TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA
Come noto, in caso di riconoscimento di un infortunio o di una malattia professionale (anche con postumi inferiori al minimo indennizzabile), possono essere disposte dall’INAIL (revisione attiva) o richieste dai lavoratori infortunati o tecnopatici (revisione passiva) visite medico-legali per la rivisitazione del danno (art. 83 e 137 del T.U., ossia del dpr n. 1124 del 30 giugno 1965, così come modificati dall’art. 13 d.lgs. n. 38 del 2000). 
Per gli infortuni, la prima visita di revisione può essere effettuata non prima di un anno dalla data dell’infortunio e non prima di sei mesi dalla data di decorrenza della rendita; le visite successive non prima di un anno dalla precedente. Nei primi quattro anni il lavoratore può essere sottoposto a visita al massimo quattro volte e successivamente sono possibili altre due revisioni, una alla scadenza del settimo anno, l’altra alla scadenza del decimo (art. 83, commi 6,7,8 T.U.). 
Nel caso di malattia professionale, invece, la prima visita può essere eseguita dopo sei mesi dalla data di cessazione del periodo di inabilità temporanea assoluta o, nei casi in cui non vi sia stata astensione dal lavoro, dopo un anno dalla data di presentazione della denuncia della malattia; le successive revisioni devono essere effettuate a distanza superiore di un anno dalla precedente e l’ultima visita allo scadere dei quindici anni dalla data di costituzione della rendita (art. 137, comma 6, T.U.). 
Trascorsi dieci anni per gli infortuni e quindici anni per le malattie professionali, la revisione della rendita, di norma, non è più possibile (art. 83, comma 8, T.U.) e, quindi, il grado di inabilità permanente si presume stabilizzato o “cristallizzato” per legge; tale presunzione viene da sempre considerata come assoluta (iuris et de iure) e, come tale, non consente la prova contraria. 
La domanda e la comunicazione all’interessato dell’inizio del relativo procedimento vanno fatte entro il termine di decadenza annuale fissato per le malattie professionali dal penultimo comma dell’art. 137 del T.U., considerato dalla giurisprudenza valido anche per gli infortuni per ragioni di carattere sistematico e nel rispetto del principio costituzionale di eguaglianza . Resta inteso che il termine di complessivi dieci anni per gli infortuni e di quindici per le tecnopatie delimita comunque l’ambito temporale di rilevanza dell’aggravamento o del miglioramento delle condizioni dell’assicurato, per cui la variazione di tali condizioni deve sempre essere avvenuta entro il termine stesso . 
Si potrebbe tuttavia verificare l’ipotesi in cui alla scadenza del termine di revisione sia stata riconosciuta al lavoratore un’inabilità temporanea da ricaduta (magari di lunga durata), collegata all’evento indennizzato, coincidente proprio con il termine di cristallizzazione, ossia a cavallo del decennio o del quindicennio. 
Considerato che la ricaduta interrompe di fatto la stabilità della menomazione, il termine di scadenza dell’ultima revisione dovrebbe forse essere prorogato, almeno fino alla cessazione dell’inabilità temporanea; in altre parole, il periodo di ricaduta potrebbe forse comportare la sospensione del decorso del termine di cristallizzazione dei postumi. 
Del resto, la possibilità di sospendere il termine di revisione appare compatibile con il sistema, tanto che, ad esempio, in occasione dell’emergenza “Covid” è stata espressamente riconosciuta dall’art. 42 del d.l. “Cura Italia” n. 18/2020 (convertito dalla l. n. 27/2020) , e risponde al principio, ormai riconosciuto dalla Consulta e dalla giurisprudenza di legittimità, secondo il quale, in situazioni particolari e nelle ipotesi in cui l’evoluzione delle conseguenze dell’evento indennizzato non sia quella normale e prevedibile, si può certo derogare alla rigida applicazione del termine di cristallizzazione. 
A tal proposito, è forse utile richiamare la nota sentenza della Corte costituzionale n. 46 del 12 febbraio 2010, con la quale è stato affermato che l’eventuale domanda di aggravamento, a seguito di variazione delle condizioni fisiche in peius, intervenuta dopo i termini di cui all’art. 137 del T.U., dovrà essere trattata come domanda di nuova malattia professionale e potrà essere accolta qualora sia accertato che i relativi postumi siano venuti in essere dopo la scadenza del quindicennio e siano riconducibili al protrarsi dell’esposizione a rischio oltre la data di decorrenza dell’originaria rendita.
Con tale decisione si è chiarito, appunto, che il termine per l’esercizio del diritto alla revisione della rendita, di cui all’art. 137 del T.U., si riferisce esclusivamente all’eventuale aggravamento e alla consequenziale inabilità derivante dalla naturale evoluzione dell’originaria malattia e non può essere allora applicato ad ipotesi particolari o anomale . 
Anche la Corte di Cassazione è intervenuta sul principio di cristallizzazione dei postumi, con due decisioni che vanno richiamate in relazione alla questione che ci occupa. 
