TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

PARTE I:
LA INCLUSIONE DEL PERSONALE MILITARE NELL’AMBITO SOGGETTIVO DI APPLICAZIONE DELL’ART. 54-BIS E LA COMPETENZA DI ANAC

Come è noto, l’istituto del whistleblowing è stato introdotto nel nostro ordinamento con l’ambizioso obiettivo di assicurare uno statuto di protezione a favore del dipendente pubblico che, ai sensi dell’art. 54-bis del d.lgs. 165/01, segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in occasione del rapporto di lavoro.
Il legislatore, nella nuova formulazione dell’art. 54-bis introdotta con la l. 179/2017, si sofferma sulla nozione di “pubblico dipendente” e include espressamente in essa sia i dipendenti delle amministrazioni pubbliche individuate dall’art. 1, co. 2, del d.lgs. 165/2001, con rapporto di lavoro di diritto privato (art. 2, co. 2), sia i dipendenti il cui rapporto di lavoro è assoggettato al regime pubblicistico, individuati dall’art. 3 del d.lgs. 165/2001.
Ciò che rileva in questa sede è proprio il riferimento all’art. 3 del d.lgs. 165/2001, che comprende espressamente “il personale militare e le forze di polizia”. È grazie a tale esplicito riferimento che si sostiene, ormai pacificamente, l’applicabilità della disciplina del whistleblowing anche a tale categoria di dipendenti pubblici.
Peraltro, l’applicabilità dell’art 54-bis al personale militare trova conferma, non solo nel testo della legge, ma anche nelle nuove Linee Guida adottate da ANAC in materia di whistleblowing; nella giurisprudenza amministrativa e nel codice di comportamento dei dipendenti del Ministero della Difesa.
Per quel che riguarda le citate Linee Guida , adottate dal Consiglio dell’ANAC con la delibera n. 469 del 9 giugno 2021 (di seguito “Linee Guida ANAC”), va evidenziato che esse, nella Parte I, paragrafo 1.1 dedicato ai soggetti tutelati, ricomprendono espressamente le forze armate nell’ambito applicativo di tipo soggettivo dell’art 54-bis del d.lgs. 165/2001.
Inoltre, nella parte I delle suddette Linee Guida, paragrafo 2.1 dedicato all’oggetto della segnalazione, si afferma quanto segue “per i pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblico servizio che hanno un obbligo di denuncia, in virtù di quanto previsto dal combinato disposto dell’art. 331 c.p.p. e degli artt. 361 e 362 c.p., la segnalazione di cui all’art. 54-bis indirizzata al RPCT o ad ANAC non sostituisce, laddove ne ricorrano i presupposti, quella all’Autorità giudiziaria”.
In linea con tale impostazione, l’Autorità, in occasione della prima delibera sanzionatoria adottata in materia di whistleblowing, ha statuito il seguente principio di diritto: “La circostanza per cui un soggetto abbia l’obbligo giuridico di denunciare fatti di reato ai sensi del codice penale e del codice di procedura penale non esclude che egli possa essere un whistleblower” (Cfr. Delibera Anac 782/2019 ).
Il richiamo alle predette norme e la lettura di questi principi combinati tra loro portano ad affermare che i soggetti appartenenti al personale militare possono essere qualificati, senza dubbio, come whistleblowers giacché, come sopra accennato, in primo luogo, essi - in quanto pubblici ufficiali - sono sottoposti all’obbligo di denuncia ai sensi dei menzionati articoli del c.p. e c.p.p. e, in secondo luogo, gli stessi - in quanto pubblici dipendenti - sono altresì legittimati a segnalare all’Anac illeciti di altra natura diversi da quelli per i quali sussiste il suddetto obbligo.
Non a caso, sul punto, le linee Guida prevedono che “l’ambito oggettivo degli artt. 361 e 362 c.p., disponendo l’obbligo di denunciare soltanto reati (procedibili d’ufficio), è più ristretto di quello delle segnalazioni effettuabili dal whistleblower che può segnalare anche illeciti di altra natura. Resta fermo che, laddove il dipendente pubblico denunci un reato all’Autorità giudiziaria ai sensi degli artt. 361 o 362 c.p. e poi venga discriminato per via della segnalazione, potrà beneficiare delle tutele dalle misure ritorsive ex art. 54-bis”.
Sulla stessa linea appena descritta, si colloca altresì la giurisprudenza amministrativa.
A tal proposito, si evidenzia che il Tar Puglia, nella recente sentenza n. 1586/2020, è stato chiamato a pronunciarsi sulla natura ritorsiva di un atto di trasferimento disposto nei confronti di un militare a seguito di una denuncia dallo stesso presentata all’Autorità giudiziaria. Ebbene, nel caso di specie, i giudici di primo grado hanno accertato la violazione dell’art 54-bis, così riconoscendo, implicitamente, la qualifica di whistleblower in capo al militare trasferito e confermando l’applicabilità di tale norma alle forze armate.
La sentenza citata è stata poi riformata dal Consiglio di Stato , il quale ha escluso che sussistessero i presupposti per configurare una ritorsione ma, in ogni caso, il supremo Consesso non ha messo in discussione l’applicabilità in astratto dell’istituto in esame al personale militare.
Infine, per quel che riguarda il codice di comportamento dei dipendenti del Ministero della Difesa, risulta utile rammentare che esso include espressamente, tra i doveri e principi di comportamento ivi stabiliti per il personale militare, quello di contribuire all’attività di prevenzione della corruzione (art. 7), nell’ambito della quale rientra anche l’istituto del whistleblowing.
In particolare, la norma prevede che “il dipendente (…) partecipa, con consapevolezza e continuità, al processo di gestione del rischio di corruzione, basando il proprio operato sulle fonti di informazione quali dati storici, esperienza, informazioni di ritorno dai portatori di interesse, osservazioni, previsioni e pareri di specialisti, avuto riguardo alle funzioni rivestite. Il dipendente, nell’attività di prevenzione degli illeciti nell’Amministrazione, utilizza la diligenza richiedibile in ragione del proprio status o delle mansioni svolte, osservando le prescrizioni contenute nel Piano triennale di prevenzione della corruzione”.

Così illustrate le ragioni che inducono a sostenere in via generale l’applicabilità dell’art. 54-bis alle forze militari, occorre ora domandarsi quali siano i presupposti specifici e concreti affinché un soggetto appartenente a esse possa essere effettivamente qualificato come whistleblower.
Ebbene, può considerarsi tale il militare che abbia presentato, nell’interesse all’integrità della pubblica amministrazione, ad almeno uno delle quattro tipologie di destinatari indicati nell’art. 54-bis, co. 1 (RPCT, ANAC, Autorità giudiziaria ordinaria o contabile), una segnalazione avente ad oggetto condotte illecite, di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro.
Vale la pena precisare che, secondo quanto statuito dal Consiglio dell’ANAC, non può qualificarsi quale whistleblower il militare che non abbia presentato una segnalazione di illeciti ad uno dei soggetti di cui al comma 1 dell’art 54 bis ma che abbia esclusivamente collaborato con l’Autorità giudiziaria a seguito di richiesta di quest’ultima .

Per concludere, dunque, in presenza dei requisiti sopra descritti, la segnalazione di illeciti effettuata da un appartenente al personale militare a uno dei soggetti di cui all’art 54-bis co 1 d.lgs. 165/2001 può ricondursi alla normativa whistleblowing.
Corollario logico di tale impostazione è il riconoscimento all’ANAC della competenza ad esercitare il potere sanzionatorio conferitole dalla legge 179/2017 sia in caso di misure ritorsive subite dal militare a seguito e a causa della segnalazione (art 54-bis comma 6 primo periodo), sia in caso di inerzia del RPCT dell’Amministrazione militare che non abbia svolto le attività di verifica e analisi della segnalazione ricevuta dal dipendente appartenente alle Forze armate (art 54-bis comma 6 terzo periodo). Per una trattazione approfondita di tali aspetti si rinvia alla parte II.

