testo integrale con note e bibliografia

Sent. CGUE del 4 sett 2025 nella causa C-249/24

1. Premessa
Sollecitata dalla Corte di cassazione francese, la Corte di Giustizia UE sviluppa e affina la propria giurisprudenza, anche recente, sulla portata della nozione europea di licenziamento collettivo, ancorando la propria interpretazione – estensiva – alla ratio e agli scopi della Direttiva 98/59.
Nozione pacificamente non definita nella Direttiva, ma che si ricollega a ogni ipotesi di cessazione del rapporto derivante da ragioni non inerenti alla persona del lavoratore, disposta dal datore di lavoro, e ricomprendente ogni modifica significativa di elementi essenziali del contratto di lavoro .
Il caso, come ricostruito nelle conclusioni dell’Avvocato Generale , sostanzialmente recepite nella sentenza in commento (sentenza 4 settembre 2025, in causa C-249/24 RT, ED contro Ineo Infracom, su domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Cour de cassation, Francia) trae origine dal licenziamento, lo stesso giorno, di undici lavoratori, tra cui i ricorrenti nel procedimento principale, da parte di una società francese, in applicazione di una normativa nazionale in forza della quale il licenziamento del lavoratore subordinato che ha rifiutato l’applicazione al suo contratto di lavoro delle clausole di un accordo collettivo relative alla mobilità interna è pronunciato secondo le modalità di un licenziamento individuale per motivi economici. In tale contesto, osserva l’Avvocato Generale, “le due questioni sollevate dalla Cour de cassation offrono alla Corte l’occasione, da un lato, di fornire chiarimenti sulla nozione di «licenziamento collettivo», di cui all’articolo 1, paragrafo 1, primo comma, lettera a), della Direttiva 98/59/CE , e dall’altro, di precisare l’ampiezza, il contenuto e l’attuazione nel tempo degli obblighi a carico del datore di lavoro nell’ambito della procedura di informazione e consultazione, previsto all’articolo 2 di tale Direttiva”.

2. Il caso, la normativa, le questioni pregiudiziali
Nel diritto francese si distingue tra licenziamento individuale per motivi economici, che, ove preceduto da un accordo sulla mobilità, dà diritto alle misure di accompagnamento e di riconversione necessariamente previste dall’accordo, e licenziamento collettivo a seguito di riduzione di organico (dunque, per ragioni non inerenti alla persona del lavoratore), che deve essere preceduto da procedura di consultazione con i rappresentanti dei lavoratori e può dare luogo, in caso di inadempimento datoriale, a risoluzione giudiziale del contratto di lavoro per colpa del datore di lavoro e condanna del medesimo al risarcimento dei danni. Condanna che, in questo caso, veniva pronunciata dal Conseil de prud’hommes di Nîmes (con funzioni di giudice di primo grado) per uno dei lavoratori ricorrenti nel procedimento principale ed esclusa per l’altro. Successivamente, la Corte d’Appello di Nîmes riformava la decisione di accoglimento e confermava quella di rigetto, così respingendo le domande di entrambi i lavoratori.
La peculiarità del caso in esame risiede nella circostanza che il datore di lavoro era una società di opere pubbliche specializzata nelle infrastrutture di telecomunicazione e di digitalizzazione, in regime di appalti regionali. Dunque, l’attività ordinaria dell’impresa prevedeva regolarmente la ridistribuzione geografica del personale di cantiere in ragione della perdita di appalti o dell’aggiudicazione di appalti nuovi. Informata nel 2013 dalla società France Télécom della decisione di non rinnovare l’appalto relativo a due dipartimenti della Francia meridionale, la società Ineo Infracom proponeva agli 82 dipendenti della filiale interessata, senza riduzione dell’organico, incarichi temporanei in altre (talvolta lontane) regioni della Francia e concludeva con diverse organizzazioni sindacali rappresentative un accordo collettivo di mobilità interna all’impresa (come previsto, nell’ambito del programma di mobilità a lunga distanza, dal contratto collettivo nazionale degli operai del comparto Opere pubbliche).
I lavoratori ricorrenti rifiutavano le proposte di assegnazione temporanea formulate in attuazione dell’accordo di mobilità e venivano licenziati individualmente per motivi economici. La Corte d’Appello escludeva l’applicabilità della normativa sui licenziamenti collettivi, dato che l’accordo collettivo di mobilità interna era stato espressamente negoziato al di fuori di qualsiasi progetto di riduzione dell’organico. Ricorrendo al giudice di legittimità francese, i lavoratori hanno sostenuto che, alla luce degli articoli 1 e 2 della Direttiva 98/59, dell’art. 27 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dell’art. 21 della Carta sociale europea, qualora i licenziamenti disposti dal datore di lavoro, indipendentemente dalla loro qualificazione come licenziamenti individuali per motivi economici, riguardino almeno dieci dipendenti in uno stesso periodo di trenta giorni, il datore di lavoro ha l’obbligo di attuare un piano di salvaguardia del posto di lavoro che garantisca ai lavoratori un’informazione e una consultazione in tempo utile, nonché misure di accompagnamento e di riqualificazione adeguate.
La Corte di cassazione di Parigi, in tale contesto, pone alla Corte di giustizia due questioni pregiudiziali:
1) se l’articolo 1, paragrafo 1, secondo comma, della Direttiva 98/59 debba essere interpretato nel senso che i licenziamenti per motivi economici fondati sul rifiuto, da parte dei lavoratori, dell’applicazione al loro contratto di lavoro delle clausole di un accordo collettivo di mobilità interna costituiscono una cessazione del contratto di lavoro verificatasi per iniziativa del datore di lavoro per una o più ragioni non inerenti alla persona del lavoratore, di modo che è necessario tenerne conto ai fini del calcolo del numero complessivo di licenziamenti effettuati.
2) In caso di risposta affermativa, se, qualora il numero dei licenziamenti programmati superi il numero-soglia previsto dalla Direttiva, l’informazione e la consultazione del comitato aziendale, come previsti dalla Direttiva, prima della conclusione di un accordo di mobilità interna con organizzazioni sindacali rappresentative, in applicazione delle pertinenti disposizioni del code du travail, siano obbligatorie o meno per il datore di lavoro.

