Testo integrale con note e bibliografia


1. Premessa – La disconnessione ha assunto un’indubbia centralità nel dibattito sul lavoro da remoto e sulla necessità di ripensare la disciplina dettata per il “lavoro nell’impresa”, evidentemente inadeguata per il lavoro agile in considerazione dell’assenza di vincoli spazio-temporali per l’esecuzione della prestazione .
E’ infatti noto che se, da un lato, la digitalizzazione ha comportato vantaggi economici ai datori di lavoro e consentito ai lavoratori una maggiore autonomia e un migliore bilanciamento vita professionale-vita privata, dall’altro, l’impiego capillare di strumenti digitali nel lavoro ha dato vita alla cultura del “working anytime, anywhere” che, di fatto, ha ridotto i vantaggi correlati all’impiego delle nuove tecnologie, inducendo le persone a rimanere costantemente connesse .
Ed è altrettanto evidente che «essere costantemente connessi, insieme alle forti sollecitazioni sul lavoro e alla crescente aspettativa che i lavoratori siano raggiungibili in qualsiasi momento, può influire negativamente sui diritti fondamentali dei lavoratori, sull’equilibrio tra la loro vita professionale e la loro vita privata, nonché sulla loro salute fisica e mentale e sul loro benessere» .
E così, attraverso un meccanismo amplificato dal distanziamento sociale e dal confinamento domestico imposto dalla pandemia, si è sempre più diffusa tra i lavoratori la paura di restare “tagliati fuori” (c.d. fear of missing out), che porta le persone a passare sempre più tempo davanti al computer, ad avere un controllo smanioso dello smartphone a caccia di e-mail, messaggi, chiamate perse, condivisioni, nonché il timore di rimanere senza cellulare o senza rete (c.d. no mobile phone phobia) .
Non a caso, secondo una recente un'indagine condotta da Eurofound, chi svolge attività lavorativa da remoto ha molte più possibilità di superare le 48 ore settimanali di lavoro rispetto a chi si reca in ufficio e meno probabilità di avere accesso al riposo giornaliero minimo di 11 ore stabilito dalla normativa europea e dal D. Lgs. di recepimento n. 66 del 2003; quasi il 30% degli smart workers ha dichiarato inoltre di lavorare nel tempo libero (fine settimana o fuori orario), contro appena il 5% di chi si reca in ufficio .
Si tratta di un tema complesso che abbraccia profili psicologici, sociali, di tutela della salute della persona, che, a seguito della frantumazione delle c.d. “regole aristoteliche” del diritto del lavoro , impone di ripensare le tradizionali categorie del lavoro subordinato, tra cui il potere direttivo e di controllo del datore di lavoro , la rilevanza del risultato nella prestazione, soprattutto ma non solo in quella resa da remoto, e l’orario di lavoro.
Le pagine che seguono avranno ad oggetto principalmente le iniziative europee sul diritto alla disconnessione e, in particolare, la Risoluzione del 21 gennaio 2021, recante “raccomandazioni alla Commissione sul diritto alla disconnessione (2019/2181(INL)”, con la quale il Parlamento europeo ha affermato la necessità di considerare quello alla disconnessione quale diritto fondamentale della persona nel lavoro dell’era digitale ed ha auspicato l’adozione della proposta di direttiva ivi contenuta .

2. Il quadro normativo negli Stati membri dell’Unione europea. Cenni - Come noto, attualmente non esiste una normativa comunitaria specifica sul diritto alla disconnessione, mentre la legislazione in materia varia notevolmente fra i diversi Stati membri.
Nell’ordinamento francese, la legge “n. 2016-1088 du 8 aout 2016 relative au travail, à la modérnisation du dialogue social et à la sécurisation des parcours professionels” (c.d. Loi travail o Loi El Khomri, dal nome del Ministro del Lavoro allora in carica), ha modificato l’art. 2242-8 del Code du Travail introducendo l’obbligo per le aziende con almeno 50 dipendenti di disciplinare il diritto alla disconnessione nel contratto collettivo aziendale; in mancanza di accordo, la disconnessione deve essere prevista in un regolamento previa consultazione del comité d’entreprise (“comitato aziendale”) o con i rappresentanti dei lavoratori.
