TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

Il nuovo rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione attribuisce alla Corte una funzione aggiuntiva e diversa da quelle finora esercitate. Ma è finalizzato a consentire una migliore attuazione del principio di uguaglianza, in ambito processuale, obiettivo cui è diretta anche la tradizionale funzione di nomofilachia. Pertanto, se ben utilizzato, il nuovo strumento può produrre benefici effetti di sistema. In questo i giudici del lavoro possono avere un ruolo di primo piano sia per il tipo di controversie di cui si occupano sua perché il processo del lavoro, sin dalla sua originaria istituzione nel 1973, è stato concepito come diretto a favorire l’eguaglianza sostanziale anche nell’ambito del processo. E va aggiunto che, come è avvenuto per il processo del lavoro, anche per il nuovo istituto il coinvolgimento delle parti e degli avvocati è essenziale. In questa direzione va applicata la novella.
The «rinvio pregiudiziale» to the Court of cassation attributes to the Court a new additional function, different from those exercised up to now. But is finalized to better implementation of principle of equality in the procedural field. That's also the goal of traditional function of “nomofilachia”. Therefore the new institution, if well used, can produce throughout the system beneficial effects. Labor judges can be protagonists in this respect, because of the type of udgments they make and because the work process since the origins in 1973 was designed to encourage substantial equality also in the context of the process. And must be added that how it happened for work process, also for the new institution is essential the involvement of the parties and lawyers. The new norm must be applied in this direction.
1.- Il ruolo sociale del giudice.

Da tempo i più attenti studiosi del diritto pongono l’accento sulla crisi della legge parlamentare come fonte di comandi univoci e sottolineano che nell’ambito di quella che Gustavo Zagrebelsky definisce “l’originaria e costitutiva doppia anima del diritto”, rappresentata dal comando delle leggi in senso formale e dalle valutazioni di giustizia materiale tendono a prevalere queste ultime.
Di conseguenza, il richiamo a istanze di giustizia è largamente penetrato nel diritto positivo, nel ragionamento degli operatori, nelle motivazioni e nelle tecniche decisorie della giurisprudenza, specialmente nelle controversie in materia di diritti fondamentali .
Tali controversie, infatti, sono quelle nelle quali il diritto riceve nel momento dell’esercizio dell’attività giurisdizionale la sua manifestazione maggiormente significativa e sono anche quelle di cui, istituzionalmente, si occupa la Corte costituzionale, ma di cui si occupano, nei rispettivi ambiti, le due Corti europee centrali.
Nell’intensificarsi del dialogo tra le Corti e i giudici, anche i c.d. giudici comuni e, per prima, la nostra Corte di cassazione sono chiamati, con sempre maggiore frequenza a risolvere questioni in cui sono implicati diritti fondamentali, tanto più a causa del vertiginoso aumento delle diseguaglianze e delle discriminazioni.
Situazioni, queste ultime, che ancora oggi sono particolarmente frequenti nel mondo del lavoro.
