Testo integrale con note e bibliografia

Non vi è dubbio che, da un punto d’osservazione “minimalista” (rectius contrattualista), causa e oggetto del contratto di lavoro subordinato consistano, ancora, nello scambio di “lavoro” contro “retribuzione”.
Tuttavia, è altresì riconosciuto che accanto alle due obbligazioni fondamentali, gravitino una complessa serie di oneri e obblighi strumentali o accessori, potestà di preposizioni e corrispondenti soggezioni, che concorrono a formare la “posizione” delle parti e a soddisfare la funzione di messa a disposizione delle energie lavorative, comunque in direzione della preminente tutela della personalità del lavoratore .
Tutela che, assunto il suo diretto coinvolgimento nella esecuzione del contratto, si rende necessaria verso “ricadute”, causa fattori endogeni ma anche esogeni l’organizzazione aziendale, che altrimenti finirebbero per incidere aspetti non meramente patrimoniali, bensì connessi a fondamentali esigenze di vita del prestatore, oggetto di protezione, anche costituzionale, da parte dell’ordinamento .
Ed è in questo animo “protezionistico” che vale la pena indagare, “a monte”, con riferimento alla direttiva 2001/23/CE, quanto “a valle”, avuto riguardo dell’articolo 2112 c.c., la disciplina volta a preservare il predetto coacervo di diritti - e obbligazioni - dei lavoratori, in caso di trasferimento di impresa ovvero parti di essa.
In particolare, acquisite “fragilità” e, soprattutto, limiti della protezione assicurata dalle c.d. clausole sociali di fonte contrattuale (“comune” o privata), il presente contributo si propone di analizzare applicabilità ed efficacia della normativa euronitaria negli avvicendamenti di appalti, o, comunque, di processi di esternalizzazione, tentando di delineare la “fattispecie” sovrannazionale, anche chiarendo la sua “interazione” giuridica con l’articolo 29, comma 3, del D.L.gs. 276/2003.

1. Il “trasferimento”

1.1 L’elemento “organizzativo”
Considerato il principio di conformazione (art. 4, p. 3 TUE) a cui necessariamente soggiace l’articolo 2112 c.c. , appare innanzitutto corretto vagliare l’area di intervento della tutela in parola, dalla prospettiva della direttiva 2001/23/CE, evolutiva della precedente 77/187/CEE e consolidante la giurisprudenza europea formatasi in materia.
Invero, la disposizione euronitaria, oltre a confermare la “stabilità” dei diritti dei lavoratori nell’ambito tradizionale dei “trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti ad un nuovo imprenditore in seguito a cessione contrattuale o a fusione” (art. 1,1. lettera a)), estende esplicitamente il suo “raggio” di disciplina verso qualsivoglia fenomeno “circolatorio” che inerisca “entità economic[he] che conserva[no] la propria identità, intesa come insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un'attività economica, sia essa essenziale o accessoria” (art. 1, 1. lettera b)).
In sostanza, la protezione normativa muove, in termini di individuazione della “fattispecie” legale, da parametri dissimili e ulteriori rispetto agli originari riferimenti di tipo “materiale” e/o formale, prevedendo, in aggiunta (art. 1, 1. lettera b)), una nozione “leggera”, “dematerializzata”, sostanzialmente imperniata sul concetto di “organizzazione” , riconoscendo quale elemento determinate, la conservazione - dunque la preesistenza - di un complesso organizzato, di persone e/o di elementi, che consenta l'esercizio di un'attività economica finalizzata al perseguimento di un determinato obbiettivo .
“Organizzazione” che peraltro assurge a elemento unificatore, a sua volta necessariamente qualificato in senso finalistico, anche nella nozione interna di azienda (art. 2555 c.c.) , presupponendo dunque, per stabilire se si configuri un “trasferimento” in termini lavoristici, l’utilizzo di un metodo tipologico-per approssimazione (piuttosto che sussuntivo) ovvero tenendo in considerazione l’aggregato delle circostanze di fatto che caratterizzano l' operazione scrutinata, fra le quali potrebbero rientrare, in particolare, il tipo di impresa o di stabilimento in questione, la cessione o meno degli elementi materiali quali gli edifici o i beni mobili, il valore degli elementi immateriali al momento della cessione, la riassunzione - o meno - della maggior parte del personale da parte del nuovo imprenditore, il trasferimento - o meno - della clientela, nonché il grado di analogia delle attività esercitate, prima e dopo la cessione, e la durata di un’eventuale sospensione di tali attività .

