testo integrale con note e bibliografia

1. Introduzione
La Sesta Sezione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è pronunciata sulle cause riunite da C-529/21 a C-536/21 e da C-732/21 a C-738/21 in ordine a quindici domande di pronuncia pregiudiziale proposte ex art. 267 TFUE dal Tribunale distrettuale di Kula (Bulgaria). Tali domande riguardavano il computo e la retribuzione delle ore di lavoro notturne effettuate da funzionari di un servizio distrettuale della Direzione Generale “Sicurezza antincendio e protezione civile” del Ministero dell’Intero bulgaro .
In estrema sintesi, dal punto di vista normativo al centro della vicenda rilevano due diverse disposizioni: da un lato, l’art. 140 del codice del lavoro bulgaro, ai sensi del quale «La durata normale giornaliera del lavoro notturno in una settimana di 5 giorni lavorativi non può superare le 7 ore»; dall’altro, l’art. 187 della legge bulgara relativa al Ministero dell’Interno bulgaro – valevole unicamente per i funzionari di detta amministrazione (i vigili del fuoco, nel caso in esame) – secondo cui «La durata normale del lavoro notturno è di otto ore nell’arco di 24 ore». Entrambe le disposizioni, dunque, disciplinano le modalità di lavoro applicabili al lavoro notturno, prevedendo due trattamenti differenti: il primo dedicato ai lavoratori in generale, il secondo indirizzato unicamente a suddetti funzionari.
Si è posto, allora, l’interrogativo in merito al fatto se le condizioni di lavoro di cui beneficiano i lavoratori notturni, diversi dai vigili del fuoco ex art. 140 del codice del lavoro, lette alla luce dell’articolo 12, lett. a, della Direttiva 2003/88 , alla cui attuazione lo Stato bulgaro è vincolato, debbano essere applicate anche ai lavoratori notturni esercitanti la professione di vigili del fuoco. Ciò in conformità al principio di eguaglianza di cui all’art. 20 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (c.d. Carta di Nizza).
Com’è noto, posto che la normativa nazionale deve essere attuata nel rispetto del diritto dell’Unione nella sua totalità, la Sesta Sezione della Corte di Giustizia ha dovuto principalmente occuparsi, proprio su richiesta del giudice del rinvio, della legittimità e della compatibilità di tale disparità di trattamento con la Direttiva 2003/88/CE, letta alla luce della Carta di Nizza che contiene i diritti fondamentali riconosciuti ai cittadini degli Stati membri. Tale profilo, dopo una breve ma necessaria ricognizione del fatto, è, pertanto, il focus del presente contributo.
2. Il rinvio pregiudiziale sollevato dal Tribunale distrettuale di Kula
Il caso sottoposto all’attenzione della Corte di Giustizia, come già sottolineato, ha interessato le vicende di quindici funzionari del Ministero dell’Interno bulgaro, esercenti la professione di vigili del fuoco. I predetti funzionari avevano prestato la propria attività lavorativa presso il servizio distrettuale di Kula della Direzione Generale “Sicurezza antincendio e protezione civile” per il periodo compreso tra il 31 gennaio 2018 e il 31 dicembre 2020. Gli stessi erano impiegati in un lavoro a turni della durata di 24 ore svolto tra le ore 22:00 e le ore 6:00, effettuando nel dettaglio 8 ore di lavoro notturno ogni 24 ore .
Sul punto, giova ribadire che la normativa di riferimento nazionale prevede per i funzionari del Ministero dell’Interno l’applicazione di un regime speciale del lavoro. Nel dettaglio, tale specialità si atteggia sotto due versanti. Da un lato, la durata normale del lavoro notturno dei funzionari di tale ministero è di 8 ore ogni 24 ore, dando luogo la stessa unicamente ad un supplemento di BGN 0,25 all’ora; dall’altro, e costituisce questo un aspetto piuttosto significativo ai fini del giudizio complessivo, i funzionari in esame godono di una serie di vantaggi, rispetto ai lavoratori il cui lavoro è disciplinato dal codice del lavoro, quali ad esempio ferie retribuite più lunghe o prestazioni pensionistiche di importo più elevato.
Così delineati i profili di tale regime speciale, appaiono evidenti le differenze con quello previsto per la totalità dei lavoratori pubblici e privati esercitanti lavoro notturno. Il codice del lavoro bulgaro, infatti, statuisce che la durata massima del lavoro notturno non può eccedere le 7 ore ogni 24 ore, prevedendo, nel caso in cui ciò dovesse accadere, che le ore in eccesso costituiscano ore straordinarie, tali da comportare un aumento della retribuzione pari al 50% .