Tutto questo comporta un notevole aumento di ricorsi in questa materia, dinanzi a tutti i giudici e alle Corti nazionali ed europee.
Deve essere sottolineato che dire che la c.d. giustizia materiale è in primo piano rispetto alla legge in senso formale significa che è in primo piano il “ruolo sociale” del giudice , accanto a quello dell’avvocato.
Infatti, è soprattutto nello svolgimento di queste due attività ‒ diverse ma complementari ‒ che si manifesta nel modo più significativo la finalità propria del diritto, quale scienza da includere nel novero delle scienze sociali le quali, nell’ambito della categoria delle c.d. “scienze umane”, sono caratterizzate dal fatto di studiare comportamenti collettivi .
Nel disegno dei nostri Costituenti il suddetto “ruolo sociale” assegnato al giudice si manifesta attraverso la motivazione dei provvedimenti che l’art. 111, sesto comma, Cost. prevede come obbligatoria in tutti i casi, con una scelta tutt’altro che scontata e non presente in molte Costituzioni anche europee.
La canonizzazione di tale obbligo è finalizzata ad assicurare il rispetto dei principi che la Costituzione stessa detta in materia di giurisdizione, come il principio di legalità, quello dell’indipendenza del giudice e il diritto di difesa che si coniugano con il riconoscimento al giudice della libertà di dare rilievo, nel contradditorio del giudizio, a certi fatti piuttosto che ad altri senza alcuna influenza indebita esterna.
In tutto questo si sostanziano l’imparzialità e l’indipendenza dei giudici, sicché l’obbligo della motivazione della decisione si collega alla “legittimazione democratica” del giudice, che non ha nulla a che vedere con la legittimazione politico-popolare e che, piuttosto, dipende, in larga misura dalla trasparenza delle scelte valutative e culturali che sono alla base della decisione adottata e quindi trova fondamento nella posizione ordinamentale che i nostri Costituenti hanno riconosciuto a tutti i giudici stabilendo che sono soggetti soltanto alla legge, posizione che rappresenta un grande privilegio di cui tutti noi italiani dobbiamo essere fieri.
Ma dobbiamo anche dimostrarcene, giorno per giorno, meritevoli, ricordando che il “ruolo sociale” assegnato ai giudici ‒ secondo il pensiero di Piero Calamandrei, ma anche di Gustavo Zagrebelsky e di molti altri ‒ si traduce nel contribuire, attraverso l’interpretazione delle norme contenuta nelle motivazioni dei provvedimenti, a promuovere e consolidare quella “mentalità costituzionale” di cui ha parlato pure Paolo Grossi e che è alla base della migliore qualità della nostra democrazia.
Del resto, non va dimenticato che secondo Calamandrei: «Per far vivere una democrazia non basta la ragione codificata nelle norme di una Costituzione democratica, ma occorre dietro di esse la vigile e operosa presenza del costume democratico, che voglia e sappia tradurla, giorno per giorno, in concreta, ragionata e ragionevole realtà» .
Per i giudici del lavoro tutto questo è più immediatamente percepibile, tanto più che ad essi con la legge 11 agosto 1973, n. 533 è stato dato uno strumento processuale – all’epoca molto innovativo − volto ad assicurare in tempi brevi l’effettività delle tutele previste dalle norme astratte.

