TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

Sommario
L’impegno, le responsabilità, le competenze delle persone delle Pubbliche Amministrazioni sono ritenute cruciali per una diversa Pubblica Amministrazione. La professionalità non è una dimensione soggettiva ma un attributo di un sistema professionale solido che è una “struttura sociale”, come scrive Parsons.
Lo sviluppo e la protezione della professionalità oggi è prevalentemente affidata alla garanzia del mantenimento del lavoratore entro mansioni riconducibili al livello e alla categoria di inquadramento, su cui si esercitano le relazioni industriali e su cui si svolge gran parte della giurisdizione del lavoro. Questo in realtà limita l’idea di professionalità quasi solo al livello retributivo della posizione.
Presentiamo una diversa concettualizzazione del lavoro sviluppata nell’evoluzione organizzativa, recepita da alcune recenti modifiche normative e da alcuni contratti collettivi fra cui il recente CCNL del pubblico impiego: il passaggio da un insieme di mansioni definite da compiti prescritti di minore o maggiore complessità e da procedure definite dal datore di lavoro verso ruoli e mestieri /professioni di servizio in evoluzione che vengono promosse dal datore di lavoro attraverso il job design e la formazione e che vengono agite dal lavoratore in base alla propria competenza, abilità, maestria. Questa è la base di un sistema professionale nelle Pubbliche Amministrazioni.

 

Il problema
E’ da tutti condivisa l’esigenza di potenziare le competenze di coloro che lavorano nelle Pubbliche Amministrazioni e di promuovere comportamenti non burocratici orientati verso la fornitura di servizi eccellenti ai cittadini, verso i risultati, verso la cooperazione, verso l’impiego ottimale delle tecnologie.
Queste competenze e questi comportamenti non possono essere indotti solo dalla formazione e dai sistemi di valutazione, necessari ma non sufficienti. Si richiede che il sistema organizzativo e il sistema professionale richiedano e sostengano questo modo di lavorare :infatti i tradizionali modelli organizzativi burocratici e sistemi di gestione delle persone basati solo sulla gerarchia, procedure, mansioni, richiedono ai singoli prassi contrastanti con i comportamenti richiesti.
Allora occorre promuovere su larga scala nuovi paradigmi di organizzazione e sistemi professionali, peraltro già diffusi nelle migliori organizzazioni pubbliche e private. Organizzazioni flessibili caratterizzate da cooperazione autoregolata, conoscenza diffusa, comunicazione estesa, comunità ; organizzazioni guidate da “purpose” di efficacia, efficienza, sostenibilità, qualità della vita di lavoro. Sistemi professionali basati su ruoli aperti e professioni a larga banda, come sistemi per erogare servizi, per gestire le persone, per sviluppare le identità delle persone. In una parola modelli diversi da quelli burocratici e taylor-fordisti ereditati dal secolo scorso, ma ancora largamente praticati nelle imprese e nelle pubbliche amministrazioni.
Lo sviluppo di sistemi professionali nel lavoro dipendente che inducano e sostengano le competenze e i comportamenti attesi richiedono un impianto concettuale e operativo diverso e solido, che si ispira ma non copia il sistema delle professioni liberali e dei mestieri tradizionali.
L’articolo propone questo impianto e i metodi adottati nelle migliori organizzazioni. Non basta però un diverso e articolato sistema: occorre sciogliere tre nodi che hanno impedito la diffusione delle best practices esistenti: la progettazione dei servizi, la gestione del cambiamento, la semplificazione delle forme di rappresentazione e regolazione del lavoro in vigore nella normativa del diritto del lavoro e nelle regole delle relazioni industriali, una legacy rilevante .
Troppo complicato? No , se il tema dei sistemi professionali viene affrontato come un percorso di cambiamento e innovazione che richiede la collaborazione di soggetti e discipline diverse, nelle singole organizzazioni e a livello di impianto di sistema.

 

 

 

Come scrive il Presidente dell’Aran Antonio Naddeo , la transizione digitale e quella ecologica richiedono alle pubbliche amministrazioni uno sviluppo di modelli organizzativi fondati sulla flessibilità e sull’autonomia. La digitalizzazione ha di fatto eliminato molte routine operative con una necessità di acquisire nuovi profili professionali. Il nuovo ordinamento professionale impone un ripensamento complessivo delle modalità di analisi e di descrizione del lavoro cercando di evitare un eccessivo irrigidimento e formalizzazione del lavoro. Il nuovo CCNL delle funzioni centrali della PA affronta in questa prospettiva nuovo contratto delle funzioni centrali (capitale umano, organizzazione e formazione) il sistema di classificazione del personale e le progressioni economiche (stipendiali) orizzontali, che spesso sono stati i fattori di irrigidimento di una diversa concezione gestione della professionalità-

