testo integrale con note e bibliografia
1. Introduzione
La digitalizzazione (o Industria 4.0) ha modificato il nostro modo di vivere. In particolare, l’avvento della tecnologia e la conseguente diffusione delle forme di lavoro a distanza ha causato una trasformazione radicale dell’organizzazione del lavoro, smaterializzando concetti di luogo e tempo per l’esecuzione di alcune prestazioni lavorative (working anywhere, anytime).
Tale metamorfosi, se da un lato ha condotto al c.d. work-life balance, ossia alla conciliazione vita-lavoro; dall’altro ha causato una dilatazione dei tempi, dando luogo a diverse problematiche legate all’armonizzazione tra la vita privata e la vita professionale, così che il confine tra i due ambiti diviene sempre meno limpido.
Il presente contributo, dopo aver dato brevemente conto delle origini del diritto alla disconnessione, concentrerà l’attenzione verso il panorama normativo nostrano focalizzando l’attenzione sulle novità che hanno interessano e, che interessano tutt’ora, il rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A.
2. Origini del diritto alla disconnessione
Di diritto alla disconnessione, da intendersi quale diritto del lavoratore alla irreperibilità al di fuori dell’orario massimo di lavoro, si è cominciato a parlare nell’ordinamento francese.
Nell’ordinamento d’oltralpe il riconoscimento del diritto alla disconnessione è avvenuto attraverso la l. n. 2016-1088 relative au travail, à la modérnisation du dialogue social et à la sécurisation des parcours professionels (c.d. Loi travail o Loi El Khomri) . La disconnessione digitale era già ampiamente conosciuta in Francia sia, perché regolamentato in diversi accordi collettivi nazionali di alcune grandi aziende sia, perché oggetto di alcune riflessioni da parte della dottrina d’oltralpe . Fondamentale è stato altresì il contributo della giurisprudenza e della prassi .
Di tali esperienze ha tenuto conto il c.d. rapporto Mettling dal titolo “Transformation numérique et vie au travail”. In tale documento, veniva sottolineata l’importanza di adottare “modifications limitées mais indispensables” , al fine di meglio regolamentare gli effetti legati all’introduzione delle ICT nei differenti contesti di lavoro, così come si chiedeva il riconoscimento legislativo di un diritto alla disconnessione.
Alla luce dell’esigenza, sempre più evidente, di fornire una disciplina organica del diritto alla disconnessione, è intervenuta la Loi travail o El-Kohmri n. 1088 dell’8 agosto 2016, che ha modificato l’art. 2242-8 del Code du Travail e introdotto al c. 7 il diritto alla discon¬nessione . L’art. L 2242-17, c. 1 del Code du travail ha stabilito che «le modalità di pieno esercizio del diritto alla disconnessione – che non viene definito – e l’attuazione da parte dell’impresa di meccanismi di regolamentazione dell’uso degli strumenti informatici, al fine di garan¬ti¬re il rispetto dei tempi di riposo, di congedo e della vita personale e fa¬miliare, sono oggetto della negoziazione annuale obbligatoria azien¬dale, per le imprese ove sono costituite una o più sezioni sindacali delle organizzazioni più rappresentative, in materia di pari opportunità e qualità del lavoro» .
Qualora non vi fosse un accordo, come nel caso del lavoro agile, spetta al datore di lavoro, previo parere dei comités d’entreprise o, in mancanza, dei délégués du personnel, sviluppare le regole che consen¬tono l’applicazione pratica del diritto alla disconnessione. Quest’ultime definiscono le modalità di esercizio del diritto in parola e prevedono la “realizzazione, in favore dei dipendenti e dei quadri e dei dirigenti, di azioni formative e di sensibilizzazione ad un uso ragio¬ne¬vole degli strumenti digitali” , così da accompagnare alla “discon-nessione tecnica” quella “intellettuale” .
Il quesito su cui si interroga la dottrina francese è volto a com¬pren¬dere come fare a garantire il diritto alla disconnessione del lavoratore dal progetto professionale in un mondo sempre più iperconnesso . Sul punto, una parte della dottrina, ha sostenuto come “il datore di lavoro potrebbe valutare l’opportunità di mantenere una censura spazio-tem¬porale tra vita professionale e vita privata, così da imporre, a titolo esemplificativo, ai propri dipendenti, nei periodo di non lavoro, di lasciare nei locali aziendali gli strumenti di lavoro idonei a rimanere connessi oppure decidendo tassativamente la disconnessione totale attraverso lo spegnimento del server” .
