TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

La cronologia delle prestigiosissime tappe della sua carriera suonerebbe formale e per molti versi asettica ma è giusto riepilogarla, a beneficio dei più giovani; per questo rammento come il suo ordinariato risalga al concorso a cattedre conclusosi nel 1980, per evidenziare la sua inclusione in una delle generazioni di studiosi più intensamente coinvolte nelle svolte cruciali della materia, formatisi nella stagione statutaria e successivamente impegnati nello studio e nella riconduzione a sistema di tutte le successive dinamiche di riforma, dall’ultimo trentennio del secolo scorso sino ai tempi odierni.
Al momento della sua scomparsa, oltre a proseguire il suo magistero come emerito della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma Sapienza (nella quale si era laureato nel 1969 per farvi ritorno da ordinario nel 1992, dopo aver prestato servizio nell’Università di Macerata, dove è stato anche Preside della Facoltà di Giurisprudenza e successivamente nella Facoltà di Economia dello stesso Ateneo romano), rivestiva la carica di Presidente della
Commissione di garanzia per l’attuazione della legge n. 146 del 1990.
È stato l’ultimo di una lunga serie di incarichi istituzionali assolti in parallelo con un impegno scientifico e di partecipazione alla vita accademica difficilmente eguagliabile.
* lo scritto riprende l’intervento svolto nelle ultime Giornate di Studio AIDLaSS di Campobasso

Si è dedicato intensamente anche alla vita dell’Associazione Italiana di Diritto del Lavoro e della Sicurezza Sociale, della quale è stato Segretario Generale e successivamente Presidente e da ultimo all’Accademia dei Lincei, dove era stato cooptato come socio corrispondente nel 2019 e concretizzatosi altresì, in parallelo, nella coltivazione attenta, costante, partecipata, autorevole ed insieme sensibile ed appassionata degli allievi.

Utilizzo quest’ultima espressione in senso ampio, a partire dagli studenti per includere i dottorandi e coloro che, superando il vaglio di un apprendistato severo e decisamente, giustamente, esigente quanto proficuo, sono potuti accedere ai gradi successivi della carriera accademica anche grazie al sostegno vigoroso, continuo ed instancabile da lui immancabilmente assicurato.

In tutti loro, me per primo e per sole ragioni di anagrafe, ha saputo infondere la profonda cognizione dei pilastri etici ed intellettuali allo stesso tempo sui quali ha fondato la propria identità di accademico e di studioso: la dedizione al mestiere universitario in tutti i suoi risvolti, inclusi quelli considerati più onerosi ed ingrati; la consapevolezza della preminente dimensione critica dell’impegno e del discorso scientifico come sapere in fieri e come tale per definizione antidogmatico; e al contempo l’imperativo della ricerca costante della coerenza di qualunque ricostruzione o scelta interpretativa con lo statuto assiologico di base della materia.

Alludo in particolare a quella vocazione personalistica della stessa, quel nucleo inscindibilmente correlato all’“essere” del lavoratore così efficacemente reso da due dei Maestri dai cui insegnamenti egli ha così intensamente attinto, come Renato Scognamiglio e colui che forse ancor più che di genitore ha mantenuto per tutta la sua esistenza il ruolo di silente deuteragonista della sua parabola scientifica ed esistenziale .

Del resto, l’impostazione eminentemente civilistica che lo avvicina a questi due padri, fondatori e non solo, permane e prevale per lungo tempo tra le direttrici metodologiche di quella che non solo per consuetudine agiografica ma anche nella sua oggettiva concretezza appare come una produzione scientifica sterminata e ricchissima, favorendo l’approdo a soluzioni teoriche di estrema nitidezza.

Basti rammentare quelle elaborate tra gli anni ottanta e novanta dello scorso secolo in tema di rapporti tra contratti collettivi di diverso livello o in merito alle problematiche dell’ipotetico principio di parità di trattamento retributivo a parità di mansioni , ben prima che le stesse trovassero una loro compiuta declinazione nel diritto giurisprudenziale.