In particolare, con la sentenza n. 1048 del 17 gennaio 2018, il Supremo Collegio ha voluto precisare che il superamento del decennio non preclude la valutazione di aggravamenti derivanti da una concausa sopravvenuta, per i quali, in sostanza, non si sia verificata una naturale evoluzione dell’originario stato morboso (nel caso di specie si trattava di un aggravamento intervenuto dopo il decimo anno dall’infortunio, conseguente ad amputazione della coscia a cui il lavoratore era stato costretto in seguito ad una serie di interventi chirurgici, tutti collegati all’infortunio stesso) . 
Più di recente, poi, la Corte, con la sentenza n. 22897 del 19 agosto 2024, ha ribadito che il termine decennale, previsto dall’art. 83 del T.U., si applica solo agli aggravamenti derivanti dalla naturale evoluzione dello stato morboso originario. Quando, invece, si verifica un aggravamento causato da un evento sopravvenuto (anche se collegato all’infortunio), può configurarsi una causa diversa, che non rientra nel principio di cristallizzazione né nei limiti temporali del decennio.
In relazione a questa evoluzione giurisprudenziale, la migliore dottrina, condividendo l’orientamento più favorevole al lavoratore, ha parlato di crisi della presunzione assoluta di stabilizzazione dei postumi, auspicandone perfino il superamento . 
In definitiva, appare ormai chiaro l’orientamento della giurisprudenza, senz’altro rispondente a ragioni di giustizia sostanziale e conforme al principio costituzionale di ampia tutela del lavoratore, secondo il quale, almeno in relazione a situazione particolari, sembrerebbe corretto e doveroso il superamento della presunzione fondata su studi statistici ed epidemiologici e, dunque, su un sistema probabilistico di natura medico legale.
Questa logica appare applicabile anche nel caso dell’evento sopravvenuto e anomalo, consistente in una ricaduta e in una inabilità temporanea che si verifichino a cavallo del decennio (specialmente se di lunga durata), per cui - ad avviso di chi scrive - il termine di cristallizzazione andrebbe prorogato fino alla cessazione dello stato di malattia e, quindi, di instabilità della situazione clinica (non si può cristallizzare ciò che non è ancora stabile), lasciando spazio a successivi accertamenti e revisioni all’esito della chiusura della temporanea. 
Si può forse addirittura andare oltre e sostenere che le ricadute collegate all’evento indennizzato sospendano sempre il termine di cristallizzazione e non solo quando sopraggiungano a cavallo del termine stesso. 
In effetti, il T.U., negli articoli in cui si occupa della decorrenza della revisione del danno e, quindi, anche della cristallizzazione delle rendite (che si applicano anche alle rendite costituite in regime di “danno biologico” per effetto dell’art. 13, comma 7, del d.lgs. n. 38/2000), pur indicando espressamente il giorno dell'infortunio e la denuncia della malattia professionale (artt. 83, comma 8), tiene conto, in realtà, del momento in cui cessa l’inabilità temporanea e viene costituita la rendita.
A questo proposito, infatti, l’art. 83, in relazione alla decorrenza delle revisioni in caso di infortunio fa riferimento alla “data di costituzione della rendita” (commi 6 e 7); lo stesso dicasi dell’art. 137, comma 6, dove si legge che l’ultima revisione “può aversi soltanto per modificazioni avvenute entro il termine di quindici anni dalla costituzione della rendita” . 
Risulta allora incontrovertibile che, per l'ultimo procedimento revisionale, il computo del periodo non possa che decorrere dalla data di costituzione della rendita, come aveva già a suo tempo chiarito l’INAIL con la Circolare n. 63 del 11 agosto 1975 . 
Ciò significa, evidentemente, che il periodo di inabilità temporanea, almeno iniziale, va escluso dal conteggio del termine di cristallizzazione. 
Le norme richiamate, invero, nulla dicono a proposito delle ricadute (forse il legislatore non si era posto il problema), ma non pare illogico sostenere che neppure tali periodi di malattia, sopravvenuti successivamente alla costituzione della rendita, debbano essere considerati ai fini del decorso di detto termine e che rappresentino una parentesi nel decorso del periodo di cristallizzazione. 
D’altra parte, come noto, le eventuali ricadute nella malattia o le riacutizzazioni degli esiti dell’infortunio, che determinino l’impossibilità temporanea di attendere al lavoro, debbono comunque essere prese in considerazione, ove aggravino stabilmente la condizione del lavoratore, in sede di revisione della rendita di inabilità .
 In conclusione, visto che l’inabilità temporanea da ricaduta rende instabile, almeno momentaneamente, il danno riconosciuto dall’INAIL, ogni periodo di ricaduta dovrebbe essere escluso dal conteggio ai fini del decorso del termine di cristallizzazione, con una soluzione della questione sicuramente conforme ai principi costituzionali di ampia tutela del lavoratore infortunato o tecnopatico.