Tuttavia, l’assenza di una netta scissione tra la vita lavorativa e quella familiare potrebbe condurre, alle volte, a numerosi vantaggi per il lavoratore agile.
Presupponendo che il c.d. work life-balance difficilmente può es¬sere inquadrato esclusivamente sugli indici di tempo e di luogo, vi è chi ha sostenuto, al contrario, la tesi secondo cui «il diritto del lavoratore alla disconnessione presupponga il “dovere” in capo al datore di lavoro di porre limiti alla connessione al progetto professionale» . Ne discende, da un lato, che l’astensione dalle ICT da parte del dipendente per una certa fascia oraria, si identifica in un vero e proprio dovere di disconnessione spettante al datore di lavoro. Dovere, quest’ultimo, che deve concretizzarsi in una condotta attiva del datore che dovrà attuare determinate misure tecnico-organizzative, al fine di consentire al lavoratore una miglior “una conciliazione tra esigenze di vita lavorativa e vita familiare (work life-balance)” . Dall’altra, come ha sottolineato il Rapport Mettling e la dottrina , al dovere di disconnessione del datore corrisponde un dovere del lavoratore. Infatti, affinché si realizzi il diritto in parola, è altresì necessaria la collaborazione del dipendente, che sarà tenuto anch’esso ad astenersi dall’utilizzo della strumentazione tecnologica e dei mezzi di comunicazione, durante “l’orario di discon¬nes¬sione”. In tal senso, fondamentale è l’art. 2242-17 (già 2242-8) del Code du travail, il quale precisa l’importanza di sensibilizzare e for¬ma¬re i dipendenti ad un uso ragionevole degli strumenti telematici, forma¬zione e educazione alle quali l’impresa non sembra potersi sottrarre.
3. Il diritto alla disconnessione nell’ordinamento interno
In Italia la regolamentazione del diritto ad astenersi dall’utilizzo delle tecnologie informatiche oltre l’orario normale di lavoro è menzionata all’art. 19 capo II della l. 81/2017 , secondo cui l’accordo relativo alla modalità di lavoro agile individua altresì i «tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro» .
Come noto, il diritto a disconnettersi dalle apparecchiature tecnologiche e telematiche non era presente all’interno del primo progetto di legge sul lavoro agile (d.d.l.n. 2014/2014), verrà inserito solo nel 2016 con il d.d.l. n. 2229/2016 il quale all’art. 3, c. 7 ha sancito che “nel rispetto degli obbiettivi concordati e delle relative modalità di esecuzione del lavoro autorizzate dal medico del lavoro, nonché delle eventuali fasce di reperibilità, il lavoratore ha diritto a disconnettersi dalle strumentazioni tecnologiche e dalle piattaforme informatiche di lavoro senza che questo possa comportare, di per sé, effetti sulla prosecuzione del rapporto di lavoro o sui trattamenti retributivi”. Dal dato normativo, discende che il diritto alla disconnessione era espressamente ammesso a prescindere dalla volontà di ambo le parti, subordinandone la disponibilità, “alle modalità di esecuzione acconsentite dal medico del lavoro e alle fasce di reperibilità” .
Ad ogni modo, appare condivisibile la tesi in base alla quale il diritto alla disconnessione possa configurarsi come “diritto di nuova generazione” , idoneo a tutelare il lavoratore in smart che proprio in ragione della parziale delocalizzazione della propria attività lavorativa – svolta all’esterno dei luoghi tradizionali di lavoro (es: uffici) – è maggiormente esposto ai rischi di iper – connessione con le strumentazioni tecnologiche. Vi è chi ha sostenuto, viceversa, che non vi fosse alcuna esigenza di introdurre un diritto quale la disconnessione, in quanto esso altro non sarebbe stato se non un perfetto equivalente del già regolamentato orario di lavoro , la quale precisa che, nella nozione di orario, debbano essere considerati tutti i momenti in cui il prestatore di lavoro è “a disposizione del datore e nell’esercizio della sua attività e delle sue funzioni” .