Sul piano dell’effettività, la disposizione non individua però le sanzioni da applicare in caso di violazione del diritto alla disconnessione .
In una prospettiva analoga, l’art. 88 della legge organica spagnola n. 3/2018 in tema di “diritti digitali del lavoro”, ha riconosciuto il diritto alla disconnessione digitale e assegna alla contrattazione collettiva la definizione degli strumenti idonei a rendere effettivo tale diritto .
Da ultimo, giova rilevare la recentissima approvazione della legge portoghese in materia di lavoro agile (della quale non si dispone ancora del testo ufficiale), che prevede, per le imprese con almeno dieci dipendenti, il divieto per i datori di lavoro di contattare i dipendenti al di fuori dell'orario, il divieto di monitoraggio di lavoro a distanza e l'obbligo per le aziende di organizzare degli incontri in presenza per i dipendenti per limitare la possibile sensazione di isolamento degli smart workers, l’obbligo per le aziende di contribuire alle spese sostenute per il lavoro in remoto, come bollette di internet ed elettricità .
La legge portoghese si applicherà a tutti i lavoratori, sia a quelli che svolgono attività lavorativa in presenza che a quelli da remoto. Viene dunque previsto, sulla base di quanto previsto anche dalla proposta di Direttiva comunitaria (su cui infra) un vero e proprio divieto per i datori di lavoro di contattare i lavoratori al di fuori dell’orario di lavoro e, in caso di violazione del divieto sarà prevista una sanzione pecuniaria.
Oltre a Francia, Spagna, Belgio, Grecia, Slovacchia e Portogallo, altri Stati membri dell’Unione Europea, pur non avendo ancora adottato testi legislativi, disciplinano la disconnessione in accordi collettivi, anche aziendali .
Si pensi, solo a titolo esemplificativo, all’esperienza tedesca della Volkswagen, che ha istituito dal 2011 un vero e proprio blocco dei server di posta elettronica nel caso in cui si tenti di contattare il dipendente tutti i giorni dalle 18:15 alle 7 e durante il fine settimana . O, ancora a quella della BMW, che considera il tempo che i dipendenti impiegano nel rispondere alle mail fuori dall'orario di lavoro contrattualmente stabilito, convertendolo in “bonus” da “scontare” all'orario di servizio da svolgere in seguito .
Non è questa la sede per analizzare la disciplina della disconnessione nell’ordinamento giuridico italiano e al dibattito sull’opportunità che la legislazione stabilisca i principi generali e lasci alla contrattazione collettiva più che all’accordo individuale il compito di declinare, a seconda delle esigenze settoriali e produttive, la concreta attuazione del lavoro agile e del diritto alla disconnessione .
Sia consentito però rilevare che nel nostro Paese, come noto, all’art. 19, comma 1, della Legge n. 81/2017 secondo cui l’accordo tra datore e lavoratore sullo smart working deve contenere, oltre ai tempi di riposo, anche «le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro», si è aggiunto recentemente l’art. 2, comma 1-ter, della Legge n. 61/2021 ai sensi del quale ai lavoratori genitori di figli minori di sedici anni che svolgono l’attività in modalità agile è riconosciuto “il diritto alla disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche e dalle piattaforme informatiche, nel rispetto degli eventuali accordi sottoscritti dalle parti e fatti salvi eventuali periodi di reperibilità concordati” .
Con particolare riferimento al lavoro pubblico privatizzato, le “Linee guida sullo smart working nel pubblico impiego”, attuative del D.p.c.m 23 settembre 2021 che ha ridefinito il lavoro in presenza come la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione, stabiliscono che deve essere prevista una «fascia di inoperabilità» con cui garantire ai lavoratori agili il diritto alla disconnessione nelle 11 ore di riposo consecutivo previste dalla legge, anticipando il contenuto del contratto collettivo per il comparto delle funzioni centrali in via di rinnovo.
