TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

1. Premessa.
L’emendamento di fonte governativa n. 12.19 all’art. 12 del DDL 1662 recante Delega al governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie, – con l’inserimento al primo comma delle lettere g -quater, -quinquies e – sexies - propone di portare a regime, con talune significative differenze, le modalità alternative di trattazione delle controversie civili introdotte con la legislazione emergenziale. L’efficacia temporale di tale ultima disciplina è stata più volte prorogata, da ultimo con l’art. 7 del d.l. 23 luglio 2021, n. 105 che la ancora al 31 dicembre prossimo , proroga che potrebbe consentire, attesi i serrati tempi imposti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, un raccordo, senza soluzione di continuità, con le disposizioni oggi all’esame della Commissione giustizia del Senato .
I tre criteri di delega in commento, in particolare, riguardano la possibilità di sostituire lo svolgimento canonico delle udienze con la celebrazione con collegamenti audiovisivi a distanza (g-quater) ovvero con il deposito telematico di note scritte (g-quinquies e -sexies).
Ciò che è servito a contenere la diffusione del contagio da Sars-cov 2, è, dunque, apparso meritevole di essere conservato per far fronte a esigenze diverse, non episodiche o straordinarie . Non si tratta più di assicurare il distanziamento interpersonale, bensì di adeguare le forme tradizionali di celebrazione del processo «alla rilevante mobilita che caratterizza l’attuale società» , con l’effetto più che sperabile di ridurre i costi complessivi dell’esercizio della giurisdizione attraverso soluzioni organizzative che razionalizzino le attività processuali contenendone i tempi e agevolandone la gestione .
Ferma la necessità di investire maggiormente nel reclutamento di giudici professionali , visto lo stato di «emergenza perenne» che caratterizza anche la giustizia del lavoro , ragionare, invece che dell’ennesima modifica alla disciplina processuale, sull’idea di un processo più elastico nelle forme, parametrate sulle specificità della singola lite, offre spunti di riflessione sicuramente interessanti , soprattutto per il processo del lavoro che – a differenza del processo ordinario e di altri processi speciali – non è interessato dalle incisive proposte di riforma governativa quasi sempre ispirate ad una sommarizzazione sempre più marcata dell’accertamento e alla massiva introduzione di filtri all’azione e sanzioni processuali .
Deve, tuttavia, rimanere chiaro che la compressione dello statuto costituzionale del processo è ammissibile soltanto a fronte di uno scenario di assoluta straordinarietà com’è quello che ha caratterizzato il primo periodo dell’emergenza sanitaria e che buona parte delle soluzioni che sono apparse necessarie in quel contesto non appaiono predicabili a regime. La sospensione di termini e attività processuali previsto per le prime due fasi della pandemia , come pure la delega alle determinazioni dei Capi degli uffici giudiziari del concreto svolgimento del processo, hanno determinato scollamenti inaccettabili rispetto ai principi costituzionali e sicuramente non più percorribili .