Competenze e struttura dei lavori

Il tema delle competenze percorre sempre più estesamente ogni riflessione e ogni progetto che riguarda il mondo del lavoro e quello dell’istruzione.
Gli approcci e le strumentazioni sulle competenze possono essere strumenti preziosi per gestire il lavoro e i sistemi educativi, ma possono diventare un alibi quando vengono visti come una alternativa alla difficile ma indispensabile progettazione di nuove forme e modelli di lavoro, di sistemi professionali, di organizzazione, di sistemi educativi. In questo rischio il libro non incorre
E’ noto che fra pochi anni gran parte dei lavori che esistono non ci saranno più o saranno profondamente cambiati. Sorgeranno nuovi lavori. Di fronte a questa incertezza emerge spesso la tendenza a rinunciare a progettare il lavoro e a ripiegare invece sulla apparente flessibilità consentita da una gestione per competenze, viste come sorta di molecole o di mattoncini che possano essere ricomposte al bisogno per la selezione, la gestione, la valutazione,
Prevale in questo una visione vecchia del lavoro: mansioni fatte di compiti destinati ad essere oggetto di addestramento e di essere allocati fra gli uomini e le macchine entro procedure ben definite: una visione molecolare e frantumata del lavoro come somma di competenze, hard e soft, il lavoro come derivato di procedure.
Progettare i lavori invece vuol dire configurare, nella concretezza e nella varietà dei processi produttivi e amministrativi e nella realtà della vita delle persone, nuove idee di lavoro valide, solide, decenti che offrano professionalità, identità e cittadinanza, come per esempio lo furono i lavori artigiani nel rinascimento, le professioni nell’800, il lavoro dei civil servant nella Pubblica Amministrazione il lavoro di fabbrica del ‘900.

I nuovi sistemi professionali: ruoli e professioni a larga banda

Il lavoro nella quarta rivoluzione industriale sarà costituito da innumerevoli e cangianti ruoli nuovi o profondamente modificati, generati non da ineluttabili “effetti delle tecnologie” ma dalla progettazione e gestione congiunta del lavoro, dell’organizzazione, delle tecnologie.
Il nuovo modello del lavoro - intellettuale e manuale, in presenza o remoto-che già si profila sarà basato su conoscenza e responsabilità, dovrà essere in grado di controllare processi produttivi e amministrativi complessi, richiederà competenze tecniche e sociali. Un lavoro che susciti impegno e passione. Un lavoro fatto di relazioni positive tra le persone e con le tecnologie. Un lavoro che includa anche il “workplace within”, ossia “il posto di lavoro che sta dentro le persone” ossia le loro storie personali e lavorative, le loro esperienze di vita e di lavoro, la loro formazione, le loro aspirazioni e potenzialità.
Le diversissime attività contenute nei lavori vecchi e nuovi in questa quarta o quinta rivoluzione industriale hanno alcuni elementi in comune: producono conoscenza per mezzo di conoscenza, forniscono output economicamente e socialmente tangibili ossia servizi di valore per gli utenti finali (persone, famiglie, imprese) oppure servizi agli utenti o alle strutture interne alle organizzazioni (terziario interno). Quando l’output è una relazione, (per es. un consulto medico, un parere legale, una lezione, un articolo giornalistico, una fisioterapia, un servizio al tavolo etc) il lavoro richiede conoscenze e competenze contestualizzate e personalizzate e la capacità di presa in carico dei bisogni del cliente.

 

 

Dalle mansioni ai ruoli aperti

La componente di base dei nuovi lavori è rappresentata dai ‘ruoli aperti’. Questi ruoli non sono le mansioni prescritte nel taylor-fordismo, non sono i profili formalizzati nelle relazioni industriali ma ruoli ascritti in cui vengono definite aspettative dinamiche rappresentati come “copioni”, che divengono “ruoli agiti” allorché essi vengono animati, interpretati e arricchiti dalle persone vere all’interno delle loro organizzazioni o del loro contesti. Nell’esercizio di questi ruoli aperti si crea lo spazio strutturale per l’emergenza dell’homo faber che esercita le conoscenze e la ‘maestrìa’ come “impulso umano fondamentale, come desiderio di svolgere bene il lavoro” come dice Sennet , e ciò in opposizione all’homo laborans .
I ruoli nuovi o trasformati che emergono nell’industria e nelle Pubbliche Amministrazioni saranno fra loro diversissimi per contenuto, livello, valore, competenze richieste ma saranno tutti basati su quattro comuni componenti di base :
a) responsabilità su risultati materiali e immateriali, economici e sociali, strumentali ed espressivi, nonché consapevolezza del valore che questi risultati hanno per l’economia, l’organizzazione, la società;
b) autonomia e governo dei processi sia di fabbricazione di beni sia di elaborazione di informazioni e conoscenze, sia di generazione di servizi, sia di ideazione e di comunicazione. Processi che per questo devono essere disegnati in modo che la persona sia in grado di padroneggiarli, migliorarli e perfezionarli, con l’aiuto delle tecnologie digitali;
c) gestione attiva delle relazioni con le persone e con la tecnologia, ossia piena abilitazione a lavorare in gruppo, comunicare estesamente, interfacciarsi con le tecnologie e utilizzarne il potenziale;
d) possesso e continua acquisizione di adeguate competenze tecniche e sociali.
In un contesto in cui le mansioni regolamentate, i profili definiti da specifiche dettagliate e da curriculum scolastici prescritti, i mestieri tradizionali, le professioni ordinistiche vengono senza posa resi obsoleti e sostituiti da altri che non hanno ancora nome, come sarà possibile per le persone mantenere e sviluppare una work identity, una identità professionale? Come sarà possibile per i policy makers programmare il mercato del lavoro e i processi formativi? Qualcuno ha proposto di far ricorso alle competenze, ma esse sono solo componenti essenziali di ruoli e professioni e non possono avere vita propria: sarebbe come ricorrere alle molecole quando non siamo capaci di rappresentare e nominare gli oggetti e gli esseri viventi che esse compongono..
Conosciamo da gran tempo un dispositivo che consente di portare a unità diversissimi lavori fortemente differenziati per livelli di responsabilità, di remunerazione, di seniority: quello dei mestieri (ahimè in gran parte distrutti dalla rivoluzione taylor-fordista) e delle professioni(ahimè ristrette entro i confini degli ordini professionali: medici, giornalisti, ingegneri, geometri etc.) .

