Testo integrale con note e bibliografia

 

1. Introduzione
Negli ultimi tempi stiamo assistendo al tragico ripetersi di morti sul lavoro.
Colpisce il fatto che si tratti per lo più di giovanissimi, la parte più fragile e al tempo stesso tecnologica della società, che trova la morte nello stesso modo in cui si moriva 60 anni fa: risucchiata da un macchinario tessile, travolto da un’impalcatura, ucciso nell’esplosione di un capannone.
E’ da domandarsi se tutto questo sia il prezzo da pagare alla ripartenza post Covid-19.
Eppure il nostro Paese dispone da tempo di un quadro normativo assai avanzato (il c.d. “Testo Unico sicurezza sul lavoro” - d.lgs. n. 81/2008), la tecnologia ha fatto passi da gigante anche in materia di prevenzione, la formazione, almeno sulla carta, è stata svolta. Tutto inutile se non cambia la mentalità del lavoro e sul lavoro.
La logica della competizione senza regole, della riduzione dei costi, della individualizzazione, sembra riprendere il sopravvento. Si punta a fare sempre più cose insieme, sempre più in fretta, pur di essere competitivi, in un mercato globale in cui la pandemia ha avuto esiti e ripartenze assai differenziate, e questo è particolarmente vero per le realtà di piccole dimensioni dove in genere vi è maggiore frenesia e minore specializzazione.
E’ la stessa logica della riapertura ad ogni costo alla base della tragedia della funivia di Stresa-Mottarone.
Più in generale è da domandarsi se le pur necessarie azioni di contrasto alla pandemia anche negli ambienti di lavoro, tramite, come noto, la sottoscrizione di Protocolli condivisi tra le parti sociali e le relative misure di prevenzione e protezione, non abbiano finito per mettere in secondo piano l’attenzione sull’ordinario modo di lavorare e sulla necessità di non ridurre gli investimenti in sicurezza.
Anche gli interventi degli organi di vigilanza e degli ispettori del lavoro, già depotenziati nel numero e nelle funzioni operative, sembrano aver subìto ulteriori rallentamenti a causa della pandemia.