3. Gli snodi argomentativi della decisione
La Corte risponde alle questioni pregiudiziali postele nei seguenti termini:
1) l’articolo 1, paragrafo 1, della Direttiva 98/59/CE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi, deve essere interpretato nel senso che, al fine di valutare se le risoluzioni dei contratti di lavoro fondate sul rifiuto dei lavoratori di consentire l’applicazione al loro contratto di lavoro delle clausole di un accordo collettivo relative alla mobilità interna debbano essere considerate comprese nella nozione di «licenziamento», il giudice del rinvio deve esaminare se i lavoratori interessati siano tenuti ad accettare il cambiamento dell’assegnazione geografica proposto dal datore di lavoro e, in caso di risposta negativa, se tale cambiamento costituisca una modifica sostanziale di un elemento essenziale del contratto di lavoro, così da doversene tener conto nel calcolo del numero di licenziamenti effettuati. Se tale condizione non fosse soddisfatta, la risoluzione del contratto di lavoro conseguente al rifiuto del lavoratore di accettare una tale modifica costituirebbe una cessazione di tale contratto verificatasi su iniziativa del datore di lavoro per una o più ragioni non inerenti alla persona dei lavoratori, così da doversene tener conto nel calcolo del numero di licenziamenti effettuati;
2) l’articolo 2 della Direttiva 98/59 deve essere interpretato nel senso che l’informazione e la consultazione dei rappresentanti dei lavoratori alle quali si procede prima della conclusione di un accordo collettivo relativo alla mobilità interna possono costituire una consultazione ai sensi di tale articolo, purché siano rispettati gli obblighi di informazione su tutte le materie e all’autorità pubblica previsti al paragrafo 3 dell’art. 2.

Quanto alla prima questione, la Corte, da un punto di vista processuale, nell’ambito della procedura di cooperazione tra gli organi giurisdizionali nazionali e la Corte istituita dall’articolo 267 TFUE, riformula le questioni che le sono state sottoposte (ampliando l’ambito della normativa europea interessata dalla pronuncia, estesa agli interi artt. 1 e 2 della Direttiva), al fine di fornire al giudice nazionale tutti gli elementi interpretativi utili per la soluzione della causa, ricavando dall’insieme degli elementi forniti dal giudice nazionale, segnatamente dalla motivazione della decisione di rinvio, gli elementi del diritto dell’Unione che richiedono un’interpretazione, tenuto conto dell’oggetto della controversia.
Quindi sottolinea, in via preliminare, che l’obiettivo perseguito dalla Direttiva sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati UE in materia di licenziamenti collettivi è quello di far precedere i licenziamenti collettivi da una consultazione dei rappresentanti dei lavoratori e dall’informazione dell’autorità pubblica competente, in funzione di maggior tutela dei lavoratori coinvolti; e che la nozione di «licenziamento» rappresenta una nozione autonoma del diritto dell’Unione che deve essere oggetto di interpretazione uniforme (cioè, non può essere definita mediante un mero rinvio alle legislazioni degli Stati membri) .
Tanto premesso, la Corte UE afferma (§§ 38-41) che, ai fini dell’applicazione della Direttiva, l’art. 1, paragrafo 1, primo comma, lettera a), definisce i «licenziamenti collettivi» come i licenziamenti effettuati da un datore di lavoro per uno o più motivi non inerenti alla persona del lavoratore, sempre che sussistano taluni requisiti di natura quantitativo/temporale. Rileva poi che, quantunque la Direttiva 98/59 non definisca espressamente la nozione di «licenziamento», questa deriva dalla sua costante giurisprudenza . Tale nozione, in base alla suddetta giurisprudenza, deve essere interpretata nel senso che comprende qualsiasi cessazione del contratto di lavoro non voluta dal lavoratore, ossia senza il suo consenso.
E, alla luce della finalità della Direttiva 98/59, volta (considerando 2) in particolare al rafforzamento della tutela dei lavoratori in caso di licenziamenti collettivi, le nozioni che definiscono la sfera d’applicazione della Direttiva stessa, ivi compresa la nozione di «licenziamento» di cui all’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), non possono essere interpretate restrittivamente.
Di conseguenza, la Direttiva deve essere interpretata nel senso che anche la modifica sostanziale degli elementi essenziali del contratto di lavoro per ragioni non inerenti alla persona del lavoratore da parte del datore di lavoro, in via unilaterale e a svantaggio del lavoratore, rientra nella nozione di licenziamento rilevante ai fini dell’applicazione della Direttiva . Infatti, “qualsiasi cambiamento del luogo di lavoro può avere conseguenze economiche e organizzative significative per il lavoratore interessato e può quindi costituire un elemento essenziale del contratto di lavoro” (§ 47), e può essere qualificato come «modifica sostanziale» in dipendenza dalla temporaneità o meno della modifica del contratto di lavoro prevista, dalla distanza tra il luogo di lavoro d’origine e il luogo della nuova assegnazione, nonché dalle altre eventuali misure di accompagnamento dirette a compensare l’assegnazione proposta.