 

Le professioni a larga banda
Gli innumerevoli ruoli che stanno emergendo nella quarta rivoluzione industriale infatti possono e devono essere raggruppati in nuovi mestieri e professioni anche non ordinistici. Il concetto di famiglie professionali si avvicina a questo concetto ma bisogna concepirle e rappresentarle non come ”mansioni che si assomigliano” ( selezionate spesso per assicurare una omogeneità di trattamento economico) ma bensì come costrutti socio-organizzativi. Queste professioni non sono solo nuove mansioni, nuovi set di attività, nuovi nomi, ma sono vere e proprie strutture produttive di servizi, ossia unità produttive”, istituzioni produttive e sociale. Come il medico è una struttura di produzione di servizi, anche un progettista, un esperto di marketing, un esperto di pianificazione e controllo , un ispettore di un ministero, è una istituzione produttiva e sociale, un “officium” della società: a essa si accede con regole sociali e giuridiche. La “piccola azienda” nell’azienda chiamata “professionista” ha bisogno però di un sistema istituzionale e di forme di organizzazioni del lavoro basate su cooperazione intrinseca, condivisione delle conoscenze, comunicazione estesa, comunità professionale.
Questa professione è anche un patrimonio della persona: è un modo sintetico ed esternamente riconoscibile di declinare la propria identità professionale, il proprio valore sul mercato del lavoro, i propri valori, il patrimonio di competenza e moralità.
In sintesi un sistema professionale è una struttura sociale e organizzativa che è al tempo stesso a) parte essenziale del sistema di erogazione di servizi, b) fonte primaria della identità lavorativa delle persone, c) sistema di gestione e sviluppo delle persone che individua percorsi formativi e di sviluppo in cui le persone si possono orizzontare.
Il grafico seguente rappresenta le funzioni convergenti di tale sistema che va costruito dinamicamente all’interno di una stessa organizzazione o di uno stesso comparto

Figura 1 Il Sistema (o modello) professionale

Le nostre ricerche ci hanno indotto a proporre fin dal 2014 che il paradigma dominante del lavoro virava verso quello dei mestieri e professioni dei servizi a banda larga(broadband service professions). Perché questa definizione? A banda larga, perché questi mestieri e professioni devono poter contenere un altissimo numero di attività e ruoli in continua evoluzione e diversi per contenuto, livello, background formativo; servizi perché il vero scopo oggetto dell’attività professionale è quella di creare utilità rese sia al cliente finale sia alle strutture interne dell’organizzazione. Questo costrutto permette alle persone di passare da un ruolo all'altro senza perdere identità; permette una visione e una strumentazione a chi programma servizi, lavoro e formazione.

Istituzionalizzazione e riconoscimento delle nuove oprofressioni nelle organizzazioni
Nel passato le parole chiave delle mansioni del lavoro subordinato sono state gerarchia, comando, responsabilità, livelli, carriera per ascesa nella piramide. Le parole chiave del professionista nell’organizzazione sono invece responsabilità dei risultati, servizio, cliente, innovazione. I professionisti nelle organizzazioni utilizzano le loro conoscenze, competenze, abilità entro il “copione” costituito dalla sequenza di ruoli assegnati e agiti, caratterizzati da elevata discrezionalità e responsabilità; forniscono servizi e non prodotti come gli artigiani. Essi assomigliano ai liberi professionisti, ma se ne distinguono per le forme giuridiche attraverso cui sono compensati , per l’autorità a cui sono sottoposti e per essere parte di una organizzazione.
Il classico paradigma della professione, che di seguito elenchiamo, tuttavia si applica anche a loro