PARTE II
I POTERI SANZIONATORI DELL’AUTORITÀ E I CRITERI SEGUITI PER L’IRROGAZIONE DELLE SANZIONI.
Se dunque anche nei confronti del personale militare trova applicazione la disciplina del whistleblowing, varranno, anche per detto personale, i principi generali che regolano l’esercizio dei poteri sanzionatori dell’Anac ai sensi del comma 6 dell’art. 54-bis.
Segnatamente, a seguito della riscrittura integrale del Regolamento “per la gestione delle segnalazioni e per l’esercizio del potere sanzionatorio in materia di tutela degli autori di segnalazioni di illeciti o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro di cui all’art. 54 bis decreto legislativo n.165/2001”, adottato dal Consiglio dell’Autorità con la Delibera n. 690 del 1 luglio 2020 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 205 del 18.8.2020 , è possibile distinguere tre tipologie di procedimento sanzionatorio che ANAC può condurre ai sensi della normativa in esame, ossia:
1. il procedimento sanzionatorio avviato ai sensi del co. 6 primo periodo dell’art. 54-bis, avente ad oggetto l’accertamento dell’avvenuta adozione di misure ritorsive;
2. il procedimento sanzionatorio avviato ai sensi del co. 6 terzo periodo dell’art. 54-bis, avente ad oggetto l’accertamento dell’inerzia del RPCT nello svolgimento di attività di verifica e analisi delle segnalazioni di illeciti;
3. il procedimento sanzionatorio avviato ai sensi del co. 6 secondo periodo dell’art. 54-bis, avente ad oggetto l’accertamento dell'assenza di procedure per l'inoltro e la gestione delle segnalazioni.
Tali procedimenti sanzionatori possono certamente investire l’ente di appartenenza del militare qualificato come whistleblower.
Essi saranno esaminati, nelle loro linee generali, nel prosieguo della trattazione.

2.1. IL PROCEDIMENTO DI ACCERTAMENTO DELLA NATURA RITORSIVA DELLA MISURA ADOTTATA NEI CONFRONTI DEL MILITARE SEGNALANTE.
Per quanto concerne la procedura di gestione delle comunicazioni di misure ritorsive o discriminatorie eventualmente presentate ad ANAC dal militare qualificato come whistleblower, compito dell’Autorità è quello di accertare se la misura, considerata ritorsiva o discriminatoria dal dipendente, sia stata adottata a causa e in ragione della precedente segnalazione di illeciti trasmessa ad almeno uno dei soggetti indicati dall’art. 54-bis, comma 1, primo periodo.
Sul punto, giova rammentare che la competenza di ANAC ad avviare il procedimento appena descritto, è confermata anche dall’art 10 n. 7 del codice di comportamento del Ministero della Difesa che, non solo riproduce il disposto dell’art 54-bis, ma indica espressamente che l’Autorità è il soggetto deputato a ricevere e gestire le comunicazioni di misure ritorsive trasmesse dal militare segnalante.
L’iter procedimentale di gestione e analisi della comunicazione si svolge secondo le prescrizioni contenute nel Regolamento sanzionatorio.
In particolare, una volta accertata l’ammissibilità della comunicazione e verificato il rapporto di successione temporale tra la segnalazione/denuncia e la misura presuntivamente ritorsiva adottata nei confronti del whistleblower, l’Autorità avvia il procedimento sanzionatorio nei confronti dell’autore della suddetta misura.
La sanzione potrà colpire sia il soggetto che ha adottato la misura ritorsiva (es. firmatario del provvedimento) che colui che ha suggerito o proposto l’adozione di una qualsiasi forma di ritorsione nei confronti del whistleblower, così producendo un effetto negativo indiretto sulla sua posizione (ad es. proposta di sanzione disciplinare ).
Il procedimento condotto da ANAC si conclude con l’adozione di un provvedimento di archiviazione o, laddove sia accertata la “ritorsione” o la “discriminazione”, con un provvedimento che dichiara la nullità, prevista ex lege, della misura ritenuta ritorsiva e che irroga la sanzione nei confronti del responsabile.
Ciò premesso, vale evidenziare che il comma 7 dell’art. 54-bis prevede che laddove il dipendente dimostri di avere effettuato una segnalazione di illeciti ex art. 54-bis e di aver subito, a causa della segnalazione, una misura ritorsiva o discriminatoria, l’onere di provare che l’azione intrapresa non sia in alcun modo connessa alla segnalazione grava sull’Amministrazione (cd. inversione dell’onere della prova).
Nel procedimento innanzi ad ANAC, quindi, l’intento ritorsivo si presume. A tal fine è fondamentale che il presunto responsabile fornisca tutti gli elementi da cui dedurre l’assenza della natura ritorsiva della misura o comportamento adottati nei confronti del segnalante e dimostri che essi sono stati adottati per ragioni estranee alla segnalazione.
Va altresì sottolineato che il whistleblower è tempestivamente informato dell’avvio del procedimento sanzionatorio e ciò avviene in quanto è proprio nel procedimento che, attraverso il contraddittorio, è assicurata la tutela tanto del segnalante quanto del presunto responsabile.
È importante, inoltre, evidenziare che, al fine di verificare la sussistenza di un intento ritorsivo, ANAC può effettuare un sindacato sulle modalità di esercizio dei poteri organizzativi e disciplinari da parte dell’Amministrazione. Tale intento ritorsivo può desumersi tramite il ricorso a presunzioni gravi, precise e concordanti nonché dall’accertamento dell’infondatezza o della pretestuosità delle motivazioni poste a fondamento dell’adozione della misura: se queste ultime risultano inesistenti, arbitrarie, manifestamente infondate è possibile che dietro tale decisione possa esservi un intento persecutorio.
Viceversa, il nesso di causalità tra la segnalazione del whistleblower e la ritenuta misura ritorsiva è destinato a venir meno ogni qualvolta sia possibile affermare che tale misura sarebbe comunque stata adottata anche in assenza di segnalazione .
Per quel che riguarda la sanzione prevista dall’art 54-bis co 6 primo periodo, essa oscilla tra un minimo di 5000 euro e un massimo di 30.000 euro. I criteri utilizzati da ANAC, ai sensi dell’art 11 della legge 681/89, al fine di irrogare una sanzione proporzionata e ragionevole, sono:
• la gravità della violazione: in tal senso, costituiscono, ad esempio, indici di maggiore gravità e quindi possono giustificare un inasprimento della sanzione rispetto al minimo previsto:
- l’intensità del dolo ritorsivo;
- il numero delle misure ritorsive adottate;
- la maggiore afflittività della misura discriminatoria/ritorsiva adottata dal responsabile nei confronti del whistleblower (ad es. se quest’ultimo è stato licenziato, la sanzione per l’autore del provvedimento sarà più alta rispetto al caso in cui il whistleblower sia stato sanzionato disciplinarmente con un rimprovero verbale);
- la circostanza che prima dell’inizio del procedimento, il soggetto segnalato sia stato già sanzionato da ANAC o dall’ Autorità giurisdizionale per precedenti comportamenti ritorsivi;
• l’opera svolta dall’agente per l’attenuazione o eliminazione delle conseguenze della violazione: in tal senso, potrà essere valutata come circostanza attenuante la condotta dell’autore del provvedimento ritorsivo che, prima della conclusione del procedimento sanzionatorio innanzi ad ANAC, proceda ad annullare in autotutela il suddetto provvedimento.
• la personalità del responsabile e le sue condizioni economiche.

