TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

Il volume “Dieci tesi sul diritto del lavoro” (edito dal Il Mulino Bologna, 2022, pg.168, Euro 16,00) scritto a due mani da Adalberto Perulli e Valerio Speziale offre al lettore una panoramica colta ed informata dello stato del diritto del lavoro di oggi e delle sfide che la materia si trova di fronte a causa delle trasformazioni che hanno investito la società, il mercato e con essa l’impresa.
Articolato intorno a dieci snodi cruciali della materia (le “tesi” cui si fa riferimento nel titolo) l’opera non si limita solo ad analizzare il presente – e le cause dei problemi dell’oggi (la globalizzazione, l’avvento delle nuove tecnologie, l’affermarsi per oltre un trentennio di politiche neoliberiste e la conseguente erosione dei congegni giuridici di tutela della libertà e dignità dei lavoratori) -, ma suggerisce nuove regole per il lavoro che, pur senza negare l’esigenza della sostenibilità economica per le imprese, pongano tuttavia al centro la dimensione del lavoro come valore essenziale dell’esistenza umana.
Scritto in modo semplice, ma ricco di dati, di riferimenti normativi ed anche filosofici, “Dieci tesi sul diritto del lavoro” può essere letto a diversi livelli e risultare interessante tanto per l’esperto della materia giuslavoristica, quanto per il cultore di altri saperi o per il semplice curioso, che dal volume potranno trarre sia un quadro d’insieme dello stato della materia, sia linee di indirizzo e soluzioni tecniche circa i problemi sul tappeto.
La prima delle dieci “tesi” attraverso cui l’opera si snoda (“Diritto del lavoro e valori”) costituisce non solo l’incipit, ma nelle intenzioni degli AA., anche la chiave di lettura dell’intero volume: nell’interrogarsi su quale debba essere la “nuova” giustificazione per il diritto del lavoro del domani (o forse sarebbe meglio dire dell’oggi) gli AA. ritengono che debba essere ricercato un rinnovato equilibrio fra la giustificazione mercantile (sotto questo profilo il lavoro è un bene acquistabile sul mercato per un prezzo), quella industriale (secondo la quale il lavoro è una risorsa impiegabile a fini produttivi) e quella civica (che vede il lavoro come mezzo di realizzazione della persona umana e di affermazione del valore supremo che la caratterizza, la sua libertà sociale) in cui quest’ultima deve costituire il perno centrale. “Tale compromesso – precisano inoltre Adalberto Perulli e Valerio Speziale – non riguarda solo gli interessi espressi dagli attori interessati (le parti del rapporto di lavoro), ma un interesse più ampio e sociale, che attiene alla figura del lavoratore in quanto cittadino e all’impresa come attore politico di una governance rivolta non più ad un interesse privatistico-particolare (secondo una giustificazione puramente industriale) ma a quello generale, che è la vera fonte di ogni attività morale ” (pg. 39).
La Costituzione costituisce sicuro fondamento di questa rilettura valoriale e ri-fondativa del Diritto del lavoro, se è vero che il lavoro è posto dalla Costituzione a “fondamento della Repubblica” (art. 1) e la sua prioritaria “giustificazione civica” si ritrova poi negli articoli di apertura della nostra Carta fondamentale (art. 4: diritto al lavoro; art. 3, 2 co.: rimozione degli ostacoli che impediscono ai lavoratori una piena partecipazione democratica; artt. 39 e 40: garanzia dei diritti fondamentali di associazione sindacale e di sciopero; art. 46: previsione di un sistema di collaborazione dei lavoratori alla gestione delle imprese).
Insomma nella prospettiva degli AA. è ora che l’impresa stessa si trasformi per introiettare al suo interno (nella sua stessa governance, nei suoi meccanismi di funzionamento, nei poteri di gestione dei rapporti di lavoro ecc.) la dimensione civica quale componente endogena del nuovo modello produttivo. Solo in questo modo il diritto del lavoro può candidarsi a divenire un diritto “della sostenibilità” – cioè una componente essenziale e trasformatrice del modello di sviluppo del futuro – e non semplicemente un diritto del lavoro “sostenibile”.
