testo integrale con note e bibliografia
Ho accolto con grande entusiasmo l’opportunità di riflettere sulla proposta di “Riforma del regime sanzionatorio dei licenziamenti illegittimi” elaborata dal gruppo Freccia Rossa. Tra le iniziative accademiche in materia di licenziamenti, questa certamente si distingue per la scelta - isolata nel panorama recente - di tradurre gli approdi giurisprudenziali in un articolato compiuto e ben strutturato. Non si tratta dunque di un mero esercizio di tecnica legislativa, ma di un tentativo di restituire ordine e razionalità a un quadro normativo che, negli ultimi quindici anni, ha conosciuto una stratificazione disorganica di interventi legislativi spesso eterogenei, accompagnata da un’opera di “correzione” da parte della giurisprudenza - tanto costituzionale, quanto ordinaria - non sempre ispirata a criteri di coerenza sistemica.
In questo contesto, l’art. 3 della proposta assume un ruolo centrale, poiché disciplina le ipotesi di licenziamento illegittimo per giusta causa e per giustificato motivo oggettivo, collocandosi nel cruciale bilanciamento tra la tutela reintegratoria e quella meramente indennitaria - tema, questo, che resta il vero banco di prova di ogni ipotesi riformatrice in materia.
Il dato di partenza è noto: la riforma Fornero (L. n. 92/2012), prima, e il Jobs act (D.lgs. n. 23/2015), dopo, hanno progressivamente tentato di restringere l’ambito di applicazione della reintegrazione - che, con l’art. 18, St. Lav., aveva rappresentato per oltre 50 anni la sanzione ordinaria per ogni ipotesi di licenziamento illegittimo - relegandola a fattispecie marginali e riservando alla tutela indennitaria il compito di presidiare la maggior parte dei casi di illegittimità del recesso datoriale.
Questo impianto, tuttavia, è stato oggetto, nel tempo, di una sistematica revisione da parte della Corte costituzionale che, con ben sei interventi (di cui cinque demolitivi e uno interpretativo), è giunta a riportare la tutela reale anche nel licenziamento disciplinare sproporzionato rispetto al trattamento sanzionatorio previsto dalla contrattazione collettiva, nonché in quello per ragioni economiche fondato su un fatto insussistente. Si è così prodotta una sempre più marcata convergenza verso il “modello Fornero”, con una progressiva marginalizzazione della disciplina voluta dal legislatore del 2015, della cui fisionomia originaria sopravvive ormai ben poco.
E così, in aderenza a tali recentissimi approdi, l’art. 3 della proposta prevede il diritto del lavoratore a essere reintegrato nel posto di lavoro nei casi in cui il fatto contestato all’origine del licenziamento, pur disciplinarmente rilevante, sia punito dalla contrattazione collettiva con una sanzione meramente conservativa. Sul versante del giustificato motivo oggettivo, l’impostazione adottata dal gruppo sceglie di porsi in linea con la decisione della Corte costituzionale (sentenza n. 128 del 2024) in materia di tutele crescenti - secondo cui l’insussistenza del fatto comporta la reintegrazione, mentre la violazione dell’obbligo di repêchage, in quanto elemento esterno al fatto, determina solo un indennizzo: la scelta, tecnicamente ineccepibile, si pone consapevolmente in contrasto con il consolidato orientamento di legittimità formatosi da quasi cinquant’anni sull’art. 18, St. Lav. Va detto che dell’obbligo di repêchage non v’è traccia né parola alcuna sia nella norma statutaria sia in quella delle tutele crescenti: obbligo, dunque, di derivazione esclusivamente giurisprudenziale, discendente dalla teoria del licenziamento quale extrema ratio nell’ordinamento lavoristico.
Insomma, il quadro che emerge dall’art. 3 della proposta Freccia Rossa è quello di una norma che, nell’apprezzabile intento di ridurre l’incertezza applicativa sulle sanzioni da ricollegare ai licenziamenti illegittimi, non fa che ricondurre a sistema le ultime pronunce della Corte costituzionale. E proprio perché costruita su fondamenta già tracciate dalla massima espressione giurisdizionale, la disposizione - come era inevitabile che fosse in una logica di compromesso - sembra mancare di un’effettiva portata innovativa, configurandosi più come un intervento di codificazione che di autentica riforma.
