testo integrale con note e bibliografia
1. Il 29 aprile la Corte di Giustizia (nella sua composizione più alta della Grande Sezione) ha emesso una vibrante sentenza (C-181/23, Commissione europea contro Malta) sulla nozione di cittadinanza dell’Unione e sul rilievo cruciale nel processo di integrazione di tale nozione introdotta nel Trattato di Maastricht nel 1992, anche -come suggerirono negli anni 90 molti commentatori-in quanto elemento di bilanciamento (unitamente all’introduzione di un Protocollo sull’azionesociale) dell’intensificazione degli aspetti di tipo funzionalistico ed economico dell’UE(realizzati con il citato Trattato) con il lancio di una politica monetaria che avrebbe, in poco meno di un decennio, portato al varo della moneta unica e la stipula di un Patto di stabilità per la sorveglianza macroeconomica dei bilanci nazionali. Da quel che ricordo- rimandando sul punto ad un esame più dettagliato di questa sentenza del 29 aprile- mancano precedenti per queste affermazioni così nette di natura costituzionale. La nozione di cittadinanza europea ha avuto, sin dalla sua introduzione, riscontri applicativi importanti in vari settori ad esempio nel rafforzare la pretesa antidiscriminatoria dei cittadini europei ad usufruire di sussidi economici a carattere non contributivo se residenti a scopi lavorativi in altri Paesi membri, secondo una coraggiosa giurisprudenza garantista della Corte di giustizia, poi attenuata dopo le polemiche sul pericolo di cosidetto “ turismo sociale” in Gran Bretagna ed altrove che portarono, nonostante gli accomodamenti giurisdizionali, alla Brexit ( ). Analogamente la cittadinanza sovranazionale ha avuto un ruolo (anche in questo caso giurisprudenziale) importante per circoscrivere i casi nei quali, dopo i primi tre mesi, un cittadino di un Paese membro che viva in altro member state può essere riportato forzatamente nel Paese originario di appartenenza( ).Tuttavia il diritto ai soccorsi economici per i residenti in stato di difficoltà in altri Paesi membri o a non essere trasferito (anche se incapiente) nel Paese di origine dopo tre mesi, in connessione con lo status di cittadino dell’Unione, si esprimono in ambiti che riconducono ad aspetti tradizionali di natura economico-funzionalista del processo di integrazione come la libertà di circolazione nelle sue varie dimensioni. Il divieto di commercializzare l’attribuzione di cittadinanza di uno Stato membro, invece, nella sentenza del 29 aprile che qui commentiamo è giocata dalla Corte di giustizia sul piano squisitamente democratico-partecipativo in relazione alla salvaguardia dei principi (come la solidarietà e la leale collaborazione tra Paesi membri) e dei valori costituitivi dell’identità dell’UE e delle sue linee di sviluppo ( ). Se prima la cittadinanza UE rappresentava un vettore per rendere effettiva la liberà circolazione in Europa oggi la Corte afferma a tutto tondo che “la cittadinanza dell’Unione costituisce una delle principali concretizzazioni della solidarietà, che è alla base stessa del processo di integrazione…., facendo parte, di conseguenza, dell’identità dell’Unione in quanto ordinamento giuridico peculiare, accettato dagli Stati membri a condizione di reciprocità” (punto 93)
2. Ma andiamo, sia pur sinteticamente, per ordine. A seguito di una modifica del 2020 della legge sulla cittadinanza, Malta adottava una normativa che stabiliva l’acquisizione della cittadinanza di quel Paese a cittadini di Paesi terzi, privi di legami con il territorio, per aver reso “servizi eccezionali” tramite investimenti diretti. Gli investitori stranieri potevano così chiedere di essere naturalizzati qualora sussistessero una serie di requisiti principalmente di natura economica (versamento di una somma tra le 600.00 e le 750.000 euro, acquisto di una casa a Malta di una certa importanza, residenza-meramente legale non effettiva- da 12 mesi riducibile a 3 mesi con il versamento di altri 150.000 euro etc.) La Commissione europea riteneva (dopo una complessa e puntigliosa istruttoria anche sulle modalità di applicazione della legge del 2020) che questa normativa violasse il diritto dell’Unione in quanto introduceva una “commercializzazione“ della concessione della cittadinanza maltese che comporta automaticamente l’acquisizione dello status di cittadino europeo con i correlati diritti sanciti nei Trattati, in violazione degli artt. 4.3 TUE (sul principio di leale collaborazione cui sono tenuti gli stati) e dell’art. 20 TFUE che disciplina la cittadinanza europea come derivata dall’acquisizione di quella degli stati appartenenti all’Unione.
La Corte di giustizia ha accolto in toto l’impostazione del ricorso della Commissione dichiarando che avendo introdotto e attuato il programma di cittadinanza tramite investimento del 2020, che è assimilabile ad una commercializzazione della concessione di cittadinanza di uno stato membro, nonché per estensione, dello status di cittadino dell’Unione la Repubblica di Malta non ha rispettato il diritto dell’Unione. Malta sarà quindi obbligata a cancellare la legislazione del 2020 se non vuole rischiare serie conseguenze anche in termini di severe sanzioni da parte degli organi dell’Unione.