La traccia codicistica ha ispirato alcune delle sue ricostruzioni più brillanti, tra le quali quelle dedicate all’istituto del trattamento di fine rapporto e degli addentellati connessi alla previdenza complementare o al trasferimento d’azienda , istituto di cui ha messo in luce con particolare acutezza le interrelazioni e le soluzioni di continuità rispetto alle concettualizzazioni giuscommercialistiche.

Ma va allo stesso tempo rimarcato come la fedeltà alle basi codicistiche non lo ha mai condotto a cedimenti o derive tradizionalistiche; ma lo ha piuttosto orientato nell’incessante ricerca del più elevato grado di adattamento degli istituti alla “tipologia della realtà”: per richiamare l’espressione ascarelliana alla quale era rimasto affezionato tanto quanto uno dei colleghi con cui è stato in più stretti rapporti di vicinanza umana ed intellettuale e dal cui prematuro commiato era stato così profondamente addolorato, Matteo dell’Olio.

Entrambi hanno assunto il pensiero di Ascarelli, per più che singolare coincidenza nato anch’egli il 6 ottobre, come Santoro Passarelli, tra i riferimenti metodologici più influenti sulla loro maturazione e in generale sulla loro interpretazione del ruolo del giurista.

Una fedeltà, quella ad Ascarelli, rimarcata anche nella nota introduttiva al primo dei quattro volumi della sua raccolta di studi e soprattutto nella sua intitolazione alla Realtà e Forma nel diritto del lavoro: a simboleggiare l’importanza prioritaria della ricognizione dei concreti assetti di posizioni ed interessi e della ricerca del loro punto di equilibrio quale fondamentale premessa per la comprensione del dato normativo.

Ed è una lezione di cui è possibile continuare a fare tesoro anche nell’affrontare tematiche come quelle odierne, quando ci invita ad assumere come punto di partenza dell’analisi giuridica la realtà del lavoro come è, e non come vorremmo che fosse per esigenze di simmetria teorica.

Oltre alla lezione di Ascarelli sulla relazione necessariamente sintonica tra norma giuridica e realtà sociale, tra le linee guida lungo le quali si è incanalata una produzione scientifica come detto amplissima di studi monografici, di saggi e di opere collettanee di cui è stato attivissimo promotore si può annoverare l’adesione alla critica espressa con particolare vigore da Minervini alla funzionalizzazione dell’impresa privata, che implica, tra l’altro, l’imprescindibilità della esplicita demarcazione da parte del legislatore del limite dell’utilità sociale.

Un’adesione che è stata ribadita sino ai saggi più recenti, accompagnata comunque dall’enfatizzazione del superiore rango costituzionale del principio lavorista quale prioritaria espressione della dignità sociale dell’individuo .

La propensione alla rilettura critica degli snodi centrali della materia alla luce dei mutamenti di contesto riecheggia gli insegnamenti giugniani che per primi ebbe modo di assimilare nei primi tratti del suo percorso.

Penso soprattutto alle pagine importanti dedicate ai temi della rappresentatività sindacale , al diritto di sciopero ed alle loro possibili connessioni, con particolare riferimento proprio all’area dei servizi pubblici .

Mutamenti che sono stati percepiti, oltre che nella prospettiva socioeconomica anche nella loro diffusiva estensione transnazionale, come attestato dai molti studi dedicati ai profili di diritto comunitario e poi eurounitario .

È stato anche un attento storico del diritto del lavoro. Il suo sforzo di costante “manutenzione” concettuale è stato condotto, senza contraddizioni, nella convinzione che l’esercizio responsabile di ogni vocazione riformista trova la sua necessaria premessa nella ricostruzione e nel riesame critico dei pregressi storici, legislativi e culturali il cui avvicendarsi concorre in maniera determinante alla spiegazione tanto degli assetti odierni dell’ordinamento quanto delle sue possibili evoluzioni.

