TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

TESTO DELLA SENTENZA DEL TRIB. DI MILANO 15-9-2020

1. La sentenza Corte Cost. n. 120/2018 e il lungo iter legislativo verso l’approvazione della legge sulla libertà sindacale del personale militare.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 120 del 20 giugno 2018, ha, ormai tre anni or sono, deciso i giudizi di legittimità costituzionale inerenti l’art. 1475, comma 2, del d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell’ordinamento militare, d’ora in poi C.O.M.), il cui testo stabiliva: «I militari non possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali». Le ordinanze di rimessione rilevavano, in particolare, il contrasto di tale norma con l’art. 117, primo comma, della Costituzione («La potestà legislativa è esercitata … nel rispetto … dei vincoli derivanti … dagli obblighi internazionali»), in relazione sia agli artt. 11  e 14  della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) e alle sentenze emesse in data 2 ottobre 2014 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, quinta sezione, Matelly contro Francia e Association de Défense des Droits des Militaires (ADefDroMil) contro Francia , sia all’art. 5, paragrafo unico, terzo periodo , della Carta sociale europea, ratificata e resa esecutiva con la legge 9 febbraio 1999, n. 30 ( ).
La Consulta – superando un proprio precedente orientamento , peraltro riferito ad altre norme parametro della nostra Carta costituzionale – ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1475, comma 2, C.O.M., in quanto prevede che «I militari non possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali» invece di prevedere che «I militari possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale alle condizioni e con i limiti fissati dalla legge; non possono aderire ad altre associazioni sindacali» ( ). Si tratta di un’atipica sentenza sostitutiva da parte della Consulta .
La Corte ha, quindi, in primo luogo invitato il legislatore ad intervenire tempestivamente , approvando una legge sulla libertà sindacale del personale militare, ed ha, inoltre, precisato che la disciplina costituzionale della materia rende incompatibile con la disciplina stessa un riconoscimento non specificamente regolamentato del diritto di associazione sindacale: la previsione di condizioni e limiti all’esercizio di tale diritto, se è infatti facoltativa per i parametri internazionali, è invece doverosa nella prospettiva nazionale, al punto da escludere la possibilità di un vuoto normativo, vuoto che sarebbe di impedimento allo stesso riconoscimento del diritto di associazione sindacale. Alla luce di tali osservazioni, la Consulta ha verificato se tale evenienza nella specie si potesse verificare ovvero se fossero rinvenibili nell’ordinamento disposizioni che, in attesa dell’intervento del legislatore, risultassero idonee a tutelare questi valori. Nello specifico, quanto alla costituzione delle associazioni sindacali, è stata confermata l’applicazione della non censurata disposizione dell’art. 1475, comma 1, C.O.M., secondo cui «La costituzione di associazioni o circoli fra militari è subordinata al preventivo assenso del Ministro della difesa». Quindi, ad avviso della Corte, gli statuti delle associazioni vanno sottoposti agli organi competenti, e il loro vaglio va condotto alla stregua di criteri che senza dubbio è opportuno puntualizzare in sede legislativa, ma che sono già desumibili dall’assetto costituzionale della materia. A tal fine fondamentale è il principio di democraticità dell’ordinamento delle Forze armate, evocato in via generale dell’art. 52 Cost., che non può non coinvolgere anche le associazioni fra militari. Quanto ai limiti dell’azione sindacale, la Corte ritiene vada anzitutto ricordato il divieto di esercizio del diritto di sciopero e rileva che si tratta indubbiamente di una incisione profonda su di un diritto fondamentale, ma giustificata dalla necessità di garantire l’esercizio di altre libertà non meno fondamentali e la tutela di interessi costituzionalmente rilevanti. Con riguardo agli ulteriori limiti, invece, la Corte giudica indispensabile una specifica disciplina legislativa, ma per non rinviare il riconoscimento del diritto di associazione, nonché l’adeguamento agli obblighi convenzionali, ritiene che, in attesa dell’intervento del legislatore, il vuoto normativo possa essere colmato con la disciplina dettata per i diversi organismi della rappresentanza militare e in particolare con quelle disposizioni (art. 1478, comma 7, C.O.M.) che escludono dalla loro competenza «le materie concernenti l’ordinamento, l’addestramento, le operazioni, il settore logistico-operativo, il rapporto gerarchico-funzionale e l’impiego del personale», costituendo, allo stato, tali disposizioni adeguata garanzia dei valori e degli interessi prima richiamati.
