testo integrale con note e bibliografia

1. Lavoro agile, autonomia datoriale e tutela della disabilità: la disciplina della prelazione, ex art. 18, comma 3 bis, legge n. 81/2017.
Il lavoro agile (c.d. smart working), regolamentato dal legislatore del 2017 (gli artt. 18-23 della legge n. 81), rappresenta una modalità di esecuzione della prestazione di lavoro subordinato, la quale, senza comportare modifiche dei poteri datoriali e in merito allo status di dipendente, accorda al lavoratore una spiccata flessibilità spazio-temporale, facilitata dall’utilizzo di strumenti informatici.
Tale istituto, secondo una logica di win-win (favorire la produttività e una migliore conciliazione vita-lavoro) rappresenta anche un mezzo di inclusione lavorativa atta a ridurre le barriere fisiche o organizzative e, al tempo stesso, salvaguardare le esigenze di cura e di prevenzione.
Nonostante oggi alcune aziende abbiano iniziato a mettere in discussione l’utilizzo di tale strumento, le questioni che il lavoro agile ha portato alla luce proprio in riferimento alle funzioni di conciliazione rivestono un’importanza fondamentale in un’ottica di sostenibilità del lavoro.
In questa logica il legislatore – avvalorando sperimentazioni contrattuali collettive – prevede una prelazione all’accesso da parte di soggetti che presentano specifiche condizioni di salute o di gestione dei tempi.
Trattasi delle ipotesi statuite dalle disposizioni contenute all’art. 4 del d.lgs. n. 105/2022 che ha novellato la l. n. 81/2017 ritoccando il comma 3 bis all’art. 18.
Quest’ultimo, già introdotto con la modifica additiva ad opera della l. n. 145/2018 , dopo una prima formulazione assai selettiva, costituisce uno spartiacque tra la regolamentazione ordinaria pre e post emergenza pandemica.
Come è noto, durante la pandemia, per motivi sanitari, il lavoro agile funzionalizzato alle finalità emergenziali, assume caratteristiche del tutto peculiari trovando massima espressione nelle disposizioni mediante le quali il legislatore – operando una “rivoluzione” delle fonti – riconosce in capo a determinati soggetti un vero e proprio diritto, sconosciuto alla l. n. 81/2017 in ragione della natura consensuale dell’istituto.
La fine della pandemia ha determinato il ritorno al lavoro agile ordinario ovvero alle sue finalità conciliativo-competitive originarie e, tuttavia, vi è da chiedersi se i mutamenti subiti durante l’emergenza abbiano trovato forme di consolidamento.
Su questo piano, rileva che l’intuizione del legislatore – prima ancora che arrivasse il covid 19 – di raffigurare il lavoro agile come una soluzione strumentale atta a dipanare il complesso bilanciamento tra l’autonomia delle scelte imprenditoriali e la tutela di specifiche categorie di lavoratori, abbia trovato compimento, con riferimento alla tutela della disabilità, nel c.d. PNRR .
Quest’ultimo, nell’ambito di una legge quadro ancorata alla centralità di un approccio bio-psico-sociale , conferma l’adozione di soluzioni tese all’inclusione lavorativa delle persone con disabilità e – come si dirà – rafforza la funzione inclusiva e di cura dell’istituto.
Limitando per ora il discorso al dato normativo del lavoro agile, l’istituto sembrerebbe essere tornato alla configurazione pre-pandemica, essendo decadute le normative speciali che ne imponevano o raccomandavano l’uso in condizioni di c.d. fragilità, con la sola operatività dei diritti di priorità di cui all’art. 18, comma 3 bis.
Tale norma, in funzione conciliativa si è detto, nella versione potenziata nel 2022, statuisce la previsione di diritti di prelazione a favore delle lavoratrici e dei lavoratori con figli fino a dodici anni di età o senza alcun limite di età nel caso di figli in condizioni di disabilità ex art. 3, comma 3, l. n. 104/1992, nonché dei lavoratori con disabilità ex art. 4, comma 1, l.n. 104/1992, o caregivers ex art.1, comma 255, l. n. 205/2017.
Sebbene gli atti ritorsivi (sanzioni, demansionamenti, licenziamenti, trasferimenti) conseguenti all'esercizio del diritto di prelazione siano qualificati come nulli – per natura discriminatoria e accompagnati dalla previsione di una specifica sanzione accessoria (l'impossibilità di ottenere la certificazione di parità di genere, ex l.n. 162/2021) – vero è che il perimetro dell’obbligo datoriale resta confinato dalla norma alle valutazioni organizzative di questi.