2.- La funzione di nomofilachia della Corte di cassazione.

La Corte di cassazione ha uno speciale “ruolo sociale” che è quello della nomofilachia,
Sappiamo che le fondamenta della funzione di nomofilachia che l’art. 65 dell’ordinamento giudiziario, di cui al r.d. 30 gennaio 1941, n. 12 assegna alla Corte di cassazione poggiano sul principio costituzionale di eguaglianza (art. 3 Cost.), in forza del quale casi analoghi devono essere giudicati, per quanto possibile, in modo analogo, in quanto la funzione istituzionale della Corte di cassazione è proprio quella di fare sì che l’interpretazione delle norme avvenga con gli stessi criteri in tutto il territorio nazionale come è stato precisato anche dalla ordinanza n. 149 del 2013 della Corte costituzionale.
In un sistema processuale come quello italiano improntato ad un modello di civil law non esiste una norma che imponga la regola dello stare decisis cioè il vincolante rispetto dei precedenti, perché l’unico vincolo che il giudice può incontrare nell’esercizio delle proprie funzioni è quello derivante dal rispetto della legge (art. 101 Cost.: “i giudici sono soggetti soltanto alla legge”).
Ne deriva che i precedenti della Corte di cassazione non sono vincolanti né per la stessa Corte di cassazione né per i Giudici del merito.
Però un orientamento stabile della Corte di cassazione è superabile soltanto utilizzando gli strumenti previsti. Precisamente, per le Sezioni semplici della stessa Corte questo può avvenire attraverso la rimessione del contrasto alle Sezioni unite mentre i Giudici del merito possono discostarsi da un simile indirizzo solo esprimendo forti ed apprezzabili ragioni giustificative specialmente in tema di norme processuali (vedi, per tutte: Cass. 13 maggio 2003, n. 7355; Cass. SU 31 luglio 2012, n. 13620).
Tutto questo perché il principio di uguaglianza – che è alla base della nomofilachia – in realtà riguarda tutti i giudici perché ne rende “ragionevolmente prevedibili” − secondo le parole della Corte EDU − le decisioni.
E la ragionevole prevedibilità è un obiettivo che affonda le sue radici nella certezza del diritto, che a sua volta è un valore anche europeo, come risulta da molteplici decisioni delle due Corti europee centrali.
A partire dalla riforma del 2006 (d.lgs. 20 febbraio 2006, n. 40, entrato in vigore il 2 marzo 2006) il legislatore con una serie di altre riforme ha perseguito l’obiettivo di valorizzare questa funzione e così dare una migliore attuazione ai principi della certezza del diritto e della prevedibilità delle decisioni, che trovano ampi riscontri pure nella giurisprudenza delle due Corti europee centrali.