Sulla seconda questione pregiudiziale, nuovamente richiamato l’obiettivo perseguito dalla Direttiva (far precedere i licenziamenti collettivi da una consultazione dei rappresentanti dei lavoratori e dall’informazione dell’autorità pubblica competente), la Corte di Giustizia osserva che, secondo la propria giurisprudenza, la procedura di consultazione di cui all’art. 2 della Direttiva deve essere avviata dal datore di lavoro nel momento in cui è stata adottata una decisione strategica o commerciale che lo costringe a prevedere o a progettare licenziamenti collettivi. “Tale è il caso quando il datore di lavoro decide di proporre modifiche del contratto di lavoro che deve ragionevolmente attendersi un certo numero di lavoratori non accetterà e che, conseguentemente, comporteranno la risoluzione del loro contratto di lavoro” .
Proprio perché la ragion d’essere e l’efficacia delle consultazioni con i rappresentanti dei lavoratori previste dalla Direttiva presuppongono la determinazione dei fattori da prendere in considerazione (per condurre consultazioni in modo adeguato e in conformità ai loro obiettivi, consistenti nell’evitare risoluzioni di contratti di lavoro o ridurne il numero, nonché nell’attenuarne le conseguenze), è necessario determinare gli elementi pertinenti relativi ai licenziamenti collettivi previsti. Pertanto, l’insorgenza dell’obbligo del datore di lavoro di avviare le consultazioni sui licenziamenti collettivi previsti va anticipata «in tempo utile nel corso delle consultazioni» «affinché i rappresentanti dei lavoratori possano formulare proposte costruttive» .
Nel peculiare caso in esame, dalla decisione di rinvio risulta che il datore di lavoro aveva, in un primo tempo, formulato proposte di assegnazione geografica senza riduzione di organico, e, in un secondo tempo, avviato negoziati con i rappresentanti dei lavoratori sfociati nella conclusione dell’accordo collettivo di mobilità interna. Secondo la Corte UE, la società doveva quindi attendersi, al momento della negoziazione di tale accordo, che un certo numero di lavoratori non accettasse siffatte modifiche unilaterali del proprio contratto di lavoro sulla base di detto accordo e che, di conseguenza, i loro rispettivi contratti fossero risolti.

Spetterà al giudice del rinvio verificare se il datore di lavoro abbia apportato unilateralmente e a svantaggio dei lavoratori ricorrenti le modifiche contrattuali oggetto del procedimento principale, vale a dire le modifiche del luogo di lavoro, per motivi non inerenti a tali persone (§ 43); se, alla luce dell’accordo collettivo di mobilità e delle clausole del contratto di lavoro, i lavoratori interessati siano tenuti ad accettare il cambiamento di assegnazione geografica proposto (nel qual caso il loro rifiuto integrerebbe una mancata esecuzione di tale contratto che ne comporta la risoluzione per un motivo inerente alla persona di tali lavoratori), ovvero, in caso contrario se, alla luce delle circostanze, le proposte di nuova assegnazione geografica possano essere classificate come una «modifica sostanziale di un elemento essenziale» del contratto di lavoro, ai sensi della giurisprudenza della Corte di Lussemburgo (§§ 45, 46); se gli obblighi di informazione previsti all’articolo 2, paragrafo 3, della Direttiva 98/59 siano stati rispettati (§ 65).
Peraltro, detti accertamenti andranno svolti nel quadro dell’obiettivo di rafforzamento della tutela dei lavoratori in caso di licenziamenti collettivi, tenendo conto che, in base ai considerando 3 e 7 della Direttiva, devono costituire oggetto di ravvicinamento delle legislazioni soprattutto le differenze sussistenti tra le disposizioni in vigore negli Stati membri con riguardo alle misure capaci di attenuare le conseguenze derivanti dai licenziamenti collettivi, nonché gli oneri in materia per le imprese dell’Unione, posto che (considerando 4) le differenze tra i livelli di tutela previsti dalle legislazioni nazionali in materia di licenziamenti collettivi possono ripercuotersi direttamente sul funzionamento del mercato interno, e che le disposizioni della Direttiva non devono in alcun caso essere private di effetto utile.

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