Testo integrale con note e bibliografia

Il volume Dieci tesi sul diritto del lavoro di A. Perulli e V. Speziale, pubblicato da Il Mulino (2022), racchiude, come il titolo suggerisce, l’analisi critica di dieci questioni fondamentali del diritto del lavoro, cui si accompagna, per ciascuna di esse, una proposta degli Autori volta a costruire nuove regole che siano in grado di rivitalizzare la disciplina alla luce di un saldo valore di fondo: la centralità della persona umana nel contesto di un sistema capitalistico sostenibile.
Il volume si apre con una radicale accusa rivolta a due categorie di attori: da un lato, i policymakers, che almeno dagli anni Ottanta e fino ad oggi hanno progressivamente smantellato le tutele del lavoro, aderendo acriticamente alle teorie che vedono nel diritto del lavoro una fonte di ingiustificate rigidità, le quali ostacolerebbero il libero funzionamento del mercato del lavoro senza apportarvi, per contro, alcun beneficio; dall’altro lato, gli stessi studiosi del diritto del lavoro, che hanno interpretato il ruolo di meri esegeti del diritto vigente, senza contribuire alla costruzione e alla difesa della dimensione valoriale del diritto del lavoro, con la sua conseguente «perdita di autorità epistemica e assiologica» (pag. 9).
Fa da sfondo a questa incisiva pars destruens, contenuta nelle premesse del volume, la centralità pressoché assoluta assunta dalla «sfera economica», assurta a nuovo modello sociale egemonico che mette al centro le sole esigenze del mercato, in un contesto fortemente globalizzato ed esposto alle intemperie delle innovazioni tecnologiche; ma anche a paradigma scientifico del diritto del lavoro, che ha finito per asservirsi ad un «nuovo funzionalismo economico» (pag. 13) e ha perduto la capacità di incidere sul dibattito pubblico, non solo a valle della produzione normativa (nelle fasi di esegesi e di sistemazione), ma soprattutto a monte, là dove i valori debbono trovare spazio ed espressione nella individuazione degli interessi al cui riconoscimento e alla cui tutela le norme vengono improntate.
La deriva verso un capitalismo «iniquo ed inaccettabile» (pag. 11), segnalano puntualmente gli Autori, produce conseguenze non solo sul piano sociale e della tutela della persona, compromessa e anzi subordinata al perseguimento di interessi di natura strettamente economica, ma anche, oggi, sul piano ambientale ed ecologico.
Di fronte a un tale contesto, consolidatosi negli ultimi decenni ma non per questo immutabile o irreversibile, gli Autori elaborano dieci tesi fondamentali, che toccano il cuore dei temi «più scottanti» del diritto del lavoro. Le tesi sono accomunate dalla centralità del tema della “sostenibilità”, da intendersi nella sua accezione più ampia e piena, come capacità del sistema capitalistico di integrare le essenziali esigenze di tutela della persona e dell’ambiente, di interiorizzarle e di farsi, a sua volta, portatore dei valori di fondo di un sistema etico e democratico: divenendo, così, un sistema fondato sui valori costituzionali della libertà, della solidarietà, dell’uguaglianza e della dignità.
Senza alcuna pretesa di ridurre in sintesi la complessità e l’ampiezza del pensiero degli Autori, vogliamo evidenziare in questa sede i passaggi più significativi del Volume.
