Testo integrale con note e bibliografia

Introduzione

Sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), accompagnato dal Piano Nazionale per gli Investimenti Complementari, si è scritto già molto, e molto ci sarà da scriversi nei prossimi anni. Accanto all’informazione dei media, si va sviluppando un “florilegio” di articoli e saggi specializzati.
Dal 30 aprile 2021, data d’invio alla Commissione europea, il Pnrr è entrato di prepotenza nei discorsi degli addetti ai lavori (politici, amministratori locali, economisti, banchieri, imprenditori, sindacalisti, ordini professionali, a vario titolo coinvolti nella gestione/realizzazione delle opere che saranno programmate) e del cittadino comune, che vede in questo strumento una sorta di Piano Marshall per superare la grave crisi sanitaria, economica e sociale provocata dall’emergenza pandemica.
Da operatore sindacale, vorrei offrire un metodo di lettura del Pnrr per facilitare la comprensione di questo complesso strumento di politica istituzionale, economico-finanziaria e sociale che ci accompagnerà fino al 31 dicembre 2028, quando «la Commissione presenterà al Parlamento, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo una relazione di valutazione ex post indipendente» (art. 32 del Regolamento n. 241/2021).

Da dove partire?

Cominciamo con la cornice predisposta dalla governance istituzionale dell’Unione europea (Commissione, Consiglio e Parlamento), per poi progettare l’orditura (il Dispositivo di ripresa e di resilienza) che caratterizza i Pnrr degli Stati membri. L’ordito è il disegno per la tessitura dei Piani nazionali, che trovano la loro motivazione istituzionale nel Trattato sul funzionamento dell’Ue (artt.120, 121, 148, 174, 175), il quale fissa le norme per realizzare e rafforzare la coesione economica, sociale e territoriale. I motivi del rafforzamento vanno ricercati nelle due precedenti crisi socio-economiche: quella mondiale del 2008-09 e quella dell’Euro (2010-12). Ad esse si è aggiunta la pandemia da Covid-19, che ha cambiato le prospettive economiche, sociali e di bilancio nell’Unione, inducendo a sospendere i vincoli di Maastricht (i Patti di stabilità).
Del resto, gli stessi princìpi ispiratori dell’Ue hanno rischiato di essere travolti dalle emergenze susseguenti alla crisi pandemica. Da qui la necessità di rimettere al centro della politica dell’Unione una serie di misure straordinarie per consolidare i princìpi del pilastro europeo dei diritti sociali, al fine di rafforzare la competitività, il potenziale di crescita e di sostenibilità della finanza pubblica, introducendo riforme basate su solidarietà, integrazione, giustizia sociale, equa distribuzione della ricchezza, premurandosi altresì di promuovere un’occupazione di qualità e una crescita sostenibile, di garantire un pari livello di opportunità e protezione sociale, di tutelare persone e gruppi più vulnerabili.
Sulla base di questa premessa, agli Stati membri è stato chiesto di elaborare proprie strategie pluriennali d’investimento per sostenere le riforme suindicate. Dal canto suo, il Consiglio europeo ha dato vita a un forte «patto di solidarietà europeo per la ripresa e la crescita». Pertanto, i Piani nazionali, secondo l’intenzione della governance Ue, devono rispondere alla necessità di realizzare politiche di sviluppo socio-economico sostenibili e resilienti, di attrezzare sistemi finanziari e di Welfare in grado di reagire con efficacia agli shock provocati dalla pandemia.