1. Servizio legittimato di significativo valore tecnico, economico, sociale
2. Teorie e tecniche che sostengono l’erogazione del servizio
3. Deontologia verso il cliente, l’organizzazione, il pubblico
4. Autonomia e discrezionalità, basata sull'assunzione del rischio delle proprie decisioni
5. Competenze distintive
6. Reputazione e notorietà nell'organizzazione e presso i clienti
7. Curriculum scolastico e registrazione delle esperienze
8. Standard professionali
9. Comunità professionale di riferimento (locale e internazionale)
10. Formazione scolastica e aziendale
11. E soprattutto un “ideale di servizio” caratterizzante e impegnativo.
Le professioni nelle organizzazioni hanno molti elementi in comune con le professioni liberali: teorie e tecniche, codici deontologici, cursus formativo, carriera basata sulla reputazione, etc. Le persone si sviluppano professionalmente non per automatismi, ma per continuo miglioramento di competenze provate. Vi è un corpo di teorie e di metodologie alla base della professione nella organizzazione. La carriera è spesso costruita sulle scelte, gli errori, le vocazioni della persona entro un quadro di opportunità strutturali. La formazione è teorica e pratica. Le responsabilità individuali sono condivise con l'azienda o l’Amministrazione. La reputazione di risultati e successi ottenuti sono alla base della carriera.
A differenza delle professioni liberali, che operavano individualisticamente, le professioni nelle organizzazioniperò realizzano i loro risultati solo nella cooperazione con altri, nella integrazione con le strategie e con i processi dell'organizzazione, si avvalgono di metodologie e tecnologie frutto di investimenti assicurati dall'organizzazione. Il loro servizio appartiene all’organizzazione cui appartengono oltre che al loro lavoro. Il rapporto tra professioni e organizzazioni non è di opposizione, ma di integrazione.
Ma le professioni non ordinistiche non hanno un sistema di licenze, certificazione, autorizzazione valutazione extra-aziendale. E se ce le hanno sono secondarie rispetto al “work itself”, il lavoro in se stesso e la passione e l’orgoglio di farlo bene. La forma contrattuale può essere quella del contratto di lavoro subordinato ( dipendente di azienda o amministrazione) o di un incarico di prestazione, ma il modello professionale deve avere una sua riconoscibilità e gestibilità
L’idea di professione consente una grande estensione. Tutti conosciamo il mestiere del carpentiere (che include i casi sia del giovane apprendista che lavora in una ditta di infissi sia quello del grande montatore di tralicci Tino Faussone de La chiave a stella di Primo Levi) e la professione del medico (che include il giovane praticante e il primario, il medico ospedaliero e il libero professionista, l’ortopedico e lo psichiatra). Il modello del mestiere e della professione include un’estrema varietà di situazioni occupazionali concrete in cui potrebbero rientrare in un numero limitato di broadband profession. Non si tratta di inventare nuovi nomi e profili ma di potenziare la configurazione e i processi di concreta architettura dei nuovi lavori (job design, job crafting) e di consolidare poi alcuni pochi mestieri e professioni su cui investire in termini di formazione e sviluppo .