Muovendo da un profondo ripensamento della stessa «giustificazione» del diritto del lavoro, cioè della sua stessa ragion d’essere, gli Autori individuano la sua funzione nell’ordinamento (e, più in generale, nell’ordine sociale) nella ricerca di un punto di equilibrio o, meglio, di compromesso tra il riconoscimento e la tutela del valore della persona umana, centrale e insuperabile, e i contesti in cui il lavoro umano diviene oggetto di scambio contro un prezzo (il «mondo mercantile») o impiegato alla stregua di una risorsa nell’ambito di un processo produttivo (il «mondo industriale»). Di qui, il primo fondamentale monito che gli Autori rivolgono ai lettori e, più in particolare, alla comunità dei giuslavoristi che ne rappresenta idealmente l’interlocutore privilegiato: a partire dalla presa di coscienza del decadimento del delicato equilibrio formatosi con il capitalismo sociale del Novecento, causato dalle spinte neoliberiste che hanno negato, in radice, la funzione civica del diritto del lavoro per promuoverne esclusivamente la funzione mercantilistica, attenta alle sole ragioni dell’economia, occorre oggi rispristinare il ruolo del diritto del lavoro come strumento di sintesi di valori e principi che trascendono la visione puramente economica, per abbracciare, invece, il progetto normativo codificato nella Costituzione italiana (e nelle Carte dei diritti fondamentali) e per riconsegnargli un ruolo di effettiva centralità. Gli Autori concludono, così, la prima delle tesi con un’esortazione che costituisce, come è stato già sottolineato, la «chiave di lettura» dell’intero volume: sotto l’egida di un diritto del lavoro che abbia recuperato la capacità di contemperamento dei diversi interessi, ma in uno stabile quadro valoriale di fondo, l’impresa deve internalizzare «gli obiettivi sociali o ambientali al pari delle attività di business» (pag. 39).
L’organizzazione delle tesi successive non è casuale, ma segue un preciso ordine logico che dal centro, cioè dal campo di applicazione del diritto del lavoro, muove verso l’esterno, verso le dimensioni che si collocano al di fuori dei confini del rapporto di lavoro (in primis, il mercato).
A scopo puramente descrittivo, possiamo individuare tre nuclei fondamentali nelle tesi degli Autori.
Il primo nucleo, composto dalla seconda e dalla terza tesi (aventi ad oggetto, rispettivamente, i valori del diritto del lavoro e il suo ambito di applicazione), attiene al substrato assiologico di fondo dell’opera. In particolare, nel capitolo III gli Autori propongono di superare la dicotomia secca tra subordinazione e autonomia che ha caratterizzato il diritto del lavoro del Novecento e che continua a permeare anche i più recenti interventi normativi, i quali, in diversi ordinamenti, hanno sì esteso al lavoro autonomo, in diversa misura, l’ambito di applicazione delle tutele tipiche del lavoro subordinato, ma hanno finito per confermare l’alternativa tra autonomia e subordinazione. Si tratta di un argomento già elaborato da una parte della dottrina italiana ed europea (da Massimo D’Antona e Pedrazzoli fino a Freedland e Countouris), ma che si connota, nella prospettiva offerta dagli Autori, di un apporto sicuramente innovativo: l’idea, cioè, di sottrarre le tutele del lavoro alla logica dello scambio tra le stesse e l’assoggettamento del lavoratore ad un potere, direttivo od organizzativo che sia .
Il riconoscimento delle tutele – soprattutto di una tutela piena come quella del lavoratore subordinato – è stato tradizionalmente collegato ad una logica di scambio tra la tutela, da un lato, e l’assoggettamento del soggetto tutelato al potere del datore di lavoro. Sottrarre, dunque, l’esigenza di tutela a questa logica rappresenterebbe un passaggio che, nei fatti, non ha mai trovato compiuta espressione negli ordinamenti europei, nonostante il riconoscimento di categorie terze o l’estensione, più o meno selettiva, delle tutele oltre i confini della subordinazione.
La tesi dell’opportunità, anzi della necessità di approntare tutele che superino non solo la subordinazione, ma anche la logica secondo cui le tutele debbono essere in qualche modo giustificate dall’assoggettamento ad un potere, appare ampiamente condivisa e condivisibile non solo a fronte dell’art. 35 Cost., ma anche e soprattutto a fronte dell’osservazione e della presa d’atto dei bisogni economici e sociali delle persone che vivono del proprio lavoro.