In aggiunta, si evidenzia come sussista una divisione netta tra le disposizioni volte a garantire la disconnessione digitale del lavoratore da quelle relative l’individuazione dei tempi di riposo.
Sul punto, è opportuno precisare che la disconnessione assume senz’altro la funzione di strumento finalizzato alla tutela del diritto al riposo del lavoratore in smart , e, come evidenziato dalla dottrina, è proprio tale relazione di “interdipendenza, che avvalora la necessità di individuazione dei tempi e delle misure di disconnessione, che può determinare degli effetti laddove essi non siano chiaramente individuati” . Ciononostante, la suddetta interconnessione non significa che vi sia contestualità tra il diritto al riposo giornaliero e il diritto alla disconnessione in prima battuta, poiché la disconnessione, contrariamente al diritto al riposo, sussiste esclusivamente qualora il lavoratore si avvalga di strumenti tecnologici per l’esecuzione della prestazione ; in seconda, in quanto datore di lavoro e lavoratore, di comune accordo, potrebbero “estendere il diritto alla disconnessione anche all’interno dell’orario di lavoro” , così addivenendo ad un perfetto bilanciamento dell’equilibro tra vita e lavoro in quanto il lavoratore, in cambio di un’indennità, potrebbe rendersi disponibile anche durante il riposo.
Di rilievo sono altresì i contributi della dottrina in tema di diritto alla disconnessione, la quale si è ampiamente interrogata sull’individuazione dei beni oggetto di tutela cui il dettato normativo dell’art 19 capo II della l. 81/2017 fa riferimento. A tal proposito, la ragione d’essere della norma si evince dall’esercizio di una modalità di esecuzione dell’attività lavorativa (prestata con vincolo di subordinazione) le cui peculiarità sono: la flessibilità circa la scelta del tempo e del luogo, l’organizzazione dell’orario di lavoro, “nel rispetto dei limiti di durata massima giornaliera”.
La disciplina del lavoro agile, come noto, si basa sull’ accordo individuale tra datore e prestatore di lavoro che consensualmente definiscono il c.d. patto di agilità al fine di addivenire al work – life balance . Eseguire la prestazione in modalità agile può comportare la difficoltà di scindere la vita personale e familiare dalla vita lavorativa, così determinando il rischio che il dipendente acconsenta formalmente alle determinazioni in concreto assunte unilateralmente dal datore di lavoro .
Inoltre, le criticità dell’attuale testo normativo sono note: nella l. n. 81/2017, prima di ogni cosa, la disconnessione non è qualificata come un diritto. Essa è solo contemplata dall’art. 19, che demanda “all’accordo individuale la definizione concreta delle modalità attuative della disconnessione”. Ancora, nessun ruolo è riconosciuto dalla legge alla contrattazione collettiva. Proprio in virtù dell’assenza concreta di una qualificazione della disconnessione come diritto, la legge sul lavoro agile non dispone un impianto sanzionatorio per coloro che violino le condizioni dell’accordo che disciplini la disconnessione.
Alla luce di quanto detto ma, in particolare, poiché era assente l’elemento fondamentale dell’accordo tra le parti volto alla definizione delle “modalità organizzative della disconnessione”, la normativa subentrata durante la fase pandemica fu accolta favorevolmente . Invero, nonostante la breve vigenza dell’art. 2, c. 1-ter, d.l. n. 30/2021 , veniva precisato che la disconnessione fosse da qualificare come vero e proprio “diritto” e, inoltre, che al fine di tutelare “i tempi di riposo e la salute del lavoratore”, fosse comunque da garantire anche in assenza di accordo. Infatti, al datore di lavoro restava la facoltà di contattare il lavoratore al di fuori dell’orario tradizionale di lavoro, mentre il dipendente restava libero di non essere reperibile senza rischiare di subire conseguenze sul piano disciplinare. Ne discende, che le disposizioni contenute nel art. 2 c. 1 – ter della l. n. 61/2021 rappresentano, come sottolineato dalla dottrina, “un buon precedente da usare come modello per un eventuale futuro intervento legislativo” .