Una convinzione ribadita nella bella intervista curata da Orsola Razzolini pubblicata in altra pagina di questa Rivista Lavoro Diritti Europa. Intervista nella quale la parabola intellettuale di Santoro Passarelli viene raccontata in prima persona.

La vocazione alla ricostruzione storica è stata sviluppata in particolare negli studi dedicati alla produzione giuslavoristica di Francesco Carnelutti e nelle numerose, ricchissime retrospettive dedicate all’evoluzione del diritto del lavoro nelle diverse fasi in cui è venuta dipanandosi dall’età liberale al periodo odierno, passando per la stagione statutaria ed i diversi interventi riformisti che hanno contrassegnato il divenire del diritto del lavoro nell’ultimo quarantennio .

Ho volutamente riservato uno spazio autonomo di questo ricordo alla rievocazione della parte della produzione scientifica di Giuseppe Santoro Passarelli più diffusamente studiata, quella dedicata alla subordinazione e ai suoi dintorni.

Nel pluridecennale percorso di riflessione avviato con la pubblicazione della monografia del 1979 egli ha seguito le parabole della disgregazione o modularizzazione del modello unitario del lavoro subordinato standard e la corrispondente espansione delle frontiere della materia sia nell’area del lavoro autonomo, soprattutto a causa della proliferazione delle collaborazioni coordinate e continuative , sia nell’area del lavoro subordinato, in ragione delle sempre più vistosa espansione dei regimi della flessibilità .

Prendeva così forma l’idea, scolpita nel titolo del suo fortunato manuale universitario (giunto nel 2022 alla nona edizione) , di un “diritto dei lavori”, evocativa di un inconfutabile ampliamento del perimetro della materia, coerentemente con il carattere espansivo del disegno costituzionale tratteggiato dagli artt. 3 e 35 ss.

Santoro Passarelli ha analizzato l’art. 2094 c.c., rimarcando continuamente la sua capacità di adattamento ai nuovi contesti organizzativi, ritenendo che il concetto in esso espresso rimanga cruciale per la comprensione dell’intera materia, dato che sul tipo legale della subordinazione «si fonda l'apparato di tutele che costituisce il proprium del diritto del lavoro» .

Nella sua concezione l’idea della subordinazione rappresenta l’irrinunciabile tratto identitario perché si riallaccia strettamente al complesso dei valori che vi si connettono e che giustificano il vasto apparato di protezione che ne discende.

Di qui il ripetuto dissenso nei confronti delle ricostruzioni orientate al contemperamento tendenzialmente paritario tra dignità, libertà e sicurezza dei lavoratori, da una parte, e interessi dell’impresa, dall’altra .

Pur manifestando interesse per l’ipotesi progettuale di una più radicale riforma della struttura duale dei rapporti del lavoro, è rimasto al contempo critico verso quelle proposte di revisione delle categorie tradizionali da lui reputate carenti di equilibrio e coerenza sistematica.

Né ha mai desistito dall’intento di coltivare ed aggiornare la riflessione sull’attualità della nozione positiva di subordinazione, sui suoi elementi anacronistici o, ancora, sui cortocircuiti causati dagli eccessi regolativi che ne hanno messo in discussione l’essenza.

Fedele alla concezione contrattualista, ha sempre ritenuto che la subordinazione derivasse dall’atto negoziale, dissentendo per lungo tempo dall’idea di una subordinazione socioeconomica o comunque estesa oltre l’ambito di esercizio del potere direttivo .

Nella inerenza del potere direttivo alle modalità esecutive della prestazione aveva identificato il più marcato tratto distintivo rispetto alla “parasubordinazione” dell’art. 409 n. 3 c.p.c.