In buona sostanza, l’attuale vincolo datoriale appare assai sfumato in quanto la priorità cui hanno diritto i lavoratori predetti può rilevarsi priva di effettività atteso che il datore rimane libero, in base alle proprie valutazioni organizzative, di non prestare il proprio consenso alla stipulazione del patto di lavoro agile evitando così a monte la formazione dell’accordo che presuppone l’attivazione, successiva ed eventuale, dei citati diritti di priorità.
Tale conclusione merita un approfondimento in quanto l'analisi testuale della normativa, per quanto significativa, risulta insufficiente a cogliere appieno le complesse implicazioni del rapporto tra lavoro agile e tutela delle persone con disabilità.
Emerge, infatti, la necessità di un esame più penetrante che consideri la combinazione delle fonti di tutela ed in particolare di quelle che, nella prospettiva del diritto antidiscriminatorio, attribuiscono centralità alla nozione di accomodamento ragionevole e proprio su tale piano alla questione della finalizzazione del lavoro agile quale misura inclusiva.
L'approccio interpretativo che ne risulta supera la visione meramente emergenziale e – come si dirà – dimostra che l’istituto, pur nel ritorno alla normalità, continua a rappresentare un osservatorio privilegiato per l’adeguamento del diritto del lavoro alle nuove vulnerabilità, proponendosi come modello di riferimento per la sperimentazione di modelli inclusivi sostenibili.

2. L’accesso al lavoro agile tra disabilità e condizione di fragilità: similitudini e differenze, cenni.
L'emergenza sanitaria da covid-19, come è noto, ha agito da potente catalizzatore nell'evoluzione del quadro giuridico del lavoro agile, trasformandolo da mero strumento organizzativo in un vero e proprio presidio di tutela con duplice finalità: da un lato, la prevenzione del rischio generico di contagio; dall’altro, la protezione di specifiche categorie di lavoratori maggiormente esposti, noti come lavoratori fragili.
In assenza di una chiara definizione giuridica di fragilità, tale condizione è stata identificata in relazione al rischio di conseguenze gravi in caso di contagio. La valutazione dello stato di fragilità è stata quindi demandata al sistema di prevenzione aziendale – in particolare, alla sorveglianza sanitaria eccezionale e al medico competente – chiamati ad accertare l’esistenza di condizioni individuali suscettibili di aggravarsi in caso di infezione.
Questa interpretazione estesa della fragilità ha intersecato il concetto di malattia cronica e degenerativa nonché quello di disabilità, coinvolgendo direttamente la responsabilità organizzativa del datore di lavoro, già tenuto al rispetto degli obblighi prevenzionistici. Al tempo stesso, ha ampliato il perimetro dei comportamenti esigibili da parte del datore per favorire l’inclusione lavorativa di soggetti fragili o con disabilità.
In tale contesto, la regolazione emergenziale ha progressivamente rafforzato la pretesa dei lavoratori fragili di accedere al lavoro agile, qualificandola come un diritto soggettivo, con una statuizione specifica, reiterata nel tempo, anche oltre la fine dello stato di emergenza: in specie, nella versione statuita dall’art. 90, comma 1, d.l. n. 34/2020, da ultimo, protratta fino al 31 marzo 2024 .
D’altro canto, vale sottolineare come la giurisprudenza cautelare sul ricorso emergenziale a tale diritto abbia, vieppiù, qualificato la pretesa nelle diverse ipotesi .
In particolare, proprio la questione dell’accesso al lavoro agile, nell’ambito della tutela prevenzionale, ha fornito una chiave di lettura della generica nozione di fragilità, in quanto concetto più sfumato, per tratteggiare le implicazioni che ne derivano sul piano del rapporto di lavoro.
Da tale angolo visuale, ne è risultata una regolazione controllata poiché, accertata la sussistenza delle condizioni soggettive di fragilità, l’interpretazione giurisprudenziale ha in prevalenza subordinato il diritto in parola al soddisfacimento delle esigenze organizzative dell’azienda .
Il datore, pur gravato dall’onere della prova, può opporre l’intangibilità degli assetti organizzativi aziendali, tutelati dall’art. 41 della Costituzione .
In estrema sintesi, l’esegesi in parola ha escluso, da un lato, che l’adibizione al lavoro agile emergenziale potesse configurare un diritto potestativo e dall’altro la configurabilità di un diritto soggettivo perfetto poiché la compatibilità tra lavoro agile e caratteristiche della prestazione lavorativa rappresenta un elemento determinante .
Dette risultanze – cessata la legislazione emergenziale a termine – incalzano le istanze di continuità della tutela prevenzionale per i lavoratori fragili.