Altro profilo meritevole di attenzione in questa sede è quello del regime rimediale previsto per i licenziamenti illegittimi intimati da datori di lavoro c.d. “sottosoglia”, un terreno - questo - particolarmente delicato, tanto più se si considera che la quasi totalità (78,9%, ISTAT 2023) del tessuto imprenditoriale italiano è costituito da micro e piccole imprese, mentre le realtà medie o grandi rappresentano una quota solo marginale.
Sul punto, la proposta elaborata dal gruppo Freccia Rossa aveva ipotizzato un ampliamento della forbice indennitaria prevista dall’art. 9 del D.lgs. n. 23/2015, portandola dalle vigenti 3-6 mensilità a un intervallo compreso tra 4 e 12 mensilità, elevabile fino a un massimo di 18. Una previsione che, se all’epoca della formulazione aveva indubbi aspetti innovativi, oggi si rivela sostanzialmente superata dalla Corte costituzionale che con l’ennesimo recentissimo intervento (sentenza n. 118 del 2025) ha dichiarato l’illegittimità del tetto massimo delle sei mensilità previsto dal Jobs act, riaffermando l’esigenza di una tutela indennitaria congrua rispetto al danno subito dal lavoratore e dotata di reale efficacia dissuasiva. Il Giudice delle leggi ha così preso definitivamente le distanze da un sistema che finiva - va detto, quantomeno dal 1970, ma forse da sempre - per disattendere tanto la funzione compensativa quanto quella deterrente della tutela accordata dall’ordinamento in caso di licenziamento illegittimo.
Diversamente, lo ricordiamo, non è stata ritenuta costituzionalmente illegittima la disciplina riservata alle imprese minori nella parte in cui prevede importi dimezzati rispetto a quelli applicabili alle “imprese sopra soglia”: secondo la Consulta, infatti, tale differenziazione non preclude al giudice di tenere conto delle specificità di ogni singola vicenda, all’interno di una forbice - a questo punto - “sufficientemente ampia e flessibile” (minimo tre, massimo diciotto mensilità).
In questa prospettiva, la proposta - per quanto in origine significativa - risulta di fatto assorbita dalla più recente giurisprudenza costituzionale, che ne ha esaurito la portata innovativa.
A ben guardare, dal gruppo Freccia Rossa non viene raccolto il monito formulato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 183 del 2022, che aveva invitato il legislatore a riconsiderare l’adozione del criterio dimensionale come unico parametro per differenziare la disciplina di tutela dei lavoratori illegittimamente licenziati. Nella relazione illustrativa della proposta, la scelta di mantenere il solo dato numerico viene giustificata con la comprensibile esigenza di adottare un criterio oggettivo e facilmente verificabile, da preferirsi rispetto a parametri economico-finanziari - quali fatturato, bilancio, EBITDA o l’appartenenza a gruppi di imprese - ritenuti suscettibili di generare incertezze interpretative e, conseguentemente, di rallentare l’accertamento giudiziale del regime di tutela applicabile. È rimasto fermo, dunque, il riferimento al numero dei dipendenti, pur con un parziale ampliamento del computo, che ora include anche collaboratori stabili (art. 2, D.lgs. n. 81/2015), lavoratori part-time e lavoratori impiegati all’estero: quanto a questi ultimi, se non intesi come computabili solo ed esclusivamente quelli direttamente assunti dalla medesima società convenuta, si profilano innegabili elementi di incertezza.
Se è vero che anche la giurisprudenza costituzionale ha messo in discussione l’opzione legislativa di ancorare il regime sanzionatorio al solo dato dimensionale dell’impresa, la sfida potrebbe essere quella di superare questo automatismo occupazionale, sostituendolo con criteri più sostanziali, in grado di riflettere la reale capacità e forza economica del datore di lavoro di sostenere l’onere della sanzione.
Il rischio, tuttavia, è quello di introdurre elementi spuri, non oggettivamente percepibili dai soggetti coinvolti o interessati, col risultato di creare ulteriore incertezza laddove non ve n’è davvero bisogno, tanto più alla luce del nuovo quadro sanzionatorio venutosi a creare sottosoglia che porta la sanzione anche in questo caso a livelli di indubbia rilevanza.
In questo senso la proposta Freccia Rossa ha avuto senz’altro il merito di riaccendere il dibattito, ponendo la questione sistematica al centro dell’attenzione, ma spetterà al Parlamento raccogliere l’orientamento tracciato dalla Consulta e completare un percorso di riforma ormai ineludibile.