Per vero, rispetto alle proposte formulate dalla «Commissione per l’elaborazione di proposte di interventi in materia di processo civile e di strumenti alternativi», istituita presso il Ministero della Giustizia con d.m. 12 marzo 2021 e presieduta dal Prof. Luiso, le scelte governative appaiono ispirate ad una maggior prudenza e comporterebbero non già un ampliamento, bensì una riduzione delle modalità alternative alla trattazione rituale tutt’ora utilizzabili.
In ogni caso, pur con gradazioni differenti, tutte le modalità di celebrazione dell’udienza alternative rispetto all’udienza di discussione dell’art. 420 c.p.c. incidono sul concetto di oralità e immediatezza della cognizione e, dunque, sul diritto ad un processo equo che garantisca e potenzi le possibilità difensive delle parti.
Neppure si può tacere che la condizione di “assembramento” costituisca la fisiologia del nostro processo civile, sia in senso stretto - con riferimento al numero di avvocati e soggetti coinvolti quotidianamente in aule di giustizia, collocate, oltretutto, in edifici su cui pochissimo si è investito e che presentano i segni evidenti del tempo in termini di obsolescenza strutturale e funzionale -, sia in senso figurato, i.e. in relazione al sovraccarico dei ruoli che i magistrati sono chiamati a gestire, con conseguente contrazione del tempo dedicato alla trattazione della singola controversia. Per tali ragioni anche nel processo del lavoro gli spazi dedicati ad una dialettica orale distesa e approfondita sono stati progressivamente erosi, ma nondimeno non può tacersi che in questo specifico settore del contenzioso, vuoi per i valori in gioco, vuoi per le attività da compiere, rimane indispensabile «un contatto ravvicinato con il giudice fondato anche su interscambi argomentativi immediati» , funzionali a chiarire punti oscuri, ad agevolare l’accordo delle parti o più semplicemente a definire ciò che sia effettivamente contestato e meritevole di essere accertato. Tuttavia, va considerato che non soltanto studi e ricerche, ma anche l’esperienza di altri ordinamenti dimostra come non soltanto sia possibile implementare l’utilizzo di strumenti informatici nella gestione della funzione giudiziaria, ma finanche sostituire la decisione umana con l’algoritmo prodotto da un’intelligenza artificiale . Di fronte a tali approdi finanche il provocatorio interrogativo relativo al se una Corte sia un luogo o un servizio sembrano anacronistici .
Il complesso bilanciamento tra tali contrapposte linee di tendenza andrebbe ricercato, ad avviso chi scrive, tenendo presente il carattere dispositivo che in uno Stato liberale un processo che contrappone diritti soggettivi individuali non può che conservare. L’adozione di forme alternative e avveniristiche di svolgimento può, allora, essere ammissibile e finanche opportuna là dove risponda alle esigenze e alle scelte concertata dei diversi attori del processo, primi tra tutti le parti. Se nel periodo più buio della pandemia si è accettata la convivenza di tanti “dialetti processuali”, nella fisiologia della vita quotidiana della giustizia, la «proporzionalità» non può essere riferita soltanto allo stato di «scarsità» della risorsa nel suo complesso o con riferimento al carico di lavoro del magistrato, ma può avere un senso nuovo se riferito alla singola controversia attraverso un confronto dialettico tra parti e giudice. Come si vedrà nella riflessione che segue, sotto questo profilo, purtroppo, la disciplina de iure condendo segna un passo indietro rispetto a quella attualmente vigente.