1.2 Natura della tutela
La premessa centralità dell’elemento organizzativo e del subentro nella sua gestione, al fine di determinare se sussista o meno il trasferimento di un’entità economica e della sua identità, risulta dirimente per comprendere appieno la “natura” della tutela in esame in quanto, come osservato in giurisprudenza, in una delle sue concettualizzazioni certamente più efficaci , la disciplina lavoristica del trasferimento è la perfetta espressione del principio dell'inerenza dei rapporti di lavoro al complesso aziendale, che prescinde dal suo status giuridico e al quale rimangono legati in tutti i casi in cui questo - pur modificato nella “titolarità” - resti immutato nella sua struttura organizzativa e nell'attitudine all’esercizio dell'impresa.
In sostanza, si verte di una regola imperativa che, riconoscendo, de facto, l’immanente “dimensione” organizzativa della relazione subordinata , in termini di “soggezzione” ma anche di “funzione” (artt. 2086, 2094 e 2104 c.c.), al fine di approntare un sistema di garanzia e continuità dell’occupazione per i lavoratori , sancisce, ope legis, il principio dell’automatico trasferimento al “cessionario”, dei diritti e degli obblighi che risultano, per il “cedente”, dai contratti di lavoro esistenti alla data del trasferimento.
Naturalmente, la conditio della preesistenza sostanziale (§ 1.1) offre altresì una assicurazione di segno opposto ovvero scongiurare che si possano creare fittiziamente, in occasione della “cessione”, strutture che, in realtà, costituirebbero l'oggetto di una forma incontrollata di estromissione di frazioni aziendali - e di lavoratori - non coordinate fra loro, unificate soltanto dalla volontà “espulsiva” dell'imprenditore e non dall'inerenza del rapporto a un’entità economica dotata di autonoma e obiettiva funzionalità .

2. Avvicendamento di appalti

2.1 Entro il “confine” di tutela
Sin qui giunti, se si conviene che per inverare il “diritto al trasferimento dei diritti”, il presupposto decisivo è, essenzialmente ed esclusivamente, l’appropriazione, in termini di gestione e utilizzo, di una entità economica già in precedenza e a vario titolo organizzata (§ 2.2), prescindendo, dunque, dal suo “proprietario”, a nulla dovrebbe rilevare, almeno dal punto di vista concettuale, che dietro questa “conservazione” retroagisca una vicenda di successione di appalti o, comunque, di processi di outsourcing latamente intesi.
A tutti gli effetti, verificare la sussistenza, ai sensi della direttiva, del “trasferimento” di una entità organizzata in modo stabile, dovrebbe, per vero, postulare e focalizzarsi su di una attività - istruttoria - di raffronto del “complesso”, così come strutturato e organizzato presso il “cedente” e quello risultante, successivamente, in capo al “cessionario”.
Eppure, in vicende “circolatorie” di questo genere, specialmente esaminandone fattualmente i “processi”, la copertura normativa è stata - ed è tutt’ora - oggetto di dibattito oltreché foriera di contenzioso, ivi incluso un massiccio ricorso al “monopolio” interpretativo (art. 19 TUE) della corte di giustizia europea.
Cosicché, se è pur vero che la semplice perdita di un appalto di servizi a vantaggio di un concorrente non può rivelare, di per sé, l'esistenza di un “trasferimento” , i giudici del Lussemburgo, in plurime occasioni, hanno altresì dovuto precisare che non sussistono nemmeno ragioni giuridiche ostative affinché che questo sì realizzi.
Invero, nel tempo, sono state ritenute inidonee a inibire gli effetti della direttiva, contingenze eccepite quali, l’assenza di rapporti contrattuali diretti tra “cedente” (appaltatore uscente) e “cessionario” (appaltatore subentrante), atteso che l’operazione ben può concretizzarsi con l'intermediazione di un terzo (committente), oppure che la res litigiosa riguardi ipotesi di c.d. “appalto retrocesso”, anche qualora l’attività svolta risulti accessoria rispetto l’oggetto sociale dell’ex “cedente” .