Per dimostrare la violazione dell’art. 20 TFUE e dell’art. 4.3. del TUE nell’esercitare la competenza, pur spettante allo Stato maltese, di determinare le condizioni per accedere alla nazionalità la Corte ricorda i benefici che lo status di cittadino europeo (derivante in via automatica da quello di cittadino di uno stato membro) consente di acquisire:
occorre rilevare, anzitutto, che, conformemente al tenore letterale stesso dell’articolo 3, paragrafo 2, TUE, l’Unione offre ai suoi cittadini uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne, in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone, resa possibile dall’esistenza di misure appropriate per quanto concerne i controlli alle frontiere esterne, l’asilo, l’immigrazione, la prevenzione della criminalità e la lotta contro quest’ultima; a tal riguardo, la Corte ha chiarito che tanto il principio della fiducia reciproca tra gli Stati membri quanto il principio del mutuo riconoscimento, che si fonda sul primo di tali principi, rivestono, nel diritto dell’Unione, un’importanza fondamentale, dato che consentono la creazione e il mantenimento di tale spazio senza frontiere interne…;si inserisce nella realizzazione di tale spazio senza frontiere interne il diritto, conferito direttamente a qualsiasi cittadino dell’Unione dall’articolo 20, paragrafo 2, lettera a), e dall’articolo 21, paragrafo 1, TUE, di circolare e di soggiornare liberamente sul territorio degli Stati membri, e di cui la direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, mira, secondo giurisprudenza costante, ad agevolare l’esercizio…tale diritto trova, del resto, specifica espressione nell’articolo 45 TFUE relativo alla libertà di circolazione dei lavoratori, nell’articolo 49 TFUE relativo alla libertà di stabilimento e nell’articolo 56 TFUE relativo alla libera prestazione di servizi” ( punti 83-88).
Ma ci pare che l’enfasi della sentenza non sia su questi diritti ed opportunità di matrice economica ma sui diritti di partecipazione che rendono effettiva la formula della democrazia rappresentativa (valore fondativo dell’Unione)nella cornice europea che, secondo la lettura del migliore costituzionalismo europeo, ( ) non sostituisce quella nazionale ma la integra e l’aggancia in un sistema autonomo più ampio sovra-nazionale, sia pure con modalità ancora imperfette e da completare in una radicale riforma costituzionale di tipo federale. La Corte infatti afferma piuttosto solennemente che:
Inoltre, i cittadini dell’Unione godono di diritti politici che garantiscono la partecipazione degli stessi alla vita democratica dell’Unione, di cui agli articoli 10 e 11 TUE e che sono concretizzati negli articoli 20, 22 e 24 TFUE. Si tratta, segnatamente, del diritto di presentare un’iniziativa dei cittadini, del diritto di presentare petizioni al Parlamento, del diritto di ricorrere al Mediatore, del diritto di rivolgersi alle istituzioni e agli organi consultivi dell’Unione in una delle lingue ufficiali dell’Unione, nonché del diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni al Parlamento e alle elezioni comunali nello Stato membro in cui i cittadini risiedono, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato… A tal riguardo, esercitando i diritti politici loro conferiti dagli articoli 10 e 11 TUE, i cittadini dell’Unione partecipano direttamente alla vita democratica dell’Unione. Infatti, il suo funzionamento si fonda sulla democrazia rappresentativa, la quale concretizza il valore della democrazia che costituisce, in virtù dell’articolo 2 TUE, uno dei valori sui quali l’Unione si fonda…. Ne consegue che l’esercizio da parte degli Stati membri della loro competenza per definire i requisiti per la concessione della cittadinanza di questi ultimi incide sul funzionamento dell’Unione in quanto ordinamento giuridico comune. Infine, la cittadinanza dell’Unione garantisce altresì a ciascun cittadino di uno Stato membro, in un Paese terzo in cui tale Stato membro non è rappresentato, il diritto, sancito all’articolo 20, paragrafo 2, lettera c), TFUE e concretizzato all’articolo 23 TFUE, alla tutela delle autorità diplomatiche e consolari degli altri Stati membri, alle stesse condizioni dei cittadini di questi ultimi (punti 88-90).
Questo mi pare il fulcro della storica decisione (punto 91):
“È alla luce di questi diversi diritti che la Corte ha dichiarato che le disposizioni relative alla cittadinanza dell’Unione figurano tra le disposizioni fondamentali dei Trattati che, inserendosi nel quadro del sistema peculiare dell’Unione, sono strutturate in modo da contribuire alla realizzazione del processo di integrazione che costituisce la ragion d’essere dell’Unione stessa e fanno quindi parte integrante del suo quadro costituzionale [v., in tal senso, parere 2/13 (Adesione dell’Unione alla CEDU), del 18 dicembre 2014, EU:C:2014:2454, punto 172]”.
