TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA
L’attuale disciplina dei licenziamenti illegittimi si presenta come un mosaico complesso, caratterizzato da differenziazioni legate sia alla data di assunzione, sia alla dimensione aziendale, sia alla tipologia di vizio che affligge il licenziamento.
La proposta di riforma che mira a unificare i regimi sanzionatori nasce dunque dall’esigenza di restituire certezza, semplicità e parità di trattamento a un settore che, negli anni, si è stratificato in maniera tale da risultare di difficile lettura non solo per gli operatori ma anche per gli stessi lavoratori e datori di lavoro.
Un primo elemento di riflessione riguarda il doppio binario che separa i lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015 da quelli assunti successivamente. Oggi, a parità di illegittimità del licenziamento, si applicano regole e conseguenze molto diverse, con la reintegrazione più facilmente riconoscibile nel “vecchio” regime Fornero e con la tutela prevalentemente indennitaria prevista dal Jobs Act. La coesistenza di due sistemi paralleli, basata su un criterio meramente temporale, ha creato inevitabilmente disparità che la riforma vorrebbe superare.
Un secondo profilo è quello legato alle dimensioni aziendali. La previsione di trattamenti più deboli per i lavoratori delle imprese sotto soglia è stata giustificata, in origine, dall’intento di proteggere le piccole realtà imprenditoriali. Tuttavia, come ha recentemente ricordato la Corte Costituzionale con la sentenza n. 118/2025, limiti eccessivamente penalizzanti rischiano di ledere il principio di uguaglianza e di vanificare la funzione deterrente delle sanzioni. Il superamento del tetto massimo di sei mensilità per le piccole imprese va già in questa direzione, ma resta il problema di fondo, ossia se sia ancora giustificabile mantenere differenze così marcate legate unicamente al numero dei dipendenti, che al giorno d’oggi, a seguito del progredire della tecnologia, potrebbe non essere dirimente.
La proposta di unificazione, se ben calibrata, potrebbe dunque eliminare le principali asimmetrie, introducendo un regime unico applicabile a tutti i rapporti di lavoro, indipendentemente dalla data di assunzione o dal numero di dipendenti.
L’operazione di unificazione non è soltanto un intervento tecnico di semplificazione normativa, essa comporta scelte di politica del diritto sul grado di tutela da riconoscere al lavoratore e sull’equilibrio tra libertà di iniziativa economica e diritto al lavoro. È qui che si misurerà la reale efficacia della riforma, e sarà decisivo capire se il legislatore saprà trarre insegnamento dalle incertezze prodotte dalle discipline precedenti.
Verso un regime unitario: la sfida della riforma “Freccia Rossa”
Il progetto di riforma denominato Freccia Rossa si colloca nel contesto sopra descritto, con l’intento di superare le profonde disarmonie che caratterizzano oggi il sistema delle tutele contro i licenziamenti illegittimi. La proposta muove da una constatazione semplice: l’attuale pluralità di regimi, basata su una distinzione temporale legata alla data di assunzione del lavoratore e su differenziazioni fondate sulle dimensioni aziendali, ha prodotto diseguaglianze difficilmente giustificabili e un grado elevato di incertezza applicativa.
Il progetto punta dunque a unificare la disciplina, tracciando un regime sanzionatorio unico, valido per tutti i lavoratori a prescindere dal momento di instaurazione del rapporto di lavoro.
Viene confermato il principio per cui la reintegrazione deve restare un rimedio eccezionale, ma non sacrificato del tutto: essa è infatti mantenuta nei casi di nullità del licenziamento e nelle ipotesi in cui sia accertata l’insussistenza del fatto materiale contestato, in continuità con l’orientamento della Corte costituzionale. In tutti gli altri casi, la tutela è ricondotta a un’unica misura indennitaria, determinabile dal giudice entro una forbice più ampia e personalizzabile, capace di valorizzare elementi concreti quali l’anzianità, la gravità della violazione, il comportamento delle parti e le condizioni complessive dell’impresa.