3.- Il rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione.

All’idea di rafforzare la funzione nomofilattica della Corte di cassazione risponde anche l’introduzione di un innovativo modo di accesso alla Corte rappresentato dall’istituto del rinvio pregiudiziale disciplinato dall’art. 363-bis cod. proc. civ.
In conformità con quanto stabilito nell’art. 6-bis della legge delega la norma prevede quanto segue:
“Il giudice di merito può disporre con ordinanza, sentite le parti costituite, il rinvio pregiudiziale degli atti alla Corte di cassazione per la risoluzione di una questione esclusivamente di diritto, quando concorrono le seguenti condizioni:
1) la questione è necessaria alla definizione anche parziale del giudizio e non è stata ancora risolta dalla Corte di cassazione;
2) la questione presenta gravi difficoltà interpretative;
3) la questione è suscettibile di porsi in numerosi giudizi.
L’ordinanza che dispone il rinvio pregiudiziale è motivata, e con riferimento alla condizione di cui al numero 2) del primo comma, reca specifica indicazione delle diverse interpretazioni possibili. Essa è immediatamente trasmessa alla Corte di cassazione ed è comunicata alle parti. Il procedimento è sospeso dal giorno in cui è depositata l’ordinanza, salvo il compimento degli atti urgenti e delle attività istruttorie non dipendenti dalla soluzione della questione oggetto del rinvio pregiudiziale.
Il Primo Presidente, ricevuta l’ordinanza di rinvio pregiudiziale, entro novanta giorni assegna la questione alle Sezioni unite o alla Sezione semplice per l’enunciazione del principio di diritto, o dichiara con decreto l’inammissibilità della questione per la mancanza di una o più delle condizioni di cui al primo comma.
La Corte, sia a Sezioni unite che a Sezione semplice, pronuncia in pubblica udienza, con la requisitoria scritta del pubblico ministero e con facoltà per le parti costituite di depositare brevi memorie, nei termini di cui all’articolo 378.
Con il provvedimento che definisce la questione è disposta la restituzione degli atti al giudice.
Il principio di diritto enunciato dalla Corte è vincolante nel procedimento nell’ambito del quale è stata rimessa la questione e, se questo si estingue, anche nel nuovo processo in cui è proposta la medesima domanda tra le stesse parti”.