Si tratta, tuttavia, di capire quali tutele apprestare, ma soprattutto alla luce di quali criteri individuarne i destinatari. A questo proposito, gli Autori promuovono un approccio informato all’«universalismo selettivo delle tutele» (pag. 57) e indicano come criterio guida quello dell’individuazione e modulazione delle tutele «in ragione dei bisogni sociali delle persone» (pag. 60), cui rispondere secondo un approccio rimediale che parta dai valori e dai principi costituzionali di tutela del lavoro «in tutte le sue forme e applicazioni» (art. 35 Cost.). E ciò, si badi bene, non per il tramite dell’estensione della nozione di subordinazione, bensì tramite la previsione di tutele destinate a coloro che si collocano «oltre la subordinazione» (pag. 61), pur svolgendo lavoro personale in favore di altri.
Il secondo nucleo, che include la quarta, la quinta e la sesta tesi, attiene alla disciplina del rapporto di lavoro e, in particolare, delle posizioni giuridiche soggettive delle parti nella loro dimensione individuale e collettiva. Si tratta di tesi che si inseriscono nel solco di dibattiti antichi ma mai definitivamente composti, i quali toccano le fondamenta del diritto del lavoro: tesi che, con tutta probabilità, saranno oggetto di un vivace dibattito tra coloro che vorranno confrontarsi con esse.
Nella quarta tesi, in particolare, gli Autori riflettono sul ruolo del contratto di lavoro nella giustificazione dell’assoggettamento del lavoratore ai poteri datoriali. Partendo dall’esigenza di pensare alla libertà, non più come mera «non interferenza», bensì come «non dominio» (pag. 68), gli Autori ritengono che la traduzione normativa di tale concetto nel rapporto di lavoro imponga un radicale ripensamento dei limiti dei poteri del datore di lavoro, i quali devono ricondursi a razionalità al fine di garantirne un esercizio non arbitrario e rispettoso dei valori della persona (pag. 69). È infatti vero, e la dottrina lo ha evidenziato da tempo, che la subordinazione è stata ed è funzionale al funzionamento del sistema capitalistico, e che non a caso essa ha trovato nell’impresa il suo miglior terreno di espressione. La disciplina del rapporto di lavoro subordinato limita, ma al contempo riconosce i poteri del datore di lavoro, che trovano così cittadinanza nell’ordinamento.
La proposta degli Autori è, dunque, di scendere nella «scatola nera» (pag. 70) del processo decisionale del datore di lavoro per sottoporre a giudizio le scelte organizzative che producono effetti sui lavoratori: in primis, la soppressione del posto di lavoro, che comporta il licenziamento per ragioni economiche, ma anche, ad esempio, il mutamento delle mansioni come conseguenza dell’esercizio dello jus variandi. E tale giudizio non può e non deve, nella prospettiva degli Autori, limitarsi alla veridicità e alla non pretestuosità delle ragioni addotte dal datore, ma deve spingersi a valutarne la congruenza, la proporzionalità, la razionalità.
A questa conclusione della quarta tesi si accompagna la tesi successiva, che si connota, fra tutte, per la sua innovatività e, se vogliamo, radicalità. Nel capitolo V gli Autori discutono del ruolo della norma inderogabile quale tecnica normativa di salvaguardia dei diritti e delle prerogative del prestatore di lavoro, in un rapporto contrattuale profondamente asimmetrico quale è quello di lavoro. Eppure, pur riconoscendo e anzi ribadendo con forza l’esistenza di un profondo e ineliminabile (o almeno ineliminato) squilibrio tra le parti, gli Autori promuovo una rinnovata «soggetivizzazione regolativa» (pag. 80) che – nell’ambito di un rapporto stabile e a tempo indeterminato, salvaguardato da scelte datoriali arbitrarie o ingiustificate – rimetta al centro la persona del prestatore di lavoro come soggetto titolare di una autonomia contrattuale reale, effettiva ed efficacie nel negoziare condizioni di lavoro ritagliate sulle concrete esigenze delle parti, senza che si corra il rischio di abusi, o anche solo di accondiscendenza tacita a scelte datoriali imposte, dovuta al timore di ripercussioni sul rapporto e sulla sua stabilità. La soggettivizzazione, così intesa, presuppone un rapporto di lavoro stabile e saldamente tutelato da norme inderogabili (affiancate e non sostituite dalla soggettivizzazione), che garantiscano dall’esterno la facoltà del lavoratore di manifestare genuinamente la propria volontà negoziale in un dialogo paritario con il datore di lavoro, ciò che si traduce in una «subordinazione negoziata» a livello individuale (pag. 86).