Particolarmente significativa è la scelta di non abbandonare l’istituto dell’offerta conciliativa, confermato come strumento utile per ridurre il contenzioso. L’esperienza degli ultimi anni ha mostrato come, se ben calibrato, questo meccanismo possa favorire soluzioni rapide e meno onerose, garantendo alle imprese la certezza dei costi e ai lavoratori una tutela tempestiva. La sua armonizzazione al nuovo quadro unitario appare dunque pienamente condivisibile.
Di pari importanza è la conferma della procedura preventiva davanti all’Ispettorato Territoriale del Lavoro per i licenziamenti oggettivi. Si tratta di un presidio che svolge una funzione deflattiva significativa, poiché induce le parti a un confronto reale e potenzialmente risolutivo prima che la controversia approdi in giudizio, riducendo così il rischio di un contenzioso lungo e costoso.
Non meno rilevante è la riflessione sulla soglia dimensionale delle imprese, che ha a lungo costituito il discrimine principale per l’applicazione di regimi sanzionatori differenziati.
Tuttavia, la proposta in esame - seppure introduce un indennizzo rafforzato, eliminando la soglia massima delle sei mensilità, anticipando il recente orientamento della Corte Costituzionale - non sembra voler ridimensionare questo criterio né dare centralità a parametri sostanziali più aderenti alla realtà produttiva e alla effettiva forza economica del datore di lavoro.
Ciò è poco coerente con l’impostazione affermata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 118/2025, secondo cui il mero numero di dipendenti, isolatamente considerato, non fotografa più l’assetto economico dell’impresa in un contesto produttivo ad alta intensità tecnologica.
Una revisione in tal senso appare opportuna, perché evita che una semplice soglia numerica diventi un automatismo foriero di disparità: ciò che conta non è tanto il “numero” dei dipendenti, quanto la reale capacità dell’impresa di sostenere il costo di un licenziamento illegittimo e, parallelamente, la necessità del lavoratore di ricevere una tutela effettiva e proporzionata. Come recentemente affermato dalla Corte Costituzionale n 118/2025, il numero ridotto dei dipendenti “non rispecchia più, isolatamente considerato, l’effettiva forza economica del datore di lavoro specie «in un quadro dominato dall’incessante evoluzione della tecnologia e dalla trasformazione dei processi produttivi», in cui «al contenuto numero di occupati possono dare riscontro cospicui investimenti in capitali e un consistente volume di affari»”.
Riflessioni per una tutela maggiormente proporzionata, dissuasiva e personalizzabile.
In questa prospettiva, il progetto Freccia Rossa potrebbe utilmente valutare l’introduzione di indici differenziati per modulare l’indennità, così da rendere la tutela al contempo proporzionata, dissuasiva e personalizzabile.
Un primo indice potrebbe essere il fatturato medio degli ultimi tre esercizi, letto in chiave settoriale. A parità di ricavi, infatti, imprese con modelli di business diversi sopportano strutture di costo e margini profondamente disallineati. Si pensi a due società con 3 milioni di euro di fatturato medio triennale: la “A”, di consulenza, con costi fissi leggeri e marginalità tipicamente più elevate; la “B”, manifatturiera, con impianti, scorte e ammortamenti che comprimono il margine operativo. Un sistema che consenta di collocare l’impresa entro scaglioni di fatturato e coefficienti di settore (ad es., manifattura/servizi/ICT) offrirebbe al giudice una griglia per calibrare l’indennità: a parità di illegittimità, l’effetto dissuasivo deve rimanere, ma l’impatto economico va rapportato alla reale capacità finanziaria. Ciò riduce le asimmetrie che l’attuale soglia “numerica” può generare (micro-impresa ad alta produttività vs. PMI tradizionale a bassa marginalità).