Sempre di prossima sottoscrizione dovrebbe essere anche l’annunciato Protocollo sullo smart working, atteso entro la fine del 2021 in coincidenza con la (attuale) scadenza del periodo di emergenza pandemica e la cessazione del regime agevolato di ricorso al lavoro agile, al quale stanno lavorando sindacati, associazioni imprenditoriali e Governo sulla disciplina del lavoro da remoto e, in particolare, del diritto alla disconnessione .
Si tratta di un quadro regolativo che dimostra come nel nostro ordinamento la soglia di attenzione nei confronti della disconnessione sia particolarmente elevata e, come di vedrà nella parte conclusiva del presente lavoro, esso sia pienamente conforme rispetto alla proposta di direttiva comunitaria, quanto meno per taluni aspetti della disciplina ivi prevista e con riferimento alla disconnessione del lavoratore da remoto.

3. L’Accordo quadro europeo sulla digitalizzazione del 22 giugno 2020 – Se questo è il quadro normativo degli Stati dell’Unione, tra le istituzioni comunitarie da qualche tempo si discute sulla necessità di adottare una disciplina uniforme che assicuri livelli minimi di tutela ai lavoratori dell’Unione, anche in considerazione del fatto che in circa metà degli Stati membri la disconnessione non è regolata.
Precursore del dibattito in materia di disconnessione tra le istituzioni comunitarie è l’accordo quadro sulla digitalizzazione, sottoscritto da Etuc, Businesseurope, Ceep e SMEunited , che individua quattro problematiche trasversali su cui le parti sociali sono chiamate a confrontarsi e tra queste, le modalità di connessione e disconnessione .
L’accordo quadro, che riprende alcune riflessioni formulate nell’ambito della Risoluzione CES sulla digitalizzazione, dovrà essere attuato dalle organizzazioni nazionali affiliate alle parti firmatarie entro tre anni, rilevando come l’impatto della digitalizzazione sull’organizzazione del lavoro comporti maggiore flessibilità a beneficio di datori e lavoratori, ma anche il rischio di una difficile delineazione di confine tra tempo di lavoro e tempo libero, suggerisce l’adozione di alcune misure di prevenzione al fine di evitare effetti negativi sulla salute e la sicurezza dei lavoratori e sul funzionamento dell'impresa.
Tra queste, si segnalano l’adeguata informazione sul rispetto delle norme sull’orario di lavoro e sul lavoro da remoto, ivi comprese le modalità di utilizzo degli strumenti digitali ed i rischi legati all’eccessiva connessione, in particolare per la salute e la sicurezza; l’impegno del management aziendale a “creare una cultura che eviti il contatto fuori dall’orario di lavoro”; la previsione di appropriata compensazione a titolo di lavoro straordinario nel caso di contatto al di fuori dell’orario.
Di notevole rilevanza, infine, la misura relativa all’individuazione di carichi di lavoro adeguati, tale da evitare che il raggiungimento degli obiettivi organizzativi richieda la connessione al di fuori dei limiti di orario stabiliti dalla legge e dalla contrattazione collettiva. Si tratta di una misura centrale che consente di evitare che l’eccessiva intensificazione dei carichi lavorativi traduca la disconnessione in un mero dettato formale.
Con riferimento al campo di applicazione, l’Accordo si rivolge ai lavoratori del settore pubblico e privato, anche a quelli che utilizzano le piattaforme digitali.
Con riferimento al livello di attuazione, giova infine ricordare che, ai sensi dell’art. 155 del Trattato dell’'Unione Europea, l'accordo quadro europeo autonomo impegna i membri di BusinessEurope, SMEunited, CEEP e CES a promuovere e ad attuare strumenti e misure, se necessario a livello nazionale, settoriale e/o aziendale, "conformemente alle procedure e alle pratiche specifiche delle parti sociali negli Stati membri...".
