testo integrale con note e bibliografia
La recente proposta del Gruppo Freccia Rossa di riforma del regime sanzionatorio dei licenziamenti illegittimi mira a ricomporre un quadro frammentato, oggetto di innumerevoli riforme e interventi giurisprudenziali che negli anni hanno prodotto incertezza e contraddizioni. L’obiettivo dichiarato è quello di restituire al sistema razionalità, coerenza e prevedibilità, attraverso un modello unitario che, in primis, superi la distinzione fondata sulla mera data di assunzione (pre o post marzo 2015).
Ferme le esigenze tecnico-giuridiche sopra citate, è necessario prendere le mosse dall’analisi del dato concreto: il funzionamento quotidiano delle imprese e la gestione reale dei rapporti di lavoro.
La realtà aziendale
L’Italia ha storicamente una normativa protezionistica del lavoratore, che tende a scoraggiare le imprese dal licenziare, a prescindere dal motivo sottostante.
Tuttavia a volte ciò si rende necessario, per motivi che possono essere sia oggettivi che soggettivi, e l’imprenditore si assume il rischio di un eventuale contenzioso. 
I casi principali di recessi datoriali possono essere conseguenza di comportamenti disciplinari gravi e ripetuti, assenteismo sistematico; a volte lo scarso rendimento risulta tale da rendere diseconomico il mantenere il lavoratore in azienda, ma va tenuto conto che la situazione può essere frustrante anche per la persona non in grado di svolgere efficacemente l’attività assegnata. 
Per funzionare bene, un’organizzazione deve assegnare ruoli in base alla capacità cognitiva della persona, se il ruolo è troppo complesso o troppo semplice rispetto alla capacità dell’individuo si genera stress, inefficienza o demotivazione. Per questo l’imprenditore deve aver posto in atto ogni azione possibile per offrire la possibilità al lavoratore di farcela, ma quando la situazione non si risolve, la responsabilità dell’imprenditore per i risultati prodotti dalla sua impresa deve poter prevalere.
Sono situazioni che, se non gestite, destabilizzano e avvelenano il clima aziendale. Oggi, però, il datore di lavoro incontra notevoli difficoltà nell’intraprendere non semplici iter disciplinari per arrivare a provvedimenti espulsivi, rischiando di trovarsi invischiato in un contenzioso lungo e incerto, con il paradosso di dover trattenere chi mina la produttività collettiva. Una riforma efficace non deve puntare solo a disincentivare i licenziamenti, ma a trovare soluzioni sostenibili per le imprese e che offrano al lavoratore la possibilità di non rimanere pervicacemente ancorato a situazioni che non gli concedono alcuna soddisfazione.
La soglia dimensionale
La proposta Freccia Rossa mantiene, seppur con una rivisitazione, la distinzione tra imprese “maggiori” e “minori” basata sul numero dei dipendenti. 
Tuttavia, soprattutto nel mondo digitale, questa logica appare anacronistica: oggi anche due dipendenti e/o una rete di collaboratori possono generare milioni di fatturato. La soglia numerica, pensata in un’economia fordista, non pare più adatta alla realtà contemporanea. Occorrerebbe applicare un criterio legato alla dimensione economica dell’impresa – fatturato, indici di bilancio, capacità contributiva nel senso fiscale del termine. E’ comprensibile che tali criteri non siano di immediata e matematica applicazione, tuttavia anche la Corte Costituzionale ha stabilito che un criterio fisso e matematico non è costituzionalmente adatto a determinare il valore del risarcimento in caso di licenziamento, proprio per questo il Giudice dovrebbe considerare in modo più ampio chi ha di fronte: un conto è un piccolo artigiano con cinque dipendenti, che lavora conto terzi e dipende da un unico cliente, è chiaro che questi non ha la possibilità di governare la sua marginalità magari anche scarsa, un conto è una piccola società informatica con cinque dipendenti che produce un software particolare e fattura qualche milione con una marginalità importante. Ovvio che condannare il primo a pagare dodici mensilità ha un’incidenza molto diversa rispetto alla seconda condizione.
Il ruolo del giudice
Il vero nodo riguarda la discrezionalità giudiziale. Se è vero che il sistema ha bisogno di certezza, è altrettanto vero che automatismi troppo rigidi rischiano di produrre ingiustizie. La proposta di lasciare al giudice margini per valutare la condotta delle parti, il comportamento processuale nonché le condizioni economiche dell’impresa, è condivisibile, purché inquadrata entro parametri chiari che riducano l’arbitrarietà. Il giudice non deve riscrivere la gestione aziendale, ma neppure ridursi a mero applicatore di formule matematiche.
