente comportamenti virtuosi e promuovere una cultura di responsabilità condivisa sono le leve su cui costruire un futuro di partecipazione matura ed efficace.
Le esperienze già in atto, come quelle legate ai premi di risultato e al welfare aziendale, dimostrano che esistono strumenti efficaci, capaci di coniugare gli interessi dell’impresa con quelli dei lavoratori.
Per diffondere maggiormente e in modo efficace la cultura della partecipazione è bene, dunque, rafforzare il sistema degli incentivi già esistenti, volti a favorire l’adozione di forme di partecipazione flessibili, che rendano l’andamento aziendale interesse comune e che mirino a coinvolgere l’attività lavorativa e l’attività imprenditoriale verso obiettivi e responsabilità condivisi, con effetti immediati anche in termini di incremento dei salari.
Non sono poche, infatti, le realtà aziendali nelle quali sono stati sottoscritti accordi sulla produttività, soprattutto alla luce delle agevolazioni fiscali previste dalle leggi finanziarie degli ultimi anni.
Confindustria continuerà a operare con senso di responsabilità, ritenendo che dialogo e collaborazione rappresentino oggi leve strategiche per affrontare le sfide della doppia transizione, nel rispetto tanto del diritto di partecipazione quanto della libertà d’impresa, entrambi tutelati a livello costituzionale.
In quest’ottica si inserisce anche il contributo offerto da Confindustria nel dibattito sulla proposta di legge di iniziativa popolare promossa dalla CISL, sfociata nell’approvazione della Legge n. 76/2015, opportunamente modificata rispetto all’impianto originario.
La legge, grazie a un confronto serrato di Confindustria con le forze politiche, ha mantenuto la natura volontaria dell’adozione dei modelli partecipativi, evitando automatismi contrattuali e salvaguardando la libertà statutaria delle imprese.
L’impresa, infatti, rimane pienamente libera di adottare o meno un modello partecipativo tramite una scelta statutaria, senza automatismi contrattuali. La contrattazione collettiva di cui all’art. 51 D. Lgs. 81/20153 interviene per declinare le modalità di individuazione dei rappresentanti dei lavoratori che faranno parte degli organi societari, qualora previsto dagli statuti.
Con riferimento poi alla partecipazione economica e finanziaria, sono state introdotte delle misure di potenziamento di strumenti di agevolazione fiscale per i lavoratori, già esistenti, nel caso in cui le imprese prevedano piani di partecipazione finanziaria o che, in esecuzione di contratti collettivi di II livello, distribuiscano utili.
Viene dunque valorizzata, ancora una volta, la contrattazione collettiva affidata agli attori comparativamente più rappresentativi, riaffermando il ruolo centrale delle parti sociali nel modellare le dinamiche delle relazioni industriali.
Ogni ipotesi di rafforzamento della partecipazione richiede, però, una riflessione seria sul tema della rappresentanza sindacale e degli attori legittimati a contrattare. In assenza di un sistema certo di misurazione della rappresentatività, il rischio è che strumenti così rilevanti siano gestiti da soggetti privi di effettiva legittimazione.
Ed è per questo che, per quanto riguarda la rappresentanza datoriale, appare oggi più che mai necessario individuare dei criteri pienamente verificabili per stabilire quali siano le organizzazioni datoriali “comparativamente più rappresentative”.
In questo senso Confindustria, congiuntamente alle altre principali Associazioni di rappresentanza datoriale, sta portando avanti una costante ed approfondita attività di sensibilizzazione, nei confronti sia del Legislatore che del Governo, in merito a criteri di “misurazione” derivanti da prassi applicative largamente condivise e che, pertanto, costituiscono un punto di riferimento per il sistema delle relazioni sindacali.
In conclusione, la partecipazione dei lavoratori può certamente contribuire alla crescita economica e al miglioramento del clima aziendale, ma solo se costruita su basi volontarie, condivise e realistiche.
Confindustria continuerà a sostenere un modello partecipativo fondato sull’autonomia negoziale, la flessibilità e il dialogo tra soggetti effettivamente rappresentativi, evitando derive legislative incompatibili con la diversità del tessuto produttivo nazionale.
La partecipazione non si impone, si costruisce: giorno dopo giorno, con rispetto, condivisione e fiducia reciproca.