testo integrale con note e bibliografia
La “Proposta di riforma del regime sanzionatorio dei licenziamenti illegittimi” (inde “Proposta”) elaborata dal Gruppo Freccia Rossa, sin da una prima lettura, soddisfa pienamente il pregevole scopo di rendere organica la materia, nella prospettiva del superamento della frammentarietà e della stratificazione normativa (anche per le manutenzioni giudiziarie a più riprese intervenute) oltre che dell’ambiguità di talune formulazioni legislative. Si perviene così ad un testo normativo chiaro, innervato in una logica volta alla semplificazione e certezza e, con esse, alla volontà di deflazione del contenzioso, avallata dalla strutturalità conferita al tentativo obbligatorio di conciliazione (art. 10) a fronte del licenziamento per giustificato motivo oggettivo per i datori di lavoro che occupano più di quindici dipendenti. È peraltro offerta una convincente risposta all’invito ripetutamente rivolto al legislatore da parte della Corte Costituzionale , rimasto inascoltato, di procedere alla complessiva revisione dei differenti regimi applicabili alle diverse “fasce” datoriali senza perdere di vista la funzione dissuasiva dei rimedi previsti per le disparate fattispecie.
Si apprezza come il testo, in un costante dialogo con i principi espressi dalla Consulta, si sforzi di sintetizzare, in ottemperanza al principio di ragionevolezza e fatte salve le circoscritte ipotesi reintegratorie, il contemperamento tra una equilibrata tutela indennitaria - calibrata in ragione della dimensione dell’impresa, funzionale a ristorare il pregiudizio subito, caso per caso, dal lavoratore a causa del licenziamento illegittimo - e un’adeguata deterrenza avverso il patologico e disinvolto utilizzo di tale strumento da parte del soggetto datoriale. Questa impostazione, del resto, come si legge nella relazione illustrativa, è supportata dalla ricerca di un bilanciamento tra esigenze di tutela del lavoratore e libertà di organizzazione dell’impresa, dalla proporzionalità e dall’equità del risarcimento oltre che dalla modularità della reazione sanzionatoria, tenuto conto della gravità e della tipologia dell’accertata illegittimità.
Resta invariato l’ambito soggettivo di applicazione della Proposta che, per la previsione dell’art. 1, indipendentemente dal dato cronologico della costituzione del rapporto di lavoro, riguarda operai, impiegati e quadri con contratto di lavoro a tempo indeterminato in ambito privatistico. Ne sono esclusi i dirigenti e il recesso regolato esclusivamente dall’art. 2118 c.c. o da altre norme speciali per cui risulta comunque applicabile il regime della nullità di cui al successivo art. 2 per il quale, nei casi ivi catalogati al primo comma (licenziamento discriminatorio, per motivo illecito, ritorsivo - anche in merito a whistleblowing e condizioni di lavoro - orale o, comunque nullo nei casi diversi da quelli disciplinati dalla Proposta) si applica il regime della reintegrazione rafforzata, in continuità con l’art. 2 del D.Lgs. n. 23/2015. Oltre alla reintegrazione nel posto di lavoro viene prevista una tutela risarcitoria individuata nel pagamento di un'indennità commisurata all'ultima retribuzione di cui all’art. 2121 c.c. (parametro base per il calcolo di tutte le soluzioni indennitarie previste nell’articolato), dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito aliunde, comunque non inferiore a cinque mensilità oltre al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali. Il rapporto si intende risolto qualora il lavoratore non riprenda servizio entro trenta giorni dall’invito datoriale o non abbia opzionato l’indennità, pari a quindici mensilità di cui al successivo terzo comma. Ferma restando la reintegra o, in alternativa, l’opzione indennitaria di quindici mensilità, la tutela è attenuata nelle ipotesi di licenziamento ingiustificato ex art 3, comma 1, essendo stabilita nel limite di dodici mensilità, ampliabili a ventiquattro in relazione alla durata del processo. In tale circostanza è stabilito l’obbligo di restituzione, da parte del lavoratore, dell’indennità di disoccupazione percepita a seguito del licenziamento nel limite dell’importo superiore alla retribuzione effettivamente persa fino alla sentenza di reintegrazione, sottratto quanto ricevuto a titolo di indennità risarcitoria. Mentre l’art. 5 si occupa della tutela indennitaria, da tre a dodici mensilità, per il licenziamento affetto da vizi formali e procedurali, l’art. 4 stabilisce la sola tutela indennitaria per le ipotesi di licenziamento illegittimo diverse da quelle indicate agli art. 2, comma 1, e 3, comma 1. In questa circostanza la sanzione è commisurata in un importo, compreso tra otto e trentasei mensilità, determinato in funzione dell’anzianità di servizio del prestatore di lavoro, del numero dei dipendenti occupati, del comportamento e delle condizioni delle parti. Tale ultimo requisito è espressamente declinato sui presupposti della consistenza e dell’andamento economico del datore di lavoro (art. 4, comma 2) ed è utile anche a determinare l’indennità risarcitoria offerta ai dipendenti illegittimamente licenziati dai datori di lavoro sotto-soglia ai sensi dell’art. 6. Questa disposizione (che opportunamente al secondo comma detta i criteri per il computo dei dipendenti) al terzo comma, sull’impulso di Corte Cost. n. 118/2025, prevede che per il licenziamento viziato, ferma restando l’estinzione del rapporto, sia erogata al lavoratore un’indennità risarcitoria graduata: da quattro a dodici mensilità per anzianità di servizio non superiore a dieci anni, e fino a diciotto mensilità per anzianità superiore, ridotta alla metà nel caso di vizi procedurali o di datori di lavoro che occupino sino a cinque dipendenti o a tre se imprenditori agricoli.