Sul punto parte della dottrina osserva criticamente come la Corte «afferma in particolare, che il vuoto legislativo “possa” (ma forse dovremmo leggere “debba”) essere colmato applicando ai sindacati dei militari le regole dettate per gli organismi pubblici della rappresentanza militare … . L’affermazione deve essere però interpretata in modo particolarmente rigoroso. Se infatti si ritenessero applicabili tutte le norme dedicate agli organismi pubblici della rappresentanza, le nuove associazioni dei militari perderebbero qualunque connotato sindacale e la decisione della Corte costituzionale finirebbe per “togliere” esattamente tutto quello che ha riconosciuto: il divieto, cioè, entrerebbe dalla finestra sotto altre vesti, dopo essere uscito dalla porta» .
In modo maggiormente condivisibile ad avviso di chi scrive, altra parte della dottrina osserva che la Consulta «non dà ingresso ad un riconoscimento incondizionato del principio di libertà sindacale alle forze armate», «non postula l’estensione ai militari del diritto sindacale vigente per i lavoratori pubblici e privati» ed inoltre «va ulteriormente precisato che nel periodo transitorio, in attesa dell’intervento legislativo, la tutela degli interessi dei militari non ha subito alcuna soluzione di continuità in quanto permane e non è stato intaccato neppure dalla sentenza della Corte costituzionale il collaudato e pienamente operativo sistema della rappresentanza militare, disciplinato dalle norme del codice dell’ordinamento militare … e del relativo regolamento (d.P.R. n. 90 del 2010)» .
Alla luce della decisione della Consulta, il legislatore italiano ha, quindi, avviato l’iter legislativo volto ad approvare «Norme sull’esercizio della libertà sindacale del personale delle Forze armate e delle Forze di polizia a ordinamento militare, nonché delega al Governo per il coordinamento normativo»: il disegno di legge n. 1893 è attualmente al vaglio del Senato, dopo essere stato approvato alla Camera (Atto Camera C875).
Il percorso parlamentare per il varo della legge si sta rivelando tuttavia piuttosto lungo e complicato, ma del resto «il compito assegnato al legislatore è particolarmente delicato, in quanto la trasposizione a livello normativo generale di “condizioni e limiti” di costituzione delle associazioni stesse impone tutta una serie di puntualizzazioni di carattere giuridico di non lieve momento che, sulla base del tracciato costituzionale, …, diano corpo a soggetti sindacali idonei allo scopo» , tenendo in adeguata considerazione il fatto che l’art. 52, comma 3, della Costituzione, nel riferirsi all’«ordinamento delle Forze armate», riassume la specialità della funzione svolta.
Questo contributo si pone specificamente l’obiettivo di dare conto, nell’attesa del varo della legge, dei primi controversi e ad oggi noti interventi giurisprudenziali in materia di libertà sindacale del personale militare successivi alla sentenza della Consulta e di formulare alcune brevi osservazioni in merito alla necessità – nella formulazione della legge, ma anche nell’attuale fase “transitoria” – di un ponderato e prudente bilanciamento tra i valori costituzionali di cui all’art. 39 e all’art. 52 (senza tralasciare i possibili riflessi recati dal principio di neutralità previsto dagli artt. 97 e 98 Cost.).
2. I primi controversi interventi giurisprudenziali in attesa della legge.
Dopo la pubblicazione della sentenza n. 120/2018, la giurisprudenza di merito è stata chiamata ad esprimersi in alcuni casi su ricorsi ex art. 28, l. n. 300/1970 promossi da associazioni professionali a carattere sindacale del personale militare. Pare utile passare in rassegna tali decisioni per fare emergere i primi orientamenti emersi in proposito.