 

2. La specialità del contenzioso del lavoro nell’interpretazione della legislazione emergenziale.

Nel massivo ricorso alla decretazione d’urgenza che ha interessato la giustizia civile dal marzo dello scorso anno, nessuna considerazione specifica si è riservata alle controversie del lavoro, cui pure – com’è ovvio – trovano e hanno trovato applicazione le disposizioni introdotte per i «processi civili», né, peraltro, a tale lacuna ha rimediato il CSM, che pure ha adottato linee guida sul punto . La circostanza ha determinato non poche difficoltà applicative a fronte di un contenzioso che incide su diritti costituzionalmente garantiti e, dunque, indisponibili o semi indisponibili e quasi sempre protetti da norme inderogabili e che, di conseguenza, è assoggettato ad una disciplina processuale speciale che, più che ogni altra, è caratterizzata dall'oralità, dall'immediatezza e dalla concentrazione
Le caratteristiche peculiari dell’oggetto e delle forme della tutela, nondimeno, hanno avuto modo di manifestarsi fin dalle prime battute della legislazione pandemica. Si prenda ad esempio la disciplina della c.d. prima fase dell’emergenza sanitaria in cui si è disposta la sospensione del decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto processuale dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020, nonché il rinvio d’ufficio a data successiva al 15 aprile di tutte le udienze comprese tra il 9 marzo e l’11 maggio 2020, con esclusione dei processi qualificati urgenti per legge o per disposizione del giudice . È chiaro che quanto più è “sensibile” la materia controversa tanto meno appaiono tollerabili ritardi che ben potrebbero produrre «l’effetto, non di differire la possibilità di ricorso alla tutela giurisdizionale, ma di impedirla in nuce» . Sulla base di tali considerazioni la sezione Lavoro del Tribunale di Milano, ha esteso la sospensione del decorso dei termini processuali anche a quelli di natura sostanziale (non sospesi) «ontologicamente» collegati ai primi. Tale condizione si è riscontrata con riferimento al termine decadenziale di 60 giorni previsto dall’art. 6, c. 1 della legge n. 604/1966 per l’impugnativa stragiudiziale del licenziamento, attesane la «strutturale concatenazione» con il successivo termine di 180 giorni ivi previsto per il deposito del ricorso giudiziario (c.2). Pertanto, sulla scorta della ricostruzione della disciplina in termini di «unica fattispecie impugnatoria a formazione progressiva» , è apparso inammissibile e contrario alla ratio della stessa disciplina emergenziale «scindere due passaggi che costituiscono adempimento di un unico onere […], separandone la relativa regolamentazione legale» .
Inoltre, le controversie del lavoro, pur non espressamente comprese tra quelle sottratte alla disciplina dei rinvii generalizzati, sono spesso rientrate tra «i procedimenti la cui ritardata trattazione» avrebbe potuto «produrre grave pregiudizio alle parti» con valutazione d’urgenza assunta con decreto dal Presidente del Tribunale ovvero, adattando la previsione legislativa espressamente riferita alle sole ipotesi di giudizio collegiale, al giudice del lavoro investito della causa . Senz’altro è stata possibile la trattazione dei «procedimenti cautelari aventi ad oggetto la tutela di diritti fondamentali della persona» (c.2), tra i quali rientrano ben spesso quelli del lavoratore.