Dovrebbero essergli forniti gli strumenti per valutare nel concreto la capacità contributivo – reddituale di un’impresa e, in caso di declaratoria di illegittimità di un licenziamento, dovrebbe usare tale parametro come primo criterio nella quantificazione del numero di mensilità sanzionatorie.
L’obbiettivo è quindi duplice: tutelare il lavoratore e supportare il datore di lavoro, in modo da garantire soluzioni proporzionate.
All’uopo, potrebbe essere previsto l’obbligo, in caso di contenzioso, di fornire le ultime tre dichiarazioni dei redditi o gli ultimi tre bilanci d’impresa.
Conciliazione
L’offerta conciliativa già prevista dalla riforma (da 3 a 27 mensilità) potrebbe essere resa più attrattiva:
• eliminando la distinzione tra imprese sopra o sotto un certo numero di dipendenti,
• stabilendo un range fisso più attrattivo, ad esempio da 3 a 12 mensilità, anche considerando che la Naspi copre un arco temporale che può arrivare a 24 mesi. 
• Dal punto di vista fiscale, al posto della totale esenzione, si potrebbe introdurre una flat tax agevolata (ad esempio del 10%), mantenendo l’esenzione contributiva (trattandosi di somme non rilevanti ai fini dell’anzianità contributiva)
In tal modo si incentiverebbe una soluzione negoziale maggiormente equilibrata, che permetterebbe di ridurre significativamente il contenzioso in sede civile.
Reintegra
La reintegrazione resta uno strumento essenziale, ma da confinare alle ipotesi di nullità, quale risposta ai principi etici di rispetto della persona.
Per quanto ai licenziamenti per motivi legati a discriminazione di qualsiasi tipo (di genere, di razza, etc.) proprio per disincentivare al massimo queste posizioni, riterremmo più opportuno prevedere, in luogo della reintegra, la condanna ad una cifra importante, in misura fissa, ad es. in 24 mensilità se non addirittura 36 come da decreto dignità. In questi casi la reintegrazione non sembra essere un provvedimento opportuno in quanto costringerebbe la persona offesa a rivivere in un ambiente ostile, e che, probabilmente, in ragione della reintegra lo potrebbe essere ancora di più. Elliot Jaques affermò che “non abbiamo a che fare con singole imprese, ma con un vasto settore della società, il settore all’interno del quale gli individui intrattengono il rapporto più diretto con la società di cui fanno parte. Il modo con cui le persone vengono trattate sul lavoro ha un profondo effetto sul loro atteggiamento nei riguardi della società e sulla società stessa”. Ecco perché sfruttamento e discriminazione vanno puniti severamente e severamente disincentivati.
Per le altre fattispecie, l’indennizzo economico dovrebbe rappresentare la regola, con un tetto massimo (12 o 24 mensilità) che garantisca prevedibilità ai datori e sostegno adeguato ai lavoratori senza scadere nella sussidiarietà che, come si è visto in altri casi, disincentiva la ricerca di una nuova occupazione a danno del lavoratore che, col passare del tempo inattivo, deprime le proprie capacità e per lo Stato che perde contribuzione alle spese sociali
Conclusioni
Affinché la riforma guardi davvero avanti e tuteli concretamente i diritti di tutte le parti in gioco, occorre un cambio di prospettiva. Potrebbe, quindi, essere utile:
• superare la logica numerica del numero di dipendenti,
• legare le tutele risarcitorie alla concreta capacità economica dell’impresa,
• rafforzare la conciliazione come via privilegiata,
• limitare la reintegra ai casi di nullità e reprimere la discriminazione, non con la reintegra che alla fine rischia di ulteriormente danneggiare psicologicamente il lavoratore, ma con l’adozione di sanzioni molto consistenti
Le proposte mirano a sensibilizzare verso un cambio del punto di osservazione: dal costo del lavoro visto come “costo” alla valorizzazione del capitale umano come risorsa producente valore, con tutto il rispetto che merita. È una visione che punta all’arricchimento dell’umanità, siamo convinti che l'attività di ogni impresa può contribuire a realizzare un mondo migliore. Oggi più che mai è il capitale umano a determinare il valore del capitale economico di una impresa.