Ciò porta non solo a una significativa diversità nei processi di attuazione (che vanno ad esempio dalla legislazione agli accordi di settore o aziendali), ma anche a una copertura molto diversa delle disposizioni adottate, soprattutto nei Paesi in cui le strutture di dialogo sociale sono debolmente sviluppate.

4. La Risoluzione del 21 gennaio 2021 e la proposta di Direttiva: finalità, campo di azione e definizione di disconnessione – In questo quadro si colloca la Risoluzione del 21 gennaio 2021 con la quale il Parlamento europeo, ricordando il citato accordo delle parti sociali europee sulla digitalizzazione, invita la Commissione a presentare una proposta di direttiva dell’Unione su norme e condizioni minime per garantire che i lavoratori possano esercitare efficacemente il loro diritto alla disconnessione.
La Risoluzione muove dal presupposto per cui la cultura del “sempre connesso” può andare a scapito dei “diritti fondamentali dei lavoratori e di condizioni di lavoro eque, tra cui una retribuzione equa, la limitazione dell'orario di lavoro e l'equilibrio tra attività lavorativa e vita privata, la salute fisica e mentale, la sicurezza sul lavoro e il benessere, nonché della parità tra uomini e donne, dato l'impatto sproporzionato di tali strumenti sui lavoratori con responsabilità di assistenza” .
Prendendo atto della mancanza di una esplicita regolamentazione della disconnessione nel diritto dell’Unione, il provvedimento citato rileva tuttavia come utili indicazioni provengano dalle direttive 89/391/CEE e 91/383/CEE finalizzate al miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori e dalla direttiva 2003/88/CE che prevede prescrizioni minime di sicurezza e sanitarie in materia di organizzazione dell'orario di lavoro, anche in relazione al numero massimo di ore di lavoro consentito e ai periodi minimi di riposo e dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia secondo cui “i lavoratori non sono tenuti a fornire ai datori di lavoro una disponibilità costante e senza interruzioni e ribadisce che c'è una differenza tra orario di lavoro, quando il lavoratore deve essere a disposizione del datore di lavoro, e l'orario non lavorativo, quando il lavoratore non ha nessun obbligo di restare a disposizione del datore di lavoro, e che i periodi di guardia fanno parte dell'orario di lavoro” .
La Risoluzione definisce quello alla disconnessione come “un diritto fondamentale che costituisce una parte inseparabile dei nuovi modelli di lavoro della nuova era digitale”, ritenendolo “un importante strumento della politica sociale a livello dell'Unione al fine di garantire la tutela dei diritti di tutti i lavoratori”, in particolare di quelli “più vulnerabili” e con “responsabilità di assistenza” .
L’esercizio di tale diritto “consente ai lavoratori di astenersi dallo svolgere mansioni, attività e comunicazioni elettroniche lavorative, come telefonate, email e altri messaggi, al di fuori del loro orario di lavoro, compresi i periodi di riposo, i giorni festivi ufficiali e annuali, i congedi di maternità, paternità e parentali nonché altri tipi di congedo, senza conseguenze negative” . A tal proposito, il Parlamento europeo invita gli Stati membri a garantire una tutela dalle “ripercussioni negative ai lavoratori che invocano il diritto alla disconnessione” e la definizione di “meccanismi per il trattamento delle denunce o delle violazioni del diritto alla disconnessione” e chiede alla Commissione di includere il diritto alla disconnessione “nella sua nuova strategia in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di elaborare in maniera esplicita nuove misure e azioni psicosociali nel quadro della salute e della sicurezza sul lavoro” .
Venendo all’esame della proposta di direttiva, dopo il richiamo contenuto nei considerando ai principi di tutela affermati nella Carte di Nizza, nel Pilastro europeo e nelle convenzioni internazionali, l’art. 1 definisce l’oggetto e l’ambito di applicazione della direttiva.