Numerose sono state le difficoltà di innesto delle forme alternative di celebrazione dell’udienza sul terreno del rito del lavoro strutturato in modo tale che «ogni udienza, a cominciare dalla prima, è destinata, oltre che all'ammissione ed assunzione di eventuali prove, alla discussione orale e, quindi, alla pronuncia della sentenza ed alla lettura del dispositivo» ; nel quale non è mai esclusa la partecipazione personale delle parti e caratterizzato dall’attribuzione al giudice di ampi poteri di direzione e di cooperazione. Tale ambiente processuale, perciò, poco si presta ad essere surrogato, in tutto o in parte da una trattazione scritta se non nei margini già previsti dal codice di rito (artt. 420, c. 6 e 429, c. 2) e che ha richiesto un notevole spirito di adattamento là dove è stato celebrato a distanza. I dibattiti avviati sulle riviste giuridiche, nei pubblici dibattiti e nelle mailing list specialistiche hanno registrano la difficoltà di superare le perplessità “culturali” che tale forma di oralità porta con sé, soprattutto con riferimento ad attività in cui il confronto reale con il giudice si avverte come maggiormente necessario. Si pensi, ad esempio, alla possibilità di provvedere ad un approfondito e franco interrogatorio libero o al tentativo di conciliazione, questione che si è posta spesso all’attenzione dei giudici con riferimento alla compatibilità della modalità con una interlocuzione effettiva che preservi la ratio dell’istituto e la funzione sia propulsiva sia di controllo delle condizioni dell’accordo , sia in relazione ai requisiti di forma e sostanza richiesti per il verbale di conciliazione. Se tale secondo profilo è stato affrontato e risolto dal legislatore la modifica dell’art. 88 comma 2 delle disp. att. c.p.c. introdotta con la legge n. 70/2020 di conversione del dl n. 28/2020 , la problematicità del primo rimane attualissima, implicando una riflessione generale sulle difficoltà che sorgono nello svolgimento di attività tradizionalmente svolte in presenza là dove tra parti e giudice si interponga l’ostacolo dello schermo e della distanza. L’esperienza dell’ultimo anno ha dimostrato che una trattazione accurata sia possibile indipendentemente dal contenitore, ossia nonostante l’impiego di mezzi informatici, tuttavia un confronto reale e genuino sembra ancora richiedere «istintivamente» «le garanzie del contatto sociale» . Ciò che si intende sottolineare è l’importanza di una seria riflessione sulle modalità e sulla misura in cui l’interazione tra le persone cambi là dove l’interlocutore sia celato da uno schermo che non rende possibile, sia pur in una dimensione sincrona , una visione contestuale di tutti gli attori del processo . Va rilevato a tal proposito che gli ampi studi sociologici e psicologici che hanno indagato gli effetti sul comportamento dell’interazione filtrata dalla macchina , non abbiano mai riguardato il processo e l’aula giudiziaria per cui non desta sorpresa la circostanza che le proposte di riforma abbiano propeso per un utilizzo più contenuto di tale modalità che pure, rispetto alla trattazione scritta, preserva maggiormente il principio del contraddittorio.