Nel quadro della valutazione dei rischi , il datore di lavoro è infatti tenuto a considerare eventuali condizioni soggettive, preesistenti o sopravvenute, legate a vulnerabilità, e a valutare l’opportunità di adottare misure organizzative e strumentali – tra cui il ricorso al lavoro agile – idonee a garantire la tutela dell’integrità psico-fisica del lavoratore.
Tuttavia, l’obbligo di monitoraggio continuo dello stato di salute incontra un limite nell’inidoneità del lavoratore allo svolgimento della propria mansione.
Ne consegue che il lavoro agile, in quanto misura di prevenzione, non può costituire oggetto di una pretesa assoluta da parte del lavoratore fragile, trattandosi di un diritto condizionato al necessario bilanciamento tra la tutela della salute del prestatore e il rispetto delle prerogative imprenditoriali, da esercitarsi nel quadro delle “concrete e congrue” esigenze organizzative .
Di diverso tenore è, invece, la disciplina applicabile ai lavoratori con disabilità, per i quali la tutela si amplia fino a comprendere il benessere complessivo, lavorativo e personale.
In questo caso, la nozione di prevenzione si intreccia con l’obbligo di garantire accomodamenti ragionevoli, secondo quanto stabilito dalle normative settoriali e, più recentemente, dal d.lgs. n. 62/2024, nonché alla luce della crescente rilevanza del diritto antidiscriminatorio di matrice eurounitaria.

3. Il lavoro agile quale misura di accomodamento ragionevole tra misura prevenzionistica e diritto antidiscriminatorio (…)
La resilienza del diritto del lavoro durante l’esperienza pandemica ha innovato gli strumenti di protezione e di cura promuovendo gli istituti di tutela atti a rendere effettivo il principio di parità di trattamento.
Tra questi, si è detto, proprio il lavoro agile a beneficio dei lavoratori disabili che ha posto l'accento sulla dimensione organizzativa dei c.d. accomodamenti ragionevoli.
Come stabilito dalla direttiva 2000/78/CE e confermato dalla giurisprudenza europea, gli accomodamenti ragionevoli non si esauriscono negli adeguamenti fisici dei luoghi di lavoro, ma includono anche soluzioni di natura organizzativa, conformemente alla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea . Tali misure devono essere finalizzate a garantire, in base alle esigenze individuali, la piena ed effettiva partecipazione delle persone con disabilità alla vita lavorativa .
In questa prospettiva, il concetto stesso di progettazione del lavoro – come delineato dall’art. 2 della Convenzione ONU del 2006 – implica la considerazione di variabili spaziali, temporali e relazionali, affinché l’organizzazione aziendale possa essere adattata alle specifiche condizioni dei lavoratori.
Calando queste considerazioni nel nostro breve contesto di analisi, occorre sottolineare l’incongruenza della regolamentazione interna dell’istituto lavoristico sancita dall’art. 18, comma 3bis della l. n. 81/2017 che, come detto, comprime il riconoscimento della richiesta, formulata dal lavoratore con disabilità in situazione di gravità certificata, alla volontà unilaterale del datore di lavoro di utilizzare l’istituto ovvero alla sua esclusiva valutazione in ordine al fatto che esso costituisca uno strumento organizzativo dell’impresa.
Questo approccio appare in contrasto con la qualificazione del lavoro agile come misura di accomodamento ragionevole, poiché ne vincola l’effettività alla decisione unilaterale datoriale, ignorando la finalità antidiscriminatoria dell’istituto laddove quest’ultimo sia diretto a eliminare lo svantaggio sociale derivante dalla categoria naturale o sociale di appartenenza, dal momento che la malattia si può palesare quale condizione tanto naturale, riferita allo stato di salute accertato in sede medica o, anche, in relazione al rischio di emarginazione che ne può derivare.
Ciò implica un duplice obbligo per il datore di lavoro: da un lato, l’astensione da comportamenti discriminatori lesivi della salute dei lavoratori; dall’altro, l’adozione attiva di misure idonee a tutelare la sicurezza e la dignità degli stessi, anche attraverso l’organizzazione flessibile del lavoro.
Da questa angolazione, il lavoro agile si presenta allora come uno strumento efficace non solo per prevenire un eventuale aggravamento delle condizioni di salute, ma anche per tutelare il diritto alla professionalità, che potrebbe essere pregiudicato da prolungate assenze dovute all’impossibilità di lavorare in presenza .
In specie, tratteggiare il lavoro agile quale obbligo di accomodamento ragionevole ha come intrinseca conseguenza quella di qualificare come discriminatorio il rifiuto datoriale ad accordare al lavoratore disabile dette modalità di esecuzione della prestazione.