L’istituto introduce, quindi, una nuova questione pregiudiziale, a fianco di quelle ordinarie di rito e di merito: la pregiudiziale interpretativa che mira all’enunciazione della regola di giudizio, peraltro limitata all’astratto contenuto precettivo della norma senza vincoli per quanto riguarda l’applicazione alla fattispecie concreta, sicché la relativa pronuncia non ha la caratteristica del giudicato.
Quindi, la vincolatività nel processo consegue esclusivamente da quanto disposto dalla legge, nella suddetta disposizione.
All’ottica deflazionistica dovrebbe corrispondere non solo il vincolo endoprocessuale, ma anche un compito di “nomofilachia preventiva”, derivante dalla ricomprensione fra i requisiti di ammissibilità del rinvio pregiudiziale della suscettibilità della questione di diritto proposta «di porsi in numerose controversie».
Il chiaro intento è quello di prevenire l’instaurazione dei contenziosi.
A questo proposito, di grande interesse è il suggerimento, contenuto nel parere del Consiglio superiore della magistratura del 15 settembre 2021, di dare adeguata pubblicità della pendenza del rinvio pregiudiziale (anche soltanto sul sito web della Corte di cassazione).
Peraltro, in un ordinamento come il nostro che, per Costituzione, non conosce il vincolo del precedente, la possibilità del nuovo rinvio pregiudiziale di deflazionare i processi dipende soprattutto dalla partecipazione dei giudici a una comune pratica interpretativa.
Inoltre, sempre in via interpretativa, deve essere stabilito se l’effetto vincolante del provvedimento sulla pregiudiziale interpretativa – previsto solo per il giudizio a quo – possa considerarsi meno omogeneo rispetto a quello della cassazione con rinvio, con le relative conseguenze in materia di sopravvenienze, pur trattandosi di un provvedimento che non diviene cosa giudicata.
L’eventuale omogeneità potrebbe comportare la vincolatività della risoluzione della questione di diritto anche per la stessa Corte di cassazione successivamente adita dalle parti del giudizio medesimo, e quindi, dei limiti alla possibilità per la Corte seguire un eventuale nuovo orientamento per ipotesi, medio tempore, affermatosi nella giurisprudenza di legittimità.
Tutto questo non per le controversie diverse da quella in cui la questione di diritto è insorta.
Ma è evidente che la situazione del rinvio pregiudiziale non è assimilabile a quella di un ordinario giudizio di cassazione: l’incidente interpretativo, infatti, attiene al profilo esclusivamente ermeneutico e non a quello dell’applicazione della norma al caso concreto.
Ne deriva che − pur potendo il nuovo istituto creare un utile raccordo tra la Corte di cassazione e i giudici del merito – tuttavia, rispetto ad esso si pongono diverse difficoltà di “inserimento” nel nostro sistema processuale.
Pertanto, perché l’istituto si dimostri realmente utile per la realizzazione non solo degli obiettivi della accelerazione e deflazione, ma anche del miglioramento delle risposte alle istanze di giustizia è necessario che sia la stessa giurisprudenza della Corte di cassazione a delinearne in concreto la fisionomia, muovendo comunque dalla premessa che la “nomofilachia preventiva” assegnata al provvedimento della Corte sul rinvio pregiudiziale è cosa diversa dalla funzione di “nomofilachia” istituzionalmente propria della Corte di cassazione.
E va aggiunto che tale ultima tradizionale funzione – che è essenziale, soprattutto in un ordinamento come il nostro che si caratterizza per avere un numero spaventoso e disordinato di norme – meriterebbe di avere nuovo lustro, a partire da una riflessione sulle scelte interpretative della stessa Corte di cassazione in materia di requisiti di ammissibilità dei ricorsi, che come affermato dalle Corti europee centrali −e, da ultimo, la sentenza della Corte EDU 28 ottobre 2021 sul caso Succi e altri c. Italia – non devono essere ispirate a ”eccessivi formalismi” (vedi, anche, per tutte: Corte EDU, sentenza del 30 marzo 2021, Oorzhak c. Russia).

