testo integrale con note e bibliografia
La disciplina vigente in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, come delineata dall’art. 2 della legge n. 604 del 1966, impone che il recesso sia sorretto da una motivazione specifica, idonea a far comprendere le ragioni organizzative, produttive o economiche poste a fondamento della decisione datoriale. Tuttavia, nell’esperienza quotidiana della tutela sindacale e contenziosa, si riscontra con sistematicità una prassi formalmente conforme alla norma ma sostanzialmente elusiva: la motivazione contenuta nelle lettere di licenziamento si riduce spesso a formule generiche, standardizzate, talvolta inconsistenti, che non consentono al lavoratore di valutare con effettiva consapevolezza la fondatezza del provvedimento né di esercitare in modo pieno il proprio diritto di difesa.
Questa situazione di opacità si riflette in una condizione di marcata asimmetria informativa tra le parti. Il lavoratore, soprattutto se collocato nei livelli più bassi dell’organizzazione aziendale e privo di strumenti di conoscenza strutturata della realtà interna dell’impresa, non ha accesso ad alcuna informazione sulle nuove assunzioni, sulle mansioni dei colleghi, sull’andamento economico, sui costi aziendali, né sui criteri adottati per selezionare proprio lui quale destinatario del licenziamento. Tutto il patrimonio informativo resta nelle mani dell’azienda, che ha la possibilità di selezionare, unilateralmente e senza contraddittorio, i contenuti della giustificazione formale.
A fronte di questa situazione, è indispensabile colmare una lacuna sistemica del nostro ordinamento, introducendo una fase intermedia — stragiudiziale, non contenziosa, ma formalmente regolata — che consenta al lavoratore licenziato per giustificato motivo oggettivo di attivare un contraddittorio documentale con il datore di lavoro. La proposta che si avanza è semplice e di immediata applicazione: si prevede che il lavoratore, entro il termine perentorio di quindici giorni dalla ricezione della lettera di licenziamento, possa chiedere formalmente all’azienda una motivazione integrativa e analitica, accompagnata dalla documentazione a supporto delle ragioni addotte.
Il datore di lavoro dovrebbe, entro i successivi quindici giorni, fornire una risposta articolata e completa, comprensiva della motivazione dettagliata, dei documenti aziendali che comprovano la necessità del licenziamento (atti riorganizzativi, bilanci, piani di riduzione costi, verbali, ecc.), nonché della documentazione utile alla verifica del rispetto dei criteri di selezione, dell'obbligo di repêchage e dell’eventuale ristrutturazione dichiarata. In particolare, si propone che il lavoratore abbia diritto a ottenere l’estratto del Libro Unico del Lavoro relativo al semestre precedente e successivo al recesso, con indicazione delle qualifiche e mansioni dei lavoratori assunti o cessati, nonché l’organigramma aziendale aggiornato, con le relative funzioni e livelli, i dati aggregati sui trattamenti economici e sulle eventuali variazioni occupazionali.
L’introduzione di tale facoltà avrebbe l’effetto sistemico di anticipare nella fase pregiudiziale l’onere probatorio attualmente previsto dall’art. 5 della legge n. 604/1966, secondo cui spetta al datore di lavoro dimostrare la legittimità del licenziamento. In altre parole, si tratta di spostare questo obbligo probatorio dalla sede giudiziale, dove oggi trova applicazione solo a seguito dell’instaurazione del contenzioso, a una fase precedente e stragiudiziale, a garanzia di un’effettiva possibilità di valutazione e contraddittorio da parte del lavoratore. In difetto, il diritto alla difesa si risolve in un vuoto di tutela, costringendo il lavoratore ad agire “al buio”, sulla base di intuizioni o sospetti, con evidente compromissione del principio di parità delle armi.
Per dare effettività al meccanismo proposto, si prevede che la mancata risposta documentata del datore di lavoro entro il termine previsto comporti l’inefficacia del licenziamento, con conseguente diritto del lavoratore alla reintegrazione nel posto di lavoro e al risarcimento del danno subito. Questa sanzione è coerente con la logica dell’onere motivazionale che già grava sul datore ai sensi dell’art. 5 citato: chi licenzia ha il dovere non solo di indicare la causa, ma anche di provarla, e tale obbligo non può più rimanere confinato esclusivamente al processo.
In prospettiva, l’introduzione di una tale fase precontenziosa offrirebbe molteplici benefici: permetterebbe ai lavoratori di decidere consapevolmente se agire in giudizio; rafforzerebbe la responsabilità datoriale nella gestione dei licenziamenti individuali; disincentiverebbe i ricorsi temerari; legittimerebbe l’eventuale condanna alle spese ex art. 92 c.p.c. nei confronti di chi agisce senza fondamento nonostante una motivazione dettagliata; infine, contribuirebbe a ridurre il contenzioso e a migliorare la qualità della dialettica tra le parti in sede sindacale e giudiziale.
In conclusione, la proposta di introdurre un diritto di richiesta motivata di accesso agli atti, entro termini stringenti e con effetti sanzionatori in caso di inadempimento, si muove nel solco del riconoscimento del diritto alla difesa come principio essenziale del giusto processo, anche nella fase pregiudiziale. Essa rappresenterebbe un’occasione per riequilibrare realmente la posizione del lavoratore nel momento più delicato del rapporto: la sua estromissione. Non un aggravio burocratico per le aziende, ma un presidio di civiltà giuridica e di deflazione potenziale del contenzioso giudiziario.