Sulla base della evocata diversità di trattamento, i ricorrenti hanno, prima di tutto, ritenuto di dovere qualificare il lavoro svolto nell’ultima ora del turno notturno quale ora di straordinario, di tal che hanno lamentato il mancato riconoscimento della piena retribuzione che gli sarebbe spettata (pari al 50%) per il lavoro svolto durante tale ora di straordinario. Secondo tale impostazione, l’attribuzione del mero supplemento di BGN 0,25 all’ora configurerebbe una modalità di retribuzione discriminatoria; tanto che i ricorrenti hanno portato il giudice del rinvio a dubitare della compatibilità di detto trattamento con il diritto dell’Unione, nella specie con le condizioni inerenti al lavoro notturno quali previste dalla Direttiva 2003/88/CE, lette alla luce del principio di parità di trattamento .
Detto in altri termini, alla base del rinvio pregiudiziale sollevato dal giudice interno bulgaro vi è proprio la questione se la differenza di trattamento in ordine alla disciplina del lavoro notturno – come sopra tratteggiata, seppur per sommi capi – per i vigili del fuoco rispetto alla totalità dei lavoratori, sia o meno giustificabile alla luce di quanto disposto dal diritto dell’Unione e, segnatamente, dalla Direttiva 2003/88/CE sulle condizioni inerenti al lavoro notturno e, nondimeno, dal principio generale di cui all’art. 20 della Carta di Nizza, concernente la parità di trattamento .
3. La sentenza della Corte di Giustizia
La soluzione offerta dalla Sesta sezione della Corte di Giustizia alla questione poc’anzi prospettata è senza dubbio meritevole di approfondimento. In effetti, la stessa ha ritenuto testualmente che l’art. 12 della Direttiva 2003/88, letto alla luce dell’art. 20 della Carta di Nizza, deve essere interpretato nel senso che «esso non osta a che la durata normale del lavoro notturno fissata in sette ore nella normativa di uno Stato membro per i lavoratori del settore privato non si applichi ai lavoratori del settore pubblico, quali i vigili del fuoco, nel caso in cui una differenza di trattamento del genere – a condizione che le categorie di lavoratori in questione si trovino in una situazione analoga – si basi su un criterio obiettivo e ragionevole, vale a dire sia rapportata a un legittimo scopo perseguito da tale normativa e sia proporzionata a tale scopo» .
Nel dettaglio, l’iter motivazionale seguito dalla Corte pone al centro il principio di eguaglianza normativizzato nell’art. 20 della Carta di Nizza .
A tal proposito, proprio al fine di risolvere la questione, la Corte di Lussemburgo ha preliminarmente esaminato il contenuto dell’art. 20 della Carta di Nizza, ai sensi del quale «[t]utte le persone sono uguali davanti alla legge», ed alla cui attuazione gli Stati membri sono vincolati ex art. 51, paragrafo 1, della Carta di Nizza stessa .
Non è inutile osservare, come del pari non manca di fare neppure la sentenza in parola, che la parità di trattamento costituisce oggi un principio generale del diritto dell’Unione , ai sensi del quale situazioni analoghe non devono essere trattate in maniera diversa . Parimenti, situazioni diverse non devono essere trattate in maniera uguale , a meno che un simile trattamento non sia obiettivamente giustificato . Sì che una differenza di trattamento appare giustificata soltanto qualora si fondi su un criterio obiettivo e ragionevole , vale a dire esclusivamente nel caso in cui suddetta disparità sia rapportata a un legittimo scopo che deve risultare in maniera evidente dalla normativa su cui la stessa si fonda. Allo stesso modo, tale differenza deve essere altresì proporzionata allo scopo perseguito dal trattamento di cui trattasi .
Ciò posto, è evidente che una tale tipologia di giudizio di valore sia da effettuare dal decisore locale alla luce del diritto domestico.
Pertanto, la Corte di Lussemburgo, senza esaminare in concreto le disposizioni previste dall’ordinamento giuridico bulgaro in attuazione della Direttiva 2003/88, ha stabilito che spetterà al giudice del rinvio valutare se le due diverse discipline previste per le due categorie di lavoratori notturni (appartenenti al settore privato e pubblico da un lato, e al Ministero dell’Interno dall’altro) siano tra loro comparabili.