Alcuni mestieri e professioni emergenti

Un primo grande aggregato professionale sono gli architetti del nuovo lavoro . Essi includono professioni diversissime: ad esempio quelle del manager di impresa, dell’imprenditore, del knowledge owner di una funzione aziendale, del consulente, del professore universitario, etc... In questo aggregato vanno incluse le professioni dei ricercatori e degli scienziati che assicurano l’innovazione nelle conoscenze teoriche e nelle tecnologie. Tutti essi proverranno da studi universitari rigorosi , auspicabilmente di nuova concezione. E soprattutto lavoreranno insieme in contesti multidisciplinari per sviluppare nuove composizioni di tecnologia, organizzazione, lavoro.
Questa idea delle professioni nelle organizzazioni non contrasta con il fatto che alcuni di esse ricoprano funzioni di coordinamento e controllo: posizioni organizzative, quadri, dirigenti. Questi da una parte svolgono funzioni e hanno responsabilità anche formali aggiuntive rispetto a quelle della propria professione di servizio: ma essi tendono nelle nuove forme organizzative ad esercitare più la leadership che il comando, più la facilitazione che il controllo, più la formazione che la punizione e soprattutto hanno una funzione di essere protagonisti del cambiamento.. Essi tendono a divenire architetti del nuovo lavoro. Gli esempi sono diversissimi : ad esempio quelle del manager, del knowledge owner di una funzione aziendale, del consulente, del professore universitario, etc... La formazione universitaria per queste professioni è indispensabile.
Per quanto riguarda i tecnici e i professional, alcuni mestieri e professioni saranno specifici per settori. Per esempio, nel settore abbigliamento mestieri come modellisti, stilisti, tecnici del taglio delle confezioni. Altri saranno trasversali come i venditori di servizi; i progettisti customizzatori; i tecnico-commerciali; i tecnici informatici; i professionisti dei social media; i capi intermedi come coach capaci di insegnare a imparare; i project leader e coordinatori capace di fare e far fare; i professionisti degli acquisti delle materie prime; i tecnici di logistica integrata; i tecnici di controllo delle gestione economica e del benessere organizzativo; i tecnici corporate con piena conoscenza linguistica in grado di muoversi globalmente. Per essi lo sviluppo degli ITS (Istituti Tecnici Superiori) e delle lauree professionalizzanti sono uno dei terreni di sviluppo di new jobs e new skills.
Mestieri che si stanno evolvendo rapidamente sono le figure di artigiani digitali impegnati nelle aziende del Made in Italy che sono caratterizzate dalla qualità, bellezza, personalizzazione del prodotto: scarpe, abiti, mobili, cibo ma anche software fatti apposta per il singolo utente finale. Si stima che in Italia vi sia un 10% circa di artigiani e operai specializzati con l’‘intelligenza nelle mani’.
Anche gli operai saranno chiamati a svolgere nuovi mestieri. Se da una parte molte attività operative di pura manipolazione saranno sostituite dalle tecnologie, rimarranno necessarie figure di operatori di processo, manutentori avvezzi a usare tecnologie informatiche e a controllare varianze. Il loro livello di formazione sarà molto più elevato. Le figure di “operai aumentati” sono già diffusi in tutti i settori.
Le professioni e i mestieri citati non copriranno ovviamente tutto il mondo del lavoro ma rappresenteranno il posizionamento baricentrico dei sistemi professionali emergenti. Le service broad professions potranno costituire la locomotiva che riqualificherà il resto del mondo del lavoro.
Il modello dei mestieri e professioni di servizio potrebbe divenire un paradigma di riferimento plausibile anche per i lavori operativi, anche per quelli più umili che non richiedono elevata formazione scolastica? Forse sì.
È plausibile la prospettiva di un “professionalizzazione di tutti”, anche di giovani che entrano nel mondo del lavoro, aiutandoli a imparare ad apprendere, a contribuire a rafforzare la propria identità lavorativa e l'identità umana. Wilensky nel 1964 parlava di professionalization of everyone richiedendo per questo diffuso professionalismo solo due requisiti: il possesso di una conoscenza distintiva e l’ideale (l’orientamento) al servizio. Questi requisiti erano assenti nel lavoro del taylor-fordismo e della burocrazia weberiana, anche nei lavori qualificati: in essa la conoscenza e la responsabilità sui risultati appartiene all’imprenditore o al manager e le persone sono tenute a svolgere le mansioni assegnate e rispondono alla gerarchia non ai clienti.
È un “futuro professionale” quello che qui intravediamo. Esso, per essere attuato su larga scala, richiede quel percorso di architettura dei nuovi lavori e di progettazione formativa innovativo che abbiamo prima tratteggiato.
In sintesi, il modello di progettazione del lavoro sviluppato dalla Fondazione Irso e adottato in un gran numero di ricerche e di progetti è rappresentata nella seguente tavola( ).

 

Tavola 1 Butera e Di Guardo Il modello di analisi e progettazione del lavoro della Fondazione Irso

I tre nodi per lo sviluppo dei ruoli e delle professioni nelle Pubbliche Amministrazioni: progettazione dei servizi, gestione del cambiamento di cambiamento, semplificazione delle forme di rappresentazione e regolazione del lavoro

Sono applicabili questi modelli nelle Pubbliche Amministrazioni?
La risposta è affermativa: ruoli e professioni centrati sull’erogazione dei servizi ai cittadini e responsabili di risultati sono strutture sociali indispensabili per potenziare il ruolo delle Pubbliche amministrazioni come presidio di servizi di qualità ai cittadini. Ruoli e professioni sono anche le condizioni non solo per la crescita delle competenze ma per il miglioramento della qualità della vita di lavoro.
Per attuare queste possibilità però occorre sciogliere tre nodi specifici delle pubbliche amministrazioni italiane soggette al diritto amministrativo e alle relazioni industriali che rendono questi sviluppi assai più difficili rispetto alle organizzazioni non pubbliche: le antinomie fra legittimità e servizi, fra riforme legislative e processi reali di cambiamento, fra organizzazione reale e sistemi di rappresentazione e contrattazione dell’attività lavorativa. Queste antinomie non risolte danno luogo a fenomeni designati spesso come burocrazia, ipernormazione, formalismo giuridico e rigidità delle relazioni sindacali.

