TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

1. L’occasione di un bilancio sull’impiego del “distacco semplificato” e della “codatorialità” nelle reti.
Lo scoccare dell’ottavo anniversario dall’entrata in vigore delle norme volte a semplificare la mobilità dei lavoratori tra le organizzazioni delle imprese che abbiano stipulato un contratto di rete ( ) stimola a tentare un bilancio sull’effettivo impiego di questi strumenti e sulla reale utilità che gli stessi hanno conseguentemente avuto nel realizzare quello che era il principale obiettivo del legislatore storico che le aveva introdotte. Ossia quello di incentivare le imprese (soprattutto piccole, piccolissime e medie) ad aggregarsi, mettendo a loro disposizione uno strumento flessibile e plasmabile in relazione alle specifiche esigenze del programma e degli obiettivi alla base della collaborazione.
L’occasione si rivela però anche utile per riflettere - sempre principalmente dalla prospettiva dello studioso e di quella dell’operatore del diritto del lavoro - sugli scenari che si sono recentemente aperti per l’impiego del contratto di rete con finalità di salvaguardia dell’occupazione e di investimento nelle politiche di espansione e di sviluppo professionale del personale. Apertura dovuta alle regole, varate nel coacervo dei provvedimenti emanati per fronteggiare gli effetti disastrosi dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, che hanno introdotto, in via transitoria, la tipologia del contratto di rete con c.d. causale di solidarietà (art. 3, c. 4-sexies e ss., d.l. 5/2009) e a quelle che (seguendo la soluzione interpretativa che si propone in queste pagine) permettono alle imprese che abbiano stipulato un contratto di rete di accedere ai benefici del contratto di espansione (art. 41, c. 1 bis, d.lgs. 148/2015).

2. La ratio delle regole volte a favorire la mobilità del lavoro all’interno delle reti.
Per procedere con ordine lungo la strada indicata è opportuno ricordare come il d.l. 76/2013 (convertito in l. 99/2013), modificando gli artt. 30 e 31 d.lgs. 276/2003, abbia introdotto alcune regole speciali per favorire la mobilità dei lavoratori tra le imprese legate da un contratto di rete.
In particolare, ai sensi del riformato art. 30, comma 4 ter, d.lgs. 276/2003, le imprese che abbiano stipulato un contratto di rete possono ricorrere, quali strumenti funzionali a favorire la realizzazione del programma condiviso, al c.d. “distacco semplificato” o alla “codatorialità” dei lavoratori “ingaggiati con regole stabilite attraverso il contratto di rete stesso”.
Prima di entrare brevemente nel merito dei due strumenti appena richiamati - allo scopo principalmente di porre in evidenza i limiti e al contempo le potenzialità che gli stessi hanno mostrato di possedere nel corso di questi 8 anni trascorsi dalla loro introduzione - è utile ricordare che tale innovazione normativa partiva dalla constatazione che il lavoro è in molti casi fattore fondamentale per la realizzazione della collaborazione alla base del programma condiviso dalle imprese al momento della stipulazione del contratto di rete.
Ed invero, la mobilità del lavoratore tra le organizzazioni facenti parte della rete è lo strumento principale per assicurare il coordinamento delle attività delle diverse organizzazioni che mirano alla realizzazione di un obiettivo comune, che le stesse singolarmente non sarebbero in grado di attuare.
Si è soliti in questi casi richiamare alcuni esempi, non di scuola, ma rispondenti a quella che costituisce un’effettiva prospettiva di impiego e di interesse da parte delle imprese che abbiano già stipulato o che siano interessate alla stipulazione del contratto di rete. Vale la pena di ricordarli per poter poi sviluppare il successivo ragionamento sui limiti che gli strumenti del distacco semplificato e della codatorialità hanno mostrato in questi anni.
Il primo esempio a cui si fa riferimento è quello del manager di rete: ossia l’impiego di un lavoratore con funzione di coordinamento delle attività delle imprese facenti parti della rete, allo scopo di una migliore e più efficiente realizzazione del programma comune ( ).
