Testo integrale con note e bibliografia

Testo della sentenza

Con la sentenza n. 15954 dell’8 giugno 2021 la Corte di Cassazione ha posto la parola fine ad un lungo contenzioso tra un dirigente medico e l’azienda sanitaria di appartenenza, avente, in particolare, ad oggetto la distinzione tra responsabilità disciplinare e responsabilità dirigenziale.
Il dipendente con qualifica dirigenziale, come ogni pubblico dipendente, può incorrere in responsabilità disciplinare ogni qual volta, con dolo o colpa, non osservi le regole giuridiche preposte allo svolgimento dell'attività di sua competenza e, quindi, dolosamente o colposamente violi i doveri rientranti nell'oggetto della sua (peraltro, peculiare) prestazione lavorativa.
Sino alla tornata 2006-2009 nella contrattazione collettiva delle aree dirigenziali si rinveniva una disciplina piuttosto lacunosa degli obblighi del dirigente pubblico, la cui inosservanza assurgesse a rilevanza disciplinare, nonché dei profili procedimentali. Inoltre, la disciplina pattizia, conformata all'orientamento giurisprudenziale seguito dalla Corte di Cassazione in materia di responsabilità disciplinare del dirigente nel settore privato , limitava il ventaglio punitivo al licenziamento con esclusione delle sanzioni conservative (quali censura, multa o sospensione dal servizio).
Conseguenza di tale previsione era la sostanziale impunità dei dirigenti in tutti i casi di illegalità minori (statisticamente più frequenti di quelle più gravi), da punire, in osservanza del principio di proporzionalità, con misure conservative. Ciò, inoltre, mal si conciliava con la peculiarità della dirigenza sanitaria, caratterizzata da un’eterogeneità delle figure tale da poter essere vista come una scala alla cui sommità possono essere collocati i dirigenti svolgenti principalmente un ruolo datoriale, manageriale, ed alla cui base si trovano, invece, soggetti privi dell’effettiva titolarità di poteri direttivi, gestionali e decisionali, appiattiti su una posizione di mera esecuzione di prestazioni di lavoro subordinato, ancorché di elevato contenuto tecnico-professionale .
Il dogma dell’impossibilità di sanzioni conservative per i dirigenti è stato inizialmente (ma solo parzialmente) superato dalla “riforma Brunetta” del 2009 (avviata con la legge delega 4 marzo 2009, n. 15 ed attuata col d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150) , che ha introdotto nel d.lgs. n. 165/01 alcune ipotesi di sanzioni conservative a carico dei dirigenti: 1) l’art.55-bis, co. 7 prevede la sospensione dal servizio con privazione della retribuzione fino ad un massimo di 15 giorni per il dirigente, che, a conoscenza per ragioni di ufficio o di servizio di informazioni rilevanti per un procedimento disciplinare in corso, rifiuta di prestare collaborazione all’autorità disciplinare; 2) l’art.55-sexies, co. 1 prevede la sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da un minimo di 3 giorni fino ad un massimo di 3 mesi per il dipendente (ergo anche per il dirigente) che ha causato la condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno derivante dalla violazione degli obblighi concernenti la prestazione lavorativa, stabiliti da norme legislative o regolamentari, dal contratto collettivo o individuale, da atti e provvedimenti dell'amministrazione di appartenenza o dai codici di comportamento; 3) l’art.55-sexies, co. 3 prevede la sospensione dal servizio con privazione della retribuzione fino ad un massimo di 3 mesi per il dirigente titolare di potere disciplinare nei casi di mancato esercizio o decadenza dall’azione disciplinare, dovuti all’omissione o al ritardo, senza giustificato motivo, degli atti del procedimento disciplinare o a valutazioni sull’insussistenza dell’illecito disciplinare irragionevoli o manifestamente infondate.
Sulla scia di tali previsioni i contratti collettivi delle aree dirigenziali della tornata 2006-2009 hanno introdotto veri e propri codici disciplinari statuenti anche sanzioni conservative: in particolare, per quanto concerne la dirigenza del SSN (Aree III e IV) gli accordi stipulati il 6 maggio 2010 hanno dettato una dettagliata e puntuale disciplina degli obblighi del dirigente e dell’iter procedurale di accertamento della responsabilità disciplinare, prevedendo all’art.7 anche misure conservative (censura scritta, sanzione pecuniaria, sospensione dal servizio con privazione della retribuzione) . In tal senso si è posto anche il c.c.n.l. 2016-18 dell’area dirigenziale Sanità (artt.69-79).