 

3. Le modalità alternative di svolgimento dell’udienza alternative negli emendamenti governativi. L’udienza mediante collegamenti audiovisivi a distanza.

Va, immediatamente rilevato che dal tenore delle proposte governative, in linea con la disciplina oggetto di sperimentazione fino al 31 dicembre prossimo, si evince che la celebrazione in presenza dell’udienza rimanga la regola, rispetto alla quale le modalità alternative costituiscono eccezioni. Infatti, come si vedrà nel dettaglio, le disposizioni de iure condendo presuppongono l’esercizio di un potere discrezionale del giudice ovvero la presentazione di un’istanza di parte, ossia manifestazioni di volontà ulteriori e successive rispetto alla fissazione di un’udienza “canonica”. Tale circostanza, ovviamente, emerge più chiaramente dalla lettera dell’art. 221 della legge n. 77/20 di conversione del d.l. n. 34/20 che dagli emendamenti governativi, i quali si limitano a dettare i criteri direttivi rivolti al legislatore delegato, ma non può seriamente dubitarsi della continuità con la legislazione vigente di una disciplina destinata a regolare stabilmente il processo e non giustificata da esigenze di contenimento della pandemia.
Come si è anticipato le scelte governative divergono in più punti rispetto alle proposte della Commissione Luiso che pure ne avrebbero dovuto costituire il presupposto. Se queste ultime ampliavano notevolmente l’ambito di applicazione dell’udienza da remoto finora conosciuta, ammettendone l’utilizzo anche per l’escussione dei testimoni e il confronto (g-bis, n. 6), nonché per la celebrazione delle camere di consiglio (g-ter), l’emendamento governativo dispone in senso inverso, limitando la dematerializzazione alle ipotesi di udienze in cui sia richiesta la partecipazione dei soli difensori. Lo stesso a dirsi per la c.d. trattazione scritta, utilizzabile secondo il testo della Commissione ministeriale anche ove sia necessaria la partecipazione degli ausiliari del giudice ed «in ogni procedimento non contenzioso» (g-bis, n. 1). Quali siano state le ragioni della divaricazione rispetto alle proposte formulate non è noto ma sicuramente è singolare che le valutazioni governative relative al grado e alle modalità di stabilizzazione di una disciplina emergenziale oggetto di sperimentazione possano essere tanto differenti rispetto a quelle effettuate, meno di un mese prima, da una Commissione di esperti nominata al precipuo scopo di «proporre interventi in materia di processo civile» ulteriori e differenti da quelli contenuti nel DDL 1662.
Venendo all’analisi di dettaglio delle tre ipotesi contemplate dall’emendamento in commento e procedendo per gradi di divaricazione crescente rispetto all’udienza pubblica dall’art. 420 c.p.c., la lettera g-quater detta un criterio di delega volto a «prevedere che il giudice, fatta salva la possibilità per le parti costituite di opporsi, possa disporre che le udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti si svolgano con collegamenti audiovisivi a distanza, individuati e regolati con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia» .
La disciplina del procedimento che si evince dal criterio di delega diverge tanto dalla disciplina vigente, quanto dalle proposte Luiso.
Il c. 7 dell’art. 221 stabilisce che il giudice possa disporre che l’udienza si volga da remoto soltanto con il consenso preventivo delle parti ; la lettera g-bis, n. 4 del testo della Commissione ministeriale, pur rimettendo al giudice l’opzione, dispone che la trattazione in presenza debba essere comunque disposta «in presenza di richiesta anche di una sola parte».
Al contrario, come appena rilevato, la lettera g-quater dell’emendamento governativo dispone nel senso che sia il giudice d’ufficio a disporre lo svolgimento da remoto, prevedendo la possibilità di opposizione successiva di queste ultime . Tale soluzione rischia di appesantire la trattazione, in ragione dell’apertura del sub-procedimento di opposizione che il legislatore delegato sarà necessariamente chiamato a disciplinare, pena l’impugnazione della sentenza in cui si denunci che la modalità prescelta si sia tradotta in un vulnus alle facoltà difensive delle parti. Su un piano più generale, inoltre, segna un passo indietro rispetto al modello finora (timidamente) sperimentato, fondato sulla concertazione tra parti e giudice che costituisce la vera novità della disciplina e che rischia di potersi in contrasto con quel dovere di collaborazione che connota sempre più il processo civile in generale e quello del lavoro in particolare. Tale “buona prassi”, oltretutto, ha avuto modo di essere ampiamente sperimentata nel periodo pandemico: molti dei Protocolli stipulati tra uffici giudiziari e consigli dell’ordine prevedono, infatti, forme di cooperazione tra parti e giudice anche più ampie rispetto a quelle indicate dalla disciplina positiva .