Il Tribunale di Roma (Dott.ssa Anna Maria Lionetti), con ordinanza del 1° agosto 2020, si è pronunciato su un ricorso proposto da Unarma (Associazione sindacale Carabinieri) avverso il trasferimento del segretario nazionale dell’Associazione sindacale medesima, deducendo la violazione degli art. 22 e 28, l. n. 300/1970. Senza entrare nel merito della vicenda, il Tribunale ha accolto l’eccezione in via preliminare del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri inerente il difetto di giurisdizione ai sensi dell’art. 3, d.lgs. n. 165/2001, affermando in particolare che il rapporto di lavoro pubblico relativamente al quale si sarebbe realizzata la condotta asseritamente antisindacale non soltanto è sottratto alla privatizzazione del pubblico impiego, ma rientra nell’ordinamento militare con riconoscimento del diritto all’associazione sindacale entro i limiti fissati da Corte Cost. n. 120/2018. Alla luce della pronuncia della Consulta, il Giudice ha ritenuto di escludere – in assenza dell’auspicata disciplina legislativa – la giurisdizione ordinaria relativamente alla controversia concernente la condotta antisindacale promossa da associazione sindacale costituita nell’ambito di Forza di Polizia ad ordinamento militare stante i limiti all’attività sindacale stessa, oggettivamente connessi al rapporto di lavoro pubblico, la cognizione del quale è attribuita alla giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo, ed al relativo ordinamento militare che lo informa.
Analoga decisione ha assunto altro Giudice del Tribunale di Roma (Dott.ssa Cacace) nel decreto ex art. 28, l. n. 300/1970 del 7 dicembre 2020, recependo esplicitamente quanto affermato dal medesimo Tribunale nella appena citata ordinanza del 1° agosto 2020.
Tuttavia, più recentemente, nel giudizio di opposizione avverso l’ordinanza del 1° agosto 2020 del Tribunale di Roma, il medesimo Tribunale (Dott. Umberto Buonassisi), con sentenza del 1° giugno 2021, ha ritenuto che «il giudice non può che attenersi all’orientamento espresso dalle Sezioni Unite della Cassazione, per il quale, in caso di condotta antisindacale plurioffensiva derivante dal trasferimento senza preventivo nulla osta dell’organizzazione sindacale di appartenenza, del dirigente sindacale, la controversia ai sensi dell’art. 28 dello statuto dei lavoratori è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario anche nel caso in cui la condotta afferisca a un rapporto di lavoro pubblico non contrattualizzato (Cass. Civ., Sezioni Unite, Sent. n° 2359 del 9.2.2015 con riferimento a trasferimento di appartenente al corpo di polizia penitenziaria)». Viene, quindi, affermata la giurisdizione del giudice ordinario, ma il ricorso è dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione attiva dell’organizzazione sindacale ricorrente in quanto, anche a voler qualificare Unarma come una organizzazione sindacale, il ricorso non è stato proposto dall’organizzazione più periferica del sindacato (gli “organismi locali”), come richiesto dalla giurisprudenza della Suprema Corte.
Un orientamento simile è stato assunto dal Tribunale di Torino (Dott.ssa Roberta Pastore) nella decisione del 10 febbraio 2021, relativa ad un ricorso ex art. 28 proposto nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze e del Comando Generale della Guardia di Finanza da una neocostituita associazione professionale a carattere sindacale tra componenti della Guardia di Finanza. Ad avviso dell’associazione ricorrente la condotta antisindacale sarebbe consistita «nell’osteggiare l’esercizio dei diritti sindacali, sia a livello locale che a livello nazionale, anche tramite disposizioni adottate nella forma di circolari, direttive e prassi». La pronuncia afferma la giurisdizione del Giudice ordinario, rigettando l’eccezione sollevata dalle parti convenute (è citata anche in questo caso la sentenza n. 2359/2015 delle Sezioni Unite), ma ritiene inammissibile il ricorso «non risultando provato il necessario requisito del carattere nazionale dell’attività svolta dalla o.s. ricorrente» e non essendo sufficiente e significativo a tal fine il fatto che l’associazione «possa aver previsto la costituzione, nel proprio statuto, di sedi in tutta Italia, sia in ambito provinciale che in ambito regionale, perché ciò che rileva è che il sindacato, anche tramite tali articolazioni, abbia effettivamente svolto attività su gran parte del territorio nazionale e non che si possa essere organizzato per farlo. Una siffatta attività non risulta invero provata» e ciò comporta il difetto di legittimazione attiva dell’associazione ricorrente.