La responsabilità dirigenziale è disciplinata dall’art.21 del d.lgs. n. 165/01 (e dall’art.15-ter, co. 3 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 per la dirigenza sanitaria ) e riguarda il raggiungimento dei risultati in relazione agli obiettivi assegnati, nonché la capacità professionale, le prestazioni e le competenze organizzative dei dirigenti.
L’accertamento di tale responsabilità avviene secondo le procedure previste dalla legge e dalla contrattazione collettiva (art.106 del c.c.n.l. 2016-18 dell’area dirigenziale Sanità, che rimanda a varie disposizioni delle tornate contrattuali precedenti), che fissano una serie di garanzie a tutela del dirigente: l’accertamento a seguito di specifici processi di valutazione, il contraddittorio per acquisire le controdeduzioni del dirigente, il preventivo parere (obbligatorio, ma non più vincolate) del Comitato dei garanti sulle ipotesi di recesso. Esso è configurato dalla normativa primaria e pattizia come organo imparziale in funzione di garanzia di una ponderata valutazione nell’adozione di atti gravemente lesivi della posizione soggettiva di ogni dirigente .
L’adozione di un sistema di responsabilità basato sul raggiungimento dei risultati gestionali determina inevitabilmente una valutazione, seppur incidentale, delle capacità professionali del soggetto interessato, a fronte della quale debbono essere riconosciute adeguate forme di tutela. La Corte Costituzionale, a tal proposito, ha evidenziato come il legislatore possa prevedere tra le misure sanzionatorie della condotta dirigenziale anche la rimozione dall'impiego nei casi di maggiore gravità; ma questa deve avvenire in base a previsione normativa e con le relative proprie garanzie procedimentali .
La responsabilità disciplinare si distingue da quella dirigenziale sotto diversi profili:
1) l'elemento oggettivo (inadempimento di obblighi di legge o contrattuali in caso di responsabilità disciplinare, mancato raggiungimento degli obiettivi della gestione in caso di responsabilità dirigenziale);
2) l'elemento psicologico (dolo o colpa in caso di responsabilità disciplinare, responsabilità molto vicina a quella cd. “oggettiva” nell'altro caso, pur dovendosi sempre valutare l’imputabilità al dirigente del mancato risultato);
3) la responsabilità disciplinare concerne l'esattezza e la correttezza dei singoli adempimenti dell'attività del dirigente pubblico a prescindere dall’incidenza sui risultati dell’attività; la responsabilità dirigenziale riguarda il rendimento complessivo e si rivolge all'esigenza dell'amministrazione di rimuovere in maniera tempestiva il dirigente dimostratosi inidoneo alla funzione e, come tale, non in grado di raggiungere il risultato prefissato, indipendentemente dal verificarsi di un fatto sanzionabile o dalla produzione di un danno;
4) la responsabilità disciplinare è accertata, in base all’art.55-bis del d.lgs. n. 165/01 dall’ufficio per i procedimenti disciplinari, che non necessariamente deve essere specifico per la dirigenza, anche se non è preclusa all’autonomia organizzativa delle amministrazioni la costituzione di due uffici, uno per il personale dirigenziale e un altro per il personale non dirigenziale ; la responsabilità dirigenziale è accertata a seguito di specifici processi di valutazione e col parere del Comitato dei garanti sulle ipotesi di recesso.
La distinzione tra le due fattispecie di responsabilità è rimarcata dalla legge e dalla contrattazione collettiva: l’art.21, co. 1 del d.lgs. n. 165/01, nel regolare la responsabilità dirigenziale, mantiene ferma “l’eventuale responsabilità disciplinare secondo la disciplina contenuta nel contratto collettivo” ed analogamente dispone l’art.55, co. 4 del d.lgs. medesimo sulla responsabilità disciplinare con riferimento a quella dirigenziale; l’art.69, co. 2 del c.c.n.l. 2016-18 dell’area dirigenziale Sanità fissa come principio generale la distinzione tra le procedure e i criteri di valutazione dei risultati e quelli relativi alla responsabilità disciplinare, l’art. 71, co. 8 del c.c.n.l. medesimo precisa che l’irrogazione di sanzioni disciplinari non solleva il dirigente dall’eventuale responsabilità dirigenziale.
Anche la consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione, ivi compresa la sentenza in esame, ha ripetutamente sottolineato la netta diversità, ontologica e normativa, tra le dure responsabilità, evidenziando che il parere del Comitato dei garanti è prescritto per la sola responsabilità dirigenziale, ma non per le fattispecie di recesso per motivi disciplinari .

 

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