Tuttavia, la concreta attuazione di questo principio solleva criticità applicative: non è possibile stabilire in astratto i contenuti specifici dell’obbligo, né tipizzare le condotte esigibili.
Ne consegue, in ultima analisi, che spetti all'interprete giudiziale, guidato dalle circostanze del caso concreto, il compito di individuare lo specifico contenuto, da provare secondo i criteri di riparto dell’onere probatorio vigenti nel diritto antidiscriminatorio .
Questo processo interpretativo riflette la natura stessa dell’accomodamento ragionevole, inteso come misura individualizzata che impone al datore di lavoro una valutazione preliminare delle esigenze del lavoratore disabile e, conseguentemente, una riorganizzazione del contesto lavorativo, al fine di garantirne la piena partecipazione su base di uguaglianza.
L’unica esimente per il datore di lavoro è rappresentata dall’eventuale sproporzione dell’onere economico richiesto per l’adozione della misura, da valutarsi in relazione alla dimensione e alle risorse dell’impresa, nonché all’eventuale sostegno pubblico disponibile .

4. (…) segue: le condizioni d’uso alla luce della recente giurisprudenza e della riforma della disabilità.
Nel quadro giuridico della tutela del lavoro delle persone in condizione di disabilità il lavoro agile ha acquisito un ruolo centrale.
Come si è accennato, l’evoluzione in parola riflette non solo l’esperienza pandemica ma nel complesso un percorso giurisprudenziale e normativo in costante affinamento, sostenuto dal recepimento dei principi elaborati in ambito internazionale.
E’ utile a tal riguardo ricordare che se, inizialmente, l’interpretazione della disabilità si fondava sui generali principi di buona fede e correttezza contrattuale, con un approccio piuttosto prudente, soprattutto per quanto riguardava la possibilità di imporre modifiche strutturali all’organizzazione aziendale ; col tempo, la stessa giurisprudenza ha progressivamente spostato l’equilibrio tra esigenze datoriali e diritti delle persone con disabilità, recependo le sollecitazioni provenienti dal diritto internazionale in materia di accomodamento ragionevole.
Un passaggio cruciale di tale evoluzione è rappresentato dall’ampliamento concettuale della nozione di disabilità, che oggi distingue chiaramente tra impairment (la menomazione) e disability (la condizione di svantaggio), attribuendo crescente rilievo ai fattori ambientali e sociali che interagiscono con le differenze biologiche. In tale contesto, l’obbligo di adottare accomodamenti ragionevoli si estende fino a toccare l’organizzazione produttiva del datore, rimettendo in discussione i limiti originariamente fissati dall’art. 41 della Costituzione.
Questo rilievo, proprio con riguardo al lavoro agile trova conferma nelle più recenti interpretazioni giudiziali con cui si afferma che l’accesso allo smart working può costituire non solo una misura di sostegno, ma configurare un accomodamento ragionevole, vale a dire lo strumento avente la specifica funzione di inclusione al fine di garantire condizioni di lavoro (nel momento dell’ingresso o anche successivamente in relazione alla permanenza lavorativa, in funzione di inclusione o preventiva) che rispettino le necessità del lavoratore disabile, valorizzandone le capacità e le potenzialità, conciliandole con le esigenze organizzative del datore di lavoro.
E da tale visuale, di particolare rilievo è il principio secondo cui la natura individualizzata dell’accomodamento comporta – diversamente da quanto si ricava dalle regole ordinarie – che la valutazione sull’accesso al lavoro agile non si esaurisca nella contrattazione collettiva o nell’accordo individuale .
Al contrario si afferma che, pure in mancanza di intesa tra le parti, il giudice di merito – tenuto conto delle necessità di quel lavoratore – può riconoscere il diritto di accesso al lavoro agile quale accomodamento ragionevole .
L’interpretazione in parola conferma l’attenzione crescente della giurisprudenza verso il principio antidiscriminatorio, espressione del principio costituzionale di eguaglianza sostanziale. L’accomodamento ragionevole, in questa prospettiva, si configura come una tutela differenziata necessaria per superare condizioni di svantaggio.
Ciò implica che le misure adottate debbano essere ritagliate sul caso concreto, con una valutazione attenta del contesto individuale e lavorativo.
L’introduzione del d.lgs. n. 62/2024, che recepisce e rende vincolanti i principi sovranazionali, rafforza questa visione dinamica della tutela, imponendo una lettura delle norme ordinarie (in specie, l’art. 18, comma 3bis della l. n. 81/2017) in chiave antidiscriminatoria.