Il manager di rete, in alcuni casi, non è peraltro solo fattore del coordinamento delle attività delle singole organizzazioni, ma può costituire il motore principale per la realizzazione del programma comune. Anche qui si è soliti richiamare l’esempio del manager che è in grado di coadiuvare le imprese, prive singolarmente delle professionalità necessarie, ad espandersi su mercati nuovi o ad accedere, per esempio, a commesse pubbliche o che richiedono un’organizzazione articolata e una gestione complessa. In quest’ultimo caso, le singole imprese - prive della struttura organizzativa e della forza economica necessarie ad affrontare i costi e le difficoltà di tale espansione - possono ricorrere al contratto di rete quale strumento funzionale a rendere possibile la condivisione dei necessari sforzi, non solo economici, tra i quali vanno annoverati quelli che devono essere sostenuti per dotarsi delle professionalità utili alla realizzazione dell’obiettivo comune.
L’interesse alla condivisione e alla mobilità dei lavoratori all’interno dell’organizzazione reticolare può, però, riguardare, passando al secondo esempio a cui si accennava, anche professionalità diverse da quelle di coordinamento, interessando competenze specifiche che per la singola impresa sarebbe troppo costoso acquisire. Si pensi alla necessità di impiegare un ricercatore per le attività di ricerca e sviluppo di una nuova tecnologia o di nuove tecniche produttive, ovvero a quella di assumere un lavoratore in possesso di competenze specialistiche per la realizzazione di fasi e processi produttivi di elevata complessità.
Beninteso, come si evince dalla definizione del contratto di rete dettata dall’art. 3, c. 4 ter, d.l. 5/2009, la condivisione dei lavoratori non può mai costituire l’oggetto del programma della rete (e quindi non può costituire lo scopo specifico dell’aggregazione tramite questo strumento), ma può essere lo strumento funzionale ad una migliore realizzazione di quest’ultimo (con la specifica eccezione, come vedremo più avanti, del contratto di rete con causale di solidarietà).
D’altronde, come si è messo in evidenza altrove ( ), l’organizzazione creata tramite il contratto di rete può offrire vantaggi non solo alle imprese che vi facciano ricorso, ma può produrre benefici per i lavoratori che siano inseriti nella rete. La collaborazione instaurata tramite tale contratto può, infatti, far nascere occasioni utili all’arricchimento della professionalità e delle competenze dei lavoratori delle singole imprese, oltre che occasioni di salvaguardia dell’occupazione. Su questa specifica prospettiva, considerata e valorizzata dal legislatore nei provvedimenti adottati nel corso del 2020 e del 2021 a cui si accennava in esordio, torneremo più avanti.

3. Potenzialità e limiti del distacco semplificato….
Nel quadro sin qui ricordato, allo scopo di offrire strumenti utili alla realizzazione del programma di rete e, in ultima analisi, allo scopo di incentivare le imprese ad aggregarsi, il legislatore ha varato gli strumenti del “distacco semplificato” e della “codatorialità” con l’intento di rendere ancora più appetibile il contratto di rete.
Com’è noto, tramite il c.d. “distacco semplificato”, il legislatore del 2013 ha introdotto una presunzione assoluta di sussistenza dell’interesse del distaccante nel caso in cui la condivisione del lavoratore avvenga tra imprese legate da un contratto di rete.
Tramite la presunzione appena ricordata, il legislatore ha opportunamente preso atto che la scelta delle imprese di legarsi per collaborare alla realizzazione di un programma condiviso fa sì che le stesse siano tutte interessate alla realizzazione di quel programma. Ciascuna trae, infatti, un vantaggio diretto dal contributo che il lavoratore fornisce all’attuazione del programma con la propria prestazione, anche se resa temporaneamente alle dipendenze di altra impresa della rete ( ).
Ciò non significa che, attraverso la regola dettata dal c. 4 ter dell’art. 30 d.lgs. 276/2003, si sia realizzata una liberalizzazione nell’impiego del distacco dei lavoratori tra le imprese che facciano parte della rete, poiché, da un lato, la presunzione può operare solo laddove la prestazione concretamente resa dal lavoratore sia strumentale alla realizzazione del programma comune, e, dall’altro, il distacco è configurato dalle norme di riferimento come strumento diverso dalla codatorialità ( ).
La semplificazione realizzata della riforma del 2013 ha consentito l’immediato successo dello strumento. Un successo ampiamente prevedibile, nella misura in cui l’introduzione della presunzione assoluta ha permesso alle imprese di utilizzare con maggiore facilità uno strumento già noto agli operatori e a cui gli stessi già facevano ampiamente ricorso.