Tuttavia, l’opinione maggioritaria in dottrina, si è schierata verso la regolamentazione odierna del diritto alla disconnessione, ossia una regolamentazione più soft (legge e regolamentazione pattizia) attraverso “una valorizzazione della contrattazione di prossimità, per curare gli adattamenti che la specifica organizzazione del lavoro richiede” . Infatti, risulta chiaro che l’accordo di agilità tra datore e prestatore di lavoro sarebbe funzionale al raggiungimento di quell’equilibrio tra vita familiare e flessibilità, i quali costituiscono il fine ultimo della legge sul lavoro agile .
4. La disciplina del diritto alla disconnessione nel settore pubblico tra lavoro agile e lavoro da remoto.
Una trattazione a parte, al fine di una disamina esaustiva in tema di diritto alla disconnessione, merita la disciplina vigente nella recente contrattazione collettiva nazionale del settore pubblico. Mi riferisco, in particolare, ai recenti interventi operati dalla contrattazione stessa (precisamente nel CCNL Funzioni centrali , CCNL Funzioni locali , CCNL Sanità e, infine, CCNL Istruzione e ricerca ) al fine di regolamentare il lavoro a distanza, nelle sue diverse forme del lavoro agile (in base al dettato normativo della l. n. 81/2017) e del lavoro da remoto .
Poiché il CCNL Funzioni centrali è stato il primo ad essere sottoscritto (23 settembre 2021) e poiché rispetto ad esso, non sussistono particolari differenze con gli altri CCNL di comparto temporalmente successivi, si è scelto di descrivere le differenti forme di lavoro a distanza sulla base di quanto previsto al suo interno.
Per quanto attiene il lavoro agile, esso conserva le peculiarità di essere una modalità di esecuzione della prestazione di lavoro “per processi e attività di lavoro, previamente individuati dalle amministrazioni, per i quali sussistano i necessari requisiti organizzativi e tecnologici per operare con tale modalità”. Tale paradigma ha come obbiettivo quello di conseguire da un lato, “il miglioramento dei servizi pubblici e l’innovazione organizzativa” e, dall’altro, la conciliazione tra i tempi di vita e lavoro. Nella prospettiva di raggiungere tale duplice obbiettivo, è sancito che l’esecuzione dell’attività lavorativa a distanza non altera in alcun modo “la natura del rapporto di lavoro in atto” e che, eccetto “gli istituti contrattuali non compatibili con la modalità a distanza”, il lavoratore preserva gli stessi diritti derivanti dalla costituzione del rapporto di lavoro tradizionale (e dunque svolto in presenza all’interno dei luoghi tradizionali di lavoro), tra cui il diritto ad un trattamento economico non inferiore a quello complessivamente applicato nei confronti dei lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all’interno dell’amministrazione
È altresì precisato che, ai fini dello svolgimento della prestazione in modalità “smart”, è necessaria la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato tra datore di lavoro e lavoratore, “anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro” . I tratti caratteristici di tale forma di lavoro sono “l’alternanza interno esterno” dagli uffici ove eseguire la prestazione di lavoro, la flessibilità spazio – temporale nel rispetto dei limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale. Si precisa che, qualora fosse opportuno per esigenze derivanti dal genere di attività svolta dai lavoratori, il dipendente può definire con l’Amministrazione di appartenenza la sede più appropriata per l’esecuzione della prestazione agile. È onere del lavoratore effettuare una verifica a che il luogo concordato con il datore di lavoro pubblico sia conforme alle condizioni minime di tutela della salute e sicurezza del lavoratore e, inoltre, che le strumentazioni telematiche fornite al lavoratore siano idonee idonee a garantire la segretezza dei dati e delle informazioni dell’amministrazione elaborati dal dipendente pubblico: a tal fine, l’ente fornisce al lavoratore una specifica informativa in materia.
Si rammenta che il principio cardine su cui si basa la costituzione del rapporto di lavoro agile è il principio volontaristico e altresì il fatto che esso è consentito a tutti i lavoratori a prescindere dal loro status contrattuale (indipendentemente dalla circostanza che siano stati assunti con contratto a tempo indeterminato o determinato).
L’accordo di agilità, tra i suoi elementi, deve contenere la durata, le modalità di svolgimento della prestazione lavorativa fuori dagli uffici, le modalità di recesso nonché l’indicazione delle fasce di “contattabilità” e di “inoperabilità” .