Anche se non espressamente contemplata, non è necessariamente destinata a rimanere confinata al periodo pandemico la possibilità attualmente prevista dal c. 6 dell’art. 221, norma che consente alle parti o ai difensori che ne facciano richiesta di presenziare all’udienza celebrata in via ordinaria «mediante collegamenti audiovisivi a distanza» , «con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione». Ad avviso di chi scrive, nell’esercizio della delega disposta con la lettera g-quater, infatti, ben potrebbe il legislatore delegato consentire tale possibilità in favore dei difensori e finanche del giudice, in questo caso «solo previa autorizzazione del presidente del tribunale o di suo delegato, motivata con giustificati motivi» – come proposto dalla Commissione Luiso .
Il principio direttivo limita fortemente l’ambito di applicazione soggettivo ed oggettivo della trattazione da remoto, mentre a giudizio della Commissione Luiso sarebbe stato opportuno includervi fattispecie finora non considerate, adattando la disciplina emergenziale «alla rilevante mobilità che caratterizza l’attuale società», sulla scorta delle «positive esperienze realizzate in alcuni tribunali nelle prime fasi della emergenza pandemica, e trasfuse in protocolli locali». La modalità è, infatti, riservata alle ipotesi in cui sia richiesta la sola partecipazione dei difensori con la conseguenza che, pur non essendo espressamente previsti condizioni oggettive, strettissimo ne appare l’utilizzo sul terreno del processo del lavoro. Necessariamente in presenza andranno svolte le attività prescritte dal primo comma dell’art. 420 e, dunque, l’interrogatorio libero, il tentativo di conciliazione, la formulazione della proposta transattiva o conciliativa da parte del giudice, ipotesi in cui, come si è già osservato, è ancora avvertita fortemente la necessità del “contatto sociale” . Probabilmente in ragione di tale esigenza, il testo della Commissione Luiso, più opportunamente, rimetteva l’opzione con riferimento alla prima udienza alla richiesta di tutte le parti costituite.
La modalità potrà, dunque, essere disposta per le (eventuali) udienze successive, e, quindi, per la sola ammissione dei mezzi di prova che non si siano potuti produrre prima e giustificati dalle difese di controparte (art. 420, c. 5). In ragione dei limiti soggettivi è escluso che le prove costituende possano essere assunte da remoto, opzione possibile con riferimento a quelle precostituite pur con tutte le difficoltà del giudice di valutarne, a distanza, l’ammissione ed ancor più della controparte che debba, per esempio, disconoscere un documento oppostogli.
Ugualmente sarà possibile celebrare a distanza la fase decisoria tanto per quanto attiene alla discussione orale e alle conclusioni, quanto per la lettura della sentenza o del dispositivo .
Infine, ad avviso di chi scrive, la modalità da remoto potrebbe essere utilmente impiegata quando dagli atti introduttivi emergano profili attinenti alla regolarità dell’instaurazione del giudizio ovvero del contraddittorio. In queste ipotesi, difatti, la prima udienza sarebbe unicamente destinata alla discussione sui vizi riscontrati dal giudice e sul successivo ordine di sanatoria, rendendo non necessaria la partecipazione personale delle parti non potendosi procedere a nessuna attività in carenza di giurisdizione, di atti regolarmente notificati o sottoscritti e così via. In queste specifiche situazioni la dematerializzazione comporterebbe senz’altro un beneficio in termini di tempi e organizzazione delle “agende” tanto del magistrato quanto dei difensori, permettendo di riservare la celebrazione canonica a udienze che effettivamente richiedono un’interlocuzione più franca e genuina perché relative all’indagine e alla valutazione di elementi meno o non soltanto tecnici (certo, a condizione che i magistrati abbiano cura di studiare preventivamente i fascicoli delle prime udienze e dunque di segnalare in anticipo ai difensori la possibilità di celebrare l’udienza da remoto).
Lo stesso a dirsi per quanto attiene al processo d’appello, giudizio sostanzialmente chiuso a nova, e nel quale la partecipazione delle parti non è mai richiesta. I contenuti margini di trattazione orale, pertanto, ben potrebbero essere assolti mediante collegamenti audiovisivi.

