testo integrale con note e bibliografia
1. Un sincero ringraziamento agli amici Roberto Riverso, Stefano Giubboni e Guglielmo Corsalini per aver organizzato questo incontro: un incontro speciale, per il luogo che ci ospita, per la materia in discussione e perché rappresenta un doveroso omaggio ad uno dei maggiori maestri di questa materia.
Diversamente da tanti qui presenti, le mie occasioni di diretto confronto con il Presidente De Matteis sono state relativamente recenti. Le nostre strade si sono incrociate solo durante l’emergenza pandemica, in occasione del dibattito sull’esistenza o meno di un obbligo vaccinale .
Una vicenda in cui la questione della salute e della sicurezza di chi lavora, più che per gli aspetti relativi alla tutela assicurativa, emergeva con riferimento all’altra grande colonna portante della materia, quella della prevenzione. Ed è proprio sul fondamento del concetto di prevenzione – quello della prevenzione primaria finalizzata a evitare i rischi o a eliminarli alla fonte – che le nostre strade, pur partendo da punti differenti, si sono poi incontrate felicemente.
2. Le due colonne portanti del sistema di tutela della salute e della sicurezza di chi lavora, quella della prevenzione e quella dell’assicurazione, presentano ancora una irragionevole discrepanza.
Essa riguarda il diverso ambito soggettivo delle due tutele risultanti dai due rispettivi testi unici – il d.P.R. n. 1124 del 1965 e il d.lgs. n. 81 del 2008 – specialmente dopo che quest’ultimo, non proprio un vero testo unico , ha assunto come riferimento della tutela prevenzionistica un concetto universalistico della persona che lavora che prescinde dal tipo di contratto di lavoro e fa leva sull’inserimento funzionale della prestazione lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro .
Tale dimensione universale non compare invece sul versante assicurativo , tanto che più volte il legislatore ha avvertito la necessità di estendere o di chiarire esplicitamente l’applicabilità di tale tutela.
3. A tale proposito e senza alcuna pretesa di completezza, basterà ricordare come talora il legislatore abbia esplicitato a chiare lettere ciò che era già chiaro, come per un verso è accaduto con l’art. 42 del d.l. n. 18 del 2020 in relazione alla configurazione dell’infezione da SARS-CoV-2 come infortunio sul lavoro , e come per un altro verso poteva forse già evincersi per i lavoratori agili cui la legge n. 81 del 2017 ha riconosciuto il diritto alla tutela contro gli infortuni e le malattie professionali dipendenti da rischi connessi alla prestazione lavorativa resa all’esterno dei locali aziendali, nonché nel caso di infortuni in itinere quando la scelta del luogo della prestazione sia dettata da esigenze connesse alla prestazione stessa o dalla necessità del lavoratore di conciliare le esigenze di vita con quelle lavorative e risponda a criteri di ragionevolezza.
In altri casi pare essersi trattato invece di una creazione ex novo della tutela come è avvenuto per i rider autonomi in base all’articolo 47-septies del d.lgs. n. 81 del 2015 . Mentre, in altre ipotesi, è piuttosto emerso un ampliamento del raggio della tutela, come è avvenuto nel settore scolastico con il d.l. n. 48 del 2023, che, a fronte della originaria limitazione della tutela assicurativa del t.u. 1965 alle ipotesi in cui insegnanti e studenti attendano ad esperienze tecnico-scientifiche o esercitazioni pratiche, o svolgano esercitazioni di lavoro, ha previsto l’applicabilità dell’obbligo assicurativo nei confronti di un’ampia platea di soggetti anche per lo svolgimento delle attività di insegnamento-apprendimento .
Al di là della loro specificità, questi interventi sottolineano l’indifferibile esigenza di una piena omogeneizzazione tra la disciplina prevenzionistica e la tutela assicurativa antinfortunistica le cui eccezioni appaiono sempre più ingiustificate a fronte di un mondo del lavoro sempre più complesso e variegato nel quale il presupposto della tutela non può che essere l’occasione di lavoro , a prescindere dalle sue tante particolarità soggettive o oggettive.
4. In realtà, neppure il decreto 81 del 2008 è privo di difetti, sol che si pensi ad esempio come esso, contraddicendo la propria definizione universalistica di lavoratore ed esaltando invece la declinante centralità del luogo di lavoro, riconosce la tutela prevenzionistica ai lavoratori parasubordinati solo qualora svolgano la prestazione nel luogo del committente .
È tuttavia innegabile che, al di là di questo rigurgito di tradizionalismo, la definizione universalistica di lavoratore accolta dal d.lgs. n. 81 del 2008, collegando la tutela prevenzionistica all’inserimento funzionale della prestazione del lavoratore nell’ambito dell’organizzazione del datore di lavoro, sia essa o meno reificata, sottolinea come ciò che davvero conta ai fini della tutela sia l’occasione di lavoro, al di là di come si manifesti.