Il patto regolamenta altresì i tempi di riposo del lavoratore e le misure tecnico – organizzative necessarie per assicurare la disconnessione dalle strumentazioni digitali.
Alla luce di quanto detto emerge che, nonostante l’accordo resti l’elemento fondamentale, è proprio la contrattazione collettiva del settore pubblico a indicare l’articolazione della prestazione lavorativa, così differenziando i tempi di lavoro dai tempi di non lavoro, tra gli elementi essenziali dell’accordo.
La prestazione del lavoratore agile non si misura sul rispetto dell’orario di lavoro, che assume rilievo solo come parametro esterno per la determinazione delle fasce di contattabilità e di inoperabilità: nella prima, il lavoratore “è contattabile telefonicamente, via mail o con altre modalità simili, non può superare l’orario medio giornaliero di lavoro” (lett. a); nella seconda, “è fatto divieto di rendere la prestazione lavorativa e tale fascia comprende il riposo consecutivo di almeno 11 ore nonché il periodo di lavoro notturno (…)” (lett. b). Proprio in questo secondo lasso temporale (c.d. “fascia di inoperabilità”) è individuabile il diritto alla disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche funzionali all’attività lavorativa . Ne discende che, “fatte salve le attività funzionali agli obiettivi assegnati” al di fuori della fascia di contattabilità non possono essere richiesti i contatti con i colleghi o con il dirigente per lo svolgimento della prestazione lavorativa, la lettura delle e-mail, la risposta alle telefonate e ai messaggi, l’accesso e la connessione al sistema informatico dell’amministrazione.
Si evidenzia dunque, com’ è condivisibile, che la contrattazione collettiva di comparto proceda in armonia con quanto già previsto per il settore privato attraverso il Protocollo Nazionale sul Lavoro Agile del 7 dicembre 2021: esso, da un lato ribadisce il principio della necessaria parità di trattamento con i dipendenti che svolgono attività lavorativa in presenza, dall’altro prevede altresì che nella fascia di contattabilità, nella quale possono essere richiesti i permessi ed esercitati i diritti sindacali che implicano la sospensione della prestazione lavorativa, non è consentito effettuare lavoro straordinario, trasferte, lavoro disagiato, lavoro in condizioni di rischio, così precisando come il lavoro agile non sia compatibile con l’applicazione di quegli istituti contrattuali che hanno quale presupposto il vincolo di orario e luogo di lavoro .
Diversamente, il capo III del nuovo CCNL Funzioni centrali all’art. 15 recante “altre forme di lavoro a distanza”, definisce il lavoro da remoto come quella modalità di lavoro prestato “anche con vincolo di tempo e nel rispetto dei conseguenti obblighi di presenza derivanti dalle disposizioni in materia di orario di lavoro, attraverso una modificazione del luogo di adempimento della prestazione lavorativa” che può eseguita dal domicilio del lavoratore o, ugualmente, nelle forme del coworking o del lavoro decentrato da centri satellite.
Secondo quanto previsto dall’art. 15 in esame il luogo in cui eseguire la prestazione è da concordare tra il lavoratore e l’Amministrazione di appartenenza. È proprio quest’ultima colei che è tenuta alla verifica dell’idoneità dei luoghi anche ai fini della valutazione del rischio di infortuni, “nella fase di avvio e, successivamente, con frequenza almeno semestrale (…)”.
Ecco, dunque, delinearsi una delle più vistose differenze tra lavoro da remoto e lavoro agile. Lo smart working, si connota in quanto non sussiste un vincolo di orario e per la tendenziale mobilità del luogo di lavoro. Viceversa, il telelavoro, è “soggetto ai medesimi obblighi derivanti dallo svolgimento della prestazione lavorativa presso la sede dell’ufficio, con particolare riferimento al rispetto delle disposizioni in materia di orario di lavoro” . Ne discende che la ratio in base alla quale si ricorre al lavoro da remoto, piuttosto che al lavoro agile, è identificabile laddove sussistano attività che richiedano “un presidio costante del processo”, preliminarmente individuate dalle medesime amministrazioni .