E questo, con l’introduzione dell’istituto del rinvio pregiudiziale, appare ancora più condivisibile non potendosi pensare che un accesso rapido e formalmente” leggero” per il rinvio pregiudiziale possa convivere con un accesso ordinario appesantito da formalismi inutili.
Del resto, va sottolineato che per la giurisprudenza delle Corti europee centrali il diritto di accesso al giudice ha una particolare pregnanza quando si discute dell’accesso al giudice di ultima istanza. E in questa materia si può dire che le due Corti europee centrali vanno “mano nella mano”, come ha osservato di recente Guido Raimondi.
Infatti, al tema della tutela del diritto di accesso al giudice − implicito nell’art. 6 § 1 della Convenzione (sentenza Golder c. Regno Unito, 21 febbraio 1975) − la giurisprudenza della Corte di Strasburgo nel corso del tempo ha assegnato una posizione sempre più centrale nell’architettura complessiva della Convenzione via via che si è acquisita la consapevolezza che una delle premesse fondamentali del sistema europeo di tutela dei diritti umani, cioè lo Stato di diritto, non può reggersi senza un apparato giurisdizionale credibile, indipendente, imparziale ed accessibile a tutti (vedi, per tutte: Corte EDU, Grande Camera Zubac c. Croazia, GC, 5 aprile 2018, §§ 76-82 per un riepilogo dei principi elaborati dalla Corte al riguardo).
D’altra parte, anche per la Corte di Giustizia UE il diritto a un ricorso effettivo a un giudice riconosciuto dall’articolo 47 della CDFUE ha grande rilevanza e può subire limitazioni soltanto se possano considerarsi giustificate, conformemente all’articolo 52, paragrafo 1, della Carta, nei limiti in cui siano previste dalla legge, rispettino il contenuto essenziale del suddetto diritto, siano necessarie e, in osservanza del principio di proporzionalità, rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione europea o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui (vedi per tutte, in tal senso: sentenza del 20 dicembre 2017, C-664/15, Protect Natur-, Arten- und Landschaftsschutz Umweltorganisation contro Bezirkshauptmannschaft Gmünd, punto 90; sentenza 14 gennaio 2021, C-826/18, LB e a. c. College van burgemeester en wethouders van de gemeente Echt-Susteren, punto 64).

4.- Una nuova funzione per la Corte di cassazione.

Quel che è certo è che il nuovo istituto in realtà attribuisce alla Corte una funzione aggiuntiva e diversa da quelle sue proprie che per avere gli effetti sperati presuppone che esso sia ben “metabolizzato” (dalla stessa Corte di cassazione) onde evitare che comporti un aumento dell’ingolfamento di ricorsi e istanze che da tempo affligge la nostra Corte di cassazione, oltre tutto ponendola di fronte la necessità di costruire un tipo di risposta ad hoc in tempi ragionevoli.
Ma è da aggiungere che, se ben applicato, l’istituto potrebbe avere positive ricadute non solo (indirettamente) sull’abbandono di vuoti formalismi per l’accesso ordinario alla Corte ma soprattutto per favorire l’instaurazione di un reale coordinamento dei Giudici del merito tra loro e con la stessa Corte di cassazione che non è previsto istituzionalmente ma che potrebbe essere di grande aiuto anche per rivitalizzare la funzione tradizionale di “nomofilachia” e contribuire così alla riduzione dei ricorsi, lasciando da parte diversificazioni immotivate di soluzioni e puntando alla certezza del diritto.
Nella relazione della Commissione Luiso − a proposito del nuovo istituto − si fa espresso riferimento al precedente dell’ordinamento francese della saisine pour avis della Cour de cassation, istituto che mira a ottenere in un breve termine il parere della Corte di cassazione su una data questione nuova, seria e che si pone in numerose controversie, la cui capacità deflattiva peraltro è quasi insignificante, alla luce del modestissimo uso del mezzo che quell’ordinamento conosce.
Deve però essere sottolineato che, a differenza dell’istituto francese, l’incidente interpretativo nella versione italiana ha una caratteristica che può risultare decisiva per la buona riuscita dello strumento dal punto di vista deflattivo: la vincolatività del principio di diritto nel procedimento in cui l’incidente è stato sollevato.
La restituzione di efficienza al processo è affidata non solo alla definizione, da subito, della questione di diritto proposta, ma anche al rilievo che può avere il mancato rispetto da parte del giudice del principio di diritto enunciato dal giudice di legittimità.
L’istituto introduce, quindi, una nuova questione pregiudiziale, a fianco di quelle ordinarie di rito e di merito: la pregiudiziale interpretativa che mira all’enunciazione della regola di giudizio, peraltro limitata all’astratto contenuto precettivo della norma senza vincoli per quanto riguarda l’applicazione alla fattispecie concreta, e la relativa pronuncia non ha così la caratteristica del giudicato.
Quindi, la vincolatività nel processo consegue esclusivamente da quanto disposto dalla legge, nella disposizione prefigurata.
All’ottica deflazionistica corrisponde non solo il vincolo endoprocessuale, ma anche l’obiettivo di prevenire l’instaurazione dei contenziosi riguardanti la medesima questione di diritto attraverso la funzione di “nomofilachia preventiva” assegnata alla Corte di cassazione.