L’introduzione del criterio economico-aziendale volto a qualificare, seppure in parte, la condizione datoriale risulta estremamente opportuno atteso che, secondo i dati Istat, nel modello industriale italiano, il 95% dei soggetti datoriali nel 2024 ha occupato un numero di dipendenti non superiore a nove ma, tenuto conto dell’ambito merceologico, evidenzia caratteristiche eterogenee sotto i profili reddituale e produttivo (si pensi al divario tra il piccolo esercizio o l’artigiano e la società informatica o addirittura la start-up). In questa logica ci si permette di osservare che l’affinamento del criterio dell’andamento economico, mediante la previsione di sotto-criteri a scorrimento temporale quali, ad esempio, quello dell’indice di produttività o di redditività, potrebbe corroborare l’applicazione del principio di proporzionalità in questo ambito sanzionatorio.
L’art. 7 della Proposta è intervenuto sugli artt. 4 e 5 della legge n. 223/1991 con alcune modificazioni di rilevanza sostanziale nell’ambito procedimentale del licenziamento collettivo. Mentre la vigente versione dell’art. 4, comma 2, impone che la comunicazione iniziale sia data alle rappresentanze sindacali di cui all’art. 19 della legge n. 300/1970 e, in loro assenza, alle “associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale”, l’opzione de iure condendo, stabilisce che sia inviata “alle rappresentanze sindacali costituite in azienda, alle rispettive associazioni di categoria nonché alle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale nel settore”. Ne deriva un maggior coinvolgimento del sindacato (sia quello aziendale che quello territoriale) con una scelta di prossimità, certamente coraggiosa nei riguardi della democrazia sindacale, che potrebbe tuttavia creare nodi gordiani sotto il profilo negoziale. Si pensi al caso della presenza di rappresentanze sindacali (e quindi di associazioni di categoria) appartenenti a organizzazioni “minoritarie”, costrette a negoziare contiguamente a quelle “maggioritarie” determinandosi un cortocircuito endo-sindacale con probabili ricadute sull’esito della vertenza. Per altro verso, deve essere accolta con favore la scelta di sopprimere, nell’ambito del contenuto della comunicazione iniziale, il riferimento ai “profili professionali” dei dipendenti coinvolti, foriero di notevole contenzioso, in favore del più certo riferimento alle mansioni e all’inquadramento del personale.
La Proposta, con le modifiche e le integrazioni all’art. 5, nel perimetrare opportunamente l’ambito topografico in cui operare la selezione dei licenziandi (l’unità produttiva e le ulteriori sedi aziendali collocate entro 200 chilometri, salva diversa previsione degli accordi collettivi che, nella fattispecie, dovrebbero quindi costituire fonte eteronoma di integrazione del diritto) entra anche nel merito dei criteri di scelta, privilegiando – salvo diverso accordo negoziale - quelli della non opposizione al licenziamento e della vicinanza al pensionamento. Rimangono in essere anche i criteri legali, in concorso tra loro, dell’anzianità di servizio, dei carichi di famiglia e quello, meglio declinato, delle esigenze organizzative e produttive connesse a specifiche caratteristiche professionali dei lavoratori. Sotto questo profilo resterebbe il vulnus della individuazione certa dei carichi di famiglia atteso che il datore di lavoro potrebbe non essere a conoscenza della reale condizione del lavoratore, potendola unicamente desumere dalla incerta documentazione amministrativa. Probabilmente l’obbligo per il dipendente di sottoscrivere una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà ai sensi del D.P.R. n. 445/2000 all’inizio della procedura, a pena del mancato computo del punteggio inerente ai familiari a carico (in caso di utilizzo, a valle, dei criteri legali), sarebbe un utile rimedio per dare certezza a tale condizione soggettiva.