 

4. – (Segue). Le udienze a trattazione scritta (g-quinquies e g-sexies)

 

La lettera g-quinquies) dell’emendamento governativo è volta a che il legislatore delegato preveda che, «fatta salva la possibilità per le parti costituite di opporsi, il giudice possa, o debba in caso di richiesta congiunta delle parti, disporre che le udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori […] siano sostituite dal deposito telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni da effettuarsi entro il termine perentorio stabilito dal giudice».
Quella scritta è la forma di celebrazione che si allontana di più dal modello del rito del lavoro, caratterizzato da una spiccata oralità rispetto a quello di cognizione ordinaria nel quale strutturalmente sono possibili, attesa la minore concentrazione, più margini di interlocuzione scritta e che più si presta alla sostituzione di talune udienze con il deposito di memorie limitate a contenere «sole istanze o conclusioni».
Nel processo del lavoro, al contrario, il legislatore ha espressamente previsto due sole ed eccezionali ipotesi in cui l’attività naturalmente svolta in presenza può essere surrogata dallo scritto. In primo luogo, il comma sesto dell’art. 420 prevede che, «ove ricorrano gravi motivi», il giudice possa concedere un breve termine per il deposito in cancelleria di «note difensive». Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, tali memorie «non possono in alcun caso contenere né nuove domande di merito né nuove istanze istruttorie» , come non è possibile sollevare con esse contestazioni ulteriori rispetto a quelle contenute nella memoria di costituzione e finanche, prospettazioni giuridiche che comportino «l’introduzione di un nuovo tema di indagine» .
In secondo luogo, il deposito di note scritte, naturalmente destinate a contenere le «sole conclusioni», è previsto dall’art. 429, c. 2 se le parti ne fanno richiesto e «se il giudice lo ritiene necessario», prevedendosi in tal caso il rinvio dell’udienza «per la discussione e la pronuncia della sentenza».
La previsione de iure condendo, analogamente a quella vigente, consente in realtà la trattazione scritta anche per attività ulteriori, atteso che le disposizioni di riferimento riferiscono oltre che di «conclusioni» anche di «istanze» le quali ben potrebbero essere «nuove» e, per esempio, contenere le richieste istruttorie giustificate dalle difese di controparte previste dal quinto comma dell’art. 420, differenti per contenuti e innovatività delle già esaminate note difensive previste dal comma successivo. Tuttavia, per legittimare lo scritto in caso di attività “innovative” il legislatore delegato – positivizzando quanto avviene in base ai Protocolli attualmente vigenti – preveda e disciplini la possibilità di depositare controdeduzioni.
Va, infatti, rilevato che il testo normativo attualmente vigente non riferisce dell’eventualità che vengano depositate memoria di replica, sicché l’ambito applicativo avrebbe dovuto essere molto limitato, tuttavia l’esperienza finora maturata ne ha fatto registrare un massivo utilizzo, neppure sempre bilanciato dal contrappeso della previsione di un termine per controdedurre.
In ogni caso, stante la limitazione oggettiva conservata dall’emendamento, la trattazione scritta, non più imposta da esigenze sanitarie, dovrebbe essere limitata al minimo, soprattutto sul terreno del rito speciale del lavoro e, dunque, mai dovrebbe poter sostituire le udienze dedicate alla discussione della causa assicurando il rispetto dell’art. 128 c.p.c.
A questo proposito va rilevato che in un processo caratterizzato da elevata tecnicalità com’è quello moderno, qualsiasi attività che non attribuisca rilevanza all’interazione con la parte potrebbe essere surrogata dallo scritto del difensore . Tuttavia, l’imposizione di determinate forme, e con esse la ritualità e la solennità del processo, rispondono ad esigenze ulteriori e prevalenti rispetto alla celerità dell’accertamento e all’uso efficiente della risorsa giustizia, che non possono essere aggirate con il semplice riferimento al dato per cui fin troppo spesso la gran parte delle udienze, ivi comprese quelle destinate alla discussione orale, si traducono in uno «stanco rito formale» in cui i difensori si riportano ai precedenti scritti difensivi . D’altro canto, il formale ossequio al principio dell’oralità non deve neppure condurre a sacrificare una tutela effettiva dei diritti delle parti là dove esse possano essere coinvolte nell’opzione relativa alla celebrazione dell’udienza e quest’ultima non sacrifichi altri principi ugualmente rilevanti. La garanzia della pubblicità dell’udienza, necessariamente sacrificata da tale modalità di trattazione, non è difatti posta nell’esclusivo interesse delle parti. Anche senza voler richiamare il dato storico per cui tale caratteristica è un portato dell’Illuminismo e connota gli ordinamenti democratici, l’art. 6 della Carta EDU colloca, anche per i «diritti e doveri di carattere civile», il diritto all’udienza pubblica nell’alveo delle garanzie dell’«equo processo», alla stessa stregua di altre più avvertite o «note». In particolare, essa assicura la trasparenza dell’operato e della decisione finale del giudice , e preserva «la fiducia nelle Corti e nei Tribunali da parte della collettività, rassicurata sul fatto che lo sforzo di stabilire la verità sarà massimo», impedendo «una giustizia segreta, sottratta al controllo del pubblico» .