Queste antinomie però non sono fatali. Possono infatti essere attivate azioni e programmi su tre principali aree critiche a) far convivere legittimità e servizio; b) attivare programmi di cambiamento processuale; c) superare le rigidità di un sistema di rappresentazione e gestione mansionistico del lavoro ereditato dal diritto amministrativo e dalle relazioni industriali del secolo scorso. Proviamo di seguito a illustrare come.

a) Trovare un equilibrio fra legittimità e servizio
Nello Stato democratico i bisogni essenziali dei cittadini ricevono protezione attraverso il riconoscimento dei diritti. La titolarità dei diritti è assicurata da leggi e regolamenti e dalla azione amministrativa della PA; i diritti a loro volta definiscono gli obblighi che la Pubblica Amministrazione deve rispettare e i criteri di legittimità dei procedimenti amministrativi. Ma assicurare protezione giuridica ai diritti non equivale a soddisfare fino in fondo i bisogni a cui essi fanno riferimento. I bisogni sono soddisfacibili non in virtù del rispetto di un diritto e della garanzia offerta da un procedimento amministrativo ma solo attraverso un complesso processo tecnico-organizzativo di realizzazione: ossia da processi di servizio che non sono la stessa cosa dei procedimenti amministrativi.
"Il servizio fornito dalla Pubblica Amministrazione consiste nella preparazione e nella erogazione di attività per lo più immateriali - prestate da persone con l'ausilio di tecnologie - necessarie o utili al soddisfacimento di bisogni dei cittadini e delle organizzazioni - ritenuti legittimi e protetti dall'ordinamento giuridico “ .
Le diverse Amministrazioni (Comuni, Province, Amministrazioni Centrali, Enti Speciali, etc.) sviluppano programmi di miglioramento dei servizi, e in qualche caso tentano di progettare e gestire in modo innovativo "sistemi di servizio", ossia
• ripensare la "concezione dei servizi";
• "re-ingegnerizzare i processi di servizio e progettare congiuntamente tecnologia, organizzazione e persone";
• identificare e ascoltare sistematicamente i bisogni degli utenti finali
L'Ente pubblico eroga sempre servizi anche se non lo sa. Sono servizi non solo la predisposizione e gestione di infrastrutture (strade, edifici scolastici, ospedali, teatri, farmacie, etc.); le "public utilities"(gas, acqua, elettricità, igiene ambientale); il supporto a categorie della popolazione (istruzione, assistenza agli anziani, assistenza ai disabili); le attività certificative (anagrafe). Ma anche le attività di potestà o di regolazione dell'Ente Pubblico che tendono a conservare e proteggere beni collettivi che devono potere essere fruiti da tutti (giustizia, gestione delle entrate fiscali, polizia, licenze e concessioni edilizie), attività che hanno sì una funzione di garanzia degli interessi superiori dello Stato e della collettività, ma
implicano un bisogno/interesse legittimo dei singoli cittadini a riscontrare negli atti di potestà o di regolazione equità, funzionalità, efficienza trasparenza, qualità, cortesia: il contrario è un disservizio, oltre che talvolta una violazione di diritti protetti dall'ordinamento giuridico. I tribunali difendono i cittadini dalle violazioni di legge; nessuno però difende i cittadini dal disservizio.
Il servizio è sempre frutto di un processo storico di invenzione e realizzazione di modi per soddisfare bisogni: poste, ospedali, assistenza pensionistica, sono servizi relativamente recenti; il servizio tributario ha diverse concezioni nei paesi evoluti ed è tuttora in evoluzione. La configurazione del servizio è storicamente determinata e soddisfa bisogni plurimi: l'ospedale è un insieme un luogo di terapia della malattia, un albergo e una comunità; l'ufficio delle entrate di una Amministrazione Finanziaria è un centro di raccolta e trattamento delle informazioni per assicurare le entrate fiscali ma anche è un centro di servizio a chi è tenuto a fornire dichiarazioni fiscali,
Un servizio in sintesi è l'insieme di:
* prestazioni di base (core service): accertare e riscuotere tasse e imposte, assegnare la pensione, trasportare, offrire un servizio sanitario, etc.;
* prestazioni ingegnerizzate("structuring",strutturazione): fornire informazioni e strumenti per agevolare l'adempimento degli obblighi di legge, rendere reperibile e fruibile i servizi di certificazione soddisfare diritti/bisogni legittimi(tempestività, certezza, trasparenza etc.): i moduli, le file, i tempi di attesa, la configurazione dello sportello, sono gli effetti di come modi il servizio è reso;
* prestazioni personalizzate("service delivery", consegna): erogare il servizio alla singola persona in un rapporto faccia a faccia o attraverso uno sportello tecnologico (in modo amichevole, affabile, utile).
In questi ultimi due il ruolo delle tecnologie digitali è cruciale.
L’equilibrio fra la legittimità degli atti della Pubblica Amministrazione e la efficacia, efficienza, gradimento dei servizi è un continuum che vede a un capo gli adempimenti e dall’altro la gestione dinamica dei servizi.
Se una Pubblica Amministrazione opera solo per procedure e adempimenti e/o in modo difensivo rispetto a possibili rilievi della giustizia amministrativa e ordinaria, non riesce a gestire dinamicamente i servizi e non ha quindi un legittimazione solida per chiedere ai dipendenti di svolgere ruoli e professioni di servizio. Dichiarare di impegnarsi a fornire i migliori servizi al cittadino in questi casi è pura retorica o mera compliance a macchinosi sistemi di valutazione delle performance che non incentivano e premiano il comportamento professionale ma giustificano solo l’attribuzione di extra remunerazioni.
In sintesi l’identificazione di un equilibrio corretto fra legittimità e servizi è il primo prerequisito per sviluppare sistemi professionali solidi nella Pubblica Amministrazione.