2.2. IL PROCEDIMENTO SANZIONATORIO NEI CONFRONTI DEL RPCT
La qualifica di whistleblower del militare che segnala la commissione di illeciti ad uno dei soggetti indicati dall’art 54-bis co 1 comporta per il RPCT dell’Amministrazione, che riceve la segnalazione ai sensi del suddetto comma, l’obbligo di svolgere le doverose attività di verifica e analisi dei fatti segnalati.
In caso di inerzia del RPCT, ANAC può avviare un procedimento sanzionatorio nei confronti di quest’ultimo, secondo l’art 16 del “Regolamento per la gestione delle segnalazioni e per l’esercizio del potere sanzionatorio in materia di tutela degli autori di segnalazioni di illeciti o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro di cui all’art. 54 bis decreto legislativo n.165/2001.
È bene precisare che l’Ufficio per la vigilanza sulle segnalazioni dei whistleblowers dell’ANAC (UWHIB) considera soggetto a tale obbligo sia il RPCT sia altro soggetto, specificamente e preventivamente individuato nel PTPCT o in apposito atto organizzativo, che, ricevuta una segnalazione, non abbia svolto in merito ad essa alcuna attività gestoria.
Si tratta di un illecito amministrativo che si basa sulla mera sussistenza di un oggettivo e consapevole inadempimento, da parte del responsabile, dell’obbligo previsto dalla legge di svolgere le attività di verifica e analisi delle segnalazioni di whistleblowing.
Per accertare la responsabilità del RPCT, ANAC dovrà quindi verificare che, alla scadenza del termine per lo svolgimento dell’istruttoria, il RPCT sia rimasto inadempiente e che tale inerzia abbia integrato la condotta omissiva richiamata dalla fattispecie sanzionatoria.
Questo tipo di procedimento può concludersi con l’irrogazione di una sanzione che va da un minimo di 10.000 a un massimo di 50.000 euro.
Anche rispetto a detto procedimento, sono utilizzati i criteri indicati nell’art 11 della l. 689/81.
Possono costituire indici di maggiore gravità dell’illecito amministrativo:
- il numero cospicuo di segnalazioni non gestite dal responsabile;
- la circostanza per cui il responsabile abbia dato luogo all’omissione nonostante la ricezione di sollecitazioni interne o esterne volte alla gestione della segnalazione;
- le eventuali o maggiori conseguenze dannose derivanti dalla mancata gestione della segnalazione in ragione del relativo contenuto.
Infine, ai criteri sopra indicati, si aggiunge, anche in questo caso, quello previsto dal comma 6 ultimo periodo dell’art 54-bis che guarda, in funzione aggravante o attenuante (a seconda dei casi), alle maggiori o minori dimensioni dell’amministrazione o dell’ente cui si riferisce la segnalazione che non è stata gestita dal responsabile.
Inoltre, giova precisare che il predetto Ufficio per la vigilanza sulle segnalazioni dei whistleblowers dell’ANAC (UWHIB) ha formulato, alla luce della prassi, i seguenti principi guida per l’accertamento della responsabilità del RPCT:
- La presenza di un consistente carico di lavoro gravante in capo al RPCT non può di per sé solo escludere la responsabilità ex art. 54-bis, co. 6, terzo periodo d.lgs. 165/2001, potrà semmai rilevare ai fini della quantificazione della sanzione. D’altra parte, come prima anticipato, la sanzione prevista dall’art. 54-bis, co. 6, terzo periodo d.lgs. 165/2001 si basa sulla mera sussistenza di un oggettivo e consapevole inadempimento dell’obbligo previsto dalla legge di svolgere attività di verifica e analisi delle segnalazioni di whistleblowing.
- la circostanza per cui il RPCT dichiari di non ricordare di aver ricevuto la segnalazione non costituisce un elemento rilevante ai fini dell’accertamento della avvenuta ricezione e conoscenza della segnalazione.
- La gestione della segnalazione effettuata nelle more del procedimento sanzionatorio non vale ad escludere la responsabilità per aver violato l’obbligo previsto dall’art. 54-bis, co. 6, terzo periodo dell’art. 54 bis d.lgs. 165/2001 ma potrà rilevare ai fini della quantificazione della sanzione.
- Per l’esatta qualificazione della segnalazione di whistleblowing e, quindi, per far sorgere l’obbligo di gestione in capo al RPCT, occorre, tra l’altro, accertare la sussistenza del requisito dell’interesse all’integrità della PA. Se sussiste tale requisito, si considerano irrilevanti i motivi personali che possono aver indotto il segnalante ad effettuare la segnalazione e a sollecitarne la gestione.
- L’attività di verifica e analisi delle segnalazioni non consiste nell’accertare le responsabilità individuali qualunque natura esse abbiano, né svolgere controlli di legittimità o di merito su atti e provvedimenti adottati dall’amministrazione oggetto di segnalazione.
- Se il RPCT ritiene che la segnalazione ricevuta sia inammissibile deve disporne l’archiviazione dandone adeguata motivazione. Errori manifesti nella esatta qualificazione della segnalazione potranno essere valutati ai fini dell’accertamento dell’elemento soggettivo dell’illecito. Infatti, il RPCT che erroneamente ritiene una segnalazione di illeciti non riconducibile all’art 54-bis, co. 1 d.lgs. 165/2001 può porre in essere un atteggiamento soggettivo consapevole e colposo, sub specie di imperizia costituita dall’assenza di adeguate conoscenze giuridiche in un settore, quale quello del whistleblowing, che contempla il ruolo centrale del RPCT.

2.3. IL PROCEDIMENTO SANZIONATORIO PER LA MANCATA ADOZIONE DELLE PROCEDURE DI GESTIONE DELLE SEGNALAZIONI DI WHISTLEBLOWING
Dall’applicazione della disciplina dell’art 54-bis al personale delle amministrazioni militari discende un’ulteriore importante conseguenza: tali amministrazioni sono tenute a dotarsi di un proprio sistema di gestione delle segnalazioni di whistleblowing.
Nei casi in cui nell’espletamento dell’attività di vigilanza dell’ANAC venga riscontrata la mancanza delle procedure di ricezione e/o gestione delle segnalazioni di cui all’art. 54-bis, l’Autorità può avviare un procedimento sanzionatorio semplificato ai sensi del Capo IV, art. 17 del citato Regolamento.
In assenza di diversa previsione all’interno dell’Ente, l’ANAC considererà responsabile della mancata attivazione della procedura l’organo di indirizzo dell’Amministrazione che ha adottato il PTPCT e nominato il RPCT nonché altri responsabili indicati nel PTPCT o apposito atto organizzativo.
La comunicazione di avvio indica in modo puntuale i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che depongono per l’irrogazione della sanzione.
I soggetti destinatari della comunicazione di avvio del procedimento hanno facoltà di presentare, entro il termine di 10 giorni dalla suddetta comunicazione, memorie scritte, documenti e deduzioni.
Il dirigente dell’Ufficio per la vigilanza sulle segnalazioni dei whistleblowers dell’ANAC, entro 45 giorni dalla data di ricevimento della suddetta documentazione ovvero scaduto inutilmente il termine per la relativa presentazione, trasmette al Consiglio la proposta di adozione del provvedimento conclusivo.
La sanzione irrogabile al termine di tale procedimento va da un minimo di 10.000 a un massimo di 50.000 euro.
Anche rispetto a detto procedimento, sono utilizzati i criteri di gradazione della sanzione indicati nell’art 11 della l. 689/81.
Ad esempio, potrebbero costituire indici di maggiore gravità dell’illecito amministrativo:
• la circostanza per cui l’ente abbia dato luogo all’omissione nonostante la ricezione di sollecitazioni interne o esterne volte all’adozione della suddetta procedura;
• la circostanza per cui la procedura di gestione delle segnalazioni sia stata assente per almeno due anni a decorrere al 29.12.2017, data di entrata in vigore della l. 179/2017 che attribuisce all’ANAC il potere sanzionatorio.
Diversamente, potrà essere valutata come circostanza attenuante la condotta dell’ente che, prima della conclusione del procedimento sanzionatorio innanzi ad ANAC, proceda ad adottare la suddetta procedura.
Inoltre, ai criteri sopra elencati, si aggiunge quello previsto dal comma 6 ultimo periodo dell’art 54-bis, che guarda, in funzione aggravante o attenuante, alle maggiori o minori dimensioni dell’amministrazione o dell’ente cui si riferisce la segnalazione che non è stata gestita a causa dell’assenza di un sistema ad hoc.