2. Le proposte di modifica sul piano normativo
A distanza di quasi 15 anni dalla sua emanazione la disciplina contenuta nel d.lgs. n. 81/2008 e s.m.i. (c.d. Testo Unico sicurezza sul lavoro), vero e proprio corpus organico in materia, mantiene una stringente attualità, pur dovendo fare i conti con i mutamenti nel frattempo intervenuti.
Nel periodo più recente gli interventi in materia di salute e sicurezza sul lavoro sono chiamati in particolare a confrontarsi con i temi della qualificazione delle imprese e del lavoro e dell’impatto dell’innovazione tecnologica.
Riguardo alla qualificazione delle imprese è da ritenere che la conoscenza dei rischi e delle misure prevenzionali debba far parte del bagaglio di chiunque intenda intraprendere un’attività di impresa.
Sul punto va data concreta attuazione a quanto stabilito dall’art. 27 del d.lgs. n. 81/2008 e s.m.i., il quale prevede che, tramite decreto del Presidente della Repubblica, siano individuati settori e criteri «finalizzati alla definizione di un sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi, con riferimento alla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, fondato sulla base della specifica esperienza, competenza e conoscenza, acquisite anche attraverso percorsi formativi mirati» . La previsione, basata sull’assunto secondo cui un’efficace prevenzione presuppone un’adeguata organizzazione, è particolarmente innovativa nel panorama italiano in quanto volta a promuovere la cultura della sicurezza a partire dalla stessa impresa. Con riferimento all’esperienza comparata è da richiamare ad esempio il sistema danese dei “bollini/sorrisi” (smileys) di qualità, di diverso colore (rosso, giallo, verde, coronato), riportati tra l’altro sul sito dell’Autorità per l’ambiente di lavoro, che permette un’immediata identificazione di quanto un’impresa stia facendo in materia di salute e sicurezza sul lavoro; informazione utile al fine, tra l’altro, del godimento di benefici e finanziamenti pubblici.
Tale prospettiva trova una esplicazione maggiormente compiuta nella proposta di introdurre una sorta di «patente a punti» (che tuttavia opera solo a posteriori) tramite un meccanismo di penalità che escluda la possibilità di esercitare attività imprenditoriale a seguito di accertate e ripetute violazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro (art. 27, comma 1° bis). Il sistema, a suo tempo esplicitamente previsto per il comparto edile (anche se scarsamente praticato), potrebbe essere esteso, tramite accordi interconfederali, anche ad altri settori di attività (art. 27, 2° comma, 1°periodo).
La definizione di un sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi d’altro lato è strettamente connessa alla disciplina degli appalti, stante l’obbligo per il datore di lavoro committente di verificare l’idoneità tecnico-professionale dei soggetti a cui affidare i lavori (ai sensi dell’art. 26, 1° comma, lett. a) ed inoltre acquista rilievo quale elemento necessario per l’accesso a benefici e norme premiali (si pensi all’adozione ed efficace attuazione dei modelli di organizzazione e gestione della sicurezza, di cui all’art. 30, con efficacia esimente della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, ai sensi del d.lgs. n. 231/2001).
Discipline specifiche in materia di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi, alla luce del ripetersi di infortuni mortali, sono state emanate, tra l’altro, per i lavori in ambienti sospetti di inquinamento o confinati (quali silos, pozzi, cisterne, serbatoi, cunicoli, gallerie, ecc..) (d.p.r. 14 settembre 2011, n. 177) e nel settore degli spettacoli musicali, cinematografici e teatrali e delle manifestazioni fieristiche (d. inter. 22 luglio 2014, c.d. “decreto palchi”). Tali provvedimenti stabiliscono in particolare più rigorosi requisiti di idoneità per i lavoratori coinvolti, in termini di pregressa esperienza e addestramento preventivo, nonché maggiore trasparenza e completezza circa i trattamenti contrattuali applicabili.
La formazione, accanto alla valutazione dei rischi, rappresenta l’asse portante di un efficace sistema di prevenzione. Ciò proprio per affermare quella cultura della sicurezza spesso evocata nei convegni ma ancora troppo disattesa negli ambienti di lavoro. Della formazione dei lavoratori, come degli altri soggetti che a vario titolo intervengono nel sistema di prevenzione aziendale, si sono in particolare occupati gli Accordi sottoscritti in sede di Conferenza Stato-Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano. Si tratta nello specifico dell’Accordo per la formazione dei lavoratori e dell’Accordo per lo svolgimento diretto da parte del datore di lavoro dei compiti di prevenzione e protezione dai rischi, entrambi del 21 dicembre 2011, previsti rispettivamente dall’art. 37, 2° comma, e dall’art. 34, 2° e 3° comma, del d.lgs. n. 81/2008 e s. m. i. Sulla durata e i contenuti minimi dei percorsi per Rspp e Aspp, oltre che per modifiche ed integrazioni alla disciplina di carattere generale, si veda l’Accordo siglato in sede di Conferenza Stato-Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano, il 7 luglio 2016. La disciplina in materia di formazione è completata con la previsione dei criteri di qualificazione della figura del “formatore” per la salute e sicurezza sul lavoro, fissati dal decreto interministeriale 6 marzo 2013.
Sul piano quantitativo molta formazione è stata effettuata in questi anni. Si tratta di capire quale sia la efficacia di tale massiccio intervento formativo e se, il più delle volte, non sia stata scelta la strada più facile dell’adempimento formale, senza una verifica dei risultati acquisiti. Al riguardo si potrebbe prospettare, riprendendo alcune esperienze contrattuali, la programmazione di incontri periodici per gruppi di lavoratori, gestiti dal Rspp con il coinvolgimento di preposti e Rls, per esaminare eventuali fattori di rischio o criticità e le possibili soluzioni, nonché l’attivazione di brevi momenti formativi, di 15/20 minuti, sul posto di lavoro (c.d. break formativi), nel corso dei quali il lavoratore ripercorre le procedure operative di sicurezza nella sua area di competenza.
Opportuno pare anche il rilascio di una apposita attestazione/certificazione di qualità della formazione svolta, da affidare a soggetti esterni all’impresa, preferibilmente gli organismi paritetici. Il necessario coinvolgimento degli organismi paritetici, come peraltro già disposto per la formazione dei lavoratori e dei Rls (art. 37, comma 12), si giustifica con la finalità di operare un monitoraggio dei percorsi formativi nonché dei soggetti erogatori.
Altro aspetto significativo concerne gli elementi da considerare in sede di valutazione dei rischi che, come noto, costituisce il presupposto dell’intero sistema di prevenzione. La valutazione dei rischi è infatti lo strumento fondamentale che permette al datore di lavoro di individuare le misure di prevenzione e di pianificarne l’attuazione, il miglioramento ed il controllo. A tal fine la previsione di un obbligo esplicito di segnalazione e di registrazione dei quasi infortuni, con specifica attenzione a quelli ricorrenti, sarebbe di estrema utilità per definire le misure di prevenzione e protezione in sede di valutazione dei rischi.
Di rilievo è inoltre un’attenta valutazione dei rischi psico-fisici derivanti da prolungati periodi di lavoro a distanza e di isolamento. E’ infatti assai probabile che il lavoro a distanza continuerà per un’ampia fascia di popolazione lavorativa anche dopo la fine della pandemia.
Ben oltre lo stress lavoro-correlato occorrerà dunque tenere conto dei rischi derivanti sia dal contesto ambientale sia dal contenuto del lavoro a distanza, assai diverso da quello tradizionalmente prestato in azienda, specie per ciò che concerne le modalità di svolgimento, di direzione e controllo.
A proposito del lavoro agile si è soliti parlare di tecno-stress, una sindrome causata dall’uso continuativo di apparecchi informatici e digitali, dalla gestione di un flusso continuo di informazioni provenienti dalle tecnologie e dalla errata ergonomia dei luoghi e delle attività di lavoro, a cui è da aggiungere il rischio di isolamento dalla rete socio-relazionale aziendale (si è tra l’altro stimato un impatto negativo rilevante della sedentarietà, connessa al lavoro a distanza, sullo stato generale di salute delle persone).
Al riguardo è da osservare come la fluidità spazio-temporale possa costituire non solo il principale punto di forza del lavoro agile, ma anche quello di maggiore debolezza, rendendo sempre più sfumati ed incerti i confini tra il tempo dedicato all’attività professionale e quello riservato alla vita privata (c.d. time porosity). Da qui la necessità di porre un argine allo sforamento del tempo di lavoro a danno del tempo di riposo, tramite il riconoscimento del diritto/dovere alla disconnessione.
Altra tematica da sviluppare è quella del raccordo tra sicurezza, produttività e retribuzioni. Non si tratta tanto di stabilire premi individuali legati a campagne aziendali di infortuni zero, quanto di riconoscere, anche sul versante economico, attraverso detrazioni fiscali e contributive legate alla sperimentazione di intese collettive per la prevenzione, l’apporto dei lavoratori per soluzioni innovative, sul piano tecnico ed organizzativo, che si traducono in maggior benessere ed in aumento della produttività aziendale.
Più in generale è da domandarsi se prendendo spunto dall’esperienza dei comitati congiunti per l’applicazione delle misure anti-Covid 19, previsti dal punto 13 del Protocollo del 24 aprile 2020 (come aggiornato il 6 aprile 2021), nella logica di condivisione di obiettivi ed interventi, non sia da estendere alla normativa generale di salute e sicurezza sul lavoro tale pratica concertativa, in modo da assicurare un monitoraggio continuativo, ben oltre l’annuale riunione periodica, perseguendo anche in collaborazione con le rappresentanze sindacali, il massimo coinvolgimento possibile dei lavoratori nella gestione della sicurezza in azienda.
Infine è da sottolineare che le modifiche proposte dovrebbero essere accompagnate da un lato da una robusta semplificazione normativa, ispirata da criteri di semplicità, brevità e comprensibilità, e dall’altro da un’implementazione e maggior coordinamento dei servizi ispettivi (il Ministero del lavoro ha di recente prospettato lo sblocco dei concorsi pubblici con l’assunzione di duemila nuovi ispettori rispetto ai 4.500 attualmente in forza), aspetti che non possiamo esaminare in questa sede.