I Piani pluriennali di sviluppo

Si legge nelle premesse al Regolamento del 12 febbraio 2021: «Gli Stati membri devono elaborare le proprie strategie nazionali pluriennali di investimento a sostegno di tali riforme, tenendo in considerazione l’accordo di Parigi […] i piani nazionali per l’energia e il clima […] i piani di attuazione della garanzia per i giovani […] al conseguimento del Green Deal europeo (approvato il 14 marzo 2019 con obiettivi da raggiungersi entro il 2030), del pilastro europeo dei diritti sociali e degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Onu (Agenda 2030)». Inoltre, si raccomanda agli Stati di realizzare interventi che rispettino il principio di «non arrecare un danno significativo» all’ambiente e la garanzia di un «pacchetto di strumenti per la cibersicurezza del 5G». È questo lo scenario in cui i Pnrr devono orientare i loro sforzi in una visione unitaria di un’Europa equa e sostenibile.
Con quali mezzi finanziari realizzare un progetto così ambizioso? A tale proposito, l’Ue ha messo in campo una notevole batteria di strumenti. Cerchiamo allora di orientarci tra i diversi fondi e meccanismi predisposti, considerando le tappe più significative dell’ultimo anno: 27 maggio 2020, in risposta alla crisi senza precedenti da Coronavirus, la Commissione europea propone lo strumento temporaneo per la ripresa, denominato Next Generation EU, dotato di 750 mld di euro, oltre a un rafforzamento mirato del bilancio a lungo termine dell’Ue per il 2021-27; 21 luglio, i capi di Stato o di governo dell’Unione raggiungono l’accordo politico; 10 novembre, il Parlamento e il Consiglio europei trovano l’intesa sulla proposta; 10 dicembre, gli Stati membri convengono sul fatto di completare l’adozione del Regolamento circa il quadro finanziario pluriennale; 17 dicembre, il Consiglio, dopo l’approvazione del giorno precedente da parte del Parlamento, adotta il bilancio 2021-27 dell’Ue; 18 dicembre, il Parlamento e il Consiglio europei raggiungono l’accordo sul dispositivo per la ripresa e la resilienza (Rrf), cioè il programma operativo su cui poggia NGEU (Regolamento n. 241, 12 febbraio 2021).
Il Regolamento istitutivo del Rrf stabilisce gli obiettivi e l’ambito di azione del dispositivo, il suo finanziamento, le forme per finanziare, da parte dell’Unione, gli Stati membri e le regole di erogazione dei contributi.
Nei documenti ufficiali della Commissione europea, si legge: «Con un bilancio di 807 miliardi di euro a prezzi correnti, Next Generation EU contribuirà a riparare i danni economici e sociali immediati causati dalla pandemia di Coronavirus e a preparare l’Ue alle sfide future. Lo strumento contribuirà alla costruzione di un’Europa post Covid-19 più verde, digitale, resiliente e meglio attrezzata per far fronte alle sfide presenti e future. Il fulcro di NGEU è rappresentato dal dispositivo per la ripresa e la resilienza, uno strumento destinato a fornire sovvenzioni e prestiti a sostegno delle riforme e degli investimenti negli Stati membri dell’Ue. I contratti/impegni nel quadro di Next Generation EU possono essere conclusi fino alla fine del 2023, mentre i pagamenti relativi ai prestiti continueranno fino alla fine del 2026. A seguito dell’approvazione della decisione relativa alle risorse proprie da parte di tutti gli Stati membri dell’Ue, la Commissione può ora iniziare a reperire risorse per finanziare la ripresa dell’Europa tramite NGEU».
Alla fine dell’intero iter istituzionale, l’Unione europea ha messo in campo interventi di circa 2.000 mld di euro da spendersi nel periodo 2021-27. Tutti i fondi programmati convergono sugli obiettivi predetti. La cornice finanziaria è il bilancio europeo 2021-27 (1.210 mld di euro), cui si aggiungono 800 mld del NGEU, come indicato nel Multiannual Financial Framework 2021-27.
Di questo considerevole volume di soldi quanto andrà a finanziare ripresa e resilienza? Come orientarsi tra le diverse sigle dei fondi che continuiamo a leggere sui giornali?
Cerchiamo di ricostruire il quadro finanziario di riferimento. Il NGEU è il contenitore di diversi fondi: Dispositivo europeo per la ripresa e la resilienza (Rrf, detto anche Recovery Fund 672,5 mld di euro, di cui 360 come prestiti e 312,5 come sovvenzioni); React-EU (47,5 mld); Orizzonte Europa (5 mld); Fondo InvestEU (5 mld); Sviluppo rurale (7,5 mld); Fondo per una giusta transizione (Jft) (10 mld); RescEU (1,9 mld). Il tutto per un totale di 750 mld di euro (Fonte Commissione europea, Luglio 2020).