Giova altresì rammentare che le Amministrazioni sono tenute a dotarsi di procedure di ricezione e/o gestione delle segnalazioni di cui all’art. 54-bis conformi alle indicazioni fornite dalle Linee Guida ANAC. Anche in caso di adozione di procedure non conformi a quelle indicate nelle Linee Guida, l’Autorità potrà avviare un procedimento sanzionatorio semplificato ai sensi dell’art. 17 del Regolamento WHIB. Anche in tale ipotesi, si considera responsabile della mancata attivazione della procedura l’organo di indirizzo dell’Amministrazione che ha adottato il PTPCT. La sanzione irrogabile al termine di tale procedimento va da un minimo di 10.000 a un massimo di 50.000 euro. Al riguardo si precisa, come accennato nei paragrafi precedenti, che le Linee guida ANAC sono state recentemente adottate con la delibera 469 del 9.06.2021; l’Autorità, attualmente, non ha indicato dei termini temporali generali (o anche distinti per tipologie o dimensioni delle amministrazioni interessate) entro cui le amministrazioni dovranno garantire l’adeguamento organizzativo e funzionale, ma ciò non si può tradurre in una omissione nell’adeguamento tempestivo da parte delle amministrazioni e degli enti soggetti all’applicazione della normativa in esame.

PARTE III
ANALISI DELLE PRINCIPALI MISURE ORGANIZZATIVE E DISCIPLINARI
Esaminati i poteri sanzionatori di cui l’ANAC è titolare in materia di whistleblowing, e in particolare approfondito il procedimento sanzionatorio volto ad accertare l’adozione di ritorsioni ai danni dei whistleblowers, risulta ora utile analizzare le principali misure organizzative e disciplinari che possono essere adottate nei confronti del personale militare nonché procedere a un esame dei casi in cui esse possono essere ritenute legittime, se giustificate da ragioni diverse dalla segnalazione, o ritorsive laddove siano, invece, adottate nei confronti di un whistleblower a causa della segnalazione.

3.1 IL TRASFERIMENTO PER INCOMPATIBILITÀ AMBIENTALE
La prima misura che viene in rilievo e che può destare profili di illegittimità collegati all’art 54-bis è il trasferimento del militare per incompatibilità ambientale.
Sul punto, in primis è opportuno evidenziare che, come sancito dalla giurisprudenza amministrativa, il trasferimento per incompatibilità ambientale dei dipendenti pubblici non è connesso all’esercizio della potestà disciplinare e può essere disposto solamente in presenza di alcune situazioni specifiche. In particolare, quando:
• vi siano fatti e/o comportamenti che violino i principi dell’onore e del decoro e che per la loro risonanza ledano il prestigio e l’immagine esterna dell’ufficio ;
• vi sia una condotta all’interno dell’ufficio che, nella sua sistematicità e reiterazione, pregiudichi ogni ulteriore proficua permanenza nella sede;
• vi siano situazioni di conflittualità palesi e/o latenti con l’ambiente di lavoro, che pregiudichino ogni ulteriore proficua utilizzazione del dipendente nella sede di assegnazione, anche per il pregiudizio che ciò arreca alla funzionalità dell’ufficio.

L’Amministrazione deve adeguatamente motivare in ordine alla presenza di tali circostanze. Infatti, se da un lato non vi è dubbio che la decisione di trasferire il militare per incompatibilità ambientale è ampiamente discrezionale, dall’altro lato, proprio in ragione di tale discrezionalità nonché del grado di rilevanza del provvedimento e della relativa capacità di incidere sulla posizione lavorativa del dipendente, è necessario che l’Amministrazione fornisca un’adeguata e congrua motivazione sull’esistenza oggettiva dei fatti impeditivi della permanenza nella sede, sul nocumento che si riflette sulla funzionalità e prestigio dell’ufficio, nonché sul nesso di correlazione fra la situazione di grave conflittualità e la condotta tenuta dal dipendente stesso.

Fatta tale doverosa premessa, è necessario esaminare, ai fini che qui interessano, un’ipotesi che spesso viene in rilievo: si tratta del caso in cui un militare denunci, ad uno dei soggetti di cui al co 1 dell’art. 54-bis, un illecito commesso da suo collega o da un superiore gerarchico. In tale ipotesi, occorre valutare se la presentazione della denuncia e l’eventuale conflitto sorto tra il segnalante e il segnalato possano legittimare, per ciò solo, il trasferimento per incompatibilità ambientale del militare segnalante.
Sul punto, si ritiene che la mera presentazione della segnalazione ovvero il mero conflitto eventualmente sorto a seguito di essa tra denunciante e denunciato non possano costituire gli unici elementi sulla base dei quali configurare una situazione di incompatibilità ambientale in capo al whistleblower tale da giustificarne il trasferimento per incompatibilità ambientale.
A sostegno di ciò, è possibile addurre varie argomentazioni.

La prima guarda alla ratio di prevenzione della corruzione insita nell’art 54-bis. Infatti, se bastasse la mera segnalazione di illeciti per giustificare il trasferimento per incompatibilità ambientale del militare segnalante, nessun dipendente si avvarrebbe della qualifica e delle tutele di cui all’art 54-bis in quanto ciò lo esporrebbe a conseguenze sicuramente pregiudizievoli nel caso in cui l’amministrazione o il denunciato venissero a conoscenza della sua identità.

La seconda argomentazione, tra l’altro condivisa dalla giurisprudenza amministrativa , guarda alla ratio dell’istituto del trasferimento disposto d’ufficio per incompatibilità ambientale.
Come è noto, l’istituto del trasferimento ambientale fonda la sua ratio in esigenze di garanzia e tutela del buon funzionamento degli uffici e del prestigio dell'Amministrazione.
Pertanto, con l’adozione di un tale provvedimento di trasferimento, l’Ammirazione mira a ripristinare il corretto e sereno funzionamento dell'ufficio nonché ad assicurare che esso possa continuare a godere della fiducia dei destinatari della sua azione e ad assolvere ai propri compiti in maniera proficua.
Se così è, un eventuale conflitto tra denunciante e denunciato potrà assumere rilevanza e giustificare il trasferimento per incompatibilità ambientale del primo solo laddove esso sia idoneo ad assumere rilevanza verso l’esterno, minando l’interesse pubblico di cui sopra.