Nell’esercitare la competenza di cui disponeva disciplinando le condizioni di accesso alla cittadinanza interna Malta ha violato l’art. 20 e l’art. 4.3 perché:
“
“uno Stato membro viola in modo manifesto la necessità di tale particolare rapporto di solidarietà e di lealtà, caratterizzato dalla reciprocità dei diritti e degli obblighi tra lo Stato membro e i suoi cittadini, e fa in tal modo venir meno la fiducia reciproca sulla quale si fonda la cittadinanza dell’Unione, in violazione dell’articolo 20 TFUE e del principio di leale cooperazione sancito all’articolo 4, paragrafo 3, TFUE, allorché introduce e attua un programma di naturalizzazione che si basa su una procedura avente natura di transazione tra lo Stato membro stesso e coloro che presentano una domanda a titolo di tale programma, in base alla quale la cittadinanza di detto Stato membro e, quindi, lo status di cittadino dell’Unione, è in sostanza riconosciuta in cambio di pagamenti o di investimenti predeterminati. Infatti, un siffatto programma è assimilabile a una commercializzazione della concessione dello status di cittadino di uno Stato membro e, per estensione, di quella dello status di cittadino dell’Unione, che è incompatibile con la concezione di tale status fondamentale che deriva dai Trattati. Inoltre, si deve ricordare che gli Stati membri sono tenuti a riconoscere gli effetti derivanti dall’attribuzione a una persona, da parte di un altro Stato membro, della cittadinanza di quest’ultimo al fine dell’esercizio dei diritti e delle libertà derivanti dal diritto dell’Unione… Orbene, una naturalizzazione avente natura di transazione, che è concessa in cambio di pagamenti o di investimenti predeterminati, non solo è contraria al principio di leale cooperazione, ma è anche tale da mettere in discussione la fiducia reciproca sottesa a tale obbligo di riconoscimento, dal momento che tale fiducia si basa sulla premessa in base alla quale l’attribuzione della cittadinanza di uno Stato membro è fondata su un particolare rapporto di solidarietà e di lealtà che giustifica la concessione dei diritti derivanti, tra l’altro, dallo status di cittadino dell’Unione”.
Riassumendo, anche le parti non riportate, il sistema voluto nei Trattati lascia agli stati disciplinare l’acquisizione della cittadinanza interna (che si converte automaticamente in quella europea) e si fonda su una solidarietà tra Paesi basata sull’art. 4.3 e sulla connessa convinzione che l’uso di questa discrezionalità non arrivi a modalità abnorme e “mercativistiche” di commercializzazione della cittadinanza che sono chiaramente incompatibili con lo status di cittadino europeo e con quell’insieme di diritti di primaria importanza sia di ordine economico che di partecipazione politica connessi a tale status . La democrazia rappresentativa è peraltro un valore dell’Unione che deve essere salvaguardato a tutti i livelli ( ).
La Corte dedica poi le ultime pagine ad esaminare gli elementi di prova acquisiti dalla Commissione per dimostrare che, in pratica, si trattava di una mera commercializzazione dell’acquisizione della cittadinanza fondata sull’erogazione da parte di generosi cittadini di Paesi terzi di somme notevoli e sull’acquisito o l’affitto di una abitazione nell’isola di una certa importanza; la residenza per un periodo molto limitato aveva un carattere solo legale senza controlli di sorta e che quindi nei fatti neppure obbligava ad una permanenza stabile nell’isola etc.
Di conseguenza conclude la Corte:
“si deve dichiarare che, avendo introdotto e attuato il programma istituzionalizzato di cittadinanza tramite investimento del 2020, fondato sull’articolo 10, paragrafo 9, della legge sulla cittadinanza maltese, che istituisce una procedura di naturalizzazione avente carattere di transazione in cambio di pagamenti o di investimenti predeterminati e che è quindi assimilabile ad una commercializzazione della concessione della cittadinanza di uno Stato membro nonché, per estensione, di quella dello status di cittadino dell’Unione, la Repubblica di Malta è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in virtù dell’articolo 20 TFUE e dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE”.
3. Pertanto, come detto, si tratta di una decisione di altissimo profilo che stringe in un unico orizzonte costituzionale la cittadinanza europea con i suoi benefici economici e con i suoi diritti di partecipazione politica, democrazia rappresentativa e protezione dei valori dell’Unione che va ben oltre la stigmatizzazione degli abusi affaristici della Repubblica di Malta e che rappresenta una sorta di programma anche costruttivo (e non solo garantista) dell’Unione di rafforzamento e promozione dello status di cittadino europeo, vettore privilegiato, per ripeterlo con la Corte del “processo di integrazione che costituisce la ragion d’essere dell’Unione stessa”. Speriamo serva anche ad aiutare la discussione nella sfera pubblica europea sull’opportunità di un Progetto di revisione costituzionale dei Trattati in senso federale che dia una piena effettività ai quei principi normativi costituzionali in senso habermasiano che la Corte ha enunciato il 29 aprile con molta forza e rigore.