Inoltre, è opportuno effettuare controlli automatizzati e verifiche circa l’osservanza delle disposizioni in tema di orario di lavoro. Si precisa altresì che, poiché il lavoro da remoto si base sul principio consensualistico tra le parti, ad esso si applicano le disposizioni sul lavoro agile nelle sole parti compatibili, fra le quali non rientrano le disposizioni dell’art. 38 lett. e), ossia quelle relative ai “tempi di riposo del lavoratore”, nonché “le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro”, le quali, non si estendono al lavoratore da remoto . Si osserva, come precisato dalla dottrina, che l’esclusione della disconnessione per quel che concerne il lavoro da remoto, se prestato nella forma del telelavoro, desta qualche perplessità, alla luce dell’Accordo Quadro per il Governo centrale in materia di digitalizzazione, “interamente calibrato sul telelavoro” .
Restano escluse altresì le disposizioni in tema di formazione, vale a dire quelle finalizzate all’addestramento del personale per l’utilizzo delle piattaforme di comunicazione e degli altri strumenti previsti per operare in modalità agile nonché alla diffusione di moduli organizzativi finalizzati a consolidare “il lavoro in autonomia, l’empowerment, la delega decisionale, la collaborazione e la condivisione delle informazioni” .
In considerazione di quanto detto si precisa che, nonostante il legislatore abbia fornito una disciplina esaustiva del diritto alla disconnessione, esso, per quel che attiene il settore pubblico, si rivolge esclusivamente ai lavoratori in smart working e, viceversa, non si estenda anche ai lavoratori da remoto verso i quali l’accordo esclude che ad essi si applichino tutte “le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro”. Ebbene, risulta evidente la discrasia rispetto a quanto disciplinato a livello europeo ove, come già anticipato, il diritto alla disconnessione si estende a “tutti i settori, sia pubblici che privati, e a tutti i lavoratori, indipendentemente dal loro status e dalle loro modalità di lavoro” .
In ambito nazionale, rispetto all’esperienza comparata europea in cui la contrattazione collettiva ha inteso sostenere l’adozione di un diritto alla disconnessione diffuso, l’orientamento prevalente appare rivolto ad assegnare la regolamentazione del diritto alla disconnessione alla contrattazione integrativa .
Dunque, è bene precisare come la contrattazione collettiva abbia ricoperto un ruolo essenziale nella definizione del diritto alla disconnessione. Essa, infatti, è stata in grado di meglio adattarsi alla metamorfosi che progressivamente si è compiuta attraverso la diffusione delle tecnologie informatiche e digitali tanto da divenire, come osservato dalla dottrina, un vero e proprio “punto di riferimento per il riconoscimento, in concreto, della disconnessione” . D’altra parte, è chiaro ormai come, rispetto all’epoca pre-covid ove di disconnessione si faceva cenno solo astrattamente, attualmente la regolamentazione della disconnessione discenda proprio dai contratti collettivi. È noto, invero, come la diffusione accelerata dello smart working in seguito all’esperienza epidemiologica ha fatto sempre più emergere l’esigenza di individuare le fasce di reperibilità (e, dunque, di connessione) da quelle di irreperibilità (equivalenti ai tempi di disconnessione). In tal senso la contrattazione collettiva è divenuta lo strumento più efficace per “identificare la relativa disciplina” .
A chiusura del cerchio, è poi opportuno ricordare che, recentemente, è stato firmato il nuovo Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del comparto Funzioni Centrali la quale introduce alcune importanti novità rispetto al CCNL precedente. Infatti, da un lato, vengono inserite alcune fondamentali innovazioni nella gestione delle risorse umane: il c.d. “age management” e, dall’altro, per quel che qui interessa, si rinvengono alcune importanti novità sul tema della flessibilità organizzativa attraverso l’espansione della modalità di lavoro a distanza. Sul punto, si evidenzia che il nuovo contratto si riferisce ad una maggiore duttilità nella gestione del lavoro mediante l’implementazione del lavoro agile e dell’antenato telelavoro, nonché alla possibilità di regolare l’orario di lavoro così prevedendo, inoltre, la previsione di orari flessibili e di schemi orari personalizzati. Ciò, nell’intento di favorire al meglio il conseguimento del work – life balance, adattandosi alle diverse esigenze dei lavoratori di tutte le età.