La giurisprudenza dell’alta Corte europea ha chiarito altresì che tale canone ammette deroghe, anche ulteriori rispetto a quelle espressamente previste , ritenendo legittima una trattazione esclusivamente scritta con riferimento alla natura o alla sede delle questioni trattate: altamente tecniche, nelle quali rilevi il sapere specialistico del giudice o degli ausiliari, ovvero nei giudizi di impugnazione in cui, a fronte dei precedenti gradi, il giudice superiore è chiamato ad affrontare e risolvere questioni di puro diritto, senza che si proceda a nuovi accertamenti di fatto o all’assunzione di prove. «In queste circostanze, infatti, non possono ignorarsi esigenze di economia ed efficienza processuale, riguardo alle quali il principio di pubblicità risulterebbe recessivo o, addirittura, controproducente rispetto a un altro principio altrettanto fondamentale nell’ottica dell’equo processo: il diritto alla ragionevole durata del procedimento» . Sia pur si tratti di una garanzia più sentita sul terreno del processo penale, le affermazioni della Corte europea dei diritti dell’uomo possono utilmente orientare l’interprete nella individuazione delle ipotesi in cui il contraddittorio orale e pubblico non ammetta surrogati, atteso che, anche per il processo civile, il rischio di un processo scritto e «segreto», destinato oltretutto a concludersi con una decisione motivata in modo sempre più contratto e tecnico e, dunque, non controllabile, né comprensibile al cittadino, è elevato e preoccupante. Sulla scorta di tali condivisibili principi, la modalità a trattazione scritta dovrà costituire un’ipotesi residuale di lavoro per giudici e parti una volta superate le esigenze di contenimento del contagio; risulterà sicuramente legittima e addirittura utile ove sostituisca udienze deputate a raccogliere mere istanze ovvero il richiamo di difese precedenti; come pure nel giudizio di impugnazione, attesi gli spazi ridotti concessi all’oralità in grado di appello.
Nel senso indicato dai principi europei dovrà, inoltre, orientarsi il legislatore delegato nel dettare la disciplina di dettaglio, in particolare a fronte della previsione che dispone nel senso dell’obbligo del giudice di disporre la trattazione scritta in caso di richiesta congiunta di parte. Atteso che la pubblicità dell’udienza integra un principio di ordine pubblico processuale, derogabile soltanto in casi eccezionali ad avviso di chi scrive, la richiesta di parte non potrà essere ritenuta vincolante per il giudice che dovrà comunque conservare uno spazio di valutazione che gli permetta di valutare la ricorrenza degli elementi individuati dalla giurisprudenza europea. Gli stessi criteri dovrebbero ovviamente orientare il giudice che intenda optare d’ufficio per la trattazione scritta; in tali casi alle parti è concessa un’opposizione di futura regolamentazione. Circa l’inopportunità in termini sia di tempi e costi sia con riferimento al principio di collaborazione si rimanda a quanto già osservato per la trattazione da remoto. In questa sede, nondimeno, può rilevarsi come la disciplina attualmente prevista dall’art. 221, c. 4 sia senz’altro più ragionevole. La disposizione citata stabilisce che il giudice comunichi alle parti almeno trenta giorni prima della data già fissata per l’udienza tradizionale che la stessa è, d’ufficio, «sostituita dallo scambio di note scritte» ma che queste possano in ogni caso presentare istanza di trattazione orale (entro cinque giorni dalla comunicazione del provvedimento), che pur nel silenzio della legge, deve essere ragionevolmente motivata, tanto in ordine al superamento delle condizioni soggettive o oggettive poste dalla disposizione, quanto in relazione alla rappresentazione di esigenze specifiche, con corrispondente onere motivazionale del magistrato, specie in caso di rigetto.
L’emendamento governativo, infine, non equipara il mancato deposito all’assenza, ragion per cui è ragionevole escludere che il legislatore delegato possa far conseguire l’applicazione dell’art. 181 c.p.c., come invece attualmente espressamente previsto dall’art. 221 .
L’ultimo criterio di delega, previsto dalla lettera g-sexies prevede che «il giudice, in luogo dell’udienza di comparizione per il giuramento del consulente tecnico d’ufficio, possa disporre il deposito telematico di una dichiarazione sottoscritta con firma digitale recante il giuramento di cui all’articolo 191 del codice di procedura civile». L’emendamento riprende esattamente il contenuto precettivo dell’art. 221, c. 8. Si tratta di soluzione opportuna in termini di celerità e recupero di efficienza, in quanto consente di evitare la celebrazione di un’udienza surrogando l’adempimento di forma con il deposito digitale. Resta inteso che la formulazione dei quesiti precede il giuramento, e, pertanto, sarebbe preferibile che tale attività avvenisse (come spesso avviene) nel corso di un’udienza partecipata, atteso che una piana discussione tra parti e giudice sul punto favorisce una più utile prosecuzione del processo e il pieno dispiegarsi delle attività difensive che non sempre risultano soddisfatte attraverso la partecipazione alle operazioni peritali o le osservazioni riferite alla CTU (artt. 194 e 195 c.p.c.).

 

 

 

 

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