Allo stesso tempo, non v’è dubbio che tale semplificazione abbia anche potuto indurre, come frequentemente accade in questi casi, un utilizzo improprio degli strumenti normativi per perseguire la finalità di aggirare le tutele lavoristiche ( ). Ovviamente, tali condotte devono essere adeguatamente contrastate, ma non privano il distacco semplificato e la codatorialità delle loro positive potenzialità, che andrebbero piuttosto salvaguardate, anche attraverso un ulteriore sforzo regolativo, come subito si porrà in evidenza.

4. … e della codatorialità.
Molto più accidentata e meno felice è stata la sorte della codatorialità. Sostanzialmente per ragioni speculari a quelle che hanno, al contrario, decretato il successo del distacco semplificato: ossia il fatto di essere uno strumento nuovo e senza precedenti nel nostro sistema, a cui il legislatore si è limitato ad aprire senza fornire un adeguato supporto normativo.
Risultano, in particolare, lacunose non solo le norme necessarie a definire (a almeno ad aiutare la ricostruzione) della disciplina del rapporto di lavoro in codatorialità, ma anche quelle funzionali a definire la gestione di alcuni aspetti pratici, di rilevanza solo apparentemente secondaria.
Ed invero, limitandoci qui ad un riepilogo dei principali problemi interpretativi, si deve ricordare che molti dubbi sono stati avanzati dalla dottrina circa il significato stesso da attribuire al termine “codatorialità” e, quindi, riguardo gli elementi che differenzierebbero tale fattispecie rispetto a quella del distacco ( ).
Ma anche optando per la ricostruzione della codatorialità come fattispecie ampia che contempla al suo interno anche quella del rapporto di lavoro con pluralità di datori di lavoro ( ), l’ordinamento non fornisce regole specifiche per tale rapporto, costringendo l’interprete alla necessità di ricostruire tali regole in via ermeneutica ( ).
Come anticipato, oltre alle norme necessarie a disciplinare le varie fasi e i diversi profili del rapporto di lavoro, mancano anche quelle regole e quegli strumenti che, sul piano concreto e operativo, sono indispensabili per consentire alle imprese di costituire un rapporto di lavoro in codatorialità.
Si fa riferimento, in particolare, al tema delle comunicazioni obbligatorie, rispetto alle quali andrebbero predisposti gli strumenti e le norme regolamentari necessarie a rendere concretamente possibile la comunicazione dell’attivazione di un rapporto di lavoro in codatorialità ( ) o la messa in codatorialità, eventualmente temporanea, del dipendente di una delle imprese della rete ( ).
Ma anche superata la fase della comunicazione dell’attivazione del rapporto codatoriale, residuano problemi molto rilevanti. Ad esempio, sul piano della definizione dei costi contributivi del rapporto di lavoro. Difettano, infatti, indicazioni, da parte degli istituti competenti, sui criteri di determinazione della misura degli obblighi contributivi e assicurativi nei casi, molto frequenti nei contesti di rete, in cui le imprese retiste svolgano attività produttive di natura diversa che comportino rischi differenti, applichino contratti collettivi diversi, vantino una storia infortunistica differente.
In conclusione, al di là della condivisibilità o meno delle diverse ricostruzioni teoriche possibili per la risoluzione dei problemi appena richiamati, l’assenza di norme specifiche comporta un effetto di disorientamento per le imprese e per gli operatori pratici, posti di fronte ad uno strumento dalle caratteristiche eccezionali rispetto a ciò che costituisce la “normalità” della gestione dei rapporti di lavoro, fondata sulla relazione binaria tipica tra un datore di lavoro e un lavoratore.
Tale disorientamento ha indubbiamente costituito la principale ragione del quasi nullo ricorso che le imprese hanno fatto di questo strumento, preferendo muoversi sul terreno più noto e maggiormente praticato del distacco.
Un istituto, quello della codatorialità, al quale le imprese che fanno un utilizzo virtuoso del contratto di rete sono invece sinceramente interessate, vedendo nello stesso uno strumento potenzialmente molto valido per sviluppare e rendere più efficiente la collaborazione strumentale alla realizzazione del programma condiviso.
Potenzialità rispetto alle quali le difficoltà appena ricordate costituiscono, però, nella maggior parte dei casi un argine insormontabile. Ciò anche in considerazione del fatto che il contratto di rete è spesso utilizzato da imprese che ancora non si conoscono bene, costituendo il ricorso a tale contratto la prima fase di avvio di forme di collaborazione più strutturata, che la codorialità potrebbe invece contribuire a stimolare e valorizzare ( ).