In senso analogo sul punto della giurisdizione e della legittimazione attiva, si era già espresso anche il Tribunale di Milano (Dott. Nicola Di Leo), con decreto del 15 settembre 2020, affermando in primo luogo – nell’ambito di un’articolata decisione relativa ad un ricorso ex art. 28, l. n. 300/1970 proposto da Unarma avverso il Ministero della Difesa per un comportamento antisindacale consistito nel trasferimento senza alcun nulla osta del proprio Segretario Generale Regionale Aggiunto Vicario della Regione Lombardia – la sussistenza della giurisdizione del Giudice Ordinario, pur a fronte di un’azione ex art. 28 attinente a un rapporto di lavoro rientrante nel pubblico impiego non contrattualizzato di cui all’art. 3 del D.Lgs. n. 165/2001, e richiamando al riguardo alcune pronunce di Cassazione a Sezioni Unite. Sempre sul fronte processuale, il Giudice milanese aveva, invece, accolto l’eccezione di difetto di legittimazione attiva sollevata dal Ministero della Difesa, non avendo allegato Unarma deduzioni sufficienti per poter dimostrare il requisito della nazionalità utile per ottenere la tutela di cui all’art. 28, l. n. 300/1970, ed aveva altresì rigettato la domanda ex art. 700 c.p.c. per carenza del periculum in mora.

Tale vicenda è proseguita tuttavia nel giudizio di opposizione a decreto ex art. 28, deciso dal Tribunale di Milano (Dott.ssa Sara Moglia), con sentenza n. 244/2021 del 28 gennaio 2021 pronuncia giunta anche sulle pagine dei quotidiani . In questa sentenza il Giudice – confutando la sopra citata ordinanza del Tribunale di Roma del 1° agosto 2020 – ha confermato la decisione sul punto del Dott. Di Leo del 15 settembre 2020, riaffermando la sussistenza della giurisdizione ordinaria. In riforma del decreto del Dott. Di Leo, è stata però riconosciuta la legittimazione processuale attiva di Unarma ai fini della proposizione di un ricorso ex art. 28 alla luce di nuove deduzioni e produzioni documentali idonee a dimostrarne il carattere di associazione sindacale nazionale. Superate le eccezioni preliminari, nel merito il Tribunale ha affermato il carattere antisindacale del provvedimento con il quale è stato disposto il trasferimento del segretario generale regionale aggiunto vicario per la Regione Lombardia senza richiesta di nulla osta o parere dell’associazione presso la quale era stato eletto. Nel motivare tale decisione, il Giudice ha mostrato di fare applicazione diretta dell’art. 22, l. n. 300/1970 e dell’art. 1480 ( ), C.O.M. in materia di rappresentanze militari, negando che il trasferimento rientri tra le materie escluse dalle competenze degli organi di rappresentanza ai sensi dell’art. 1478, comma 7, C.O.M. e precisamente: ordinamento; addestramento; operazioni; settore logistico-operativo; rapporto gerarchico-funzionale e impiego del personale. La considerazione più netta al riguardo è la seguente: «se, pur in presenza di una norma che delimita la competenza delle rappresentanze, l’art. 1480 condiziona il trasferimento al consenso delle stesse, significa che tale atto di organizzazione non rientra nell’elenco di cui all’art. 1478 e quindi tra le materie che il Codice ha inteso sottrarre alle organizzazioni». In sintesi, il Giudice ha ritenuto di dover concludere che il trasferimento è atto non sottratto alla competenza delle associazioni sindacali e che lo stesso, se riguarda un militare che ricopre cariche sindacali, richiede il previo accordo, in assenza del quale sussistono i presupposti per la dichiarazione di antisindacalità.