 

Il Pnrr Italia

La richiesta del governo italiano è stata pari a 191,5 mld di euro (68,9 in sovvenzioni e 122,6 in prestiti, da restituirsi in 35 anni). «Il primo 70% delle sovvenzioni è già fissato dalla versione ufficiale del Regolamento Rrf, mentre la rimanente parte verrà definitivamente determinata entro il 30 giugno 2022 in base all’andamento del Pil degli Stati membri registrato nel 2020-21. L’ammontare dei prestiti Rrf all’Italia è stato stimato in base al limite massimo del 6,8% del reddito nazionale lordo, d’accordo con la task force della Commissione» (dal testo del Pnrr del governo, Aprile 2021). L’Italia è lo Stato membro che si è visto attribuire la quota più rilevante del NGEU.
Ricostruita la cornice, vediamo come si sviluppa la “trama del Pnrr Italia”, senza avventurarci nella sua struttura (assi, missioni, componenti, riforme, interventi e quadro macroeconomico, livello di governance).
L’Italia, come gli altri paesi, si muove in una pratica di sviluppo e investimenti guidata (e controllata) dalla Commissione europea. Questo non significa che il nostro Pnrr sia “commissariato”: risponde semplicemente al modello indicato dall’Ue a tutti gli Stati per poter accedere ai finanziamenti
Al nostro Pnrr sono state rivolte varie critiche: manca di una visione unitaria; è uno “spezzatino” poco coerente di vari interventi ecc. In realtà, la visione unitaria dello scenario di paese (e di Europa) da realizzarsi ci viene dalle linee guida dell’Ue.
La Commissione europea, infatti, ha indicato in 6 “pilastri” la struttura portante dei Piani di ripresa e di resilienza. Sono: Transizione verde; Trasformazione digitale; Crescita sostenibile e inclusiva; Coesione sociale e territoriale; Salute e resilienza economica, sociale e istituzionale; Politiche per le nuove generazioni.
A questi “pilastri” si aggiungono 7 Flagship (“iniziative faro”). Gli Stati membri sono invitati a fornire informazioni sulle componenti del loro Pnrr che contribuiranno alle sette “ammiraglie europee” individuate nella comunicazione (17/9/2020) della Commissione europea sulla Strategia annuale per la crescita sostenibile 2021. Ecco i 7 riferimenti espressi con i verbi italiani prossimi alle indicazioni in inglese dei documenti ufficiali: “accendere”/potenziare; rinnovare; ricaricare; collegare; modernizzare; “scalare”; riqualificare e aggiornare.
Come nella scuola guida, è l’istruttore che indica il percorso da seguirsi; anche nel nostro caso la Commissione europea indica all’Italia un percorso da farsi attraverso specifiche Raccomandazioni, inviate nel 2019-20. Questi i titoli principali: Produttività e competitività; Riduzione pressione fiscale sul lavoro e lotta all’evasione fiscale; Diminuzione debito pubblico; Partecipazione femminile al mercato del lavoro e disoccupazione; Qualità delle attività bancarie e finanziamenti alle piccole imprese; Spesa pubblica ed efficienza della Pubblica Amministrazione; Miglioramento dei risultati scolastici; Investimenti in ricerca; Riduzione tempi dei processi civili; Lotta alla corruzione e abbassamento durata dei processi penali. Queste Raccomandazioni implicano interventi necessari per poter avere ricadute anche a livello macroeconomico.
Sulla base di ciò il governo ha modellato le seguenti riforme che caratterizzeranno il Pnrr. Si tratta di: Riforme orizzontali (Pubblica Amministrazione e Giustizia); Riforme abilitanti (Semplificazione e razionalizzazione legislativa; Digitalizzazione dell’intero apparato amministrativo, contabile, economico-patrimoniale; Revisione sistema di tassazione; Promozione della concorrenza); Riforme di accompagnamento (Fisco; Family Act; sostegno al reddito dei lavoratori; legge sul consumo del suolo).