Alla luce di ciò, si ritiene che il solo venir meno del rapporto di fiducia tra denunciante e denunciato, anche in presenza di un rapporto gerarchico e ancorché connesso a fatti avvenuti in servizio, non possa essere ritenuto, di per sé solo, ragione sufficiente a giustificare un provvedimento di trasferimento del militare whistleblower.
In altre parole, l’incompatibilità, anche se può senz’altro essere determinata da una situazione di contrasto tra dipendenti, per giustificare il trasferimento deve essere tipo “ambientale” cioè tale da delinearsi ben al di là di un mero contrasto, ancorché grave, tra militari, e tradursi in un pregiudizio concreto per l’ambiente di lavoro in cui essi operano, idoneo a determinare discredito all’esterno o disfunzioni all’interno dell’ufficio.
Esclusivamente al ricorrere di tali condizioni sarà possibile per l’Amministrazione disporre legittimamente il trasferimento di uno dei militari coinvolti nel conflitto sorto a seguito della denuncia.
Inoltre, il trasferimento del militare in altra sede, per essere legittimo, si ritiene debba essere disposto in assenza di altri rimedi esperibili per l’eliminazione del suddetto contrasto.
L’argomentazione sin qui esposta può essere, quindi, sintetizzata affermando che il trasferimento di un militare disposto per incompatibilità ambientale, motivato facendo riferimento solo alla sussistenza di un mero contrasto tra il segnalante e i militari denunciati, integra senz’altro una violazione dell’art. 54-bis qualora da tale situazione di contrasto non siano emersi profili di pericolo per l’andamento dell’ufficio, effettive disfunzioni ovvero lesioni al prestigio dell’Amministrazione.
Diversamente, si può ritenere che l’avvio della procedura per la declaratoria di incompatibilità ambientale in data antecedente alla segnalazione del whistleblower, il suo corretto svolgimento e la sussistenza di fatti ulteriori e diversi rispetto alla segnalazione dei illeciti sui quali si fonda la suddetta declaratoria possono costituire elementi indiziari utili per escludere la sussistenza dell’intento ritorsivo in capo al soggetto firmatario del trasferimento.

Ciò detto, occorre evidenziare che, una volta accertata la situazione di incompatibilità ambientale, la scelta della sede di destinazione attiene a una valutazione ampiamente discrezionale dell’Amministrazione. Tuttavia, secondo la giurisprudenza, l’Amministrazione militare , sia nell’ipotesi di carattere generale di trasferimento d’ufficio sia in quella specifica nella quale il trasferimento è disposto per incompatibilità ambientale, è tenuta a valutare e a contemperate le esigenze personali e familiari del dipendente con l’interesse pubblico al trasferimento.
L’amministrazione, cioè, deve effettuare un “equo bilanciamento” fra la volontà di disporre il trasferimento del militare e le esigenze personali di quest’ultimo, le quali sebbene recessive rispetto alla tutela dell’interesse pubblico, devono comunque essere tenute in doverosa considerazione nella scelta della sede cui destinare il dipendente trasferito.
L’amministrazione, dunque, deve dimostrare sul piano motivazionale come le due situazioni possano contemperarsi o, al contrario, dimostrare l’impossibilità di un loro contemperamento.
Il bilanciamento, quindi, non deve essere fittizio né meramente formale ma deve caratterizzarsi per concretezza ed effettività.
Tali principi elaborati dalla giurisprudenza devono senz’altro ritenersi applicabili anche nel caso in cui l’Amministrazione, al ricorrere delle condizioni di incompatibilità ambientale sopra richiamate, trasferisca il whistleblower. Ne deriva, pertanto, che l’assenza di una motivazione adeguata che dimostri l’effettivo bilanciamento di cui si è detto potrà costituire indizio della sussistenza di un interesse ritorsivo.

3.2. IL TRASFERIMENTO D’UFFICIO PER MOTIVI DIVERSI DALL’INCOMPATIBILITÀ

Altra ipotesi molto frequente è quella in cui il trasferimento del militare venga disposto, successivamente a una segnalazione di illeciti presentata ai sensi dell’art 54-bis, per motivi diversi dall’incompatibilità ambientale.

Le motivazioni adottate dell’Amministrazione militare possono essere diverse e molteplici per la varietà delle fattispecie concrete che vengono in rilievo e, per tale ragione, esse non possono essere qui esaminate nel dettaglio. Ciò che però risulta utile evidenziare è che, qualunque esse siano, il provvedimento adottato, per essere conforme all’art. 54-bis, dovrà sempre dare conto in modo dettagliato delle effettive e comprovate esigenze, anche di tipo organizzativo, che ne hanno giustificato l’adozione nonché dell’utilizzo di criteri tecnici e di professionalità sottesi alla scelta dei militari da trasferire.

In ogni caso, se da un lato, come detto, non è possibile un esame dettagliato della varietà delle motivazioni poste alla base del trasferimento; dall’altro si ritiene di poter effettuare, alla luce della prassi seguita dall’ANAC, alcune considerazioni atte a evidenziare gli elementi sulla base dei quali il provvedimento di trasferimento, adottato successivamente alla segnalazione di illeciti, può essere ritenuto conforme o meno all’art. 54-bis.

Anzitutto, la circostanza per cui i militari interessati dal trasferimento siano unicamente quelli che hanno presentato la segnalazione di illeciti ai sensi dell’art. 54-bis co 1 d.lgs. 165/2001 può costituire, secondo l’Autorità, un indizio idoneo a dimostrare la ritorsività dell’operato del firmatario del trasferimento.

Viceversa, può costituire un elemento idoneo a dimostrare l’assenza di un intento ritorsivo e discriminatorio il fatto che l’ammnistrazione abbia trasferito contestualmente non solo il militare segnalante ma anche altri soggetti che non rivestivano la qualifica di whistleblower. In tale ipotesi, infatti, il presunto responsabile ha tenuto il medesimo comportamento e ha disposto la medesima misura organizzativa (trasferimento) sia nei confronti del whistleblower sia nei confronti di altri dipendenti che non avevano presentato segnalazioni di illeciti e ciò denota chiaramente l’assenza di un trattamento discriminatorio.

Un ulteriore elemento che può assumere rilevanza al fine di escludere la responsabilità per l’adozione di ritorsioni è la sussistenza di una richiesta di nulla osta al trasferimento che l’Amministrazione ha rivolto al dipendente prima di adottare la misura organizzativa.
Tale richiesta di nulla osta può costituire un indizio dell’assenza dell’intento ritorsivo in quanto essa costituisce la manifestazione di uno spirito collaborativo dei responsabili i quali, piuttosto che operare con volontà punitiva, dimostrano di aver agito nei confronti del whistleblower in modo conciliativo.

Oltre agli elementi sopra richiamati, assume analoga importanza anche la scelta della sede in cui collocare il militare; infatti anche da essa è possibile desumere la sussistenza di un eventuale intento ritorsivo. Per tale ragione, anche in questo caso, è necessario che l’Amministrazione proceda a quell’equo bilanciamento di cui si è detto nel paragrafo 2.2 e al quale si rinvia.

 

3.3 DEMANSIONAMENTO IN ASTRATTO E DEMANSIONAMENTO IN CONCRETO

Fermo restando che il demansionamento di un militare non è mai legittimo, risulta utile, in questa sede, fornire alcune indicazioni relative alle modalità con le quali l’ANAC accerta l’effettiva esistenza di un demansionamento sul piano oggettivo nonché il nesso di causalità tra la dequalificazione professionale e la precedente segnalazione di illeciti presentata dal militare.

In merito il primo profilo, dalle delibere adottate dall’ANAC in questo ambito, si evince che l’Autorità procede innanzitutto a effettuare una verifica volta ad accertare se le attività assegnate al militare siano astrattamente riconducibili alla qualifica rivestita: se la nuova qualifica assegnata è identica a quella rivestita prima del trasferimento viene esclusa la sussistenza di un formale demansionamento, salvo che entrambe le qualifiche non siano coerenti con il grado e i titoli del militare.