Anche la decisione della Dott.ssa Moglia è stata oggetto di impugnazione e una recentissima pronuncia della Corte d’Appello di Milano del 23 giugno 2021 ha riformato la sentenza n. 244/2021 del Tribunale di Milano, respingendo il ricorso proposto da Unarma in primo grado e compensando integralmente fra le parti le spese del doppio grado di giudizio. La Corte d’Appello di Milano ha confermato la sussistenza sia della giurisdizione del Giudice ordinario sia della legittimazione attiva in capo ad Unarma ai fini dell’esercizio dell’azione ex art. 28, L. n. 300/1970 (con particolare riferimento all’accertamento del requisito della «nazionalità»), ma ha ritenuto infondata l’azione esperita da Unarma, «in ragione dell’assorbente rilievo concernente il difetto di attualità della condotta denunciata come antisindacale, sopravvenuto nel corso del giudizio a seguito del congedo» dal servizio effettivo (con conseguente decadenza dalla carica sindacale) del segretario generale regionale aggiunto vicario per la Regione Lombardia, «il cui trasferimento aveva dato origine alla controversia». La motivazione in punto di difetto di attualità della condotta antisindacale è supportata dalla consolidata giurisprudenza di legittimità citata in sentenza e dall’osservazione che sono «mancate … specifiche deduzioni in ordine alle funzioni e ai contenuti della carica di “Segretario Generale Regionale Aggiunto Vicario della Lombardia”» il cui «carattere meramente “Vicario” …, non meglio precisato nelle sue caratteristiche, impedisce di ravvisare alcuna perdurante portata lesiva del trasferimento oggetto di causa … anche alla luce dell’attribuzione non elettiva di tale carica, basata su una mera nomina “fiduciaria”».

Un caso diverso e particolare (le altre pronunce prese in esame ineriscono ipotesi di trasferimento di dirigenti sindacali e l’esercizio di diritti sindacali) è stato, invece, affrontato dal Tribunale di Potenza (Dott. Eugenio Facciolla), nel decreto ex art. 28, l. n. 300/1970 del 5 giugno 2021. Il Tribunale – affermata la sussistenza della giurisdizione ordinaria sulla base dei già richiamati orientamenti delle Sezioni Unite della Cassazione e riconosciuta la legittimazione processuale attiva dell’organizzazione sindacale ricorrente – ha affrontato la vicenda relativa alle affermazioni di un dirigente sindacale che aveva rilasciato un’intervista non autorizzata a un telegiornale locale, nel corso della quale, dichiarando la propria carica associativa, aveva «riferito “circostanze non veritiere circa la distribuzione di prodotti di sanificazione scaduti nonché la mancata fornitura di dispositivi di protezione individuale per il personale dell’Arma impegnato nei servizi istituzionali correlati all’emergenza covid-19”. Condotta ritenuta dal Direttore Generale della Direzione Generale per il Personale Militare “biasimevole anche sotto l’aspetto disciplinare, in quanto contraria ai principi di moralità e di rettitudine che devono improntare l’agire di un militare, ai doveri attinenti al giuramento prestato e a quelli di correttezza ed esemplarità propri dello “status” di militare e di appartenente all’Arma dei Carabinieri”». Oggetto della verifica del Giudice è se l’adozione del provvedimento disciplinare in questione possa o meno inquadrarsi quale condotta antisindacale o solo come procedimento disciplinare – in applicazione dell’art. 1472 , comma 1, C.O.M. – privo di carattere intimidatorio. Il Tribunale di Potenza ha negato che le affermazioni del dirigente sindacale potessero costituire informazioni sottoposte a classificazione o comunque riservate, trattandosi di argomenti e considerazioni che in quel momento storico di emergenza sanitaria in tutto il Paese venivano riprodotte quotidianamente da mass media e da politici, operatori sanitari, opinionisti, ecc., escludendo altresì che si potessero individuare violazioni inerenti il dovere di fedeltà di cui all’art. 1348  C.O.M. e quelli attinenti al giuramento e al contegno militare di cui agli artt. 712  e 732  del D.P.R. n. 90/2010 («Testo Unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare»). Ad avviso del Giudice, ne risulta che, escludendo i presupposti dell’azione disciplinare ed essendo dal dirigente sindacale rispettati i limiti della continenza sostanziale e della continenza formale, non rilevandosi falsità nelle affermazioni, il provvedimento disciplinare in questione concreta una condotta antisindacale.