Le sfide che ci attendono

Il governo Draghi ha presentato un pacchetto complessivo di 248 mld di euro (191,5 dal Rrf, 30,6 dal Pnc e altri 26 da «destinarsi alla realizzazione di opere specifiche»). Le voci più significative, in coerenza con le linee guida di Bruxelles, sono: rivoluzione verde e transizione ecologica (40% delle risorse, cioè 68,6 mld); digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura (27%, ossia 49,2 mld); inclusione e coesione sociale (10%, 22,4 mld).
Secondo le previsioni del governo, il Pnrr avrà un sicuro e positivo impatto sui 12 indicatori del Benessere Equo e Sostenibile (Bes). Nel testo relativo a questo aspetto, allegato al Documento di Economia e Finanza (Def) 2021, a firma del presidente del Consiglio e del ministro dell’Economia, si legge: «In tale scenario (Pnrr) gli indicatori Bes sono previsti in miglioramento lungo l’intero orizzonte di programmazione, ad eccezione delle emissioni di CO2 e altri gas climalteranti pro capite. Nello scenario programmatico le politiche annunciate dal governo, che è possibile ricondurre a due ambiti principali, ovvero da una parte il sostegno alle famiglie e alle imprese e dall’altra il rafforzamento delle misure contenute nel Pnrr, produrranno un’accelerazione della dinamica migliorativa della maggior parte degli indicatori».
Dall’esame del contenuto del Pnrr, si ricava una prevalente attenzione per l’indicatore Reddito Disponibile Lordo Corretto pro capite (Rdlc) rispetto all’impatto degli investimenti e delle riforme. Tutte le missioni del Pnrr includono investimenti e riforme in grado di sostenere il reddito delle famiglie e dei lavoratori: direttamente, attraverso trasferimenti sociali in kind per beni e servizi primari (asili nido, alloggi, assistenza sanitaria, servizi sociali) indirizzati in particolare a famiglie, anziani, disabili, persone vulnerabili, o indirettamente, tramite investimenti che avranno l’effetto di aumentare il reddito nazionale.
Nella prospettiva del dominio «Benessere economico», molte misure a sostegno del Rdlc possono anche concorrere a ridurre la diseguaglianza del reddito netto e contrastare la povertà assoluta. Particolarmente rilevante è la missione dedicata all’inclusione e alla coesione sociale, che implica investimenti e riforme volti a rafforzare le prestazioni soprattutto per i gruppi economicamente più svantaggiati.
Il rafforzamento dei servizi socio-sanitari, unitamente alla salvaguardia della qualità dell’aria e alla tutela delle aree verdi, possono senz’altro migliorare le condizioni di vita e la loro percezione, con riflessi positivi anche sull’indicatore speranza di vita in buona salute alla nascita.
La valorizzazione, poi, dei giovani è una priorità per il raggiungimento degli obiettivi del Piano. L’attenzione viene posta sull’istruzione, di ogni ordine e grado, come cardine per poter sviluppare le competenze necessarie nel mondo del lavoro. Investimenti e riforme potranno contribuire a contrastare il fenomeno degli abbandoni scolastici, monitorati dall’indicatore Uscita precoce dal sistema di istruzione e formazione, del dominio «Istruzione e formazione». A contribuire a future performance positive dell’indicatore intervengono anche gli investimenti nel servizio civile universale e gli interventi per combattere la povertà educativa.
Concorrono a rafforzare l’inserimento lavorativo e a migliorare l’indicatore Tasso di mancata partecipazione al lavoro alcune misure di politiche attive a sostegno dell’occupazione, della digitalizzazione e innovazione della Pubblica Amministrazione, nonché dei servizi d’istruzione e formazione. Di rilievo è la prevista riforma delle lauree abilitanti per certe professioni, che agevola l’ingresso nel mercato del lavoro. Il potenziamento dei servizi educativi per la prima infanzia e l’estensione del tempo pieno e delle mense nelle scuole contribuiranno senz’altro al sostegno dell’occupazione delle madri con figli piccoli.
Ancora, gli investimenti dedicati alla digitalizzazione delle Amministrazioni centrali e allo sviluppo del capitale umano dei dipendenti pubblici possono sostenere l’efficienza della Giustizia civile, misurata dal relativo indicatore Bes.
Infine, l’economia circolare, la produzione di energia da fonti rinnovabili, l’“efficientamento” energetico e lo sviluppo di trasporti sostenibili, contribuendo alla riduzione delle emissioni di CO2 e degli altri gas climalteranti, concorrono sicuramente a migliorare i relativi indicatori del Bes.