Sempre in rapporto al lavoro agile è stato inoltre osservato come esso possa fungere da “strumento strategico” in grado di consentire il ripopolamento dei piccoli comuni italiani . In tal senso la Pubblica Amministrazione può fare da apripista, implementando politiche di smart working che consentano ai lavoratori agili di lavorare dai borghi, nell’ottica di favorire la loro rivitalizzazione con conseguenze quali la riduzione dei costi per gli uffici e una qualità della vita migliore per i dipendenti . Si va dunque a configurare la creazione di “veri e propri borghi digitali, ove il lavoro agile si integra con politiche di sostenibilità ambientale e sviluppo locale”.
Altro aspetto inedito del nuovo contratto collettivo attiene alla possibilità tra le parti del contratto di agilità di articolare l’orario di lavoro in quattro giornate lavorative invece che cinque, lasciando comunque invariata la quantità di ore da eseguire (ossia le 36 ore totali alla settimana).
5. Conclusioni
Nonostante la scelta di lavorare in smart produca numerosi vantaggi di carattere organizzativo, ambientale e familiare, è bene precisare che tale scelta, come è stato messo in luce in alcuni importanti studi, causi anche l’insorgere di nuove problematiche rischiose per la salute e sicurezza del lavoro . Sul punto, imprescindibile è lo studio del diritto alla disconnessione digitale.
Come si è avuto modo di analizzare, il diritto alla disconnessione, sia nel settore pubblico che in quello privato, rappresenta un elemento cruciale al fine di garantire i lavoratori digitali, nella prospettiva di assicurare il work – life balance.
Tale diritto, che rappresenta una vera e propria innovazione nel panorama normativo interno rispetto alle disposizioni civilistiche del 1942, richiede un esercizio attuativo dell’autonomia individuale il quale, laddove fosse assente, darebbe luogo all’assenza di barriere tra la vita lavorativa del dipendente e la sua vita familiare. Proprio nella prospettiva di scongiurare l’insorgere di tale “porosità” spazio – temporale, il presente contributo ha tentato di delimitare i tempi di lavoro del dipendente da quelli di non lavoro sul presupposto che, come noto, i tempi di non lavoro non equivalgono a quelli di disconnessione.
Si è dato conto, successivamente, dell’importanza della normativa francese rispetto a quella nostrana per ciò che attiene la disconnessione. Invero, l’ordinamento d’oltralpe presenta, grazie ai contributi della dottrina e della giurisprudenza, una disciplina avanzata che, come noto, è stata apripista verso l’instaurazione di una regolamentazione organica del diritto in parola, da intendersi quale diritto del lavoratore alla irreperibilità al di fuori dell’orario massimo di lavoro.
Dal confronto tra il sistema francese e quello italiano è opportuno sottolineare che anche a livello euro – unitario sono state adottate misure in tema di disconnessione. A tal proposito, si precisa l’importanza della Risoluzione del Parlamento europeo recante “raccomandazioni alla Commissione sul diritto alla disconnessione” . La disposizione, che mira a fornire una disciplina comune a tutti gli Stati in tema di disconnessione, costituisce un provvedimento essenziale per consacrare la disconnessione come diritto fondamentale dell’individuo. L’auspicio è che, nel momento in cui la disconnessione verrà sugellata con una direttiva, essa dovrà essere attuata rispettando i termini fissati dalla stessa, così da assicurare una tutela a tutti i lavoratori agili.
Altre valutazioni ancora riguardano la regolamentazione del diritto alla disconnessione nell’ordinamento interno e, in particolare, in merito alla disciplina della disconnessione nella P.A. A tal riguardo, dopo aver dato conto del fatto che in Italia l’art. 19 capo II della l. 81/2017 menziona solamente il diritto del lavoratore a “staccare la spina” e, dopo aver riportato le criticità circa la carenza di effettività e la mancanza di qualificazione della disconnessione; si è passati ad analizzare le prospettive della disconnessione dello smart working negli accordi collettivi del settore pubblico. Invero, è opportuno rimarcare che nella Pubblica Amministrazione è comparso sul palcoscenico un nuovo protagonista rimasto nel retroscena sino a poco tempo fa: vale a dire la contrattazione collettiva, nazionale e integrativa, la quale ha segnato una ripartenza del settore pubblico (o nuovo inizio).
