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Sono un operaio che ha sempre lavorato nei magazzini generali. Appartengo alla categoria dei lavoratori addetti alla movimentazione delle merci. Nei tempi passati questi lavoratori erano chiamati semplicemente “ facchini”. Non ho una conoscenza della lingua italiana tale che mi permetta di poter scrivere autonomamente questo articolo. Mi son fatto aiutare da chi sa scrivere. I fatti, però, appartengono alla mia vita e li ho descritti a chi mi ha aiutato in questa narrazione, così come sono avvenuti, con verità.
Ho iniziato a lavorare nel settore della movimentazione delle merci molti anni fa. Sono stato socio lavoratore di varie cooperative, che si sono succedute una dopo l’altra negli anni, senza soluzione di continuità. Cambiava la cooperativa ma il mio luogo di lavoro e il committente sono rimasti sempre gli stessi. Anche i miei responsabili sono stati sempre gli stessi e ugualmente i miei colleghi di lavoro. Ho sempre lavorato nello stesso modo, con la solita fatica e lo stesso impegno.
Nel 2017, dopo alcuni anni di lavoro, improvvisamente, insieme ai miei colleghi di lavoro sono stato convocato nell’ufficio del capo. In questo ufficio vi era anche un’altra persona, estranea all’azienda, che non avevamo mai visto. È sempre rimasta zitta. Non ha interferito e non ha preso posizione su niente. Era ed è rimasto per noi anonimo, oltre che silenzioso.
Il nostro capo, senza giri di parole, ha detto che dovevamo firmare immediatamente dei fogli perché dal giorno dopo la nostra attività sarebbe proseguita alle dipendenze di un’altra cooperativa, che sarebbe subentrata nell’appalto. Abbiamo tentato, timidamente, di avere maggiori spiegazioni ma è stato inutile, anche perché il capo aveva fretta e voleva chiudere velocemente la questione. Nell’occasione, ha detto che noi con la nostra firma non avremmo perso nulla, che si trattava di una semplice formalità, che il documento da firmare non aveva effettivo valore. Per vincere le nostre timide resistenze, ci ha minacciato di licenziamento immediato, perché la cooperativa cessava l’appalto e nella sua conduzione sarebbe subentrata un’altra cooperativa, che ci avrebbe assunti come soci e avrebbe provveduto a continuare a farci lavorare come lavoratori subordinati e a tempo indeterminato. Di fronte alla minaccia di perdere il posto di lavoro, tutti abbiamo firmato quel documento che, ci è stato detto, sarebbe stato depositato alla direzione dell’ispettorato del lavoro di Milano a prova della sua correttezza. In verità, nei mesi successivi abbiamo dimenticato di aver firmato quel documento -di cui non abbiamo avuto nemmeno la copia- perché nella nostra vita di magazzino non era cambiato nulla.
Dopo qualche tempo, anche questa nuova cooperativa ha cessato l’appalto e ci siamo ritrovati trasferiti in un altro gruppo societario ma sempre nello stesso magazzino. A questo punto, alcuni di noi hanno deciso di promuovere una causa per rivendicare il pagamento di differenze retributive maturate negli anni precedenti e mai percepite. Davanti al giudice, una di quelle cooperative chiamate in causa, però, ha tirato fuori il documento che avevamo firmato quel giorno e che tutti avevamo ormai dimenticato di aver sottoscritto. Abbiamo così scoperto che quel documento, che doveva essere una semplice formalità, era in realtà un verbale di conciliazione, che la persona a noi sconosciuta era un sindacalista -di una sigla che non avevamo mai sentita- e che quel giorno era venuto da Nocera Inferiore a Milano proprio per raccogliere le nostre firme su quel documento. La sua presenza in azienda era dovuta al fatto di essere amico di un responsabile della cooperativa, che l’aveva chiamato e gli aveva chiesto quel favore. Quel sindacalista da noi non ha ricevuto un centesimo; abbiamo poi saputo che ha ricevuto il compenso della sua opera direttamente dal nostro datore di lavoro e dalla committente dell’appalto. Peraltro, era al loro servizio.
Dopo che nella causa è stato esibito quel documento, essendo ormai passati più di sei mesi dalla data in cui l’avevamo sottoscritto e più di due anni dalla cessazione del nostro rapporto di lavoro con quella cooperativa, abbiamo dovuto giocoforza conciliare la lite davanti al giudice. Quel verbale di conciliazione sindacale ha causato un mortale pregiudizio al riconoscimento delle nostre rivendicazioni. Ci fu spiegato dal nostro avvocato che con quel verbale avevamo rinunciato a tutti i nostri diritti, in modo “tombale”, e che quel verbale, purtroppo, era valido perché erano passati, ormai, più di 2 anni dalla cessazione di quel nostro rapporto di lavoro. Il verbale era stato depositato all’Ispettorato territoriale del lavoro e portava il timbro del ministero. Ovviamente, insieme ai soldi, abbiamo perso anche gran parte dei contributi previdenziali, perché le varie cooperative avevano versato i contributi in modo parziale ed erano state chiuse. Non abbiamo potuto più agire nemmeno contro la società committente dei lavori dell’appalto. Eravamo decaduti dal poterlo fare e tutto era prescritto.
Io e i miei colleghi ancora oggi siamo con l’amaro in bocca. Un dipendente è sempre costretto dal bisogno e dalla paura di perdere il posto di lavoro e il sostentamento economico della sua famiglia. Noi quel giorno, per mantenere il posto di lavoro e la retribuzione, al di là delle piccole resistenze che abbiamo manifestato, eravamo disposti a mettere la firma su tutto. Nell’occasione, il nostro datore di lavoro ha sfruttato con perfidia la nostra debolezza e la nostra necessità di dover continuare a lavorare. Ma quel che non riusciamo ancora a comprendere è come sia possibile consentire a un ignoto personaggio di attribuirsi il potere di raccogliere in azienda le firme dei lavoratori per farli rinunciare ai diritti che hanno maturato. Ma quel che è intollerabile è come un Ispettorato del lavoro possa avallare questi comportamenti, accettando che nei suoi uffici siano depositati simili atti. Il verbale che ha pregiudicato i miei e i diritti dei miei colleghi di lavoro, infatti, è stato depositato alla Direzione Territoriale del Lavoro. Quel deposito non è stato fatto per tutelare noi ma per tutelare l’azienda. Se l’impiegato addetto all’ufficio avesse esaminato quel verbale, avrebbe capito che sotto vi era anche la violazione palese degli obblighi relativi ai versamenti dei contributi previdenziali. Ha accettato il verbale e non ha avviato nessun controllo.
Che legge è una legge che dà questo enorme potere a uno sconosciuto sindacalista, per giunta di una sigla sindacale priva di rappresentanza, senza arte né parte? A che servono le leggi che tutelano “inderogabilmente” il soggetto debole del rapporto di lavoro se poi si dà a chiunque il grimaldello per azzerarle sfruttando lo stato di bisogno del lavoratore? Perché gli ispettorati del lavoro accettano il deposito nei loro uffici di questi atti e non provvedono a eseguire i controlli sul loro contenuto e sulla loro provenienza? Ci dicono che vi siano migliaia di atti simili che sono depositati negli uffici del lavoro. Nel motore del sistema delle tutele, evidentemente, si è introdotto un pezzo estraneo, un virus, che lo ha inceppato, nella totale indifferenza di chi dovrebbe vigilare. Chi deve proteggere il lavoratore facendo rispettare le leggi, sindacati e strutture pubbliche, così si trasforma nell’opposto.

 

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