5. Il contratto di rete con “causale di solidarietà”.
Si è sopra ricordato il dato per cui il programma che le imprese intendono realizzare con il contratto di rete non può avere ad oggetto la mera condivisione dei lavoratori. Ed invero, il contratto di rete deve sempre avere lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la capacità innovativa e la competitività sul mercato delle imprese stipulanti. Rispetto a tali obiettivi, si è già detto, la condivisione del personale può costituire solo uno strumento utile a favorirne e agevolarne la realizzazione.
La prospettiva appena sintetizzata è, però, stata recentemente arricchita nell’ambito della legislazione varata per fronteggiare gli effetti dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, attribuendo al contratto di rete una funzione inedita di strumento utile a sostenere, oltre che i progetti di crescita delle imprese attraverso l’aggregazione, anche l’occupazione minacciata dalla crisi economica indotta dalla pandemia.
L’art. 3, c. 4 sexies, d.l. 5/2009 ( ) prevede infatti che, limitatamente agli anni 2020 e 2021, “il contratto di rete può essere stipulato per favorire il mantenimento dei livelli di occupazione delle imprese di filiere colpite da crisi economiche in seguito a situazioni di crisi o stati di emergenza dichiarati con provvedimento delle autorità competenti”.
Il medesimo comma precisa poi che l’obiettivo del mantenimento dei livelli occupazionali può essere perseguito, anche avvalendosi degli strumenti del distacco semplificato e della codatorialità, tramite:
• l'impiego di lavoratori delle imprese partecipanti alla rete che sono a rischio di perdita del posto di lavoro;
• l'inserimento di persone che hanno perso il posto di lavoro per chiusura di attività o per crisi di impresa;
• l'assunzione di figure professionali necessarie a rilanciare le attività produttive nella fase di uscita dalla crisi.
Il contratto di rete con causale di solidarietà differisce, dunque, dal contratto di rete, per così dire, classico, poiché la stipulazione dello stesso può trovare la sua ragione esclusiva nella volontà delle imprese di perseguire il mantenimento dei livelli occupazionali, pur potendo ovviamente il contratto di rete mirare a conciliare tali obiettivi con quelli della crescita innovativa e competitiva delle imprese stipulanti.
Senza entrare troppo nel dettaglio dei profili tecnici collegati all’utilizzo di tale strumento ( ), nell’economia del ragionamento svolto in queste pagine può essere utile evidenziare alcuni profili che possono rivelarsi particolarmente interessanti per riflettere sulle concrete potenzialità che presenta l’impiego del contratto di rete come strumento per lo sviluppo di politiche di salvaguardia dell’occupazione, anche attraverso l’investimento nell’aggiornamento professionale delle persone.
Un primo aspetto che merita di essere sottolineato è che la norma introdotta nel contesto dell’emergenza epidemiologica valorizza le potenzialità delle reti di imprese come mercati ristretti del lavoro, ossia come contesti organizzativi all’interno dei quali i lavoratori possono trovare occasione di ricollocazione e di arricchimento professionale.
Ed invero, la creazione di una collaborazione stabile tra imprese, favorendone la crescita e i processi di innovazione, crea occasione di accrescimento professionale dei lavoratori chiamati a interagire con contesti organizzativi più ampi e più complessi. Analogamente, la creazione della rete può generare occasioni di ricollocazione professionale per il lavoratore, il quale, venendo in contatto con imprese diverse da quella dalla quale sia stato assunto, può da queste ricevere offerte di lavoro.
All’interno di questa prospettiva trova dunque adeguata collocazione e giustificazione la scelta di impiegare il contratto di rete come strumento per condividere i costi del personale in un’ottica di salvaguardia dell’occupazione per i lavoratori a rischio di perdita del posto di lavoro o per favorire il reinserimento di coloro che lo abbiano già perso.
Si tratta di una soluzione, quella immaginata con la disposizione qui in commento, non totalmente inedita, ma che ha un suo precedente nella previsione dettata dall’art. 8, c. 3, d.l. 148/1993 (convertito in l. 236/1993), a mente della quale “gli accordi sindacali, al fine di evitare le riduzioni di personale, possono regolare il comando o il distacco di uno o più lavoratori dall'impresa ad altra per una durata temporanea” ( ).