Il provvedimento, che ha la finalità di “stabilire le prescrizioni minime che permettano ai lavoratori di utilizzare strumenti digitali a scopi lavorativi e di esercitare il diritto alla disconnessione, che deve essere garantito da parte dei datori di lavoro”, si applica “a tutti i settori, sia pubblici che privati, e a tutti i lavoratori, indipendentemente dal loro status e dalle loro modalità di lavoro”.
La proposta si applica dunque non solo ai lavoratori che svolgono la prestazione da remoto, ma anche a quelli “in sede”, sia del settore privato che pubblico, a dimostrazione del fatto che il rischio della iperconnettività ha ormai portata generale .
Sotto il profilo definitorio, l’art. 2 della proposta identifica la discussione al “mancato esercizio di attività o comunicazioni lavorative per mezzo di strumenti digitali, direttamente o indirettamente, al di fuori dell’orario di lavoro”, rinviando, per quanto attiene la definizione di orario di lavoro all’art. 2, punto 1, della direttiva 2003/88/CE .
Il considerando n. 16 della proposta sottolinea inoltre che il diritto alla disconnessione consente ai lavoratori “di astenersi dallo svolgere mansioni, attività e comunicazioni elettroniche lavorative, come telefonate, email e altri messaggi, al di fuori del loro orario di lavoro, compresi i periodi di riposo, i giorni festivi ufficiali e annuali, i congedi di maternità, paternità e parentali nonché altri tipi di congedo, senza conseguenze negative”.
Da sottolineare è l’esteso ambito del diritto di disconnessione, che copre tutti i periodi di non lavoro, al di fuori dell’orario, e non solo i periodi di riposo minimo consecutivo .
Impostazione questa recepita dalla recentissima legge approvata in Portogallo ed in via di pubblicazione e coincidente con la lettura accolta da chi scrive della disciplina contenuta negli artt. 18 e 19 della Legge n. 81 del 2017 in termini di periodo di disconnessione che va oltre i periodi di riposo (su cui infra).
Sembra invece contenere una definizione di disconnessione più “ristretta” e coincidente con i periodi di riposo l’art. 2 della proposta di legge “Delega al Governo per il riordino della disciplina in materia di lavoro agile e l'introduzione del diritto alla disconnessione per il benessere psico-fisico dei lavoratori e dei loro affetti” comunicata alla Presidenza del Senato il 29 maggio 2020 (disegno di legge n. 1833) prevede tra i principi e i criteri direttivi che l’accordo relativo alle modalità di lavoro agile “individui i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro al fine di garantire al lavoratore medesimo il rispetto effettivo dei tempi di riposo stessi e la conduzione della propria vita personale e la libera cura delle proprie relazioni affettive e sociali” (art. 1, comma 1, lettera e2).
Inoltre, nella relazione al disegno di legge, la disconnessione viene definita come il diritto “di un lavoratore a non utilizzare le apparecchiature che connettono costantemente, e senza soluzione di continuità, il lavoratore stesso alla propria prestazione lavorativa limitando l’invasiva presenza del proprio datore di lavoro che, abusando dell’evoluzione tecnologica (si veda il pedissequo utilizzo degli smartphone, delle e-mail, delle applicazioni di messaggistica istantanea, eccetera) e della propria posizione dominante, potrebbe entrare dispoticamente all’interno della vita privata dei propri collaboratori e delle loro famiglie” .
L’art. 3 della proposta impone gli Stati membri garantiscano che i datori di lavoro “adottino i provvedimenti necessari a fornire ai lavoratori i mezzi per esercitare il diritto alla disconnessione” anche mediante l’istituzione di un “sistema oggettivo, affidabile e accessibile che consenta la misurazione della durata dell’orario di lavoro giornaliero svolto da ciascun lavoratore, nel rispetto del diritto dei lavoratori alla vita privata e alla tutela dei dati personali”.

5. Segue: le modalità di attuazione e regolazione - Le misure di attuazione del diritto alla disconnessione sono contenute nell’art. 4 della proposta, che impone agli Stati membri di garantire che le modalità di esercizio di tale diritto siano stabilite, previa consultazione delle parti sociali, in modo dettagliato e che i datori “attuino tale diritto in modo equo e trasparente”.