Inoltre, escluso il demansionamento in astratto, l’ANAC procede alla valutazione dell’eventuale sussistenza di profili di demansionamento “in concreto”: si verifica, cioè, che le mansioni concretamente svolte dal militare siano adeguate alla sua qualifica professionale.
Per valutare poi la sussistenza di una ritorsione ai sensi dell’art. 54-bis, occorre accertare se l’inattività o la parziale attività svolta del militare è stata determinata da ragioni estranee alla segnalazione, ad esempio essa è da ricondurre a quelle fisiologiche disfunzioni organizzative che possono verificarsi in caso di l’insediamento di nuovi dipendenti in nuovi Uffici o se, invece, è stata determinata allo scopo di punire il dipendente.

3.4 SANZIONI DISCIPLINARI

Merita di essere approfondito anche il caso in cui l’Amministrazione irroghi una sanzione disciplinare al militare che abbia previamente presentato una segnalazione di illeciti a uno dei soggetti di cui al citato art 54- bis co 1. Anche in tale ipotesi, occorre valutare in presenza di quali circostanze la sanzione si può ritenere conforme alla normativa del whistleblowing.

In via preliminare, è bene chiarire che l’art 54-bis d.lgs. 165/2001 vieta l’irrogazione di sanzioni disciplinari che siano “determinate dalla segnalazione” ma non impedisce di sanzionare il whistleblower per comportamenti diversi, ulteriori ed estranei al fatto della segnalazione. Diversamente, si attribuirebbe al segnalante la licenza di violare, senza alcuna ripercussione, il codice di comportamento adottato da ogni amministrazione.
In tale senso, si colloca quella giurisprudenza che sancisce il principio secondo cui la protezione posta dalla legge 179/2017 non opera nei casi in cui il lavoratore si improvvisi investigatore violando le norme per raccogliere prove di illeciti volte ad integrare la segnalazione. La normativa in materia di whistleblowing, infatti, non fonda alcun obbligo di attiva acquisizione di informazioni e non autorizza improprie attività investigative, in violazione dei limiti posti dalla legge .

Fatta tale doverosa premessa, occorre evidenziare che, qualora il militare segnalante si rivolga ad ANAC per comunicare l’adozione nei suoi confronti di una sanzione disciplinare asseritamente ritorsiva, l’Autorità è tenuta ad avviare, nei confronti del responsabile dell’adozione della misura, il procedimento sanzionatorio ai sensi dell’art 54-bis co 6 primo periodo.
Come sopra già evidenziato, l’intento ritorisivo può desumersi, tra l’altro, dall’infondatezza o dalla pretestuosità delle motivazioni poste a fondamento dell’adozione della sanzione disciplinare nonché dal ricorso a presunzioni gravi, precise e concordanti.
Ad esempio, si ritiene che la sussistenza di errori manifesti commessi dall’amministrazione nell’interpretazione del codice di comportamento nonché nell’inquadramento della figura del whistleblower possano essere valutati come un elemento idoneo a ritenere provato in via indiziaria il dolo ritorsivo del provvedimento adottato.
Ancora, si osserva che la fondatezza della sanzione, la sua proporzionalità e ragionevolezza nonché il comportamento non ostile tenuto dal responsabile successivamente all’adozione del provvedimento sanzionatorio possano costituire elementi idonei a escludere la sussistenza dell’intento ritorsivo.
Infine risulta opportuno ribadire, come sopra già detto, che l’Autorità ritiene configurabile la responsabilità ex art. 54-bis non solo in capo al firmatario della sanzione disciplinare ma anche in capo al soggetto che ne suggerisce o propone l’adozione. Ciò trova un importante ancoraggio nella Direttiva Europea 2019/1937 (Whistleblowing), la quale, al considerando 72, statuisce che “le persone segnalanti dovrebbero essere protette da qualsiasi forma di ritorsione, diretta o indiretta, attuata, incoraggiata o tollerata da parte del loro datore di lavoro (…)”.

Per quel che riguarda, invece, la sindacabilità della scelta dell’Amministrazione di avviare il procedimento disciplinare nei confronti del militare segnalante, si evidenzia che il carattere inderogabile e obbligatorio dell’azione disciplinare non è, di per sé solo, idoneo ad escludere l’intento ritorsivo. Tale carattere dell’azione disciplinare è recessivo rispetto all’obbligo di tutelare il dipendente che sia qualificabile come whistleblower. Infatti, l’esigenza di rispettare quanto sancito dall’art. 54-bis impone all’amministrazione di astenersi dall’avviare il procedimento disciplinare contro il dipendente pubblico qualificabile come whistleblower laddove l’eventuale sanzione possa dirsi ritorsiva. Pertanto, l’art. 54-bis costituisce una deroga al carattere obbligatorio del procedimento disciplinare.

Ad ogni modo, qualora l’Amministrazione abbia già avviato nei confronti del militare whistleblower un procedimento disciplinare e la sanzione irrogabile al suo esito, anche a fronte delle memorie prodotte dal lavoratore, si configuri come illegittima per violazione dell’art 54-bis, il suddetto procedimento dovrà essere archiviato per evitare di integrare l’illecito amministrativo.
In tal senso, si precisa che, secondo l’ANAC, finché il provvedimento disciplinare non è stato adottato, non può essere avviato un procedimento sanzionatorio ex art. 54-bis comma 6, primo periodo poiché il mero avvio di un procedimento disciplinare, che potrebbe concludersi con l’archiviazione, non rientra nel concetto di misura ritorsiva. Infatti, la contestazione disciplinare ha il solo scopo di segnalare all’interessato l’avvio del procedimento per consentirgli di esercitare il diritto di difesa e di fornire quegli elementi fattuali e giuridici necessari ad una corretta e piena ricostruzione della vicenda. In altri termini, lungi dal costituire un atto idoneo a produrre effetti negativi, l’atto di apertura del procedimento disciplinare si configura quale essenziale strumento volto ad assicurare la garanzia partecipativa e il necessario contraddittorio difensivo; il dipendente, mediante tale atto, è posto nella condizione di partecipare al procedimento e di fornire gli elementi utili per indurre l’amministrazione a concludere il procedimento con l’archiviazione. Pertanto, l’atto di avvio del procedimento disciplinare, inserendosi nella fase endo-procedimentale ed essendo inidoneo sia ad incidere sullo status professionale del dipendente sia a produrre effetti negativi, diretti o indiretti, nei confronti dello stesso, è considerato come un “atto neutro”. Ne deriva che l’intento ritorsivo del soggetto qualificato come responsabile sarà valutato non in relazione alla contestazione disciplinare che è, appunto, improduttiva di effetti pregiudizievoli, ma al provvedimento conclusivo del procedimento disciplinare.