Ne deriva un capovolgimento dell’approccio: il datore di lavoro non può limitarsi a dimostrare l’incompatibilità tra le mansioni del lavoratore disabile e l’organizzazione aziendale. Deve, altresì, provare la necessità di modifiche dell’organizzazione produttiva che richiedano oneri sproporzionati, tali da rendere impraticabile l’accomodamento richiesto.
Peraltro, vieppiù che l’ambiente di lavoro si estende al contesto digitale il datore è onerato dell’obbligo di rimuovere eventuali barriere tecnologiche al fine di garantirne l’accessibilità, anche attraverso adeguamenti strumentali e percorsi formativi.
In giudizio, come si è detto, il datore che rifiuti la richiesta deve fornire la prova della proporzionalità tra le esigenze organizzative e i costi dell’accomodamento ; e tenuto conto di un contesto lavorativo sempre più tecnologico, la prova in parola tende ad assumere contorni ancora più sfumati, e rafforza l’idea di una valutazione sartoriale, centrata sulla specifica condizione del singolo lavoratore.
In questo quadro, si riflette la Riforma del 2024 che nell’introdurre una procedura formale per la richiesta dell’accomodamento da parte della persona con disabilità, ha attribuito al lavoratore medesimo un ruolo attivo nella definizione della misura più adeguata .
Tale previsione, in effetti, appare irrobustire l’interpretazione sul vincolo in capo al datore di lavoro di accogliere la domanda a prestazioni di lavoro agile finalizzato all’accomodamento ragionevole e riduce i margini per non incorrere in una condotta discriminatoria sanzionabile .
Nella pratica, pertanto, al fine di evitare accuse di discriminazione e relativi contenziosi, se non ci sono ostacoli economici sproporzionati, il datore di lavoro è chiamato ad accogliere la richiesta del dipendente con disabilità di usufruire di modalità di lavoro agile, indipendentemente dal fatto che disposizioni collettive o individuali non prevedano tale accesso per altri lavoratori con le stesse mansioni.

5. Considerazioni conclusive
L’obbligo per le aziende di adottare soluzioni ragionevoli per i dipendenti con esigenze specifiche è un principio giuridico che si è consolidato anche per effetto della recente innovazione legislativa in materia ed è destinato a incidere in modo significativo sulle politiche aziendali e sui futuri contenziosi.
In particolare, con riferimento all’accesso al lavoro agile per i lavoratori con disabilità, si configura un obbligo sostanziale in capo al datore di lavoro: quello di verificare preventivamente la possibilità di apportare adattamenti organizzativi ragionevoli.
Si tratta di un principio che si inserisce nel solco di una linea interpretativa ormai salda e che rappresenta già un limite invalicabile alla legittimità del licenziamento .
La promozione di questo modello comporta molteplici implicazioni.
Da un lato, si assiste a un'evoluzione delle politiche pubbliche e aziendali, sempre più orientate – in linea con i recenti sviluppi normativi e culturali sulla disabilità – al superamento di approcci meramente assistenziali, in favore di soluzioni proattive che incentivino l’inclusione lavorativa e sociale delle persone con disabilità.
Dall’altro lato, emerge l’esigenza di una ridefinizione complessiva degli obblighi a carico del datore di lavoro in materia di accomodamenti ragionevoli. Questi devono essere interpretati in chiave dinamica, tenendo conto della normativa antidiscriminatoria e delle norme in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
In questa prospettiva, la sola elaborazione giurisprudenziale del quadro normativo sopra delineato appare problematica, soprattutto dal punto di vista applicativo, e porta alla luce criticità rilevanti.
L’utilizzo del lavoro agile come strumento di tutela per i lavoratori con disabilità, se riletto alla luce dei principi del diritto antidiscriminatorio elaborati dalla giurisprudenza europea, pur ispirato da finalità meritevoli, invade il campo della regolazione ordinaria dell’istituto e rischia di alterare la funzione originaria dello strumento stesso. È evidente che si tratta di una declinazione di lavoro agile diversa rispetto a quella prospettata dalla legge 22 maggio 2017, n. 81 (Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato), perché orientata alla tutela di beni costituzionali piuttosto che alla promozione di innovative modalità di svolgimento della prestazione basate su nuovi parametri organizzativi e di misurazione della performance.
L’assenza di adeguati correttivi rischia di compromettere l’equilibrio tra le diverse finalità della norma. In tale contesto, è auspicabile un processo di razionalizzazione normativa che – a partire dalla contrattazione collettiva – sia capace di affrontare in modo organico queste esigenze complesse, superando la mera giustapposizione di disposizioni speciali a favore di un approccio realmente integrato e sistemico.

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