In particolare, dovranno essere garantite alcune condizioni di lavoro, alcune delle quali ricalcano la formulazione utilizzata dall’Accordo quadro europeo sulla digitalizzazione per le misure per l’esercizio del diritto in questione.
Tra queste, modalità pratiche per scollegarsi dagli strumenti digitali, un sistema di misurazione dell’orario di lavoro, valutazioni della salute e della sicurezza, comprese quelle del rischio psicosociale, nonchè misure di sensibilizzazione, compresa la formazione sul luogo di lavoro, che i datori di lavoro sono tenuti ad adottare riguardo alle condizioni di lavoro.
Dovranno essere inoltre previsti “criteri per la concessione di una deroga ai datori di lavoro dall'obbligo di attuare il diritto dei lavoratori alla disconnessione”, che sarà possibile solo in circostanze eccezionali, quali la “forza maggiore o altre emergenze, a condizione che il datore di
lavoro fornisca per iscritto a ogni lavoratore interessato le motivazioni che dimostrino la necessità di una deroga ogniqualvolta si ricorra a essa” .
Sotto il profilo della strumentazione regolativa, è di grande importanza l’art. 4, comma 2, della proposta secondo cui gli Stati membri possono, conformemente al diritto e alle prassi nazionali, affidare alle parti sociali il compito di concludere accordi collettivi a livello nazionale, regionale,
settoriale o di datore di lavoro che stabiliscano o integrino le condizioni di lavoro di cui al paragrafo 1” .

6. Segue: la tutela del diritto alla disconnessione - Altrettanto rilevante è la previsione in materia di onere della prova contenuta nell’art. 5 della proposta di Direttiva , finalizzata a disincentivare atti ritorsivi del datore di lavoro nei confronti dei lavoratori per l’esercizio del diritto alla disconnessione.
Secondo tale disposizione, infatti, qualora i lavoratori ritengano di essere stati licenziati o di aver subito un altro trattamento sfavorevole, per aver esercitato o tentato di esercitare il diritto alla disconnessione (art. 5, comma 1) o per aver presentato al datore di lavoro un reclamo o promosso un procedimento al fine di garantire il rispetto dei diritti (art. 5, comma 2), e alleghino in giudizio fatti idonei a far sorgere una presunzione che siano stati licenziati o abbiano subito un altro trattamento sfavorevole per tale motivo, l’onere della prova incombe sul datore di lavoro, che deve dimostrare che il licenziamento o il trattamento sfavorevole sia stato basato su motivi diversi.
Si tratta di un’importante attenuazione dell’onere della prova sulla falsariga di quanto si osserva in materia di pari opportunità e di tutela del whistleblower .
Nella medesima prospettiva, l’art. 6 della proposta, al fine di rendere effettiva la tutela del diritto alla disconnessione, impone agli Stati membri di provvedere affinché i lavoratori “il cui diritto alla disconnessione è stato violato abbiano accesso a un meccanismo di risoluzione delle controversie rapido, efficace e imparziale e beneficino di un diritto di ricorso” in caso di violazioni dei loro diritti derivanti dalla direttiva.
Oltre all’individuazione delle modalità dell’esercizio del diritto alla disconnessione, l’art. 7 della proposta stabilisce che tale diritto dovrebbe essere oggetto di adeguata e tempestiva informazione, per iscritto o in un formato digitale facilmente accessibile per i lavoratori, con indicazione, nello specifico, delle modalità pratiche per scollegarsi dagli strumenti digitali a scopi lavorativi, compresi eventuali strumenti di controllo; del sistema di registrazione dell’orario lavorativo; della valutazione del datore sulla salute e la sicurezza in relazione al diritto alla disconnessione, comprese le valutazioni del rischio psicosociale; dei criteri per la concessione di una deroga ai datori di lavoro dall’obbligo di attuare il diritto alla disconnessione e i criteri per stabilire la compensazione per il lavoro svolto al di fuori dell’orario lavorativo; delle misure di tutela dei lavoratori da trattamenti sfavorevoli e delle misure di attuazione del diritto di ricorso dei lavoratori.