2.2 La declinazione di “entità economica organizzata”
Dunque, fugati i dubbi sulla “procedibilità” teorica della disciplina, necessita ora comprendere, in chiave giuridico-applicativa, le peculiarità concernenti l’individuazione della “fattispecie” a suo presupposto, declinata nello specifico caso del “subentro” in attività, produttive o di servizi, oggetto di esternalizzazione.
Anche in questo contesto, i responsi esegetici sollecitati alla corte europea, sembrano fornire crismi - di massima - adeguati al fine di compiere, a scopo “qualificatorio”, le imprescindibili valutazioni fattuali.
Invero, la giurisprudenza eurounitaria specifica che il complesso di elementi/circostanze che caratterizzano l’operazione (§ 1.1), costituiscono soltanto aspetti parziali della valutazione complessiva cui si deve procedere e non possono, pertanto,
essere considerati isolatamente, piuttosto soppesati in funzione dell'attività esercitata, o addirittura, in funzione dei metodi di produzione o di gestione utilizzati nell'impresa .
Tanto da non esimersi, ravvisando l’esistenza e le differenti necessità interpretative postulate da “affidamenti” di tipo “labour intensive” piuttosto che “not labour intensive”, dal riconosce che se la “circolazione” di elementi materiali/patrimoniali costituisce, certamente, uno dei vari criteri che il giudice nazionale deve prendere in considerazione al fine di poter ricavare il “tipo normativo” ( qui, il riferimento è al metodo tipologico § 1.1), l'assenza di essi non esclude necessariamente la configurazione del medesimo .
Di guisa che, in determinati settori, in cui l'attività si fonda essenzialmente sulla mano d'opera, un gruppo di lavoratori che assolva stabilmente un'attività comune, purché in modo strutturato e in grado di disporre di una certa libertà organizzativa/esecutiva , può assolutamente assurgere a “fattispecie”, potendo ben conservarsi oltre il trasferimento, a condizione che il nuovo imprenditore riassuma una parte essenziale, in termini di numero e di competenza, del predetto personale, specificamente destinato dal predecessore a tali compiti .
Nondimeno occorre rilevare che, come precedentemente osservato, fatta salva la condizione del “passaggio” effettivo di “organizzazione”, nessun automatico pregiudizio potrebbe derivare da un eventuale periodo di sospensione del “servizio” tra il primo e il successivo imprenditore , atteso che il “trasferimento” può di certo concretizzarsi, sia in ipotesi di “continuazione” che di “ripresa” dell’attività.
Questa evenienza inciderà piuttosto sull’individuazione della “data del trasferimento” (art. 3, 1. della direttiva) che, per ragioni di certezza del diritto, va individuata con precisione nella data in cui avviene la trasmissione, dal “cedente” al cessionario”, della veste di responsabile della gestione dell'entità di cui trattasi .
Non trascurabile risulta infine la “suggestione”, prefigurata nella già citata sentenza della magistratura trentina (nota 12 e ss.), che possa concretizzarsi, rebus sic stantibus, una ipotesi di trasferimento, ai sensi della direttiva, anche qualora l’appaltatore subentrante acquisisca solamente il modello organizzativo e/o operativo dell’attività d’impresa precedentemente utilizzato dall’appaltatore uscente, cosicché, al pari dell’ipotesi “not labour intensive” (vedi anche infra, 2.3), l’acquisizione del personale rappresenterebbe un “effetto” e non già la “causa” della disciplina.
Non in assoluto un assurdo dato che un “appiglio” in questo senso, pare fornirlo, in modo “temperato”, proprio la stessa corte di giustizia allorquando evidenzia la necessità di vagliare il “transito”, sì di elementi patrimoniali e materiali, ma, anche, come detto, di valori genericamente definiti “immateriali” .