A mente della pronuncia che qui si annota il predetto giudizio deve essere condotto in concreto e non da un punto di vista globale e astratto. Nel dettaglio, la sentenza ha fornito una serie di coordinate al giudice del rinvio al fine di compiere tale valutazione in conformità al diritto dell’Unione. In primis, è stata ben messa in luce la necessità ermeneutica di valorizzare la totalità degli elementi che caratterizzano dette situazioni, tenuto conto in particolare dell’oggetto e dello scopo della normativa nazionale che istituisce la distinzione in questione, nonché, dei princìpi e degli obiettivi del settore cui tale normativa nazionale appartiene, inclusa la presenza di specifici vantaggi posti a favore di una categoria e non dell’altra .
Effettuato tale giudizio, secondo le modalità appena descritte, il giudice sarà quindi chiamato a stabilire, giustappunto in concreto, se le due normative in esame siano o meno comparabili. Soltanto in un secondo momento, in caso di risposta positiva al primo quesito, il decisore interno potrà stabilire se, nel caso sottoposta al suo vaglio, la diversità di trattamento in termini di orario di lavoro, derivante dal carattere statutario o contrattuale del rapporto di lavoro, sia o meno conforme al principio della parità di trattamento, come sopra delineato, e quindi giustificabile . Ne consegue che, secondo il percorso tracciato dalla sentenza della Corte di Lussemburgo, solo se tale differenza di trattamento si basi su un criterio obiettivo e ragionevole, vale a dire se sia rapportata a un legittimo scopo perseguito dalla normativa considerata e sia proporzionata a tale scopo, allora potrà ritenersi legittima alla luce del diritto dell’Unione. È su tale decisivo aspetto che val l’opera concentrare l’attenzione.
4. Il principio della parità di trattamento quale espressione dell’art. 20 della Carta di Nizza
Il principio di parità di trattamento, nell’ambito del diritto dell’Unione, com’è noto, ha preso le mosse dal divieto di discriminazione, inteso in origine e in conformità con la vocazione mercantilistica della prima comunità, quale divieto di non subire irragionevoli distinzioni nell’accesso al mercato e nella regolazione dello spazio economico sovranazionale . I giudici di Lussemburgo hanno, tuttavia, iniziato ben presto ad emancipare il principio in parola dalle ragioni economiciste che ne avevano permesso l’entrata nell’ordinamento giuridico europeo .
Sì che lo sforzo ermeneutico, operato dalla Corte di Giustizia, ha consentito – in parallelo con le sempre maggiori competenze dell’Unione stessa – una costante espansione della portata applicativa del principio di eguaglianza, nella declinazione della parità di trattamento, tanto da essere utilizzato anche al fine di garantire e tutelare il soddisfacimento degli scopi sociali dell’Unione Europea. In particolare, la norma in questione ha svolto e svolge un ruolo significativo nel garantire il progresso sociale e il costante miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro del popolo europeo .
Tale interpretazione evolutiva, unitamente all’intervento del legislatore comunitario, ha così permesso un ampliamento del contenuto oggettivo dell’obbligo di parità di trattamento, quale espressione del principio di uguaglianza, allargandolo altresì, per quel che più da vicino riguarda la presente indagine, a vari aspetti del rapporto di lavoro.
La giurisprudenza, infatti, ha finito per includere, anche in questo ambito, la tutela dalle c.d. discriminazioni indirette .
A tal proposito, non è inutile ribadire ancora una volta che queste ultime si verificano quando non vi è una obiettiva giustificazione a trattamenti differenziati tra situazioni analoghe .