7. Segue: l’apparato sanzionatorio - Da ultimo, ma non importanza, merita di essere segnalato l’art. 8 della proposta che introduce un apparato sanzionatorio in caso di violazione del diritto di disconnessione. Secondo tale disposizione, gli Stati membri “stabiliscono le norme relative alle sanzioni applicabili in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate in conformità della presente direttiva o delle pertinenti disposizioni già in vigore riguardanti i diritti che rientrano nell'ambito di applicazione della presente direttiva, e adottano tutte le misure necessarie per assicurarne l'attuazione. Tali sanzioni sono effettive, proporzionate e dissuasive”.
Si tratta di una previsione importante che, de jure condito, non è prevista nel nostro ordinamento e che potrebbe assumere una qualche rilevanza sul piano dell’effettività della tutela del diritto alla disconessione.
Un meccanismo sanzionatorio che richiama alla mente quello previsto dal citato disegno di legge delega n. 1883 che, tra i principi e i criteri direttivi, all’art. 2, lettera c) individua “l’applicazione in caso di violazione del diritto alla disconnessione dell’articolo 615 bis cod. pen., salvo il fatto costituisca più grave reato”.
In tal modo, l’auspicato incremento di effettività verrebbe affidato alla previsione di un obbligo di vigilanza da parte del datore di lavoro combinata alla sanzione penale in caso di violazioni.
In proposito è stato correttamente rilevato che, oltre ai dubbi in ordine alla applicabilità dell’ipotesi criminosa del “delitto di interferenze illecite nella vita privata” al caso in esame, ciò che non convince di tale impostazione è che, nel disegno di legge l’individuazione dei tempi e dei modi di esercizio del diritto di disconnessione resta affidata all’accordo individuale anziché all’accordo collettivo.
Sotto il profilo sanzionatorio, sarebbe più opportuno inserire nell’art. 18 bis del D. Lgs. n. 66 del 2003 e succ. modd., appositamente dedicato alle contravvenzioni per le violazioni della disciplina in materia di orario di lavoro, una previsione per sanzionare la violazione del diritto alla disconnessione .

8. Osservazioni conclusive. La tutela della disconnessione oltre i “confini” del lavoro da remoto – Pur non essendo questa la sede per affrontare la questione del coordinamento tra le disposizioni in materia di lavoro agile e la disciplina generale dell’orario di lavoro , sia consentito rilevare che l’art. 19, comma 1, della legge n. 81 del 2017 stabilisce che l’accordo individuale, che disciplina l'esecuzione della prestazione lavorativa svolta all'esterno dei locali aziendali, “individua altresì i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro”.
Una possibile lettura di tale disposizione è nel senso di ritenere che i tempi di riposo coincidano con il periodo di disconnessione che, tuttavia potrebbe essere ben più ampio rispetto al periodo di riposo, arrivando a coincidere con l’intero periodo al di fuori dell’orario di lavoro, anche in virtù della previsione contenuta nell’art. 18, comma 1, della legge citata secondo cui la prestazione di lavoro viene eseguita “entro i soli limiti di durata massima dell'orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva” .
Ne consegue che “non possa esservi “connessione” – i.e. attività lavorativa – oltre tale orario” , con conseguente centralità della funzione del tempo di disconnessione, preordinato non solo al recupero delle energie psicofisiche, ma anche al recupero della vita privata e dell’“esistenza libera e dignitosa” del lavoratore .
Se si accoglie tale lettura, la normativa italiana appare in linea, anzi pienamente conforme rispetto alla proposta di direttiva che, come visto, abbraccia una nozione di disconnessione coincidente con il periodo al di fuori dell’orario di lavoro .