È se è vero che lo stesso d.lgs. n. 81 del 2008 declina la tutela prevenzionistica in ragione della presenza dei rischi nell’ambiente di lavoro – ambiente che, anche per la crescente evaporazione del luogo di lavoro , deve essere ormai inteso essenzialmente come organizzazione –, è vero pure che lo stesso decreto 81 ha definitivamente sdoganato un concetto di rischio non più limitato esclusivamente alle macchine, alle attrezzature o alle sostanze utilizzate nel lavoro, bensì tale da ricomprendere qualunque minaccia per la salute e la sicurezza dei lavoratori che derivi dall’organizzazione del lavoro.
5. A ben guardare, i rischi psicosociali che stanno emergendo nei cangianti scenari di un’organizzazione del lavoro sempre più condizionata dall’incessante innovazione tecnologica sono nuovi solo in parte se si pensa che la salute psichica e mentale delle persone che lavorano era messa a repentaglio anche all’epoca della grande fabbrica fordista e dell’alienazione insita nel lavoro monotono e ripetitivo che spesso caratterizzava l’intera vita lavorativa.
Il fatto è che allora se ne parlava di meno, presumibilmente condizionati da una visione limitata di un concetto di salute più incentrato sulla dimensione fisica nonostante che, fin dal 1948, l’Organizzazione mondiale della sanità avesse ufficialmente accreditato una visione olistica e globale della salute come stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un’assenza di malattia o d’infermità.
Un indubbio merito del d.lgs. n. 81 del 2008 è stato quello di aver recepito formalmente nel nostro ordinamento questa nozione olistica di salute, ricomprendendo esplicitamente nella gamma dei rischi da valutare anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato .
Rischi rinvenibili nelle modalità mediante cui si esplica il lavoro, nei suoi ritmi, nei suoi tempi dilatati che non conoscono più confini con la sfera privata della persona, nella pressione indotta dalla cinica freddezza degli algoritmi e delle conseguenti decisioni automatizzate, ma anche nella fragilità dei contratti di lavoro flessibili o in relazioni interpersonali irrispettose della dignità della persona che lavora .
6. Proprio a tale proposito va segnalata un interessante dialogo tra il sistema della prevenzione e quello assicurativo.
Un dialogo emerso embrionalmente quando l’articolo 10, comma 4, del d.lgs. 38 del 2000 riconobbe come malattie professionali anche quelle non comprese nelle tabelle di cui il lavoratore dimostri l’origine professionale, e che si è manifestato soprattutto con una pronuncia della Sezione lavoro della Cassazione del 2018 . Si tratta di una ordinanza, di cui è stato relatore Roberto Riverso, che, ricostruendo l’evoluzione giurisprudenziale in tema di tutela assicurativa, ha riconosciuto l’indennizzabilità di tutte le malattie di natura fisica o psichica la cui origine “sia riconducibile al rischio del lavoro, sia che riguardi la lavorazione sia che riguardi l’organizzazione del lavoro e le modalità della sua esplicazione, dovendosi ritenere incongrua una qualsiasi distinzione in tal senso in quanto il lavoro coinvolge la persona in tutte le sue dimensioni, sottoponendola a rischi rilevanti sia per la sfera fisica che psichica”, come peraltro – sottolinea ancora la Corte – prevede a fini preventivi l’art. 28, comma 1, del d.lgs. n. 81 del 2008, quando obbliga a valutare tutti i rischi.
7. Queste incoraggianti convergenze tra sistema prevenzionistico e sistema assicurativo sul rilievo centrale dei rischi insiti nell’organizzazione del lavoro rafforzano l’urgenza di omogeneizzare il campo di applicazione soggettivo del sistema assicurativo rispetto a quello prevenzionistico.
Senonché, nel momento in cui pare ormai matura la consapevolezza che, ai sensi dell’art. 38 Cost., il fondamento della tutela assicurativa va rintracciato non già nella nozione di rischio assicurato, bensì nella protezione del bisogno a favore del lavoratore in quanto persona , non si può ignorare che un’altra sfida forse epocale si sta stagliando all’orizzonte del sistema di tutela, sia prevenzionistico sia assicurativo.
È la sfida dei rischi per la salute e la sicurezza sul lavoro derivanti dall’introiezione nell’organizzazione del lavoro dell’intelligenza artificiale e, in particolare dei sistemi generativi, capaci di apprendere e di modificarsi e, in quanto tali, spesso difficilmente prevedibili nei loro esiti .
Il che pone seri interrogativi sulle effettive possibilità di valutare adeguatamente gli effetti di tali rischi e sull’accertamento delle connesse responsabilità, con ciò che ne consegue tanto sul piano degli obblighi di prevenzione quanto su quello assicurativo in particolare per quanto attiene ai profili probatori anche nelle azioni di regresso e per danno differenziale.
È una sfida serissima a cui entrambi i sistemi di tutela non possono sottrarsi e che richiederà, come e più di sempre, il fondamentale supporto della dottrina e della giurisprudenza, nonché di quella giurisprudenza che si fa dottrina.