A differenza della disposizione appena richiamata, il cui ambito di applicazione è limitato a quello delle imprese più grandi soggette alla disciplina della l. 223/1991 e che comunque richiede la mediazione sindacale, la disposizione riguardante il contratto di rete, non solo apre alla possibilità della condivisione del personale tramite la codatorialità, rendendo possibile l’accesso a tale strumento anche alle imprese di dimensioni più contenute, ma lo rende possibile anche in una fase antecedente a quella del dissesto comportante la necessità del licenziamento collettivo, prospettando come strumento utile ad essere impiegato per fronteggiare una crisi temporanea.
Nella medesima prospettiva, il contratto di rete manifesta delle potenzialità di impiego come strumento utile ad affrontare ed eventualmente risolvere situazioni di crisi aziendale o per lo meno utili a salvaguardare l’apparato produttivo in attesa di cambiamenti nel mercato di riferimento o di eventuali ristrutturazioni che si rendano necessarie. Da questo punto di vista, il contratto di rete si candida come strumento che meriterebbe forse una specifica considerazione nell’ambito del percorso di riforma delle procedure concorsuali, tuttora in fase di sviluppo e implementazione ( ).
Il secondo aspetto meritevole di sottolineatura è collegato all’apertura fatta alla possibilità di utilizzare il contratto di rete come strumento per condividere i costi conseguenti all’assunzione di lavoratori in possesso di specifiche professionalità utili a sostenere lo sviluppo e i processi di innovazione imprenditoriale e a rilanciare le attività produttive nella fase di uscita dalla crisi dovuta alla pandemia da COVID-19.
Tale possibilità evidenzia come il contratto di rete possa essere uno strumento utile a favorire i processi di innovazione organizzativa, tecnica e produttiva, per i quali sia necessario l’impiego di professionalità specifiche di cui le imprese non siano dotate e di cui eventualmente potrebbero non essere in grado di sostenere i costi singolarmente. Le norme appena ricordate, infatti, conferiscono al contratto di rete una vocazione ad essere impiegato come veicolo per investire nell’aggiornamento professionale dei lavoratori in forza, condividendo i costi che sono ad essi collegati.
Quest’ultima prospettiva si rivela di particolare interesse rispetto all’ulteriore innovazione introdotta nel periodo emergenziale di cui si dirà nel prossimo paragrafo.
È, però, a questo punto doveroso chiedersi se le potenzialità sin qui considerate siano state colte dalle imprese e quindi se possano registrarsi casi di stipulazione di contratti di rete con c.d. causale di solidarietà.
Non è possibile fornire una risposta certa a tale domanda, non essendo disponibili dati ufficiali. I dati pubblicati dal registro delle imprese riguardano infatti esclusivamente il numero dei contratti di rete sottoscritti e il numero delle imprese coinvolte ( ), senza alcuna indicazione specifica sui contenuti del programma di rete e, quindi, sull’eventuale stipulazione del contratto di rete per causale di solidarietà.
I dati acquisiti informalmente sembrano essere nel senso di uno scarso impiego di tale nuovo strumento.
Scarso impiego probabilmente imputabile, anche in questo caso, all’assenza di alcune regole chiare relative ai profili sopra richiamati, tanto più necessarie per permettere alle imprese di utilizzare uno strumento per molti versi inedito.
Va al riguardo peraltro ricordato come il c. 4-septies, introdotto dalle norme emergenziali sopra ricordate all’interno dell’art. 3, d.l. 5/2009, aveva incaricato il Ministero del lavoro di emanare, entro sessanta giorni, un decreto che avrebbe dovuto definire le “modalità operative per procedere alle comunicazioni da parte dell'impresa referente individuata dal contratto di rete di cui al comma 4-sexies necessarie a dare attuazione alla codatorialità di cui all'art. 30, c. 4-ter, d.lgs. 276/2003”.
Anche tale disposizione è però, purtroppo, rimasta, sino ad oggi, lettera morta.

6. Contratto di espansione e reti di imprese.
Tra i provvedimenti varati per contrastare l’emergenza pandemica da COVID-19, come anticipato, ne va annoverato un altro che dischiude prospettive nuove di impiego al contratto di rete.
Il riferimento è alla disciplina del contratto di espansione, definita e corretta a più riprese durante il periodo emergenziale, tramite il quale è data possibilità alle imprese aventi una determinata dimensione ( ) di essere sostenute nei processi di reindustrializzazione e riorganizzazione che “comportano, in tutto o in parte, una strutturale modifica dei processi aziendali finalizzati al progresso e allo sviluppo tecnologico dell’attività, nonché la conseguente esigenza di modificare le competenze professionali in organico mediante un loro più razionale impiego e, in ogni caso, prevedendo l’assunzione di nuove professionalità” (art. 41, c. 1, d.l. 148/2015).