Resta però che la disconnessione, così come formulata nell’art. 19, comma 1, della Legge n. 81 del 2017, appare ancora carente in termini di effettività e concretezza, mancando la previsione di un iter attuativo o un impianto sanzionatorio, opportunamente previsti nella proposta di direttiva.
Si tratta del profilo più delicato e, per questo, piuttosto che lasciare alle parti il compito di individuare le misure per rendere effettivo il diritto alla disconnessione, sarebbe opportuno un intervento legislativo, preferibilmente a sostegno dell’autonomia collettiva , come peraltro auspicato dall’Accordo quadro europeo sulla digitalizzazione e dal provvedimento in commento.
E’ inoltre evidente che il diritto di disconnessione non viene in rilievo solo nel lavoro da remoto ed un altro dei meriti della proposta di direttiva è il suo ambito di applicazione, esteso a tutti i lavoratori pubblici e privati.
Il riconoscimento del diritto alla disconnessione nell’ambito di tutti i rapporti di lavoro che si caratterizzino per un costante utilizzo delle strumentazioni tecnologiche avrebbe infatti l’effetto di disincentivare il datore dal contattare il lavoratore al di fuori dell’orario concordato e di rafforzare la tutela della privacy dei lavoratori.
In ogni caso, se la pandemia e la diffusione del lavoro da remoto hanno imposto il ripensamento della legislazione del lavoro del ‘900, le imprese più evolute, nell’attesa di una più compiuta disciplina legislativa del diritto alla disconnessione, si stanno riorganizzando per promuovere nuove forme di sostenibilità ambientale e sociale, in attuazione delle linee guida della governance, dell’ambiente e sociali dettate dall’agenda ESG dell’UE.
Tra queste un nuovo modello di lavoro ibrido, basato sull’alternanza lavoro in presenza e lavoro da remoto che si strutturi nei modelli organizzativi dell’impresa, riducendo l’impatto ambientale e assicurando una conciliazione tempi di vita-tempi di lavoro dei dipendenti.
Si pensi al recentissimo accordo per la disciplina dello smart working sottoscritto in data 3 novembre 2021 da Autostrade per l’Italia S.p.A e Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uiltrasporti, Sla-Cisal e Ugl Viabilità, allo stato “sperimentale” ed efficace sino al 31 dicembre 2021, fatte salve eventuali proroghe stabilite dalle parti anche in funzione dell’eventuale prosecuzione dello stato di emergenza .
Al fine di garantire un’alternanza tra lavoro in presenza e lavoro da remoto e di coniugare le esigenze produttive aziendali con quelle di contemperamento tra tempi di vita e di lavoro, nonché di recupero della socialità dei lavoratori, l’accordo prevede che i dipendenti fruiscano di almeno due giorni a settimana di lavoro da remoto ma, soprattutto, di 4 ore giornaliere di disconnessione individuale, che il lavoratore sceglie in quale fascia oraria collocare, da aggiungere alla disconnessione aziendale, fissata nella orario che va dalle ore 20,00 alle ore 8,00 del giorno successivo.
Le modalità di esecuzione e l’organizzazione della prestazione vengono affidate direttamente al singolo lavoratore che sarà tenuto a comunicarle via mail al proprio superiore gerarchico.
Nei periodi di disconnessione individuale e aziendale l’azienda, fatte salve emergenze o regimi di reperibilità, non potrà in alcun modo chiedere ai lavoratori di collegarsi, che non saranno dunque tenuti ad assicurare a svolgere attività lavorativa e, in particolare, la lettura delle mail, la risposta alle telefonate e ai messaggi, l’accesso e la connessione al sistema informativo dell’azienda.
Si tratta di un importante punto di incontro tra interessi delle imprese e diritti dei lavoratori all’insegna della modernizzazione, della sostenibilità e della fiducia, che prende atto della metamorfosi dei poteri datoriali che, più che sulla prestazione (sul “dove” ed il “quando” della stessa) e sulla persona fisica del lavoratore (spesso non presente in azienda), inevitabilmente dovranno essere esercitati sul risultato dell’attività lavorativa.

 

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