Un secondo indice potrebbe riguardare l’anzianità effettiva di servizio, da computarsi sulle ore effettivamente lavorate in un arco temporale di riferimento (si potrebbe ipotizzare il triennio o quinquennio precedente il recesso), con rigorosa neutralizzazione di determinati periodi di assenza protetta ex lege (aspettative o congedi, ecc.). L’obiettivo non è “punire” chi fruisce di tutele, ma distinguere tra rapporti con continuità lavorativa e rapporti segnati da lunghe aspettative non retribuite o sospensioni convenzionali. Esempio: due lavoratori con dieci anni “formali” di anzianità; il primo ha lavorato stabilmente a tempo pieno (anzianità effettiva prossima al 100%), il secondo ha fruito di tre anni complessivi di aspettativa non retribuita (anzianità effettiva, a fini indennitari, pari – poniamo – a 7/10). La stessa forbice ed i medesimi criteri legali si applicano a entrambi, ma la posizione contributiva/partecipativa distinta legittima una modulazione dell’indennità all’interno del range.
Un terzo indice, da maneggiare con cautele di privacy e non discriminazione, potrebbe consistere nel reddito complessivo personale del lavoratore negli ultimi tre anni, inteso come parametro di incidenza del pregiudizio. La perdita dell’unica fonte di sostentamento non equivale alla perdita di una delle molteplici entrate. Esempio: Lavoratore X (reddito da lavoro dipendente pari a 28.000 €/anno, assenza di altre rendite) e Lavoratore Y (reddito da lavoro 28.000 €/anno + rendite immobiliari medie 120.000 €/anno). A parità di illegittimità e di anzianità, il pregiudizio patrimoniale di X è strutturalmente più grave. La considerazione del reddito extralavorativo potrebbe quindi operare come fattore correttivo entro la forbice. In questo modo, il sistema resta proporzionato e evita sanzioni “piatte” che non riflettono il danno effettivo.
Infine, un indice realmente innovativo è la capacità di ricollocamento del lavoratore, ancorata a competenze e spendibilità professionale nel mercato locale/settoriale. Non si tratta di prefigurare prognosi arbitrarie, ma di usare indicatori ragionevoli: livello di qualificazione, certificazioni aggiornate (es. cloud, cybersecurity), tasso di vacancy del territorio/settore, età prossima o meno alla pensione, grado di specializzazione. Esempio: un sistemista cloud con certificazioni recenti in un’area con forte domanda IT ha, in media, un tempo di ricollocazione più breve di un addetto a mansioni generiche in un distretto in contrazione; il pregiudizio economico del secondo è verosimilmente più intenso e duraturo. L’indice opera in bonam partem, come fattore di personalizzazione: non preclude la tutela, ma consente di collocare l’indennità nella parte alta o bassa della forbice secondo la probabilità concreta di recupero reddituale.
Questi indici non sostituiscono i criteri legali già noti (gravità della violazione, comportamento delle parti, dimensioni dell’impresa), ma li affiancano, rendendo il sistema coerente con l’invito della giurisprudenza costituzionale a evitare automatismi e a valorizzare la personalizzazione della tutela. In termini operativi, il legislatore potrebbe prevedere forbici indennitarie comuni e, all’interno, coefficienti correttivi per fatturato/settore, anzianità effettiva, reddito complessivo e ricollocabilità, con obbligo di motivazione analitica e con salvaguardie espresse contro discriminazioni e violazioni della riservatezza.
In definitiva, il Progetto Freccia Rossa ha il merito di affrontare i nodi più controversi della disciplina vigente con un approccio sistematico e volto all’armonizzazione. Resta naturalmente da verificare se, nella sua attuazione concreta, saprà mantenere un equilibrio tra le opposte esigenze: da un lato, assicurare al lavoratore un rimedio realmente dissuasivo contro l’arbitrio; dall’altro, non trasformare il rischio del licenziamento illegittimo in un costo insostenibile per le imprese. È su questo delicato crinale che si giocherà la credibilità della riforma.