Se queste sono le premesse, ad esse fanno poi seguito nove “tesi” (che costituiscono altrettanti capitoli del volume) dedicate ai temi più “scottanti” della materia e per ciascuna delle quali sono avanzate proposte di riforma più o meno dettagliate: la rivisitazione della fattispecie che definisce il campo di applicazione delle tutele giuslavoristiche, che per gli AA. deve ormai superare la dicotomia lavoro autonomo-subordinato per includere tutte le forme di lavoro bisognose di protezione (“Il campo di applicazione del diritto del lavoro: tra universalismo e selettività”); la rimodulazione dei limiti ai poteri datoriali, specie del potere di licenziamento e dello ius variandi, che devono essere riorientati al fine di promuovere la finalità sociale dell’impresa (“Libertà dal dominio. L’impresa e il controllo dei poteri del datore di lavoro”); la ristrutturazione del rapporto fra legge/contratto collettivo e contratto individuale di lavoro, tramite l’introduzione di norme/clausole collettive eteronome derogabili ad opera delle parti del contratto individuale di lavoro, ma nel rispetto di specifiche finalità con l’obbiettivo di una reale promozione dell’autonomia individuale (e ciò in una pluralità di snodi del rapporto di lavoro: dalle modalità spazio-temporali della prestazione, alla dinamica della professionalità fino all’apertura di ambiti di autodeterminazione del lavoratore e di correlata riduzione del raggio di azione dei poteri unilaterali del datore di lavoro) (“La dimensione della libertà nel rapporto individuale di lavoro”); ad uno sviluppo dei diritti di partecipazione dei lavoratori alla gestione e/o al controllo dell’impresa (“La dimensone collettiva e la partecipazione istituzionale dei lavoratori alla gestione dell’impresa”); al passaggio dalla flessibilità nel mercato alla flessibilità nel rapporto di lavoro al fine della promozione di una occupazione stabile e di qualità (“Il mercato del lavoro. Dalla flexicurity all’occupazione stabile e di qualità”); alla creazione di un “diritto del lavoro della sostenibilità” nell’ottica dell’approccio di fondo del volume già oggetto del primo capitolo (“Diritto del lavoro sostenibile o diritto del lavoro della sostenibilità”); fino ad arrivare alle sfide più impegnative dell’oggi, vuoi perché trascendono la dimensione statuale, com’è il caso della la globalizzazione – con riferimento alla quale si suggeriscono una serie di interventi hard e soft a tutti i livelli per supportare l’implementazione dei diritti dei lavoratori all’interno degli accordi internazionali, nei contratti di appalto, degli accordi con i Paesi in via di sviluppo ecc. (“Diritto del lavoro e globalizzazione”) –; vuoi perché investono trasversalmente tutta l’area giuslavoristica – la crisi indotta dalla pandemia da Covi-19, l’avvento delle nuove tecnologie e l’esigenza del rispetto dell’ambiente – (“Il diritto del lavoro di fronte alle sfide epocali: Covid-19, innovazione tecnologica, cambiamento climatico”).
Questo breve catalogo rende evidente la numerosità e complessità dei temi trattati; e proprio questa ricchezza di spunti dell’opera se da un lato rende impossibile sia trovare in essa risposte esaustive, sia riuscire anche solo ad impostare, in queste poche righe, una lettura critica della stessa, dall’altro, appare il suo innegabile punto di forza. Emerge infatti in modo assai chiaro tra le righe del libro la volontà degli AA. non solo di (im)porre all’attenzione generale le grandi questioni del diritto del lavoro di oggi, ma anche (e soprattutto) di chiamare a raccolta sul punto l’intera dottrina giuslavoristca.
Al lettore il piacere di farsi un’opinione personale.

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