5.- L’ambito di applicazione del nuovo istituto.

In un sistema processuale come quello italiano improntato ad un modello di civil law non esiste una norma che imponga la regola dello stare decisis cioè il vincolante rispetto dei precedenti, perché l’unico vincolo che il giudice può incontrare nell’esercizio delle proprie funzioni è quello derivante dal rispetto della legge (art. 101 Cost.: “i giudici sono soggetti soltanto alla legge”).
Ne deriva che i precedenti della Corte di cassazione non sono vincolanti né per la stessa Corte di cassazione né per i Giudici del merito, tranne che nel giudizio in cui sono emessi.
Quindi succede che i principi ivi affermati vengano disattesi senza adeguata motivazione, pur trattandosi di pronunce che divengono cosa giudicata.
Ovviamente, questo non vuol dire che i Giudici di merito non possano discostarsi da orientamenti anche consolidati della Corte di cassazione, eventualmente anche sulla base delle richieste degli avvocati, ma per non creare disordine delle risposte giudiziali devono farlo con congrua motivazione e se questo avviene la loro iniziativa può essere utilissima per collaborare ad uno sviluppo armonico del sistema .
Ma quel che è certo è che da molti anni l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) − in particolare nello studio presentato al CNEL il 2 maggio 2013 specificamente dedicato all’economia italiana − ha sottolineato per ottenere “una maggiore efficienza economica, contribuendo allo stesso tempo a creare un terreno meno propizio allo sviluppo della corruzione (in senso ampio) e del crimine organizzato” nel nostro Paese sarebbe sufficiente incoraggiare la semplificazione e la trasparenza in materia legislativa ( ).
E, nello stesso ordine di idee la CEPEJ in molti dei suoi rapporti annuali ha rilevato che la vera e propria “zavorra sull’attività economica” del nostro Paese è rappresentata dalla “selva oscura” e invadente di disposizioni normative di vario livello – il cui coordinamento con le norme di fonte sovranazionale e/o internazionale risulta, fra l’altro, particolarmente complesso – che scoraggia gli investitori esteri, genera contenzioso e crea, inevitabilmente, confusioni interpretative e, si può dire, rischia di indebolire dal suo interno lo Stato sociale democratico, oltretutto con una inutile dispersione delle energie umane e materiali.
In entrambi i casi viene sottolineato che gli effetti negativi di questa “bulimia normativa” si rinvengono soprattutto nei settori di maggiore rilievo del sistema-Italia, sicché il raggiungimento dell’obiettivo della crescita – sia pure rapportata alla presente congiuntura internazionale – dipende principalmente dalla “cura” di questa patologia, concludendosi che si tratta della causa principale del vertiginoso numero di controversie pendenti presso i vari giudici civili e quindi della lentezza dei processi.
Inoltre, si rileva la grande operosità dei nostri giudici anche nel settore civile – che è quello in cui i processi hanno una maggiore lunghezza – e la nostra Corte di cassazione è quella maggiormente produttiva nella UE.
Si deve quindi sperare che il nuovo istituto, contribuendo a rivitalizzare la funzione di “nomofilachia” possa aiutare a “governare” in modo adeguato la massa di norme che caratterizza e opprime il nostro ordinamento, attraverso un maggiore raccordo fra Giudici del merito e Corte di cassazione a beneficio di una migliore realizzazione del principio di uguaglianza nelle risposte giurisdizionali, con una auspicabile riduzione dei ricorsi.
Nel corso del tempo vedremo quali saranno, in concreto, gli effetti per il sistema delle pronunce emesse dalla Corte di cassazione in sede del nuovo rinvio pregiudiziale,
Comunque, per come è stato disciplinato, l’istituto pare mettersi sulla stessa lunghezza d’onda delle indicate analisi perché sembra destinato ad avere una maggiore diffusione oltre che con riguardo all’interpretazione delle norme processuali anche in riferimento all’esegesi delle norme sostanziali che maggiormente interessano i giudici tributari i e quelli del lavoro, settori che rientrano a pieno titolo fra quelli di settori di maggiore rilievo per il sistema-Italia e che si caratterizzano per una continua produzione normativa.
Un punto problematico riguarda – nel silenzio dell’art. 363-bis cod. proc. civ. − l’ammissibilità dell’utilizzazione del nuovo istituto per le questioni attinenti alla individuazione della giurisdizione.
Infatti, il sindacato relativo alla individuazione della giurisdizione è inscindibilmente collegato all'esame del fatto da cui scaturisce la situazione giuridica soggettiva che definisce la giurisdizione, tanto che le Sezioni Unite sono eccezionalmente per queste controversie giudici anche del fatto.
Inoltre, il sistema processuale prevede strumenti anticipatori della definizione della giurisdizione come il regolamento preventivo di giurisdizione o il potere officioso del giudice di dichiarare il difetto di giurisdizione.