3.4.1. IL RISPETTO DELLA GERARCHIA DA PARTE DEL MILITARE WHISTLEBLOWER

Un’ulteriore, specifica e frequente fattispecie che viene in rilievo è quella in cui il militare, senza rispettare la scala gerarchica, abbia presentato una denuncia all’Autorità giudiziaria penale o contabile oppure abbia segnalato illeciti ad ANAC o al RPCT dell’Amministrazione.
In questo caso, la questione che occorre affrontare è se se sia legittimo sanzionare disciplinarmente il militare che abbia segnalato illeciti a uno dei soggetti testè indicati senza aver rispettato quella specifica e obbligatoria scala gerarchica che le norme del TUOM e del codice dell’Amministrazione militare impongono (ad es. art. 735 TUOM; art. 715 TUOM, etc).
Nello specifico, la questione sorge in quanto, in base alle suddette norme, il militare è obbligato, nel rispetto della scala gerarchica ivi indicata, a segnalare la commissione di illeciti unicamente al suo superiore.
Tuttavia, la legge 30 novembre 2017, n. 179 ha modificato l’originaria formulazione dell’art. 54-bis del d.lgs. 165/01 disegnando il whistleblower come il pubblico dipendente che, nell’ambito dell’amministrazione di appartenenza, denunci possibili illeciti non più al “superiore gerarchico” ma al RPCT ovvero all’Autorità giudiziaria, alla Corte dei Conti, all’ANAC.
Ne consegue che, alla luce del principio di tassatività dei destinatari della segnalazione di cui al comma 1 dell’art 54-bis, il militare che rispetta la scala gerarchica e segnala illeciti al suo superiore gerarchico non può essere qualificato come whistleblower e non potrà godere delle tutele contro le ritorsioni previste dalla suddeta norma.
Si viene a creare dunque un cortocircuito logico in cui, da un lato, ogni militare è obbligato al rispetto dellla scala gerarchica; ma dall’altro, tale rispetto finisce con l’impedire, di fatto, a qualsiasi militare di poter beneficiare della protezione fornita dall’istituto del whistleblowing.
Nell’auspicare un coordinamento espresso da parte del legislatore, si ritiene che tale contrasto, sorto tra le sovra richiamate norme giuridiche del TUOM e l’art. 54-bis (che nel suo ambito soggettivo ricomprende espressamente anche il personale mitare), possa essere risolto alla luce del criterio in forza del quale la novella legislativa successiva ha carattere prevalente (art. 54-bis) su quella regolamentare previgente (TUOM).
Stesso discorso vale laddove vi siano delle norme del codice dell’ordinamento militare che impongano al dipendente segnalante il rispetto della via gerarchica. Anche in questo caso si ritiene che l’eventalue contrasto, sorto tra tali disposizioni del codice e l’art. 54-bis (che nel suo ambito soggettivo ricomprende espressamente anche il personale mitare), possa essere risolto alla luce del criterio cronologico in forza del quale in caso di antinomia tra due norme giuridiche dello stesso grado gerarchico, la novella legislativa successiva speciale ha carattere prevalente su quella meno recente.

Ne deriva che, laddove il militare, al fine di ottenere le tutele della normativa whistleblowing, abbia segnalato la commissione di illeciti ad uno dei soggetti di cui al comma 1 dell’art. 54-bis, senza rispettare la via gerarchica, non potrà essere sanzionato disciplinarmente per non averla osservata.

Tuttalpiù, si potrebbe affermare che, al fine di contemperare le discipline in esame e in linea con quanto statuito dalla Direttiva Europea 2019/1937, il militare debba rivolgersi in via prioritaria al RPCT dell’Amministrazione di appartenza e solo laddove la questione non trovi risoluzione grazie all’intervento di quest’ultimo, dovrà rivolgeresi agli organi esterni all’Amministrazione (ANAC, Autorità giudizaria o contabile).
Per gli stessi motivi sopra evidenzati, si ritiene che - quando il militare si avvale della qualifica di whistleblower - egli non sia tenuto a informare, ai sensi dell’art. 735 co 7 TUOM, “appena possibile il superiore per il cui tramite avrebbe dovuto corrispondere in via normale”. Se infatti venisse imposta l’osservanza di tale norma, si rischierebbe di pregiudicare la riservatezza del whistleblower e lo si esporrebbe a possibili ritorsioni.
Tuttalpiù, si potrebbe ritenere che laddove il militare scelga come destinatario della sua segnalazione ex art 54-bis l’ANAC o l’Autorità giudiziaria penale o contabile, egli sarà tenuto a informare anche il RPCT in merito agli illeciti denunciati. In tal modo, egli assolverebbe all’obbligo informativo di cui all’art 735 co 7 TUOM e supererebbe i legittimi timori legati al rischio che venga rivelata la sua identità in quanto il RPCT, destinatario della segnalazione, è tenuto a garantire la riservatezza.

Infine, coerentemente con quanto previsto dalle Linee Guida ANAC nella Parte Prima paragrafo n. 2 , laddove il militare presenti la segnalazione di illeciti solo al suo superiore gerarchico, quest’ultimo dovrà informare il segnalante che, per poter beneficare della tutela di cui all’art 54-bis, egli dovrà, qualora non l’abbia già fatto, inoltrare la medesima segnalazione anche ad uno dei soggetti di cui al comma 1 della suddetta norma (in via prioritaria al RPCT dell’Amministrazione). In una prospettiva de iure condendo, si auspica, anche in tale caso, una modifica dell’art 7 del Codice di comportamento nonché dell’art. 726 del TUOM.

PARTE IV
LA PERDITA DELLE TUTELE DI CUI AL COMMA 9 DELL’ART 54-BIS
Merita uno specifico approfondimento il comma 9 dell’art 54-bis che disciplina la perdita della tutela riconosciuta al segnalante.
Come è noto, la norma prevede che le tutele di cui all’art. 54-bis non sono garantite nei casi in cui sia accertata, anche con sentenza di primo grado, la responsabilità penale del segnalante per i reati di calunnia o diffamazione o comunque per reati commessi con la denuncia di cui al comma 1 ovvero venga accertata la sua responsabilità civile, per lo stesso titolo, nei casi di dolo o colpa grave.
Dall’analisi della suddetta norma, si possono ricavare le seguenti considerazioni.

In primis, deve evidenziarsi che il comma 9 dell’art. 54-bis richiede espressamente che la responsabilità penale o civile del whistleblower sia stata “accertata”.
Tale condizione non ricorre nel caso in cui il procedimento penale, instauratosi a seguito della denuncia presentata dal whistleblower, venga archiviato giacché detta archiviazione non comporta alcun accertamento della responsabilità penale del segnalante e, quindi, non ha alcuna rilevanza ai sensi del citato comma 9. D’altronde, tale interpretazione è pienamente coerente con la ratio della norma che, volendo incentivare la collaborazione dei dipendenti all’interno delle pubbliche amministrazioni per l’emersione di fenomeni corruttivi o di mala administration, non richiede che il dipendente sia certo dell’effettivo accadimento dei fatti denunciati e/o dell’identità dell’autore degli stessi ma che ne dia ragionevole e circostanziata evidenza nella denuncia, a nulla rilevando che, poi, successivamente detta denuncia venga archiviata.
Pertanto, si può sostenere che il militare segnalante conservi comunque le tutele previste dall’art. 54-bis sia nel caso in cui il procedimento penale instaurato nei suoi confronti si concluda con l’archiviazione sia nel caso in cui il procedimento civile che lo vede coinvolto si concluda con l’esclusione della sua responsabilità e con il rigetto della domanda risarcitoria.
Ciò in quanto l’accertamento della responsabilità penale o civile del dipendente, richiesto dal comma 9 per far venir meno le tutele del whistleblower, sussiste quando l’Autorità giurisdizionale competente irroga al segnalante una sanzione penale o, accertandone la responsabilità civile, lo condanna al risarcimento del danno.
In secundis, deve rilevarsi che la mera pendenza di un procedimento penale o civile avviato nei confronti del whistleblower per i reati o fatti lesivi commessi con la segnalazione non determina la perdita delle tutele di cui all’art 54-bis poiché, fino a quando non viene pronunciata la statuizione conclusiva del procedimento, non può ritenersi sussistente alcun accertamento della responsabilità penale o civile del militare segnalante.
In tertiis, occorre riflettere in merito ai rapporti tra il potere disciplinare di cui è titolare l’Amministrazione militare e i principi espressi dal comma 9 dell’art. 54-bis.
Sul punto, si riporta l’orientamento dell’ANAC secondo cui il provvedimento disciplinare irrogato al dipendente che ha presentato una segnalazione di illeciti può dirsi conforme al comma 9 dell’art 54-bis d.lgs. 165/2001 solo se adottato successivamente a una pronuncia di un giudice terzo e imparziale che ritenga il segnalante responsabile civilmente o penalmente per una condotta diffamatoria o calunniosa (o comunque delittuosa) posta in essere attraverso la segnalazione presentata. In altre parole, il provvedimento disciplinare adottato nei confronti del whistleblower, per ragioni connesse alla segnalazione, sarà ritorsivo se adottato prima che sia avvenuto il suddetto accertamento giudiziale.
Questo principio deve essere debitamente considerato per una corretta applicazione delle norme del codice militare e del TUOM che sanzionano il militare nei casi in cui egli, con la sua condotta, abbia leso il decoro, il prestigio o la reputazione di colleghi, superiori o dell’Amministrazione stessa (ad es. artt. 732 comma 1, 2 e 3 lett a) TUOM; 713; 751; 729 comma 1 lettera a).
In particolare, è molto importante, per evitare una violazione dell’art. 54-bis, che l’Amministrazione, laddove ritenga che il militare, attraverso la segnalazione, abbia assunto un comportamento lesivo e disciplinarmente rilevante, non proceda autonomamente a sanzionarlo senza aver prima atteso l’accertamento giurisdizionale. Se, infatti, la PA agisse autonomamente e sanzionasse il dipendente, senza una pronuncia giudiziale che ne abbia previamente dichiarato la responsabilità civile o penale, finirebbe per sostituirsi all’accertamento giurisdizionale, disapplicando arbitrariamente il comma 9 dell’art 54 bis d.lgs. 165/2001 e, più in generale, le tutele previste da tale norma .
Alla luce di quanto sovra esposto, volendo semplificare e sintetizzare il concetto, si può affermare che l’Amministrazione, qualora ritenga che il militare abbia posto in essere, attraverso la segnalazione presentata, una condotta calunniosa, diffamatoria o, in generale, penalmente o civilmente rilevante, non potrà avviare un procedimento disciplinare nei suoi confronti per tali motivi. Solo dove intervenga, in sede giudiziaria, l’accertamento della responsabilità penale o civile per dolo o colpa grave, l’Amministrazione potrà sanzionare disciplinarmente il militare segnalante.