Considerazioni finali

Dal mio punto di osservazione ‒ quello di operatore sindacale ‒ il giudizio complessivo sul nostro Pnrr non può non essere positivo: per l’Italia, infatti, il Piano predisposto costituisce l’ultima chiamata, senza appello, per cambiare le situazioni deficitarie, recuperare competitività, ritrovare la strada della crescita stabile, dotarci di un “progetto paese”, disinnescare crisi industriali, creare lavoro di qualità, ridurre disuguaglianze e divari territoriali. Molta attenzione meritano gli interventi finalizzati alla Coesione territoriale, con particolare riferimento al Mezzogiorno.
Gli obiettivi e le scelte di sistema contenute nel programma predisposto dal governo sul Recovery Plan sono condivisibili e coerenti con le macro indicazioni dell’Europa. Questo impegno di così grande portata necessita, per altro, d’innovazione metodologica nella gestione del complessivo bene comune del paese, anche in considerazione del fatto che le ingenti risorse finanziarie prese a prestito ipotecano il futuro delle giovani generazioni. In quest’ottica, il debito che si va a contrarre richiede un atto di consapevole responsabilità per una corretta ed efficace gestione/realizzazione dei programmi previsti dal nostro Pnrr.
La sfida che ci si trova di fronte è anche legata al modo con cui il governo intende gestire la partita del coinvolgimento degli attori istituzionali, economici e sociali. Infatti, diventa fondamentale che il governo si renda disponibile ad approfondimenti strutturati e programmati sulle singole questioni, ben oltre, quindi, la mera informativa, sia per una puntuale comprensione degli aspetti di dettaglio dei singoli interventi previsti, al fine di valutarne la concretezza e l’impatto effettivo, sia per raccordarli al meglio con le riforme necessarie che riguardano Lavoro, Politiche industriali, Infrastrutture, Sanità, Pubblica Amministrazione, Scuola, Giustizia, Fisco. Cioè l’intero arco delle politiche che segneranno il futuro dell’Italia nei prossimi 30 anni.
Non si realizza un cambiamento di questa portata prescindendo dalla concertazione con parti sociali, forze economiche e produttive, in tutte le fasi degli interventi programmati (progettazione, realizzazione, monitoraggio degli esiti).
Considerate le difficoltà politiche attuali, è ancora più necessario che la concertazione sia assunta come metodo stabile e formalizzato. Tale metodo, che, fra l’altro, ha consentito passi decisivi per il nostro ingresso nell’Euro, significa assunzione di responsabilità da parte di tutti, orientata alla difesa e allo sviluppo non di interessi particolaristici, ma del bene comune.
Purtroppo l’art. 3 del dl n. 77/2021 sulle Semplificazioni, che prevede il Tavolo permanente di partenariato economico, sociale e territoriale, non offre soluzioni esaurienti in ordine al coinvolgimento corresponsabile di tutte le parti chiamate in causa nella gestione del Pnrr.
Bisogna rendersi conto che tale Piano, a scavalco di almeno due legislature, è di rilevanza intergenerazionale per dimensioni quantitative, straordinarietà d’impatto, dispiegamento temporale; inoltre, a motivo della creazione di un ulteriore consistente stock di debito che erediteranno i nostri figli, esso si eleva al di sopra delle parti e impone, anche per ragioni etico-politiche, la scelta del metodo partecipativo, che sostanzi la più ampia assunzione di responsabilità da parte dei soggetti chiamati in causa, la più rigorosa continuità e la più efficace finalizzazione dei progetti in cantiere. Partecipazione significa pure “controllo sociale”, tale da poter “blindare” il carico di speranza contro predoni e “assalti alla diligenza” preventivabili lungo la strada.

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