Cosa si debba intendere per «obiettivamente giustificato» costituisce, allora, uno degli aspetti più interessanti della pronuncia in esame. Ciò a fortiori se si considera che, nel risolvere la questione pregiudiziale, la Corte ha espressamente fatto riferimento alle duplici nozioni di legittimo scopo e proporzionalità . Più nello specifico, quanto al primo parametro, la Corte ha ben evidenziato come la normativa volta a realizzare disparità di trattamento debba a sua volta perseguire un legittimo scopo, dovendo, peraltro, lo stesso essere in linea in ogni caso con il diritto dell’Unione . Ne deriva che, in primo luogo, il giudice del rinvio dovrà accertare che il legislatore, nello stabilire la differenza di trattamento, intendeva perseguire un fine legittimo e compatibile con il diritto dell’Unione. Quanto, invece, alla proporzionalità, i giudici aditi hanno inteso sottolineare che l’evocata eventuale differenza di trattamento debba essere, giustappunto, proporzionata al raggiungimento dello scopo di cui sopra . In estrema sintesi il percorso argomentativo al quale è chiamato il giudicante si concretizza nell’accertare se, nella realizzazione di un tale fine legittimo, la disposizione legislativa o la prassi dalla quale deriva il trattamento differenziato siano adeguati. Tale adeguatezza, alla luce del principio di proporzionalità, dovrà in definitiva essere intesa nel senso che il legislatore non avrebbe potuto adottare altre misure meno lesive dei diritti rilevanti nelle fattispecie in esame .
Soltanto se è superato il test di adeguatezza nei termini sopra evidenziati la differenza di trattamento, quale quella denunciata dai vigili del fuoco bulgari, potrà essere compatibile con il diritto dell’Unione .
5. Il percorso argomentativo seguito dalla Corte di Giustizia quale attuazione del complesso e articolato giudizio di ragionevole bilanciamento già ampiamente praticato dagli ultimi decisosi interni e, in particolare, dalla Corte costituzionale
Così delineato il percorso argomentativo tracciato dalla Corte di Giustizia, non può sfuggire come questo sia del tutto sovrapponibile con gli schemi cognitivi tipici del sindacato di costituzionalità adottato sin dagli anni Cinquanta dalla Corte costituzionale italiana quando chiamata al vaglio di eguaglianza-ragionevolezza .
A tal proposito, val l’opera osservare, in densa sintesi, che proprio in ragione dell’esperito giudizio di eguaglianza-ragionevolezza – del tutto assimilabile per struttura e funzione, nel caso de quo, al giudizio richiesto dall’art. 20 della Carta di Nizza – la Corte ha ritenuto conforme a Costituzione la previsione di norme diverse per regolare situazioni qualificate diverse dalla stessa Corte. In questo quadro, infatti, è la necessità, posta dal secondo comma dell’art. 3 cost., di adeguare la disciplina giuridica ai diversi aspetti della vita sociale , che legittima il legislatore a trattare situazioni diverse in maniera diversa .
Diviene evidente, pertanto, che il giudizio di eguaglianza-ragionevolezza venga svolto dal giudice adito attraverso la valutazione, caso per caso, di tutti gli elementi che caratterizzano la diversità o l’analogia degli elementi delle singole situazioni di fatto. Ciò comporta necessariamente il superamento definitivo del (presunto) carattere neutrale richiesto alle valutazioni dell’organo giudicante.
È noto, tuttavia, che la Corte costituzionale, sulla scia della migliore dottrina dell’epoca – proprio al fine di arginare la portata valutativa del giudizio di eguaglianza-ragionevolezza – ha elaborato uno schema di ragionamento basato sul confronto relazionale tra due situazioni e la norma costituzionale ritenuta violata, meglio noto come schema cognitivo ternario nel quale è indispensabile l’individuazione di un tertium comparationis .
Ne deriverebbe che l’irragionevolezza, alla luce di tale confronto relazionale, dipenderebbe dalla violazione del principio di eguaglianza. In tal senso, ci sarebbe irragionevolezza ogni qual volta si venga a creare una disuguaglianza ingiustificata rispetto ad un’altra situazione che presenta caratteristiche simili .
Evidente è l’analogia tra tale schema cognitivo utilizzato dalla Corte costituzionale e l’iter motivazionale seguito dalla Corte di Giustizia nel caso qui in esame: in entrambi i casi alla base del giudizio vi è il principio di eguaglianza. Sì che, ritenute comparabili le due situazioni, sarà compito del giudice valutare se, ed entro quali limiti, la disparità di trattamento si fondi su giustificate ragioni il cui soddisfacimento sia non solo conforme all’ordinamento di riferimento (bulgaro-europeo, italo-europeo ecc..) ma anche attuato in maniera proporzionale al raggiungimento di suddetto scopo legittimo.
Ma vi è di più. L’evocato controllo in ordine alla proporzionalità tra scopo e mezzo mette ancor più in evidenza la similitudine tra i percorsi argomentativi della Corte di Lussemburgo e quelli della Corte costituzionale italiana che – nell’ottica della maggiore protezione possibile dei diritti fondamentali senza il sacrificio totale di uno dei principi in gioco, perché di ciascuno deve essere preservato il nucleo essenziale – ha sempre più utilizzato nei propri apparati argomentativi la tecnica ermeneutica del bilanciamento (proporzionale e ragionevole) .