2.3 L’articolo 29, comma 3, del D.L.gs. 276/2003
Una siffatta pervasività della disciplina, rende dunque comprensibile ambiguità e controversie sorte all’ombra dell’articolo 29 del D.L.gs. 276/2003 che, in materia di appalti, al comma 3 (prima versione) disponeva: “L'acquisizione del personale già impiegato nell'appalto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto d'appalto, non costituisce trasferimento d'azienda o di parte d'azienda.”.
Un tenore letterale controverso, tanto da indurre i servizi della commissione europea, sull’ esame delle sentenze di cassazione formatesi sul punto e nell’ambito di una procedura di pre-infrazione (EU Pilot 7622/15/EMPL), a concludere che l'interpretazione della norma escludesse, illegittimamente e in modo difforme dal diritto dell’unione, la configurazione del subentro nell'appalto, come trasferimento d'azienda o di parte di essa, in tutti i casi in cui la successione non fosse accompagnata, oltreché dal passaggio del personale, da un transito di beni di “non trascurabile entità” .
Situazione che, nello specifico caso di appalti “labour intensive”, si poneva in aperto contrasto con il principio secondo cui nessun rilievo può assumere, per escludere l'applicabilità della direttiva 2001/23/CE, l’evenienza che la riassunzione del personale, da parte dell'imprenditore subentrante, avvenga in forza di un vincolo, legale o contrattuale, “esternamente” stabilito .
Accolte le osservazioni, con l’articolo 30 della legge 122 del 2016 si giungeva alla versione vigente del testo: “L'acquisizione del personale già impiegato nell'appalto a seguito di subentro di nuovo appaltatore dotato di propria struttura organizzativa e operativa, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto d'appalto, ove siano presenti elementi di discontinuità che determinano una specifica identità di impresa, non costituisce trasferimento d'azienda o di parte d'azienda.”.
Attività di interpolazione, a opera del legislatore nazionale, che ha restituito una disposizione, tutt’ora posta in termini “di negazione”, ma con certezza più aderente al diritto dell’unione.
Invero, secondo certa dottrina, fatta propria dalla pronuncia del tribunale di Trento, il legislatore, al fine di escludere dal campo di applicazione, ha “elaborato una fattispecie astratta che prevede, quale presupposto, l'acquisizione da parte dell'appaltatore subentrante di personale precedentemente impiegato presso il vecchio appaltatore, nonché la presenza di altri due elementi costitutivi ossia che l'appaltatore subentrante sia "dotato di una propria struttura organizzativa" e che siano "presenti elementi di discontinuità che determinano una specifica identità di impresa"”, e dalla quale, immutando l’ordinario onere probatorio , deriverebbe, per giunta, una presunzione, iuris tantum, di trasferimento.
Tuttavia, dall’esame della successiva giurisprudenza (vedi anche sentenze citate infra), emerge con chiarezza che, al fine di comprendere connotati e reali “confini” giuridici della norma, resta di assoluto interesse oltreché necessità, una “stabile” attività esegetica da parte di dottrina e magistratura.
Ed effettivamente, ribadito che il “cuore” della direttiva è quello di impedire, nell’ambito del mercato comune, il degradamento dei diritti dei lavoratori in caso di avvicendamento del datore e che, di conseguenza, pur nel senso “ampio” di interazione fra prestatore e realtà aziendale (§ 1.1), qualcosa di apprezzabile, in termini organizzativi e non di mera “attività”, deve, non solo preesistere, ma anche proseguire , è altresì assodato che la disposizione in esame non possa, né, svolgere “improprie” funzioni limitative del diritto europeo, né, esaurire o regolare normativamente tutte le vicende, reali, inerenti la gestione di processi di outsorcing.
In primis, come nella sentenza trentina, occorre chiarire che il precetto interno risulta inefficace ogni qualvolta la “fattispecie” normativa (l’entità economica che conserva la propria identità) si rinviene nella sua versione “materiale” ossia nell’utilizzazione, da parte del subentrante, di rilevanti elementi patrimoniali (nel caso di specie locali e attrezzature) indispensabili per l’esercizio dell’attività, costituendo l’assunzione di personale, anche in questa circostanza, l’“effetto” e non già la “causa” della disciplina.
In secundis, come si evince in talune sentenze di merito o, per supposizione, in appalti particolarmente articolati, qualora unitamente alla “struttura organizzativa/operativa” e agli “elementi di discontinuità” in seno al subentrante, specialmente se questi a “bassa intensità” o “circoscritti” rispetto l’affidamento complessivamente considerato, si accerti, comunque, la “rinnovata” insistenza di un gruppo di lavoratori già formato, stabilmente coordinato e in grado di esprimere capacità operative nel “servizio” - o parte di esso - e che, in siffatta evenienza, rappresenterebbe, di per sé, la “fattispecie” individuata dalla direttiva.
Invero, a condizione che sul “gruppo” o i suoi responsabili non vi sia intervento, diretto, da parte delle strutture organizzative/operative del subentrante , questo risulterebbe peraltro possibile anche nel caso in cui la riassunzione sia parziale ovvero l’appalto risulti più “contenuto” rispetto al precedente .
In sostanza, la lettera - non troppo felice - del comma 3 induce a equivocare la portata dei suoi effetti, nella misura in cui l’interpretazione che se ne offre non coglie, in termini fattuali di “prosecuzione” o “continuazione” della gestione, quanto della realtà organizzativa quo ante è “assorbita” dal subentrante, spostando, dunque, eccessivamente “il fuoco” da ciò che è realmente dirimente, l’entità economica precedente e “conservata”, a ciò che è esterno e successivo, il soggetto subentrante con le proprie dinamiche organizzative.