b) Attivare processi reali di cambiamento delle pubbliche amministrazioni.
Per sviluppare nuovi sistemi professionali bisogna cambiare il lavoro e le organizzazioni.
Nei sistemi occidentali prevalgono tre grandi modelli di cambiamento della Pubblica Amministrazione: il “modello ordinamentale” di cambiamento, il modello del “cambiamento osmotico” e il “modello processuale( governed process of change).
• Il modello ordinamentale di cambiamento (il più antico e diffuso nei Paesi occidentali di cultura tedesca, francese e italiana) parte dall’assunto che il sistema cambia quando è varata una legge che ne modifichi l’assetto. Il modello “ordinamentale” si basa sull’idea di riforma: leggi, decreti, ordinamenti, regole, organizzazione istituzionale.
• Il modello di cambiamento osmotico, che consiste nell’adattare continuamente al mutamento del contesto le modalità e i contenuti concreti di attività, sistemi di cooperazione, di conoscenze, di comunicazione interni ed esterni in una specifica comunità di lavoro.
• Il modello di gestione del cambiamento strutturale (governed process of change) di tradizione anglosassone consiste in un processo, ossia in una serie di azioni continuative tese a produrre un cambiamento: esso consiste in programmi o progetti che tentano di attivare processi di innovazione e cambiamento della Pubblica Amministrazione. Questo modello prevede un piano di medio-lungo periodo ma soprattutto prevede un piano e prassi di attuazione che fissino valori e obiettivi di miglioramento del servizio, che accompagnino il cambiamento già in atto e quello che seguirà, che animi, valorizzi e canalizzi le energie disponibili, che assicuri la partecipazione del personale. Che, in una parola, faccia avvenire effettivamente il cambiamento. (Thoenig,1992; Maynz, 1982)
Il cambiamento della Pubblica Amministrazione italiana deve utilizzare tutti e tre questi modelli, ma purtroppo raramente ha adottato il terzo, tranne che in alcuni casi.
E’ necessario andare oltre l’illusione di modificare la burocrazia pubblica solo con il diritto amministrativo, con l’informatica, con il public management: la gestione del cambiamento proposta fin dagli anni 90 nei paesi anglosassoni come participative governance, include tutto ciò e molto di più: una amministrazione che opera in rete con i soggetti dell’economia e della società e che non è la palla al piede ma bensì è promotrice dello sviluppo .
Le Pubbliche Amministrazioni in Italia, investite oggi da uno drammatico mutamento economico e sociale, continuano ad essere spinte a ristrutturarsi e a cambiare, adottando nuovi paradigmi. Le aree di intervento principali sono da tempo, come è noto, l’innovazione di servizi e processi, la rivoluzione digitale, lo sviluppo sostenibile entro un’economia globale, lo sviluppo di nuovi rapporti con le aree sistema, i territori, le altre imprese, lo sviluppo di nuovi lavori e nuovi lavoratori, la promozione e la gestione moderna delle risorse umane, l’inclusione e il contrasto alle disuguaglianze.
La pandemia ha reso ora ormai improcrastinabili questi cambiamenti aggiungendo per ragioni sanitarie anche la dimensione del luogo dove si lavora, ossia del lavoro remoto, home work, smart work, lavoro agile, comunque lo vogliamo chiamare .
Ma come?
La Pubblica Amministrazione non può cambiare solo guardando a se stessa, sollevandosi da sola per i capelli come fece il Barone di Munchausen. Essa può cambiare se è purpose oriented, ossia se è attiva in programmi per cambiare l’economia e la società del territorio in cui opera contribuendo a programmi di innovazione di lungo periodo; oppure se partecipa attivamente alla gestione delle molte emergenze sociali ed economiche.
Chiamo questo modo di cambiare change management strutturale purpose or mission driven, ossia un cambiamento guidato da una missione di intervento sulla economia e sulla società reali.
Un caso recente è quello del Il Patto per il Lavoro dell’Emilia-Romagna, un caso di politica pubblica che ha attivato un percorso di collaborazione organizzata fra 50 soggetti pubblici e privati mirato ad innovare e ad aumentare il valore aggiunto della regione e a generare lavoro di qualità, ottenendo risultati tangibili . Gli elementi distintivi del patto del 2015 sono: una idea forte (aumentare con l’innovazione il valore aggiunto della regione e del lavoro dell’1,5% annuo); un obiettivo sintetico chiave (aumentare l’occupazione di almeno 100.000 unita annue e passare dall’11% al 5% di disoccupazione nell’arco del mandato); investimenti massicci in science and technology e principalmente in big data, attraendo su questa area ingenti risorse europee. Tutto ciò è avvenuto davvero.
Uno fra i principali fattori di successo di questa esperienza è stato che l’Amministrazione ha messo per prima cosa in discussione se stessa avviando un processo di cambiamento organizzativo che la trasformasse da una burocrazia pubblica a una organizzazione proiettata ai risultati, da una struttura burocratica a un nodo di servizio e di animazione di reti pubbliche e private orientate all’innovazione, alla produttività e alla valorizzazione del lavoro. Il percorso ha riconfigurato il lavoro pubblico come lavoro professionale basato su ruoli e professioni responsabili e ha svolto importanti investimenti di formazione.
Il Patto per il lavoro è stato per l’Amministrazione il driver, il vettore principale per riconfigurare se stessa sulla base di obiettivi di trasformazione sociale di lungo periodo oltre che di fornire servizi eccellenti alle persone e alle imprese