La stretta interrelazione funzionale tra ragionevolezza, bilanciamento e proporzionalità è stata ampiamente predicata dal Giudice delle Leggi, il quale, infatti, da tempo ha chiaramente avvertito che «il giudizio di ragionevolezza, lungi dal comportare il ricorso a criteri di valutazione assoluti e strettamente prefissati, si svolge attraverso ponderazioni relative alla proporzionalità dei mezzi prescelti dal legislatore nella sua insindacabile discrezionalità rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalità che intende perseguire, tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti» .
Sì che, una volta scolorata l’idea moderna che il diritto possa essere fissato per un tempo senza fine in un testo cartaceo , soprattutto grazie alla c.d. costituzionalizzazione dei diritti, la giurisprudenza di tutti i decisori, tanto più se ultimi, sia interni sia sovranazionali, deve fare perno sul bilanciamento ragionevole e proporzionato . Quest’ultimo inteso nei termini di uno scrutinio ben più elevato di quello che di norma è riservato alla non arbitrarietà e di ragionevolezza della misura .
Il fondamento normativo di un bilanciamento ragionevole e proporzionato risiede in ciò, che nell’ambito dei princìpi fondamentali di pari rango, nessuno di essi è posto alla sommità di un ordine gerarchico assoluto. «Il punto di equilibrio, proprio perché dinamico e non prefissato in anticipo, deve essere valutato – dal legislatore nella statuizione delle norme e dal giudice delle leggi [e non diversamente da tutti gli altri Giudici] in sede di controllo – secondo criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, tali da non consentire un sacrificio del loro nucleo essenziale» .
6. Riflessioni conclusive
La sentenza in commento, sebbene confermativa dell’orientamento maggioritario seguito dai giudici dell’Unione in tema di giudizio eguaglianza-ragionevolezza, offre numerose occasioni di riflessione di portata sistematica.
Invero, da un lato la Corte invoca autonomamente il principio di eguaglianza di cui all’art. 20 della Carta di Nizza quale parametro per il giudice del rinvio su cui valutare la legittimità della disparità di trattamento prevista dalla legislazione speciale per il lavoro notturno effettuato dai funzionari del Ministero dell’Interno rispetto alla generalità dei lavoratori; dall’altro, sono gli stessi giudici dell’Unione ad indicare al giudice del rinvio l’iter da seguire al fine di effettuare il sindacato tra le situazioni in oggetto, utilizzando quale parametro di riferimento lo stesso principio di eguaglianza.
A tal proposito, evidenti appaiono le similitudini tra il modus operandi seguito dalla Corte di Giustizia nel caso de quo e le modalità con cui i giudici italiani sono chiamati al vaglio di eguaglianza di una o più norme nel rispetto del principio di ragionevolezza.
Si tratta, a ben vedere, di un ragionamento più volte utilizzato dalla Corte di Giustizia. Si pensi, anzitutto, al caso sottoposto all’attenzione dei giudici dell’Unione sul diritto alla tutela rafforzata in caso di licenziamento vantato dai lavoratori subordinati affetti da disabilità . In specie, la disparità di trattamento vedeva contrapposti, da un lato, i lavoratori con disabilità appartenenti al settore privato e, dall’altro, i dipendenti pubblici con le medesime disabilità.
Sul punto, la Corte ha ritenuto che una normativa nazionale che riconosca una tutela rafforzata in caso di licenziamento per lavoratori subordinati con disabilità ma non preveda la stessa tutela per i pubblici impiegati con la medesima disabilità sia compatibile con l’art. 7 della direttiva 2000/78/CE letta alla luce della Convenzione ONU relativa ai diritti delle persone con disabilità . Ciò a meno che non sia dimostrata una violazione del principio di parità di trattamento, circostanza che dovrà essere accertata dal giudice comparando le situazioni sulla base delle norme nazionali che disciplinano le posizioni dei lavoratori subordinati con una determinata disabilità e i pubblici impiegati con la stessa disabilità. Pertanto, nel caso in cui suddetto principio dovesse risultare violato, la normativa in questione dovrebbe essere estesa anche ai dipendenti pubblici .

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