testo integrale con note e bibliografia

Il progetto di Riforma “Freccia Rossa” si inquadra nel quadro normativo frammentario e “ricostruito” dai plurimi interventi del giudice costituzionale e propone una unificazione regolativa semplificata dell’apparato sanzionatorio in materia di licenziamenti individuali al fine di garantire la certezza del diritto e la prevedibilità delle decisioni .
Rimasta impregiudicata la disciplina sostanziale delle varie fattispecie di recesso datoriale, il progetto di riforma ha il merito di formulare una regolamentazione organica e unitaria della disciplina sanzionatoria dei licenziamenti individuali, coì superando la frammentarietà delle tutele offerte dalle leggi n. 604/1966 e n. 300/1970 e dal d.lgs. n. 23/2015 (noto come Jobs Act), come ampiamente rimaneggiati dalla legge n. 108/1990, dalla legge n. 92/2012 e dal D.L. n. 87/2018 (c.d. decreto Dignità) oltre che dai ripetuti interventi della Consulta (ben undici, di cui sei di accoglimento, in dodici anni), che si affiancano alle pronunce della Corte di Cassazione.
Senz’altro condivisibile, dunque, la evocazione di una stagione della codificazione che superi, in un’ottica di razionalizzazione, la frantumazione dell’attuale disciplina sanzionatoria.
Sicuramente apprezzabile la scelta di dettare una disciplina applicabile a tutti i lavoratori, a prescindere dalla data di entrata in vigore della legge, così superando definitivamente lo spartiacque del 7 marzo 2015 che tanti dubbi interpretativi ha comportato. Nel progetto Freccia Rossa l’unificazione soggettiva dell’ambito di applicazione della nuova normativa è del seguente tenore: “per gli operai, impiegati o quadri, assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, il regime di tutela applicabile in tutte le ipotesi di illegittimità del licenziamento è disciplinato dalle disposizioni di cui alla presente legge” (art.1 comma).
Altrettanto apprezzabile è l’attuazione del monito della Corte Costituzionale di cui alla sentenza (di inammissibilità) n. 183/2022 in relazione alle piccole imprese avuto riguardo al profilo della limitatezza delle indennità, fermo restando che la individuazione delle imprese minori continua ad essere affidato al tradizionale criterio dimensionale. L’art.6 conserva, infatti, lo standard occupazionale minimo dei quindici dipendenti sebbene il mero dato occupazionale sia ormai divenuto inidoneo a fornire un valido criterio discretivo. L’attuale realtà economico-finanziaria, invero variegata e spesso disancorata dalla dimensione personale, impone di differenziare ulteriormente le soglie dimensionali, distinguendo, da un lato, le piccole imprese dalle imprese piccolissime e, dall’altro lato, le imprese medie da quelle grandi, con conseguenti opportune differenziazioni sul regime sanzionatorio. Non è un caso che la stessa Consulta ha rivolto un invito esplicito al legislatore affinchè venga modificato l’attuale criterio basato esclusivamente sul numero dei dipendenti perché divenuto anacronistico: “in un quadro dominato dall’incessante evoluzione della tecnologia e dalla trasformazione dei processi produttivi al contenuto numero di occupati possono fare riscontro cospicui investimenti in capitali e un consistente volume di affari. Il criterio incentrato sul solo numero degli occupati non risponde, dunque, all’esigenza di non gravare di costi sproporzionati realtà produttive e organizzative che siano effettivamente inidonee a sostenerli”.
Senz’altro condivisibile anche il proposto adeguamento della disposizione sulla reintegra attenuata alla sentenza interpretativa di rigetto della Corte Cost. n. 129/2024 con il recupero della fattispecie di proporzionalità sociale nell’ipotesi di licenziamento disciplinare per giusta causa ma con l’addendum della Consulta che circoscrive la reintegra alle sole infrazioni specificamente tipizzate. Si legge infatti nella proposta Freccia Rossa: “non ricorrono gli estremi della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo di licenziamento per insussistenza della condotta contestata o assenza di rilevanza disciplinare della stessa o perché il fatto contestato è riconducibile ad infrazioni specificamente tipizzate nel codice disciplinare applicato con espressa previsione di sanzione conservativa”.
La codificazione organica della materia richiederebbe uno sforzo ulteriore, ossia di ricostruire in maniera sistematica anche la disciplina sostanziale, avuto particolare riguardo al “fatto insussistente” dopo la dirompente pronuncia dei Giudici costituzionali n. 128 del 2024 che, sulla base dei principi di eguaglianza, ragionevolezza ed adeguatezza, ha enfatizzato la dignità del lavoratore quale contraente debole tutelando l’interesse del lavoratore alla stabilità dell’occupazione .
Sarebbe, inoltre, auspicabile la regolamentazione del pubblico impiego, sebbene rimasto esente dalla temperie regolativa degli ultimi anni, nella consapevolezza che, venuto meno l’originario art. 18 della legge n. 300/1970, la specialità del lavoro pubblico preclude un’automatica estensione ad esso delle normative del 2012 e del 2015 .

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