Il contratto di espansione - sottoscritto tra l’impresa, il Ministero del lavoro e le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o le loro RSA o la RSU – ha, dunque, lo scopo di supportare le imprese nei percorsi volti all’aggiornamento delle competenze professionali presenti in azienda e al ricambio generazionale (quest’ultimo spesso necessario per realizzare anche il primo obiettivo).
Tali obiettivi vengono perseguiti, innanzitutto, rendendo possibile ai lavoratori, identificati all’interno del contratto di espansione e che si trovino a non più di 60 mesi dal conseguimento del diritto alla pensione di vecchiaia o anticipata, di accedere ad una indennità mensile erogata dal datore di lavoro, commisurata al trattamento pensionistico maturato dal lavoratore al momento della cessazione del rapporto.
In aggiunta a tale previsione, per i lavoratori che non posseggano i requisiti per accedere al trattamento appena ricordato, è data possibilità di prevedere una riduzione oraria, con accesso all’ammortizzatore sociale e alla contribuzione figurativa per le ore non lavoratore come previsto dagli artt. 3 e 6 d.lgs. 148/2015.
Complementari a tali interventi sono poi, per un verso, l’assunzione da parte dell’impresa dell’obbligo di assumere lavoratori in possesso di profili professionali compatibili con il piano di reindustrializzazione o riorganizzazione, e, per l’altro verso, l’obbligo di definire un progetto di formazione e di riqualificazione professionale volto a permettere l’aggiornamento delle competenze tecnico-professionali del personale in organico.
Tralasciando in questa sede i complessi problemi attuativi dell’importante disciplina appena ricordata ( ), per quanto rileva in questa sede merita di essere considerata la disposizione transitoria prevista dal comma 1-bis dell’art. 41 d.lgs. 148/2015, a mente della quale “esclusivamente per il 2021, il limite minimo di unità lavorative in organico di cui al comma 1 non può essere inferiore a 100 unità, e, limitatamente agli effetti di cui al comma 5-bis, a 100 unità, calcolate complessivamente nelle ipotesi di aggregazione di imprese stabile con un'unica finalità produttiva o di servizi”.
La disposizione appena richiamata mira, evidentemente, ad ampliare le possibilità di ricorso al contratto di espansione e, quindi, a stimolare e favorire i processi di reindustrializzazione e riorganizzazione anche delle realtà produttive di dimensioni più ridotte.
La disposizione non chiarisce esplicitamente se la possibilità di accedere ai benefici del contratto di espansione per le imprese di dimensioni ridotte possa avvenire anche da parte delle imprese che siano legate dal contratto di rete.
A tale quesito sembra comunque potersi dare risposta affermativa per almeno due ragioni.
La prima è da individuare nel fatto che la disposizione in esame contiene un riferimento ampio a tutti i possibili strumenti tramite quali può essere realizzata un’aggregazione stabile di imprese, anche oltre i confini dei rapporti di collegamento e controllo societario (art. 2359 c.c.).
Tale conclusione trova un’implicita conferma nella disposizione contenuta nel comma 5-bis del medesimo art. 41, che prevede, solo per “le imprese o gruppi di imprese con organico superiore a 1000 unità lavorative”, una possibilità di riduzione dei versamenti a carico del datore di lavoro (riferiti all’indennità mensile e ai contributi previdenziali) per ulteriori dodici mesi rispetto al periodo operante per le imprese che possono accedere ai benefici del contratto di espansione. Tale previsione conferma, allora, che solo nell’ipotesi appena richiamata il vantaggio è riservato alla aggregazione in forma di gruppo, mentre la disposizione transitoria del comma 1-bis, mira a consentire l’accesso al contratto di espansione alle imprese che abbiano realizzato l’aggregazione con una qualunque delle modalità ammesse dal nostro ordinamento.
La seconda ragione che induce ad annoverare poi il contratto di rete tra le forme di aggregazione rientranti nella previsione normativa, va identificata nel fatto che le aggregazioni consentite sono quelle “stabili con un’unica finalità produttiva o di servizi”. La formulazione appena richiamata appare, invero, pienamente conciliabile con la natura del contratto di rete come accordo di collaborazione tra le imprese volto alla realizzazione di uno specifico programma (art. 3, c. 4 ter, d.l. 5/2009), la cui stabilità è collegata all’orizzonte temporale previsto per la realizzazione degli obiettivi condivisi.