Lo smart working, come analizzato, viene disciplinato sia a livello nazionale che europeo in maniera generalizzata nei contratti collettivi della P.A., ma con un duplice binario: quello del lavoro agile e quello del lavoro da remoto ; entrambi da ricondurre al “lavoro a distanza” propriamente inteso.
Come sottolineato dalla dottrina, è condivisibile sostenere che, prima facie, “la formula contrattuale si rivela, paradossalmente, più standardizzata per il lavoro agile” orientando l’interprete a ritenere che il lavoro da remoto possa risultare a “scorrimento più rapido”.
Si rammenta poi che, nonostante assuma un ruolo centrale l’accordo di lavoro agile nell’instaurazione del rapporto, la contrattazione collettiva del settore pubblico stabilisce che nel patto di agilità, tra gli elementi essenziali, debbano essere ricomprese le indicazioni sulle fasce di operabilità e su quelle di inoperabilità ove, proprio in quest’ultima, il dipendente potrà beneficiare di una disconnessione digitale a tutto tondo.
Alla luce di quanto detto si precisa che, nonostante il legislatore abbia fornito una disciplina esaustiva del diritto alla disconnessione, esso, per quel che attiene il settore pubblico, si rivolge esclusivamente ai lavoratori in smart working e, viceversa, non si estende anche ai lavoratori da remoto verso i quali l’accordo esclude che ad essi si applichino tutte “le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro”.
Meritano poi di essere fatte alcune brevi considerazioni sulla recente sottoscrizione del nuovo contratto collettivo per il comparto funzioni centrali del triennio 2022 – 2024, il quale al suo interno, tra le novità più significative, ritorna sul tema del lavoro a distanza e dell’equilibrio vita – lavoro laddove prescrive una pianificazione del lavoro a distanza attraverso una possibile estensione delle giornate svolte in modalità agile a favore dei lavoratori disabili e verso i loro familiari.
Altra innovazione in tema di smart working emerge dall’art. 14 del nuovo CCNL che al comma terzo regolamenta “l’attribuzione del buono pasto nelle giornate in cui viene svolto lavoro agile.” Invero, l’articolo in parola dispone che “ai fini dell’erogazione del buono pasto, le ore di lavoro convenzionali della giornata di lavoro resa in modalità agile, sono pari alle ore di lavoro ordinarie che il dipendente avrebbe svolto per la medesima giornata se avesse reso la prestazione in presenza”. Infatti, poiché il lavoro agile, per definizione, non comporta la misurazione della durata della prestazione, la norma contrattuale ha introdotto un automatismo, equiparando convenzionalmente la durata della prestazione resa in modalità agile a quella che il lavoratore avrebbe dovuto rendere nella medesima giornata se avesse lavorato in presenza. Ciò al fine di definire la durata teorica della singola giornata di lavoro resa in modalità agile e la conseguente erogazione del buono pasto.
Tale disciplina non modifica in alcun modo quella relativa alle condizioni e ai requisiti per l’erogazione dei buoni pasto tutt’ora vigenti. Pertanto, eventuali permessi orari fruiti nel corso della giornata in lavoro agile saranno scomputati dall’orario teorico al fine della verifica della sussistenza del requisito di durata della prestazione necessario per la maturazione del buono pasto.
Altra novità emerge all’art. 18 del nuovo CCNL ove è stata disposta l’articolazione dell’orario di lavoro ordinario su quattro giorni sulla base del consenso prestato dai dipendenti.
A ben vedere dunque, tale sperimentazione circa la “settimana corta” nella P.A. (da intendersi come 4 giornate lavorative di 9 ore ciascuna) pare configurarsi non tanto come una vera e propria innovazione, bensì solamente come semplice ripartizione delle 36 ore settimanali su meno giornate lavorative.
Per quel che attiene il work life balance, peraltro, non risultano esservi particolari vantaggi per quei dipendenti pubblici, ai quali sarà imposto di passare più ore in ufficio, arrivando prima ed uscendo più tardi, andando così a snaturare il loro equilibrio tra la vita lavorativa e quella familiare.