 

3. Spunti conclusivi
Più che al dato formale occorre mirare ai comportamenti e all’effettiva applicazione delle norme esistenti. Molto spesso gli infortuni sul lavoro sono frutto della violazione di regole elementari di prudenza o di procedure di sicurezza non seguite. Se l’errore umano è inevitabile è possibile tuttavia monitorare il contesto organizzativo all’interno del quale le persone lavorano, rimuovendo quelle situazioni di criticità che predispongono all’errore. In tale prospettiva l’analisi dei mancati infortuni, un audit continuativo, una vigilanza partecipata dei lavoratori e delle loro rappresentanze, risultano decisivi. La contrattazione collettiva e la diffusione di buone pratiche aziendali possono essere in tal senso di grande aiuto.
D’altro lato appare del tutto mistificatoria la pretesa contrapposizione tra cultura della sicurezza e la previsione di regole e sanzioni. Queste ultime infatti, da graduare in funzione della gravità degli inadempimenti, non sono altro che le forme di garanzia della cultura della sicurezza, che ne costituisce il fondamento. Nel definirle e riformarle occorre aver ben presente la gerarchia di valori affermati dalla Costituzione, che vedono (o dovrebbero vedere) il primato della protezione dell’integrità psico-fisica e morale delle persone che lavorano sull’interesse, pur meritevole di attenzione, della produzione.
E’ auspicabile che gli interventi previsti dal Recovery Plan tengano conto di questa nuova emergenza rappresentata dalla sicurezza sul lavoro.
Più in generale pare indispensabile una nuova sfida educativa (una nuova paideia).
L’emozione del momento lascia infatti presto il posto all’abitudine o peggio ancora all’indifferenza.
Si tratta di una capacità di visione, di una riflessione costante, non solo da parte della politica e di chi ha responsabilità di governo, su ciò che siamo e di quale società vogliamo per noi e per le future generazioni. Unico desiderio non può essere solo l’aperitivo con gli amici o le vacanze al mare come ci propinano ogni giorno i media.
Questo vale anche per il lavoro. Il lavoro infatti non è solo fatica, impegno, ma anche comunità, appartenenza, legame sociale.
La battaglia per il “lavoro dignitoso”, per il “buon lavoro” passa dal riconoscimento e dalla consapevolezza di questa dimensione comunitaria del lavoro, che contrasta con l’atomizzazione imperante dei rapporti di lavoro.
La condivisone responsabile delle condizioni di lavoro e della sicurezza, tra datore di lavoro e lavoratori e tra gli stessi lavoratori, esprime la vera finalità del lavoro: non solo produrre ma rendere l’essere umano più umano.

 

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