Resta, infine, da chiarire, nell’assenza di una esplicita indicazione in tal senso, se la norma transitoria consenta l’accesso al contratto di espansione esclusivamente alle aggregazioni preesistenti all’entrata in vigore della disposizione, ovvero se tale possibilità sia aperta anche alle imprese che stipulino il contratto di rete in data successiva.
Al riguardo, l’INPS ha precisato che “gli accordi contrattuali tra le stesse aziende che costituiscono la stabile organizzazione devono essere stati sottoscritti in data antecedente alla stipula del contratto di espansione e mantenere gli effetti per l’intera durata del medesimo contratto di espansione” ( ).
La soluzione che esclude l’accesso al contratto di espansione per le aggregazioni costituite dopo l’entrata in vigore della disposizione transitoria non pare però condivisibile, non essendo reperibili preclusioni in tal senso all’interno dell’art. 41, c. 1 bis, d.lgs. 148/2015. Al contrario, la disposizione in parola appare ispirata all’obiettivo di sostenere i processi di reidustralizzazione e di riorganizzazione, nonché l’ammodernamento delle competenze professionali presenti in organico, anche nelle imprese di dimensioni minori, che, com’è noto, costituiscono una parte molto importante del tessuto produttivo italiano.
D’altronde l’esclusione di aggregazioni costituite in maniera successiva all’entrata in vigore della norma, in assenza di una esplicita previsione in tal senso nella disposizione, non appare ragionevole se si considera che la prevenzione di condotte abusive nel ricorso allo strumento sarà in ogni caso assicurata dal controllo sulla serietà del programma di rete, per un verso, e dall’analisi del progetto di modifica dei processi aziendali e di ammodernamento delle competenze professionali, per l’altro. Controlli entrambi di competenza del Ministero del lavoro e delle organizzazioni sindacali nella fase delle trattative per la stipulazione del contratto di espansione. Una coerenza che, in uno con la necessità che il contratto di rete abbia una durata almeno corrispondente alla durata del contratto di espansione, appare un requisito idoneo a prevenire condotte abusive e contestualmente ad assicurare l’aggiornamento professionale e il ricambio generazionale in realtà produttive di grande importanza per l’economia del Paese nel suo complesso.

7. Conclusioni.
I dati pubblicati dal registro delle imprese riguardanti il numero dei contratti di rete stipulati a partire dal 2009 e quello delle imprese coinvolte costituisce una conferma evidente della bontà della scelta fatta dal legislatore storico, che ha saputo intercettare una specifica esigenza presente nel settore delle piccole e medie imprese italiane ( ).
Vale a dire l’esigenza di avere a disposizione uno strumento contrattuale flessibile; suscettibile - più degli altri strumenti negoziali utili all’aggregazione previsti dall’ordinamento - di essere plasmato dall’autonomia individuale alle esigenze produttive e organizzative delle imprese intenzionate ad avviare forme più o meno intense di collaborazione.
La specifica vocazione del contratto di rete a costituire un valido vettore dei fenomeni di collaborazione stabile tra imprese, lo rende, peraltro, impiegabile anche al di fuori dei contesti imprenditoriali per cui era stato originariamente pensato.
Per esempio, il contratto di rete è utilizzabile, anche dalle imprese di dimensioni maggiori, per esempio, per regolare le diverse prestazioni di servizi e attività che normalmente vengono scambiati tra le imprese legate da rapporti di collegamento o di controllo.
E così, ancora, il contratto di rete si rivela uno strumento molto più efficace del contratto di appalto per regolare i rapporti tra impresa committente e impresa appaltatrice per la realizzazione di quelle opere o di quei servizi che richiedano un forte coordinamento e una spiccata integrazione tra le organizzazioni delle parti del contratto.
In entrambi i casi appena richiamati, infatti, la finalità collaborativa costituente componente fondante della causa del contratto di rete fa sì che lo stesso sia, più di altri schemi negoziali di aggregazione imprenditoriale, naturalmente strumentale alla realizzazione di contesti organizzativi complessi all’interno dei quali la mobilità del lavoro costituisca una componente naturale.