c) Superare le rigidità di un sistema di rappresentazione e gestione mansionistico del lavoro.

Il sistema di gestione ( declaratorie, inquadramento, livelli, gradazioni retributive , incentivi etc) anche nelle forme più evolute di gestione e di relazioni sindacali risente per lo più della eredità della regolazione del mondo della mansioni del lavoro subordinato e di un diritto del lavoro basato sull’assunto che il risultato del lavoro appartiene all’organizzazione e non al lavoratore . Lascio ai colleghi giuristi di approfondire questo punto e discutere delle tendenze de jure condendo.
La protezione della professionalità nelle relazioni industriali oggi è prevalentemente affidata alla garanzia del mantenimento del lavoratore entro mansioni riconducibili al livello e alla categoria di inquadramento. Questo in realtà limita l’idea di professionalità quasi solo al livello retributivo della posizione.

In questo saggio abbiamo presentato una nuova concettualizzazione del lavoro sviluppata nell’evoluzione organizzativa, recepita da alcune recenti modifiche normative e da alcuni contratti collettivi, come il CCNL dei metalmeccanici e della PA centrale: da un insieme di mansioni definite da compiti prescritti di minore o maggiore complessità e da procedure definite dal datore di lavoro verso ruoli e mestieri /professioni di servizio responsabili di risultati . Ruoli e professioni sono in continua evoluzione che vengono promosse dal datore di lavoro attraverso il job design e la formazione e che vengono agite dal lavoratore in base alla propria competenza, abilità, maestria.
Se la professionalità è una componente e un valore per il sistema di erogazione dei servizi nella pubblica amministrazione, allora è necessario definire le forme del suo sviluppo, la misurabilità del suo valore la sua certificazione: questo è uno dei nodi da sviluppare anche avvalendosi di esperienze e progetti pilota.
Vi sono molti casi di successo in questa direzione, fra cui personalmente ne ricordo due che ho seguito: quello dall’unificazione degli Uffici delle Entrate e quello della riorganizzazione della Regione Emilia Romagna, citato. In questi casi , insieme al cambiamento dei ruoli e delle professioni, si era intervenuto anche sui sistemi di declaratorie, livelli, gradazioni retributive , concordandolo con tutti gli stackeholder, inclusi ovviamente le rappresentanze sindacali.
Un caso di insuccesso che ricordo è stato invece quello di una grande Ente Pubblico erogatore di servizi in cui è stata coinvolta l’intera dirigenza in un progetto di lungo periodo per sviluppare un nuovo sistema professionale coerente con il nuovo modello di servizio dell’Ente. Erano stati identificati tre modelli di professioni a larga banda coerenti con il modelli di servizio che l’Ente stava sviluppando :
o professioni di disegno e ingegnerizzazione dei servizi nelle strutture specialistiche in grado di fronteggiare con efficienza la varietà delle esigenze degli utenti e il costante mutamento delle disposizioni normative
o professioni di back office nella “fabbrica” dove si svolgeva la predisposizione e manutenzione degli strumenti di elaborazione necessari per rendere i servizi erogabili con efficienza, utilizzando appieno le opportunità delle tecnologie.
o professioni di consulenti entro il sistema di erogazione che accompagna il “percorso dell’utente” con servizi sostenuti da una multicanalità integrata
Mappati i processi e l’intera popolazione dell’Ente, alla vigilia della approvazione del nuovo sistema, il progetto è stato interrotto perché avrebbe richiesto una modifica degli inquadramenti e degli incentivi esistenti oggetto da anni del sistema di contrattazione fra l’Ente e le rappresentazioni sindacali. Tutto era pronto cioè tranne la riformulazione dei “giochi di produzione” che regolavano le relazioni interne .
Per sviluppare ruoli e professioni della Pubblica Amministrazione di nuova concezione, il terzo requisito è dunque la modifica condivisa del sistema di rappresentazione e gestione degli inquadramenti e degli incentivi.

 

Questo sito utilizza cookie necessari al funzionamento e per migliorarne la fruizione.
Proseguendo nella navigazione acconsenti all’uso dei cookie.