PARTE V
IL RAPPORTO TRA LA SEGNALAZIONE EX ART 54 BIS E LA PROCEDURA DEL PLICO CHIUSO DI CUI ALL’ART. 735 TUOM

Particolare attenzione deve essere dedicata, infine, alla speciale procedura prevista dall’art 735 co 1 TUOM, secondo cui “ogni militare può chiedere, per via gerarchica, di conferire con il Ministro della difesa o con un superiore, precisando il motivo della richiesta per le questioni di servizio, oppure dichiarandone il carattere privato, nel caso di questioni non riguardanti il servizio e la disciplina”.

La norma, in particolare, impone una riflessione in merito al rapporto intercorrente tra tale procedura e la disciplina di cui all’art. 54-bis.

Il giusto contemperamento tra le due norme induce a ritenere che laddove il contenuto del plico chiuso si traduca in una segnalazione di illeciti di cui il militare è venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto lavorativo, il destinatario del plico chiuso dovrà informare il militare che, per poter beneficare della tutela di cui all’art 54-bis, egli dovrà, qualora non l’abbia già fatto, inoltrare la medesima segnalazione anche ad uno dei soggetti di cui al comma 1 della suddetta norma (in via prioritaria al RPCT dell’Amministrazione).

Qualora, invece, il militare abbia intrapreso entrambe le vie normative (procedura del plico chiuso e segnalazione ex art 54-bis), non vi è dubbio che egli benefici delle tutele di cui all’art. 54-bis, le quali non vengono meno per il solo fatto che il dipendente abbia segnalato anche utilizzando un altro procedimento non specificamente tutelato (735 co 1 TUOM).
In altre parole, se il militare ha inoltrato la segnalazione, in via concorrente, sia ad uno dei destinatari di cui al comma 1 dell’art. 54-bis (RPCT, ANAC, Autorità Giudiziaria e o contabile) sia ad un soggetto diverso rispetto a essi, egli può comunque considerarsi un whistleblower e come tale godere delle tutele.
In particolare, si ritiene che, in tale ultima ipotesi, possa trovare applicazione non solo la tutela da eventuali discriminazioni ma anche il divieto di accesso alla segnalazione di cui all’art. 54-bis co 4 se ricorrono, in via concorrente, le seguenti condizioni:
a) il dipendente ha effettivamente segnalato ad almeno uno dei soggetti di cui all’art. 54-bis;
b) nella segnalazione trasmessa mediante plico chiuso, il dipendente ha indicato espressamente di volersi avvalere delle tutele introdotte dalla legge 179/2017 avendo già inoltrato la documentazione ad almeno uno dei soggetti di cui all’art. 54-bis.

A questo esito interpretativo si giunge valorizzando il tenore letterale della norma, la quale non prevede espressamente che la segnalazione debba essere trasmessa “solo ed esclusivamente” ai soggetti ivi indicati. Pertanto, in virtù del fondamentale principio espresso dal brocardo ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit, che richiama l'interprete ad attenersi al testo della norma e a non dedurre conseguenze dal silenzio del legislatore, si deve ritenere che affinché possano operare le tutele di cui alla normativa whistleblowing è necessario, ma anche sufficiente, che la segnalazione venga indirizzata ad almeno uno dei soggetti indicati dall’art. 54-bis e non esclusivamente ad essi (interpretazione restrittiva aderente al testo).
Inoltre, deve valorizzarsi anche un argomento di sistema, nel senso che una interpretazione differente vanificherebbe l’obiettivo perseguito dal legislatore, il quale ha introdotto il sistema di tutele sopra esposte per assicurare che i dati personali del soggetto che trasmette una segnalazione siano assistiti da un regime di garanzie particolarmente stringente allo scopo di prevenire l’adozione di misure discriminatorie nei confronti dello stesso. In particolare, se si ritenesse non operativo nel caso di specie il co. 4 dell’art 54-bis d.lgs. 165/2001, si favorirebbe un’indiretta elusione della normativa in esame giungendo all’irragionevole conseguenza che, da un lato, la segnalazione del dipendente sarebbe sottratta all’accesso nell’ambito dei procedimenti avviati da uno dei soggetti di cui al co. 1 dell’art. 54-bis; dall’altro lato, invece, essa sarebbe ostensibile nell’ambito del procedimento pendente innanzi ad altra Autorità che ha ricevuto la segnalazione e che è a conoscenza della qualifica di whistleblower in capo al dipendente.
Infine, rileva anche il parere reso dal Garante della Protezione dei dati personali sullo schema di "Linee guida in materia di tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza in ragione di un rapporto di lavoro, ai sensi dell’art. 54-bis del d.lgs. 165/2001 (c.d. whistleblowing)" - 4 dicembre 2019, nel quale è espressamente previsto che la disciplina in materia di tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti deve essere considerata come una delle “norme più specifiche per assicurare la protezione dei diritti e delle libertà con riguardo al trattamento dei dati personali dei dipendenti nell’ambito dei rapporti di lavoro”, il cui rispetto è condizione di liceità del trattamento (art. 88 del Regolamento)”.
In sostanza, l’applicazione del comma 4 dell’art 54-bis diviene indispensabile anche per assicurare il rispetto delle disposizioni in materia di privacy - che in questo ambito sono particolarmente stringenti per assicurare la protezione dei diritti e delle libertà - le quali sarebbero violate laddove si consentisse, nel caso in esame, l’ostensione della segnalazione.

 

 

 

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