Conseguentemente sottolineava già con riferimento alla normativa sul lavoro a progetto del 2003 come il potere di coordinamento avrebbe potuto incentivare l’uso in chiave elusiva del lavoro parasubordinato .

Giudicava insostenibile la costruzione di un potere di coordinamento distinto dal potere direttivo; a suo avviso l’esercizio di ciascuna delle due prerogative di governo della prestazione nell’organizzazione avrebbe riguardato le stesse modalità esecutive .

Né riteneva che il mantenimento della distinzione potesse essere persuasivamente spiegato dalla precisazione per cui la subordinazione si caratterizza, al contrario del coordinamento, per lo ius variandi (art. 2103 c.c.), evidenziando che il potere di modificare le mansioni – come ricorda in diversi scritti, richiamandosi al pensiero di Giugni e Mengoni – costituisce solamente un effetto del contratto e «non concorre alla definizione dell'art. 2094 c.c.» .

Coraggiosamente persuasosi della necessità di tornare criticamente su alcune proprie asserzioni, nell’ultima fase della propria produzione scientifica Giuseppe Santoro-Passarelli ha tuttavia rivalutato i risvolti socioeconomici della subordinazione, non con il fine di destrutturare la nozione del Codice civile, ma con l’obiettivo di ridefinire lo spazio di tutela che da essa ordinariamente dipende .

Pur addebitando al legislatore la scelta ambigua di valorizzare il concetto anodino di “etero-organizzazione”, aveva individuato nell’art. 2 comma 1 del d.lgs. 81 del 2015 una possibile soluzione ad alcune sopravvenute inadeguatezze dell’art. 2094 c.c.

La norma sulle collaborazioni etero-organizzate avrebbe consentito all’interprete di applicare lo statuto di protezione a favore di tutti i lavoratori «in condizione di subordinazione socioeconomica», evitandogli «il compito faticoso e comunque controverso di identificare i tratti che distinguono il cosiddetto potere organizzativo dal potere direttivo» .

La costruzione del concetto di subordinazione, sul quale il diritto del lavoro fa ancora perno, non avrebbe potuto ignorare alcune radicali trasformazioni di ordine organizzativo e sociale.

Algorithmic management e piattaforme digitali sono, in particolare, punti di emersione di inedite criticità che aveva inteso indagare, giungendo alla conclusione per cui simili metamorfosi avrebbero richiesto un adattamento del sistema, facendo emergere a un tempo il senso profondo della crisi della subordinazione e la conseguente esigenza di ridisegnare i confini della protezione .

Di fronte a fenomeni capaci di far emergere inedite complessità delle situazioni giuridiche e nuove debolezze dei lavoratori ha maturato e ripetutamente espresso, da ultimo, il convincimento dell’ineludibile necessità di emendare alcuni limiti strutturali della norma definitoria della fattispecie; un compito riconosciuto come non assolvibile, tuttavia, dagli interpreti e da demandare necessariamente ed esclusivamente, come ultima professione di linearità e limpidezza intellettuale, al legislatore .

Ci lascia in eredità le linee ispiratrici del suo pensiero: la grande sensibilità sociale, la consapevole responsabilità di essere esponenti di una materia che concorre in maniera determinante nel qui ed ora alla realizzazione di alcuni essenziali valori costituzionali e – con espressione amata da Calvino che lui avrebbe senz’altro condiviso, anche se preferiva autorappresentarsi nell’immagine della leggerezza e dell’agilità del linguaggio – la tensione verso l’esattezza e l’efficacia delle soluzioni proposte, delle buone idee che funzionano, come ha scritto qualche anno fa Robert Reich. Un patrimonio che compensa necessariamente il senso di vuoto che oggi inesorabilmente affligge tutti coloro che gli sono stati in qualche modo vicini.

Questo sito utilizza cookie necessari al funzionamento e per migliorarne la fruizione.
Proseguendo nella navigazione acconsenti all’uso dei cookie.