3. Ordinamento militare e ordinamento sindacale: la necessità di raggiungere un calibrato bilanciamento tra art. 39 e art. 52 Cost.
Di fronte al quadro giurisprudenziale sin qui delineato – per quanto largamente rivolto alla disamina delle annose questioni processuali inerenti la giurisdizione  e la legittimazione attiva ai sensi dell’art. 28, l. n. 300/1970 – si pone con forza la questione di come raggiungere (tanto per la Magistratura negli interventi presenti e futuri, quanto per il legislatore nella legge in via di approvazione) il giusto punto di bilanciamento tra i principi e le regole dell’ordinamento militare e le dinamiche di azione, rivendicazione e di tutela tipiche del mondo sindacale.
In questo senso, per citare esempi tratti dalle decisioni appena ricordate, basti pensare alla necessaria rivalutazione e riconsiderazione – rispetto al punto di approdo raggiunto in ambito “civile” – dei limiti e confini della libertà d’espressione e del diritto di critica sindacale in ambito militare , anche ai fini del loro esercizio legittimo ovvero, viceversa, della sussistenza dei presupposti per ipotesi sanzionabili ai sensi della disciplina militare di cui agli artt. 1346  e seguenti del C.O.M., laddove emergano possibili violazioni dei citati doveri di fedeltà di cui all’art. 1348 C.O.M. e di quelli attinenti al giuramento e al contegno militare di cui agli artt. 712 e 732, come pure al senso di responsabilità di cui all’art. 717  del D.P.R. n. 90/2010 («Testo Unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare»).
E ancora è necessario si ponga attenzione ad un appropriato contemperamento tra le tutele dei dirigenti sindacali rispetto al luogo di svolgimento della propria prestazione lavorativa e il potere del Corpo di trasferimento dei militari, necessario e funzionale ad una ordinaria ed efficiente organizzazione delle Forze Armate. Affermare recisamente – come ha sostenuto il Tribunale di Milano nella decisione del 28 gennaio 2021 – l’applicazione dell’art. 22, l. n. 300/1970 e dell’art. 1480 C.O.M. significa ritenere prevalente (nel settore militare in modo analogo a quanto avviene nel settore “civile”) la guarentigia sindacale sul trasferimento d’autorità e, quindi, sulle esigenze di servizio. Ciò comporta conseguenze non solo con riferimento alla questione teorica del bilanciamento tra i valori costituzionali di cui agli artt. 39 e 52 Cost., ma assume un’immediata rilevanza e dei risvolti senza precedenti anche dal punto di vista pratico-operativo, organizzativo e di impiego del personale. Pure sotto questo profilo, l’equilibrata ponderazione della dialettica “ordinamento militare-ordinamento sindacale” impone la definizione quanto prima di una disciplina semplice ed esaustiva , che non lasci spazio ad incertezze interpretative e che selezioni puntualmente le associazioni abilitate ad accedere alle prerogative sindacali “ulteriori” (quale è pacificamente da ritenere il nulla osta al trasferimento del dirigente sindacale) rispetto alla mera libertà sindacale, nonché gli esponenti sindacali cui applicare peculiari tutele (in questo senso, come già rilevato, la sentenza della Corte d’Appello di Milano del 23 giugno 2021 – che ha riformato la decisione del 28 gennaio 2021 – ha opportunamente motivato il difetto di attualità pure in ragione delle «mancate, …, specifiche deduzioni in ordine alle funzioni e ai contenuti della carica di “Segretario Generale Regionale Aggiunto Vicario della Lombardia”», il cui «carattere meramente “Vicario” …, non meglio precisato nelle sue caratteristiche, impedisce di ravvisare alcuna perdurante portata lesiva del trasferimento oggetto di causa … anche alla luce dell’attribuzione non elettiva di tale carica, basata su una mera nomina “fiduciaria”»).