Come si è fin qui messo in luce, la funzione originaria del contratto di rete ha subìto recentemente un importante arricchimento attraverso le norme varate per contrastare le conseguenze economiche della pandemia. La rete è infatti divenuta, almeno in via transitoria, strumento utile a perseguire l’obiettivo del mantenimento dell’occupazione o a consentire l’investimento nelle operazioni funzionali al rinnovamento delle professionalità presenti in azienda e al ricambio generazionale, anche allo scopo di rafforzare e sostenere i percorsi di uscita da periodi di crisi.
L’analisi svolta ha, però, evidenziato come le potenzialità presenti nella normativa vigente siano - in larga parte e al momento - inespresse per la lacunosità e la scarsità delle disposizioni riguardanti i principali strumenti volti a consentire la mobilità dei lavoratori all’interno della rete.
A mo’ di conclusione di queste note può essere utile svolgere qualche considerazione sugli interventi normativi che sarebbero auspicabili per concretizzare le potenzialità illustrate.
Prendendo le mosse dalla codatorialità, al fine di renderne possibile l’impiego sarebbe in realtà sufficiente un intervento minimo del Ministero del lavoro, volto a definire le modalità operative per procedere alla comunicazione da parte dell’impresa referente individuata dal contratto di rete, così come previsto dall’art. 3, c. 4-septies, d.l. 5/2009.
Un intervento di tipo legislativo più ampio sarebbe però anche auspicabile, per le ragioni viste, per definire una disciplina, almeno essenziale, su diritti, obblighi e poteri delle parti del rapporto di lavoro pluridatoriale. Le norme auspicate, oltre ad optare in maniera chiara per una qualificazione della codatorialità come fattispecie di contratto di lavoro pluridatoriale, dovrebbero, almeno: definire il regime delle responsabilità delle singole imprese nei confronti del lavoratore (evitando di lasciarne genericamente la definizione al contratto di rete); precisare le modalità di esercizio e ripartizione dei poteri datoriali tra le diverse imprese; dettare regole di riferimento sul regime di impegno temporale; regolare i profili contributivi e assicurativi.
Le potenzialità che il contesto reticolare mostra di possedere ai fini della creazione di occasioni di arricchimento professionale dei lavoratori inducono a suggerire interventi volti a valorizzare il fenomeno delle reti come contesto organizzativo all’interno del quale sia data la possibilità ai lavoratori di “circolare” per finalità di formazione, aggiornamento e arricchimento professionale.
Testimoni dell’interesse per questa prospettiva sono, per esempio, le riflessioni avviate nell’ambito del Focus group promosso da ANPAL Servizi S.p.A. ( ), con l’obiettivo di valutare la possibilità di utilizzare il contratto di rete come strumento idoneo a rendere possibile l’assunzione di giovani con contratto di apprendistato di alta formazione e ricerca presso le piccole imprese.
Riflessioni di questo tipo evidenziano, per un verso, le grandi potenzialità che il contratto di rete presenta come strumento utile anche a consentire investimenti nelle politiche di sviluppo e crescita del personale nelle realtà produttive di dimensioni ridotte. Per l’altro verso evidenziano, però, la necessità di interventi normativi, anche minimi, che siano in grado di rendere possibili tali investimenti e supportare le imprese in tali percorsi di sviluppo. Per non rimanere solo sul piano teorico, per esempio in materia di apprendistato, sarebbe sufficiente una norma che riconoscesse espressamente la possibilità di costruire un piano formativo individuale in cui la formazione possa essere realizzata impiegando il lavoratore presso tutte o parte delle imprese legate in rete, anche al di fuori delle ipotesi di codatorialità.
Infine, le potenzialità del contratto di rete, che si sono ricordate in queste pagine, inducono ad auspicare che le regole recentemente introdotte in via transitoria nella fase emergenziale vengano rese strutturali, in quanto utili a sostenere le piccole e medie imprese nelle situazioni di crisi e nei processi di ricambio generazionale e rinnovamento delle competenze professionali presenti in azienda. Una prospettiva, questa, meritevole di una particolare considerazione se si osserva, com’è noto e come già più sopra ricordato, che le imprese piccole e piccolissime costituiscono una parte rilevantissima del tessuto produttivo italiano e che, ciononostante, esse hanno normalmente molta difficoltà ad accedere a strumenti di sostegno economico e finanziario e di investimento in processi di innovazione e sviluppo, molto spesso riservati solo alle imprese di dimensioni maggiori.

 

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