Questo concetto di subordinazione negoziata si riflette, nella tesi che segue (capitolo VI), anche sul piano collettivo per il tramite della codeterminazione, già riconosciuta dall’art. 46 Cost., che costituisce il primo essenziale strumento per realizzare il progetto di fondo degli Autori: il ripensamento dell’impresa come soggetto che include ed esprime istanze di sostenibilità e che, grazie alla partecipazione dei lavoratori alla governance interna, è in grado di affiancare agli scopi economici finalità ulteriori che riguardano la società nel suo complesso.
Il terzo nucleo racchiude le tesi, dalla settima alla decima, che attengono alla sfera esterna al rapporto di lavoro, in una logica di stretta complementarietà rispetto alla dimensione interna, oggetto dei capitoli precedenti: il mercato, nella sua dimensione globale e globalizzata, e il contesto storico-economico in cui si inscrivono grandi trasformazioni che inesorabilmente incidono sul diritto del lavoro (le innovazioni tecnologiche, la crisi ambientale, la pandemia), ma che, secondo gli Autori, possono a loro volta essere guidate e veicolate dai valori di fondo di cui il diritto del lavoro deve (tornare a) farsi portatore.
La questione ecologica, in particolare, viene opportunamente collocata nella realtà contemporanea di un sistema capitalistico tuttora del tutto incompatibile, nonostante le plurime istanze nel senso della sostenibilità, con la necessità salvaguardare l’ambiente, per quanto ancora possibile. Di qui, la necessità di un radicale mutamento di rotta, che spogli la logica della crescita economica senza limiti del ruolo egemone finora ricoperto, per affiancarla o finanche superarla grazie ad azioni normative che rendano «il lavoro umano davvero compatibile con le istanze sovrane della Terra» (pag. 147).
Fanno da sfondo a tutte le tesi degli Autori la Costituzione e il sistema di valori materiali e giuridificati che essa riconosce. Adalberto Perulli e Valerio Speziale ci ricordano, infatti, che ancorarsi a un sistema di valori non significa imporre una visione ideologica che prevalga sulle altre: il ritorno a una dimensione assiologica del lavoro, del suo diritto e della sua scienza non è in contraddizione con il pluralismo dei valori che pure la Costituzione incentiva e tutela.
Le tesi ci riconducono, però, a una dimensione certamente giuridica e storicamente circoscritta, che rappresenta ancor oggi la base del nostro ordinamento e a cui occorre guardare per individuare quella vocazione civica del diritto del lavoro come diritto della persona: è la dimensione costituzionale, che raccoglie, tutela e mantiene a tutt’oggi inalterato un nocciolo duro di valori cui possiamo guardare per ripensare, o forse rifondare, il diritto del lavoro e con esso la stessa funzione dell’impresa, da concepirsi – nella prospettiva che gli Autori sottendono a tutte le tesi – come «attore politico-istituzionale socialmente responsabile, come un’istituzione animata da tensioni valoriali e pervasa al suo interno da logiche di riconoscimento» (pag. 72), che opera in «dialogo responsabile con tutte le sfere in cui è articolata la società» (pag. 73).

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