Più in generale, si deve ritenere che restrizioni ai diritti anche sindacali del cittadino-militare possano legittimamente derivare dai princìpi organizzativi che ineriscono alla struttura del Corpo, qualificando in modo necessario il rapporto di impiego in questo comparto dell’amministrazione (gerarchia, obbedienza, prontezza, coerenza interna e compattezza) e comportando la necessità di fissare ponderati e proporzionali limiti nell’esercizio di alcuni di questi diritti .
Emblematico di tale opportuno bilanciamento è, del resto, l’art. 1465 («Diritti riconosciuti dalla Costituzione») C.O.M., in base al cui comma 1 «ai militari spettano i diritti che la Costituzione della Repubblica riconosce ai cittadini. Per garantire l’assolvimento dei compiti propri delle Forze armate sono imposte ai militari limitazioni nell’esercizio di alcuni di tali diritti, nonché l’osservanza di particolari doveri nell’ambito dei principi costituzionali».
Ad avviso di chi scrive, quindi, non sembrano pienamente considerare tale specifica necessità di contemperamento tra gli artt. 39 e 52, Cost. (e la relativa consistente e perdurante specialità dell’ordinamento militare) quelle opinioni dottrinali secondo cui «in attuazione dell’art. 39, primo comma, della Carta costituzionale nel dibattito parlamentare … non dovrebbe smarrirsi la finalità fondamentale del futuro intervento legislativo: riunificare la disciplina della rappresentanza sindacale e della contrattazione collettiva a tutela di tutti gli appartenenti alle forze armate e alle forze di polizia (ad ordinamento civile e militare), che, sia pure nelle necessarie specificità, mutui il modello della legislazione sindacale esistente nel pubblico impiego privatizzato» .
Sono, invece, maggiormente condivisibili quegli orientamenti secondo cui «senza scomodare il lungo e riuscito processo di sindacalizzazione “piena” del pubblico impiego, si potrebbe ipotizzare di intraprendere la virtuosa “via mediana” del riconoscimento delle facoltà autentiche e tipiche del sistema sindacale, senza in alcun modo compromettere la funzionalità del Corpo, né indebolire il presidio dell’art. 52 Cost.» .
Quindi, «nessun semplicistico parallelismo può essere ipotizzato tra i modi e le condizioni con cui si è storicamente realizzato il principio di libertà sindacale … ed i modi e le condizioni con cui tale principio può fare ingresso oggi nell’ordinamento militare. Ordinamento la cui assoluta specialità … richiede un necessario adattamento del principio di libertà sindacale in esito ad un doveroso bilanciamento tra valori costituzionali e, prima ancora, tra ordinamenti - quello militare e quello intersindacale - che tali valori innervano». In altri termini, non si può giungere «a confondere le organizzazioni sindacali in generale con le associazioni professionali a carattere sindacale dei militari, così come … a confondere le prerogative di libertà con i diritti sindacali, … che si qualificano come diritti promozionali dell’attività sindacale nel settore del lavoro civile, che spetterà al legislatore se del caso introdurre e disciplinare per i militari, innanzitutto però individuando i soggetti sindacali titolari degli stessi ed i criteri di verifica della rappresentatività sindacale qualificata che ne costituiscono il necessario presupposto selettivo. Diversamente argomentando si arriverebbe al paradosso di riconoscere ai sindacati militari diritti e prerogative più estese e penetranti di quelle riconosciute ai sindacati del settore civile!» .
In conclusione, i Giudici ed il Legislatore non possono pensare di applicare o trasporre sic et simpliciter l’ordinamento sindacale “compiuto” nell’ordinamento militare senza tener adeguatamente conto dei meccanismi e principi peculiari dell’Amministrazione militare e delle relative necessità anche funzionali ed organizzative, pure tutelate a livello costituzionale dall’art. 52.

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