6.- Le prime ordinanze.

Le prime cinque ordinanze di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 363-bis cod. proc. civ. fin qui arrivate presso la Corte di cassazione confermano quanto si è detto sopra.
Infatti:
a) due analoghe ordinanze riguardo aspetti processuali del procedimento di equa riparazione per eccessiva durata del processo ;
b) una ordinanza riguarda l’applicazione dell’addizionale provinciale dell’accisa sull’energia elettrica alla luce di una recente modifica normativa in materia ;
c) una articolata ordinanza pone due questioni attinenti la giurisdizione: una riguardante l’utilizzabilità o meno dello strumento processuale nomofilattico-deflattivo da parte del giudice tributario, non essendovi univocità di opinioni al riguardo e l’altra relativa alla individuazione del giudice munito di giurisdizione nelle controversie del tipo di quella pendente dinanzi al giudice a quo ;
d) una ordinanza riguarda una materia di competenza del giudice del lavoro e precisamente una questione afferente la determinazione del trattamento pensionistico dei lavoratori che sono stati esposti all’amianto .

7.- L’ordinanza del Tribunale di Taranto, giudice del lavoro.

Il Tribunale di Taranto, giudice del lavoro, ha chiesto la risoluzione della seguente questione di diritto: se, ai fini della misura del trattamento pensionistico avente decorrenza dal 1° maggio 2020, la quota di pensione calcolata con il sistema “contributivo”, per il periodo dal 1° gennaio 1996 in poi, possa essere riliquidata in base alla maggiorazione prevista dall’art. 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257 (come modificato dalla legge 4 agosto 1993, n. 271) per i lavoratori esposti all’amianto.
Nell’ordinanza si precisa che si tratta di una esclusivamente di diritto, ponendo solo un problema di scelta tra due diverse interpretazioni registratesi al riguardo.
Si aggiunge che la questione non è stata ancora risolta ex professo dalla Corte di cassazione, in quanto non è stata esaminata dalla giurisprudenza di legittimità la specifica “fattispecie” oggetto di cognizione dinanzi al Tribunale di Taranto, vertente sul ricalcolo del trattamento in base ad un incremento della misura della quota di pensione maturata nel regime contributivo.
Peraltro, lo stesso rimettente, sottolinea che la Corte di cassazione si è reiteratamente espressa sulla portata e sulla ratio dell’art. 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992 e, in linea con la giurisprudenza della Corte costituzionale, ha escluso che la suddetta disposizione possa trovare applicazione ove l’interessato abbia già raggiunto l’anzianità contributiva massima nel regime pensionistico di appartenenza (principi di recente ribaditi, fra l’altro, da Cass. 11 gennaio 2023, n. 528).

8.- Il ruolo di primo piano del giudice del lavoro.

L’esame di quest’ultima ordinanza pone un preliminare problema riguardante la definizione dell’ambito oggettivo di ammissibilità del nuovo istituto: se cioè, esso possa essere utilizzato per determinare la disciplina da applicare ad una fattispecie specificamente “nuova” per la Corte di cassazione, pure se quella disciplina è ricavabile dalla consolidata giurisprudenza di legittimità.
Si tratta di un problema di grande impatto e va registrato che, non a caso, è stato posto da un giudice del lavoro.
Infatti, da un lato giudici del lavoro sono tra i destinatari privilegiati per l’uso del nuovo strumento , per quanto si è detto, d’altra parte, non va dimenticato che, dal punto di vista delle norme processuali, i giudici del lavoro sono all’avanguardia fin da quando è stato introdotto, con la legge 11 agosto 1973, n. 533, il processo del lavoro che è divenuto un modello per tutti i procedimenti perché concepito come uno strumento processuale snello e idoneo ad adattarsi alle varie realtà grazie anche al possibile esercizio di poteri istruttori da parte del giudice.
E un altro tratto di modernità del processo del lavoro è rappresentato dall’introduzione nel corso del tempo dell’istituto dell’accertamento pregiudiziale sull’efficacia, validità e interpretazione dei contratti e accordi collettivi nazionali, sia per il lavoro privato sia per quello pubblico contrattualizzato.
Com’è noto, questo istituto non ha avuto grande fortuna, forse perché la relativa normativa è piuttosto complessa e potrebbe comportare non gradite interferenze della Corte di cassazione sulla gestione del processo.
Con il nuovo istituto, invece, questo non dovrebbe accadere, mentre dovrebbe diventare più proficuo il dialogo tra la Corte di cassazione e i Giudici del merito, finalità che era sottesa anche al processo del lavoro fin dalla sua nascita visto che con esso si è dato inizio al processo riformatore di tutto il sistema di tutela giurisdizionale civile, in attuazione dei dettati dalla Costituzione, mirandosi ad attuare sul piano tecnico procedurale quell’aspirazione all’eguaglianza sostanziale affermata dall’art. 3 Cost. che può, e quindi deve, essere realizzata anche nell’ambito del processo.
Anche il nuovo rinvio pregiudiziale, come si è detto, ha nella sostanza il medesimo obiettivo.
Per questo i giudici del lavoro possono avere un ruolo di primo piano per la realizzazione di tutti i possibili benefici effetti del nuovo rinvio pregiudiziale, sopra illustrati, che presuppongono un pieno coinvolgimento dell’avvocatura da realizzare pure attraverso una congrua interpretazione della scarna normativa sul punto contenuta nella novella.
Perché, così come è avvenuto fin dal lontano 1973 per il processo del lavoro, anche per una corretta e proficua applicazione del nuovo istituto in oggetto il coinvolgimento delle parti e degli avvocati è essenziale.

 

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