3. Le “conseguenze” nel diritto interno: note brevi
Ordunque, anche in questa materia, risulta evidente che occorre fare i conti con la “specialità” del diritto eurounitario, inteso come “ordinamento giuridico di nuovo genere […] a favore del quale gli Stati hanno rinunziato, anche se in settori limitati, ai loro poteri sovrani [e] che riconosce come soggetti, non soltanto gli Stati membri, ma anche i loro cittadini” e ai quali attribuisce, anche direttamente, diritti soggettivi .
Posto quindi che i precetti dell’ordinamento comunitario (ed, ora, eurounitario), trovano applicazione indipendentemente dalle norme emanante dagli Stati membri , anche ragionando delle “conseguenze” nel diritto interno, risulta evidente l’importanza, per i soggetti coinvolti nei fenomeni “circolatori” qui indagati (appaltatori, lavoratori ma anche committenti), di interpretare correttamente, ex ante, la disciplina lavoristica del trasferimento.
Senza pretesa di esaustività (anche giuridica), basti pensare ai principali “caratteri” del riconoscimento giudiziale dell’art. 2112 c.c..
In primo luogo, l’assenza di termini stringenti per invocare, da parte del lavoratore, il “trasferimento” e, dunque, il passaggio, senza soluzione di continuità, di titolarità del contratto di lavoro .
Inoltre, in ottica “riparatoria”, che la questione relativa alla legittimità del licenziamento eventualmente intimato dall’appaltatore-cedente, si risolve tenendo in considerazione che si verte, comunque, di una ipotesi di provvedimenti adottati da soggetto non più titolare del rapporto di lavoro e, quindi, del tutto improduttivi di effetti.
Di guisa che, il giudice dovrà pronunciare una sentenza di mero accertamento della prosecuzione del rapporto e di condanna della parte datoriale al risarcimento delle retribuzioni non corrisposte e, post sentenza, consentendo anche al lavoratore di azionare il diritto al pagamento delle retribuzioni nei confronti dell’appaltatore-cessionario, dal momento della sua formale messa in mora(articoli 1218 e 1207 c.c.), senza neppure che il “credito” così formato incontri limiti nella “duplicazione retributiva”, qualora il prestatore disponibile e “virtualmente” al lavoro, si sia, nel frattempo, effettivamente e altrove reimpiegato .

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